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Un pianeta da sfamare


Più apprezzabile della filosofia è la saggezza.
Epicuro, Lettera a Meneceo


La scarsità alimentare pone nuove minacce alla crescita della popolazione globale, compensando la perdita di suolo fertile. La sfida va oltre le coltivazioni: per evitare il collasso del sistema alimentare servono cambiamenti radicali che riguardano tutta la società e il nostro concetto di sicurezza.
La “Grande Siccità” del 2012, negli Stati Uniti, ha fatto salire i prezzi del mais ai massimi storici; eppure le quotazioni dei prodotti alimentari sul mercato globale, già raddoppiate nel corso dell’ultimo decennio, sono destinate ad aumentare ancora, scatenando così una nuova ondata di rivolte per il cibo.
La penuria del raccolto di mais non farà che accelerare la transizione dall’era dell’abbondanza e dei surplus a un’era di scarsità cronica. L’impennata dei prezzi alimentari si accompagna a una sempre più intensa competizione internazionale per il controllo della terra e delle risorse idriche. In questa nuova realtà globale, l’accesso al cibo si sostituisce all’accesso al petrolio quale preoccupazione principale dei governi. Il cibo è il nuovo petrolio, la terra è il nuovo oro: benvenuti nella nuova geopolitica alimentare.
I NUOVI CARNIVORI.
Per gli americani – che spendono solo il 9% del proprio reddito per il cibo – il prezzo raddoppiato dei prodotti alimentari non è un grosso problema. Per coloro che, invece, impiegano il 50-70% del budget disponibile per la spesa alimentare, è un danno grave. Questi ultimi hanno ben pochi margini di manovra per compensare l’aumento dei prezzi spendendo di più: devono mangiare di meno.
Con i prezzi in aumento, molte delle famiglie più povere del mondo avevano già ridotto i consumi alimentari a un pasto al giorno. Purtroppo, in un’alta percentuale di casi non possono più permettersi neppure quello. Così milioni di nuclei familiari danno ormai per scontato che ogni settimana dovranno trascorrere giornate intere senza cibo.
Secondo un recente sondaggio di Save the Children, in India il 24% delle famiglie si astiene abitualmente dal mangiare; in Nigeria lo fa il 27%; in Perù il 14%. In un mondo affamato, la denutrizione ha spesso il volto di un bambino: milioni di bambini sono pericolosamente denutriti, e spesso così debilitati da non riuscire neppure ad andare a scuola a piedi. In molti casi soffrono di ritardi fisici e mentali.
Mentre la fame dilaga, gli agricoltori devono affrontare nuove sfide su entrambi i versanti dell’equazione alimentare. Sul versante della domanda, intervengono due fattori di crescita. Il più antico è l’incremento demografico: ogni anno la popolazione mondiale aumenta di circa 80 milioni, e stasera si siederanno a tavola 219.000 persone in più rispetto a ieri
– molte delle quali si troveranno davanti un piatto vuoto. Il secondo fattore di crescita è la tendenza dei consumatori a salire lungo la catena alimentare: con l’aumento dei livelli di reddito, crescono anche i consumi di pollame e altri alimenti di origine animale a impiego intensivo di cereali. Nelle economie emergenti, in particolare, il fenomeno riguarda almeno tre miliardi di persone, ma la maggiore concentrazione dei nuovi carnivori si rileva in Cina, che ha ormai raddoppiato il consumo di carne rispetto agli Stati Uniti.
Oggi, inoltre, i cereali vengono utilizzati come carburante per le automobili: nel 2011 gli Stati Uniti hanno raccolto qualcosa come 400 milioni di tonnellate di granaglie. Di questi, 127 milioni (pari al 32%) sono finiti nelle distillerie di etanolo. L’aumento della domanda si riflette sull’incremento annuo del consumo mondiale di cereali, passato da una media di 20 milioni di tonnellate di un decennio fa agli attuali 45 milioni di tonnellate.
Sul versante dell’offerta, poi, gli agricoltori si trovano ancora di fronte all’antica minaccia dell’erosione del suolo. Circa il 30% delle terre coltivabili del pianeta sta perdendo lo strato superficiale produttivo a un ritmo ben più rapido della sua rigenerazione naturale. E si stanno formando due enormi “catini di polvere” (dust bowl), uno nella Cina nordoccidentale e l’altro in Africa centrale.
LE SFIDE DELLA PRODUZIONE.
Oltre alla perdita di suolo superficiale, tre nuove sfide si vanno profilando sul fronte della produzione. La prima è costituita dall’esaurimento delle falde acquifere e dal prosciugamento dei pozzi di irrigazione in 18 paesi che, nel loro insieme, contano metà della popolazione mondiale; la seconda riguarda alcuni dei paesi più avanzati dal punto di vista agricolo, dove il raccolto per ettaro di riso e frumento, dopo decenni di crescita costante, comincia a stabilizzarsi; la terza sfida è l’aumento della temperatura del pianeta, che minaccia di distruggere l’agricoltura mondiale, in uno scenario assolutamente spaventoso.
Tra i paesi in cui i livelli freatici stanno scendendo e le falde acquifere sono in via di esaurimento, figurano i tre maggiori produttori di cereali: la Cina, l’India e gli Stati Uniti. In India 175 milioni di persone si sfamano grazie all’overpumping, il sovrasfruttamento delle risorse idriche. In Cina il dato corrispondente è 130 milioni. E negli Stati Uniti le superfici irrigue in grandi stati agricoli come la California e il Texas sono in contrazione, mentre le falde acquifere si svuotano e l’acqua viene dirottata dai campi alle città.
In secondo luogo, dopo decenni di raccolti cerealicoli in aumento, alcuni dei paesi più avanzati dal punto di vista agricolo stanno toccando un picco di produzione che non era stato previsto con il dovuto anticipo. In Giappone, un paese pioniere della valorizzazione delle rese, il raccolto di riso non cresce da 17 anni. Lo stesso vale per la Corea del Sud, dove la produzione si è fermata a un massimo di poco meno di 5 tonnellate per ettaro. Persino in Cina il raccolto di riso si sta assestando sulla media giapponese, e potrebbe presto raggiungere un livello stabile.
Una situazione analoga si verifica con i raccolti di frumento: in Francia, Germania e Regno Unito, i tre maggiori produttori europei, non si registrano incrementi di produttività da più di un decennio. Altri paesi sono prossimi a raggiungere un limite invalicabile.
A ciò si aggiunge la sfida posta dal riscaldamento globale. Il massiccio impiego di combustibili fossili fa aumentare il livello di anidride carbonica nell’atmosfera, innalzando così la temperatura del pianeta e destabilizzando il clima. In passato, ogni volta che si verificavano eventi climatici estremi – come un’intensa ondata di calore o un periodo di siccità – era lecito aspettarsi che la situazione sarebbe tornata alla normalità entro la stagione successiva. Oggi, con il clima in continuo mutamento, non vi è più alcuna “norma” alla quale tornare.
Per ogni grado Celsius di temperatura al di sopra del valore ottimale durante la stagione vegetativa, gli agricoltori devono aspettarsi una perdita di almeno il 10% sul raccolto di cereali. Da uno studio degli effetti del clima sulle rese di mais e soia negli Stati Uniti è emerso che l’innalzamento di 1°C determina un calo di produttività del 17%. Se si continuerà sulla rotta del business as usual, senza affrontare la questione climatica, entro la fine di questo secolo la temperatura del pianeta potrebbe salire di 6°C.
Un tempo, se si verificava un’emergenza alimentare, i ministeri dell’agricoltura mettevano in campo maggiori incentivi economici, magari incrementando i sussidi agli agricoltori, e nel giro di poco tempo tutto tornava alla normalità. Oggi, invece, trovare una risposta alla contrazione delle scorte alimentari è impresa ben più complessa. Il fenomeno coinvolge le istituzioni responsabili dell’energia, delle risorse idriche, dei trasporti, della sanità e della pianificazione familiare, e non solo. Di fronte allo spettro incombente del cambiamento climatico che minaccia di distruggere l’agricoltura, si comprende come le politiche energetiche possano contribuire ancor più di quelle agricole al raggiungimento della sicurezza alimentare. Insomma, per evitare il collasso del sistema alimentare è necessaria una mobilitazione dell’intera società.
COME INTERVENIRE SU DOMANDA E OFFERTA.
Sul versante della domanda si presentano quattro necessità impellenti: la stabilizzazione della popolazione mondiale, l’eliminazione della povertà, la riduzione dell’eccessivo consumo di carne e la revisione delle politiche sui biocarburanti (che incentivano l’utilizzo di beni alimentari, terreni e risorse idriche utilizzabili invece per sfamare la popolazione). Occorre agire su tutti questi fronti contemporaneamente.
I primi due obiettivi sono strettamente collegati: la stabilizzazione demografica dipende infatti dall’eliminazione della povertà. Basta un rapido sguardo ai tassi di crescita della popolazione per rendersi conto che i paesi in cui il numero degli abitanti è stabile sono praticamente tutte nazioni ad alto reddito. Viceversa, quasi tutti i paesi con alti tassi di crescita demografica si collocano agli ultimi gradini della scala economica globale.
Il mondo deve impegnarsi a colmare le lacune nell’accesso ai servizi di salute riproduttiva e di pianificazione familiare, e al tempo stesso battersi per sconfiggere la povertà: i progressi nell’uno e nell’altro campo si rafforzano a vicenda. Due sono i presupposti fondamentali per eliminare la povertà: far sì che tutti i bambini, maschi e femmine, ricevano almeno un’educazione scolastica elementare e le cure sanitarie di base. Nei paesi più poveri, inoltre, occorre avviare programmi di alimentazione scolastica sia per incoraggiare le famiglie a mandare i propri figli a scuola, sia per mettere questi ultimi in condizione di imparare una volta che vi accedono. Il passaggio a nuclei familiari più ristretti offre numerosi vantaggi: il primo è che a tavola ci saranno meno bocche da sfamare. Non è una novità che la stragrande maggioranza dei casi di malnutrizione si riscontra nelle famiglie più numerose.
Scendere lungo la catena alimentare – ossia consumare meno carne, latte e uova – servirà poi ad aumentare la disponibilità di cereali per il consumo diretto e allentare la pressione sulle risorse idriche e territoriali del pianeta.
Anche sul versante dell’offerta, come già accennato, si presentano diverse sfide, a partire dalla stabilizzazione climatica, dall’incremento della produttività idrica e dalla conservazione del suolo. Per quanto riguarda la stabilizzazione climatica, occorre procedere a un drastico taglio delle emissioni di Co2, dell’ordine dell’80% in dieci anni, per avere la possibilità di evitare le peggiori conseguenze del climate change. Si tratta di una vera e propria ristrutturazione dell’economia energetica mondiale.
Si rende poi necessario un intervento sul fronte fiscale, per abbassare le tasse sul reddito e aumentare quelle sulle emissioni di Co2, affinché i costi del cambiamento climatico – e tutte le altre voci di spesa indirettamente legate all’utilizzo di combustibili fossili – siano integrati nei prezzi di mercato. Se il mercato sarà tenuto a dire la verità, la transizione dal carbone e dal petrolio all’energia eolica, solare e geotermica avverrà in tempi molto rapidi. E se i generosi sussidi all’industria dei combustibili fossili verranno tagliati, il passaggio sarà ancor più veloce.
Oltre alla carbon tax, occorre ridurre la dipendenza dall’automobile, potenziando i trasporti pubblici in tutto il mondo. E laddove non sia possibile farne a meno, si dovrebbe puntare sulla conversione all’elettrico.
L’incremento della produttività idrica, invece, deve partire dall’agricoltura, semplicemente perché il 70% di tutta l’acqua consumata è destinato all’irrigazione. Alcune tecniche irrigue sono molto più efficienti di altre: le meno vantaggiose sono l’irrigazione per allagamento e l’irrigazione a solchi. L’irrigazione a pioggia con i sistemi a pivot centrale, da cui i famosi campi circolari delle Grandi Pianure occidentali degli Stati Uniti, e l’irrigazione a goccia sono di gran lunga più proficue.
Un’altra possibilità consiste nel promuovere la diffusione di colture più efficienti in termini di consumo idrico, come il grano al posto del riso.
Scendere lungo la catena alimentare significa anche risparmiare acqua. Sebbene il consumo idrico urbano sia relativamente contenuto rispetto a quello a scopo irriguo, anche le città possono fare la loro parte. Alcune stanno già cominciando a riciclare molta – o addirittura la maggior parte – dell’acqua che consumano. E facendo leva sul prezzo si potrebbe incrementare notevolmente l’efficienza dei consumi idrici. Altrettanto importante è il controllo dell’erosione del suolo. Con la perdita dello strato superficiale che incalza a un ritmo da record e la formazione di due enormi dust bowl in Asia e in Africa, la stabilizzazione dei suoli richiederà ingenti investimenti in misure conservative.
RIDEFINIRE IL CONCETTO DI SICUREZZA.
Perseguendo tutte queste iniziative, sarà possibile ricostituire le riserve mondiali di cereali fino al livello necessario per migliorare la sicurezza alimentare. Gli interventi sopra elencati non costituiscono un menù da cui poter scegliere a libero piacimento. Si tratta di una serie di azioni da mettere in campo contemporaneamente, poiché si rafforzano a vicenda: difficilmente, infatti, saremo in grado di stabilizzare la popolazione, se non sconfiggeremo la povertà e probabilmente non riusciremo a rigenerare gli ecosistemi del pianeta senza stabilizzare la popolazione e il clima. Né potremo sconfiggere la povertà senza invertire il declino degli ecosistemi del pianeta.
Il raggiungimento di tutti questi obiettivi, funzionali a una riduzione della domanda e a un aumento dell’offerta, richiede una ridefinizione del concetto di “sicurezza”. L’aggressione armata non è più la principale minaccia per il nostro futuro: le insidie più gravi del nostro secolo sono il cambiamento climatico, la crescita demografica, i sempre più ricorrenti fenomeni di scarsità idrica, l’aumento dei prezzi dei beni alimentari e il fallimento politico delle autorità statali. Non è più possibile scindere la sicurezza alimentare dalla sicurezza in senso lato. È giunto il momento di ridefinire la sicurezza non solo a livello teorico, ma anche sul piano fiscale. Abbiamo le risorse necessarie per colmare il deficit di pianificazione familiare, eliminare la povertà e incrementare la produttività idrica, ma tali misure impongono una redistribuzione del gettito fiscale per rispondere alle nuove minacce alla sicurezza.
Oltre a ciò, destinare una fetta del budget militare a un fondo per gli incentivi agli investimenti in pannelli fotovoltaici, parchi eolici, centrali geotermiche, sistemi di illuminazione ed elettrodomestici più efficienti, sarebbe utile per accelerare la transizione energetica. Gli incentivi necessari ad avviare questa profonda ristrutturazione sono consistenti, ma non fuori della nostra portata.
Il mondo è in grosse difficoltà sul fronte alimentare: la possibilità di sfamare gli indigenti dipenderà dalle nuove politiche demografiche, idriche ed energetiche; ma se non si procederà a un rapido cambio di rotta, l’obiettivo di debellare la fame rimarrà solo un miraggio.

Lester R. Brown
Lester Brown è fondatore e presidente dell’Earth Policy Institute e autore di Nove miliardi di posti a tavola. La nuova geopolitica della scarsità di cibo. Il suo ultimo libro è The great transition: shifting from fossil fuels to solar and wind energy.

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Impresa Oggi - 3 agosto 2015

Tratto da

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www.impresaoggi.com