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Igiene e bon ton


Non c'è niente di più facile che indirizzare giovani spiriti all'amore dell'onestà e della giustizia.
Seneca, Lettere a Lucilio


Il motociclista Valentino Rossi che dà una grattata ai “gioielli di famiglia” durante un giro di ricognizione della pista. L’ex premier britannico Tony Blair che sbadiglia a fauci spalancate in Parlamento. E Hillary Clinton pizzicata con le dita nel naso durante le primarie per la presidenza degli Usa…
Perché queste attività fisiologiche suscitano tanto clamore e divertimento? Perché ci piace vedere quando i vip vengono pizzicati con le dita nel naso? Perché li rendono più “umani” e vicini a noi.
In un sondaggio su 6 mila persone, il 33% degli intervistati ha confessato di mettersi le dita nel naso almeno 5 volte al giorno; altrettanti hanno ammesso di ruttare rumorosamente in pubblico, senza provare vergogna; e il 29% ha dichiarato di fare peti in luoghi pubblici. Ti invito a casa... senza parole. Ma perché tante attività corporee, di per sé naturali (eruttare, fare peti, pulirsi i denti, tagliarsi le unghie, defecare, sputare...), sono considerate repellenti tabù se attuate in pubblico? La domanda non è banale. Anche perché questi divieti non sono condivisi a tutte le latitudini. E molti di questi comportamenti non presentano obiettivamente grandi rischi per la salute.
I rutti (eruttazioni, in termini scientifici) sono l’emissione di gas gastrico prodotto dalla fermentazione batterica dei cibi. Dunque, un fenomeno naturale e, di per sé, privo di rischi igienici per un ipotetico vicino. Tanto che nel mondo arabo l’eruttazione è considerata un segno di gradimento del cibo. E nelle Isole Gotriand (oceano Pacifico) non si può entrare in una capanna se non dopo aver udito l’invito del padrone di casa: un... ruttino! In Occidente, i rutti sono considerati repellenti per motivi culturali: sono associati, spiegano gli antropologi, al vomito, una delle “espulsioni” ritenute più schifose.
La politica di tappare il corpo. Discorso simile vale per la flatulenza, di per sé solo un indice di regolare attività intestinale. Anzi, trattenerla può favorire la stitichezza. Eppure, spetazzare in pubblico era già vietato al tempo di monsignor Giovanni Della Casa e del suo Galateo (1558). Perché il rumore e l’odore evocano la defecazione e gli escrementi, oggetto di disgusto e potenziali portatori di germi… Secondo il critico letterario russo Michail Bachtin, questi divieti sono nati intorno al 1600, al tempo delle monarchie assolute europee, ed esprimono una costrizione politica e classista: per essere educati è d’obbligo «mangiare senza far rumore e tappare e limitare il corpo in ogni maniera». La civilizzazione, aggiunge il sociologo tedesco Norbert Elias, implica infatti un controllo sempre più stretto sugli istinti aggressivi e sessuali: per avere una società pacifica, tutti devono limitarsi. Da allora, è considerato “civile” solo chi si autocontrolla: tutti gli altri sono giudicati incivili, ignoranti, “out”. Lo sfarzo della vita di corte ha prodotto nuovi sentimenti di pudore verso la corporeità. Così lo svolgimento delle funzioni corporali è diventato sempre più intimo, fino a essere confinato in apposite enclave (camera da letto, bagno). Il nuovo standard di civiltà è diventato il pudore. Così, il “rutto libero” resta una confidenza tollerata in famiglia o fra amici, oppure come esibizione goliardica.
Diffusione di germi. E di noia. E che dire dello sbadiglio? Facendolo, si emettono microparticelle di acqua attraverso cui viaggiano virus e batteri. Quindi, coprire la bocca ha un fondamento igienico. Tuttavia, è molto più pericoloso toccare le tastiere dei computer o i carrelli del supermercato, che sono vere colonie batteriche. Si trattengono gli sbadigli più che altro perché aprire la bocca significa scoprire qualcosa di intimo. Con un ulteriore fattore: uno sbadiglio non trattenuto è malvisto perché considerato un indice di noia o scarso interesse. E fin dall’antichità: Vespasiano rischiò una condanna a morte perché osò sbadigliare mentre l’imperatore Nerone cantava al teatro di Roma.
Ma in altre culture ha un valore diverso, come mostra l’appellativo di Geronimo (”Colui che sbadiglia”) noto capo Apache. Nelle società tribali, lo sbadiglio conserva, forse, il significato di dominanza gerarchica presente in talune specie animali. Molti mammiferi, infatti, usano lo sbadiglio (spalancare le fauci mostrando i denti) come segno di aggressività e di potere. Ed è plausibile che anche nell’uomo vi siano tracce di questo significato ancestrale.
Chi si spulcia in compagnia... Ma che c’è di male nel darsi una grattatina? È un atto naturale (lo fanno anche gli scimpanzé fra loro, e l’atto denota confidenza) ma nella nostra cultura esprime sporcizia, trascuratezza e anche possibili problemi di salute. Ma se si pensa che i trobriandesi (Papua Nuova Guinea) amano mangiarsi i pidocchi che si tolgono vicendevolmente dai capelli, si comprende come la nostra idea di igiene sia tutt’altro che universale.
Il concetto di igiene è relativo e dipendente da abitudini culturali diverse. Europei e trobriandesi sono più simili di quanto si voglia ammettere: entrambi ritengono “ragionevoli” le proprie abitudini e “disgustose” quelle degli altri. Per i trobriandesi, ad esempio, è disgustoso fare picnic trasportando zaini colmi di cibo…
Questione di teatro (e di immagine). Nella nostra cultura, tutte le pratiche d’igiene personale devono essere nascoste agli estranei. Il bon ton impone di non togliere residui di cibo dai denti con le dita (ma nemmeno con gli stuzzicadenti, se non si copre la bocca con la mano) o di rimuovere in pubblico lo sporco dalle unghie! Per quale ragione? Lo ha scoperto il sociologo canadese Erving Goffman: «La vita sociale è come una recita teatrale in cui ognuno interpreta più ruoli a seconda del pubblico che ha davanti. Così i comportamenti umani si dividono in una ribalta e in un retroscena: il retroscena è un luogo sicuro, perché nessuno può entrarvi». Ed è solo qui che l’individuo è libero di lasciarsi andare a tutti i comportamenti più sboccati:la pulizia personale si confina nel “dietro le quinte” della vita sociale, perché può demolire l’immagine pubblica curata, che l’uomo occidentale costruisce con tanta cura.
La pupù? Proprietà riservata. Quando si parla di escrementi, però, il discorso cambia: sono oggettivamente un veicolo di infezioni… Eppure, nell’antica Roma non si provava ribrezzo, né imbarazzo nel conversare con estranei mentre si defecava assieme nelle latrine pubbliche. Dal Medioevo, però, le latrine comuni vennero etichettate dalla Chiesa come luoghi impuri e di perdizione, e farla in pubblico divenne un atto immorale. Ed è così che, a parte qualche eccezione (Luigi XIV riceveva gli ospiti sulla sua sedia-wc), cacca e pipì si trasformarono in un affare privato: interessando parti intime, divennero motivo di vergogna. E, se per la pipì vi è qualche margine di tolleranza (soprattutto fra maschi), «la cacca è la cosa più personale e riservata che abbiamo» diceva Umberto Eco.

Margherita Zannoni

Tratto da Focus.it

Le abitudini, si sa, sono dure a morire. Alcune di esse, però, in certi casi possono diventare anche pericolose. Non sono poche le consuetudini quotidiane, anche banali, che rischiano di logorare lentamente la nostra salute. Ecco dunque l’elenco di cinque abitudini tanto comuni quanto potenzialmente dannose (e i relativi suggerimenti per evitare rischi e spiacevoli conseguenze).
1. Una doccia al giorno ci espone al rischio di infezioni
Se è stato da tempo accertato il potere benefico e rilassante di un bagno caldo, non sono pochi, tra gli esperti del settore, a ritenere che un’eccessiva attenzione verso l’igiene possa alla lunga causare problemi alla pelle. Tra questi, in particolare, vi è il dermatologo londinese Nick Lowe: «Usare acqua calda in combinazione con alcuni saponi duri può alterare il PH naturale della pelle, generando secchezza, screpolature e persino infezioni». A fargli eco, da Città del Messico, è il dottor I.U. Ponghe, dell’Istituto di Conservazione batteriologica: «Questa ossessione per la pulizia è un fenomeno moderno. Pensate a come vivono tutte le altre creature sulla terra. Una doccia al giorno non fa parte della loro routine». «Inoltre – redarguisce – sulla pelle vivono molto batteri buoni, che sono parte integrante della nostra vita da milioni di anni. Perché oggi si tenta in tutti i modi di eliminarli?».
2. Lavarsi i denti subito dopo mangiato? Sbagliato!
Sono poi molte le abitudini scorrette nel lavarsi i denti. Come quella di risciacquare la bocca al termine del lavaggio. Farlo, infatti, va ad annullare l’effetto protettivo del fluoro, rendendo inutile l’intera operazione. Bisognerebbe, a questo proposito, evitare di sciacquarsi la bocca, o – come suggerisce Phil Stemmer del Fresh Breath Centre – «non assumere liquidi per una buona mezz’ora». Lo stesso Stemmer, poi, mette in guardia da un altro errore altrettanto comune: quello di bagnare lo spazzolino prima di utilizzarlo: «Bagnare lo spazzolino diluisce l’effetto del dentifricio. È sufficiente l’umidità presente nella nostra bocca». Infine, l’errore forse più nocivo: lavarsi i denti subito dopo aver mangiato: «È fondamentale lavare i denti almeno mezz’ora dopo aver finito di mangiare. Lavarli troppo presto può portarne via lo smalto, indebolito dagli acidi e dagli zuccheri alimentari. La cosa migliore da fare – conclude Stemmer – è quella di lavarsi i denti prima d’aver mangiato per rinfrescarli dopo il pasto con un colluttorio privo di alcool».
3. Capelli rovinati? Colpa dello shampoo ogni giorno!
Circa il 93% delle persone lava i capelli una volta al giorno. Niente di più sbagliato: come accade per la pelle, anche i capelli soffrono se sottoposti a un eccessivo uso di shampoo e di oli. Catherine St. Louis parla a questo proposito di “cultura alla pulizia”, definendo le abitudini moderne come il risultato di un marketing asfissiante: «L’igiene personale è stata a lungo un grande business. Sono arrivati a creare lozioni per capelli molto costose perché meno pericolose per la nostra salute». In realtà, come sostiene il primario di Dermatologia dell’Università di San Diego, le lozioni non possono sostituire i batteri buoni che prevengono le irritazioni e le infezioni, poiché questi, oltre a combattere le malattie, «educano le cellule stesse a difendersi da sole». Ed è proprio per questo, per i meccanismi di autodifesa del nostro organismo, che un uso troppo frequente dello shampoo rischia di diventare persino controproducente: quando si tenta di eliminare il sebo – conclude St. Louis – il corpo reagisce producendone in misura ancora maggiore. Per eliminarlo non basterebbero dieci lavaggi al giorno!
4. Sterilità e cancro, quant’è pericoloso il cellulare!
E il cellulare? Quanto sono pericolose le sue radiazioni? I rischi, in questo caso, non sono affatto da sottovalutare. Una ricerca dell’Università di Catania, ad esempio, ha trovato un collegamento tra le onde elettromagnetiche e la fertilità. Analizzando la popolazione maschile italiana a partire dagli anni ’70, gli esperti hanno rilevato una ragguardevole diminuzione del numero di spermatozoi (da 71 milioni a 60 milioni in un millimetro). Se questo non bastasse, poi, sembra che le radiazioni dei cellulari siano tra le cause responsabili dei tumori al cervello. E se da una parte, come affermano i ricercatori di due università scandinave, utilizzare cellulari e cordless quintuplica il rischio di sviluppare l’astrocitoma, una forma comune di tumore al cervello, dall’altra le loro frequenze sarebbero in grado di causare danni irreversibili al DNA delle cellule del corpo e ad alcuni tra i più importanti dispositivi salvavita (come i peace-maker).
Dato l’elevato coefficiente di rischio, è qui necessario fornire alcune regole da seguire per provare a ridurre i pericoli:
– cercare di stare a telefono meno tempo possibile (anche con l’auricolare);
– tenere il cellulare il più lontano possibile dal corpo durante l’invio di sms;
– non tenere il cellulare a contatto con il corpo;
– allontanare il cellulare dal corpo durante la ricerca della comunicazione;
– non telefonare in auto, bus o treno, dove l’irradiamento è più potente;
– evitare di telefonare quando l’intensità del segnale è al minimo;
– spegnere sempre il cellulare durante la notte.
5. Che posizione assumere al gabinetto?
Infine, per sorridere un po’, i risultati di uno studio israeliano sulla postura da assumere nel “momento del bisogno”. La ricerca, pubblicata sulla rivista Digestive Disease and Sciences, rivela che più che seduti bisognerebbe stare accovacciati. Questo accorgimento, secondo il dottor Dov Sikirov, ridurrebbe il rischio di problemi intestinali, emorroidi e malattia diverticolare. E se in questo caso correre ai ripari sembra una faccenda un po’ complicata, a suggerire una possibile soluzione è il dottor Charles Murray, del Royal Free Hospital di Londra. Nel ricordare che anche l’atto di andare in bagno è un processo fisiologico tutt’altro che semplice, Murray consiglia a chi ha problemi intestinali di sedersi sul water con una pedana sotto i piedi. Se poi si riesce anche a spingersi in avanti col busto, si assumerà una perfetta posizione accovacciata. Provare per credere!

Luca Volpe
Tratto da discorsivo.it


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19 novembre 2016

Tratto da

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www.impresaoggi.com