Pensa che cosa ti minaccia se continui. I potenti, nessuno può attaccarli senza danno.
 
  Seneca, Medea 

Parco Lambro a Milano
Prendiamo due dati relativamente
  semplici e significativi. A livello
  globale: Onu e Banca mondiale
  stimano che per ogni dollaro investito
  negli ecosistemi all’interno delle aree
  protette si generi un beneficio di 100
  dollari di servizi. A livello locale: il Parco
  nazionale dell’Appennino, a fronte di un
  costo per cittadino italiano di 3 centesimi
  di euro/anno, investe risorse per 5 milioni
  di euro/anno: sul territorio interessato
  il “carico 
  scale” aggiuntivo è stato di
  30 centesimi in 10 anni per cittadino,
  a fronte di una spesa/investimento sul
  medesimo di circa 45 milioni. Entrambe
  le valutazioni soff?rono di qualche
  approssimazione, ma sono assolutamente
  serie e dovrebbero essere su?cienti per
  assumere la tesi che un valore economico
  dei parchi e delle aree protette esiste ed è
  anche maggiore di quanto non si pensi.
  Eppure risulta di?cile giustificare per
  l’opinione pubblica la spesa per i parchi,
  che dal fatidico 1872 (Yellowstone) a
  oggi sono diventati ben 160.000 e sono
  diff?usi in tutti i continenti, con tutti i
  regimi politici, in contesti economici
  culturali e religiosi diversi. Si potrebbe
  concluderne che, almeno in questa
  epoca, parchi e aree protette sono parte
  essenziale della governance a tutte le
  latitudini. Da un lato rappresentano e
  gestiscono un grande patrimonio del
  pianeta, dall’altro fanno da battistrada
  a importanti cambiamenti di assetti
  consolidati delle istituzioni politiche che
  hanno di fronte l’imperativo “millenario”
  di assicurare la sostenibilità a 7 miliardi
  di esseri umani. 
  Di tutto questo i Parchi sono elemento
  e punto di riferimento, perché istituzioni
  nate per gli equilibri della sostenibilità e a
  questo votate. I “benefici oltre i confini” dei
  parchi, tema della V Conferenza mondiale
  Onu-Iucn, hanno questo orizzonte: si
  riferiscono sia ai servizi della natura che
  si diff?ondono oltre i perimetri su tutta la
  biosfera, sia all’apporto alla governance,
  che non sta confinato nelle specifiche
  competenze e nella gestione degli enti. 
È chiaro che i Parchi – come territorio
  
  fisico e come istituzioni – gestiscono un
  patrimonio che ha un valore economico,
  immediato e in prospettiva.
  La tematica economica non è estranea
  alla loro missione; è importante sia
  laddove un alto grado di wilderness rende
  prevalente il valore dei servizi della natura
  in quanto tali, sia laddove – per il forte
  intreccio con la storia e la civilizzazione
  – la connessione con l’economia e la
  società è originaria e fondamentale, e
  magari ai valori di biodiversità e servizi
  ecosistemici, si accompagnano valori di
  agrobiodiversità, valori culturali, e di
  formazione del capitale umano. 
  Dopo la famosa stima di Robert
  Costanza sul valore dei servizi ecosistemici
  globali, in 3-5 miliardi di dollari l’anno,
  molta acqua è passata sotto i ponti della
  elaborazione e delle ricerche.
  Ecologisti ed economisti, istituzioni
  internazionali, istituti di statistica,
  agenzie ambientali ed enti locali si sono
  cimentati col problema del dare un
  valore misurabile all’ambiente, al capitale
  naturale ai servizi ecosistemici.
  In Italia un bel lavoro di ricerca e
  divulgazione è stato svolto recentemente
  dall’Università del Molise in
  collaborazione con la direzione Aree
  protette del mistero dell’Ambiente.
  Nel volume Il nostro capitale. Per una
    contabilità ambientale dei Parchi nazionali
    italiani, si forniscono aggiornamenti,
  si illustrano criteri e metodologie,
  si avanzano anche dati e valutazioni
  circonstanziate. Per esempio si stima
  il valore economico totale dei Parchi
  nazionali (VET) in circa 400 milioni.
  A fronte di un 
  nanziamento medio di
  60 milioni di euro, i Parchi nazionali
  produrrebbero un surplus annuo di oltre
  340 milioni di euro. Ancor più del dato
  sintetico, interessanti sono la somma
  dei dati analitici e la loro scomposizione
  per ciascun parco sulla base di una
  pluralità di valutazioni e conti che
  tentano seriamente di misurare questo
  valore sia per singoli componenti, che
  nel suo insieme. Il valore economico
  totale include beni e servizi, distingue
  e misura separatamente usi diretti e
  indiretti, valori d’uso, valori di non uso
  (quali il valore di esistenza e di lascito
  alle future generazioni) i valori di opzione
  (probabilità di utilizzi futuri).
  Si valutano quindi i servizi ecosistemici
  sia di approvvigionamento (acqua, legna)
  che di regolazione (clima, idrologia,
  impollinazione). Si valutano gli apporti
  culturali, di educazione ambientale
  e di sviluppo del capitale umano. In
  sintesi si propone una strumentazione,
  un’analisi e – a seguire – una metodologia
  di valutazione (Mevap) che utilizza
  misurazioni oggettive e soggettive come i
  “costi evitati” e la “disponibilità a pagare”
  i servizi dichiarata da un campione di
  cittadinanza.
  Tale valutazione viene applicata ai Parchi
  nazionali italiani sotto diversi profili del
  patrimonio ambientale, delle relazioni
  con l’economia, la società e le risorse
  umane, nonché con la governance del
  territorio.
  Dunque non partiamo da zero.
  Questo sistema di misurazione,
  certamente opinabile come altri, non
  va semplicemente consegnato alla
  letteratura per farne base di ulteriori
  studi. È un’acquisizione da usare “sul
  campo”, per trarne i frutti possibili e
  per sottoporla così all’esame severo
  della realtà dell’utilizzo cui è destinata.
  Siamo nel campo delle scienze umane,
  sempre in evoluzione, per cui non ha
  senso pretendere e attendere un approdo
  denitivo e certo. 
  Come per tutti gli aspetti della
  problematica della contabilità ambientale,
  è tempo di “passare dal laboratorio alle
  istituzioni”. Passare cioè dal fornire
  studi e informazioni, all’organizzare
  responsabilità, con normative e atti
  adeguati al livello di ciascuna istituzione,
  si tratti dello stato o delle singole regioni. 
È il momento di misurare i “benefici
  oltre i confini” dei Parchi e delle
  Aree protette dell’Emilia-Romagna, ad esempio.
  È ora di misurare e mettere in valore gli
  importanti servizi ecosistemici e tutti i
  benefici oltre i confini dei Parchi e della
  rete natura 2000.
  Al di là di perimetri, normative e
  destinazioni territoriali ampie e di?ffuse,
  c’è un’insostenibile leggerezza delle
  politiche in questo campo: qui, a
  dispetto di un riconosciuto alto livello di
  e?cienza e innovazione nella pubblica
  amministrazione, l’Emilia-Romagna non
  è mai stata un modello.
  La recente “riforma” dei parchi è stata – a
  mio avviso – un netto passo indietro,
  anche e prima di tutto sul piano culturale:
  è stata ispirata da finalità rispettabili
  (riorganizzazione e razionalizzazione
  amministrativa), ma troppo distanti e
  diverse da quelle che hanno presieduto
  in tutto il mondo alla legislazione e
  all’istituzione delle Aree protette. 
  Un rigurgito di municipalismo “padano”
  ha sommerso idee-forza di respiro
  mondiale. La supercialità con cui la
  riforma regionale ha messo in secondo
  piano la stessa parola Parchi (che è
  a?ffermata in tutto il mondo e costituisce
  essa stessa una parte importante del loro
  valore economico totale) o è frutto di una
  di?denza inconfessata o è di un’ingenuità
  e di un provincialismo sconcertanti.
  In una regione dove rimane un alto valore
  di biodiversità e agrobiodiversità, dove
  si riscontrano criticità crescenti negli
  equilibri geologici e idrogeologici e si
  registra il paradosso del contemporaneo
  ipersfruttamento e abbandono dei
  suoli agricoli, dove la risorsa bosco è
  troppo abbandonata a se stessa, dove
  la sostenibilità e la qualità ambientale
  dovrebbero incrociare appieno
  l’innovazione e la competitività del
  sistema economico, bisogna pensare
  diversamente ai parchi, ai sistemi naturali
  dell’Appennino e del Po e alla Rete
  natura 2000. Un approccio che ne sappia
  assumere il valore economico diretto e
  il valore d’innovazione è base essenziale
  di una correzione di rotta che può
  riguardare l’insieme del territorio, per
  evitare costi che già si stanno pagando e
  per produrre davvero benefici oltre i confini. 
  
  Fausto Giovanelli
  Presidente del Parco nazionale dell'Appennino tosco-emiliano.
  
  
  
  da www.arpa.emr.it/ecoscienza
 
  
  
  
  
  
 
 
  Impresa Oggi - 13 maggio-2015 
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