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Evoluzione dell'impresa - Modelli di impresa - Capitolo 2


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2. Come nasce la Pmi

Come si è visto nel primo capitolo di questa serie la grande impresa industriale, nella sua continua "rincorsa" al cambiamento, ad un certo punto della sua evoluzione deve ristrutturarsi secondo i principi della produzione flessibile. Molte aziende, quindi, si destrutturano passando dal modello di produzione verticale al modello orizzontale.
Ciò comporta una forte esternalizzazione delle attività manifatturiere e dei servizi; questa, a sua volta, innesca la nascita e la crescita di una miriade di piccole imprese, definite, inizialmente, indotto, che lavorano per la grande impresa su sue precise specifiche tecniche.
La piccola e media impresa, che nasce come impresa satellite della grande impresa, ha due obiettivi inderogabili: rispettare in modo rigoroso le specifiche della industria committente e mantenere bassi i costi di produzione. Gli obiettivi sono realizzati con l'assunzione di personale di basso livello, con condizioni di lavoro che, spesso, non tengono conto della salute e della sicurezza del lavoratore, con un sindacato latitante. Gli operai della grande industria, garantiti dal sindacato, inconsapevolmente, scaricano i costi delle proprie "conquiste" sugli operai dell'indotto. L'imprenditore è spesso un ex-operaio che ha iniziato a lavorare a cottimo in un box o in una cantina.

Questa condizione imprenditoriale inizia ad essere messa in discussione, dai primi anni ottanta, da una serie di condizioni.

  • La grande impresa pretende che i fornitori si adeguino ai propri standard operativi, innanzitutto attraverso le certificazioni ISO.
  • L'impresa committente si rende conto che è più economico far crescere culturalmente i propri fornitori. In tal modo diventa possibile commissionare non la realizzazione di un componente su specifiche tecniche studiate al proprio interno, ma la progettazione e la realizzazione di una "funzione". Non si cerca più un semplice sub-fornitore ma si cerca di costruire una partnership.
  • La Pmi si accorge che la conoscenza ripaga molto di più della semplice esecuzione.
  • Tutte le aziende sono costrette ad adeguarsi alle direttive dell'Ue, che gradatamente, diventano leggi nazionali.

Nel loro insieme, quindi, la grande come la piccola e media impresa tendono ad ispirarsi a sistemi organizzativi sempre meno rigidi, più organici, più vitali e in continua evoluzione.
Le imprese, che fondavano i rapporti aziendali sull'autorità e l'operatività sull'affidamento di compiti operativi ben precisi, non favorivano la piena valorizzazione delle risorse umane. Infatti la focalizzazione sul compito di ciascun lavoratore o di ciascun fornitore inibiva la presa di coscienza di essere attori di un sistema alla cui crescita ciascuno poteva dare un contributo e riduceva il senso di appartenenza.
Peraltro l'adozione della gestione per processi fa sì che tutti gli stakeholder si muovano in modo coerente verso un obiettivo comune, l'organizzazione viene vista come un insieme di risorse che agiscono e interagiscono al fine di creare valore.
Sembra giusto ricordare che questa trasformazione nel rapporto tra grande industria e fornitore viene applicata, per la prima volta, estensivamente, dalla Toyota che, per realizzare il modello organizzativo del just in time (12), ha bisogno di trasformare in partner imprenditoriali super specializzati la galassia dei subfornitori che circondano la sua fabbrica automobilistica.

Questa nuova condizione della piccola e media impresa, in Italia, innesca un meccanismo virtuoso; mette in gioco la creatività dei nostri imprenditori che, operando nel segmento o nella nicchia di mercato, attribuitagli, inizialmente, dalla grande impresa fornitrice,  ne diventano i protagonisti. La possibilità di operare in un ambito nel quale sono diventati specialisti innesca una reazione a catena positiva che li porta a superare, in quell'ambito, lo stesso committente e a proporsi sul mercato mondiale.

D'altra parte, come si è già detto, alla fine degli anni '90, gli scenari economici e sociali sono caratterizzati da un elevato grado di complessità derivante dai cambiamenti in atto, che il sistema imprenditoriale, spesso, non è in grado di metabolizzare con la velocità con la quale i cambiamenti si verificano.
Il sistema delle imprese deve affrontare, pertanto, uno scenario articolato, come quello indicato nel riquadro, che le costringe ad una continua reinvenzione della propria mission e quindi della propria operatività.

 

Complessità economica

  • Multi-polarismo
  • Ridondanza dell'offerta rispetto alla domanda
  • Aumento del costo delle materie prime.
  • Aumento del costo dei trasporti
  • Bassa crescita economica
  • Avvio della produzione di massa nei Nic (13)
  • Globalizzazione
  • Introduzione del commercio elettronico
  • Sviluppi di settori con traiettorie imprevedibili
  • Brevità del ciclo di vita dei prodotti

Complessità tecnologica

  • Intersettorialità delle tecnologie
  • Velocità di inserimento di nuove tecnologie
  • Formazione di grappoli di tecnologie (14)

Complessità psico-sociali

  • Nascita del prosumer
  • Elevata segmentazione del mercato
  • Volatilità dei bisogni
  • Incidenza dei media

L'impresa, specie la piccola e media, deve adattarsi alle mutate condizioni dell'ambiente esterno e orientarsi, più o meno consapevolmente, verso modelli che consentano di affrontare, più efficacemente, le complessità succitate dello scenario economico.

Il primo capitolo di questa seriedi articoli ci ha condotto a definire un "modello di impresa moderna" che si adatta particolarmente alla piccila e media impresa; in letteratura, questo modello viene chiamato in modi diversi.

  • Impresa virtuale.
  • Impresa aperta.
  • Sistema olonico.
  • Hollow enterprise (15)
  • Impresa a rete.
  • Impresa snella.

Modi diversi per definire, sostanzialmente, un'impresa caratterizzata da un'organizzazione reticolare di soggetti (gli stakeholders) che hanno l'obiettivo comune della creazione del valore.
L'impresa, che ha raggiunto l'eccellenza nel proprio settore, ha bisogno di stabilire vincoli stabili con una serie di interlocutori che siano in grado di condividere la finalità dell'eccellenza al fine di sollevare barriere all'ingresso di potenziali concorrenti, grazie al vantaggio competitivo della leadership.

3. Gli stakeholders

Uno dei compiti fondamentali dell'impresa moderna è, quindi, l'individuazione dei soggetti che costituiscano l'organizzazione reticolare vista precedentemente.
Gli stakeholders sono tutti coloro, che, in modo più o meno rilevante, o in modo attivo o passivo, possono influenzare o contribuire alla crescita del valore dell'impresa. Diversi autori dànno definizioni diverse degli stakeholders, alcuni vi inglobano gli azionisti, altri non vi inseriscono i dipendenti, in questo testo ci atterremo alla definizione più comune e che sembra, all'autore, più razionale. Gli stakeholders possono essere quindi:

  • gli imprenditori delle Pmi (sono esclusi gli azionisti delle  grandi imprese),
  • i dipendenti,
  • i clienti,
  • i fornitori,
  • i sindacati,
  • i collaboratori esterni,
  • le società collegate,
  • le banche,
  • le autorità pubbliche locali,
  • i partner di progetti comuni,
  • le associazioni di categoria,
  • le associazioni camerali.

La scelta degli stakeholder è un compito che può influenzare la vitalità di un'impresa, è quindi di pertinenza dell'imprenditore o del leader.

4. Gli strumenti dell'impresa moderna

Come per la definizione dell'impresa moderna anche sugli strumenti di gestione esistono varie teorie e modelli, ognuno valido secondo l'angolazione dalla quale viene focalizzata l'impresa.
Fermo restando il principio che lo "strumento" base per il successo di un'impresa è il suo know-how, anche in questo caso, farò riferimento ai "comportamenti" di centinaia di aziende a me note e porrò l'attenzione su quegli strumenti di gestione riscontrati nella maggior parte delle imprese più vitali.

4.1 La pianificazione strategica

Giova ricordare che negli anni sessanta-settanta la pianificazione strategica era considerata lo strumento base di un'impresa, specie le grandi, essendo utilizzata per formulare e realizzare le strategie aziendali nell'ottica di acquisire competitività in una fase di forte espansione economica. I sistemi di pianificazione erano visti come lo strumento, sia per produrre le migliori strategie, sia per elaborare le fasi operative necessarie per mettere in pratica le stesse.

Oggi, sebbene non morta, la pianificazione strategica non ha più l'importanza che le si dava una volta poiché ci si è resi conto che:

  • la pianificazione imbrigliava il pensiero strategico, portando a definire la vision aziendale dall'analisi dei numeri;
  • la pianificazione era più un elemento di elaborazione di strategie esistenti, che un mezzo per individuarne di nuove;
  • era stato commesso l'errore di credere che una metodologia potesse surrogare il pensiero imprenditoriale;
  • la pianificazione non era stata in grado, né di valorizzare i fattori operativi (qualità, tempo, cultura manageriale, lavoro di gruppo), né di promuovere i cambiamenti.

D'altra parte, si è detto, che la pianificazione non è morta, anzi può riconquistare un ruolo primario se viene programmata rispettando alcuni principi.

  • La generazione di idee strategiche va vista e vissuta come un atto creativo.
  • Le idee strategiche vanno rapidamente tradotte in obiettivi operativi.
  • La pianificazione deve essere orientata verso la vision aziendale.
  • La pianificazione deve essere condivisa dal sistema degli stakeholder.

 

Il requisito della pianificazione imprenditoriale dovrà consistere nella capacità di individuare gli obiettivi prioritari che possano garantire il successo dell'impresa, nel breve, nel medio e nel lungo periodo, pianificando le azioni e le modalità necessarie e sufficienti per perseguirli con efficacia.

Nell'ambito della pianificazione, le piccole e medie imprese rivelano, spesso, limiti operativi; l'imprenditore, fortemente coinvolto nella operatività quotidiana, dedica poco tempo alla definizione della vision aziendale, alla percezione di opportunità o minacce incombenti oltre l'orizzonte e questo atteggiamento è, a volte, la causa del declino dell'impresa.

4.2 L'innovazione tecnologica

L'economista Robert Solow fu uno dei primi a considerare il cambiamento tecnologico come funzione primaria della produzione; nel 1957, teorizzava che lo sviluppo era determinato da tre fattori: il capitale, il lavoro, la tecnologia e che, dal 1909 al 1949, il progresso tecnologico poteva spiegare l'87% della crescita industriale.

Anche Schumpeter (Fiocca, 1994), ha trattato a lungo il rapporto tecnologia-economia; secondo l'economista «compito dell'imprenditore è quello di selezionare, tra i vari sistemi tecnologici offerti dalla rete scientifica, quelli più adatti alla sua impresa». L'imprenditore svolgerebbe il ruolo di mediatore tra tecnologia ed economia; questo tipo di comportamento è riconosciuto con il termine di filosofia del technology push.

Secondo Kenneth Arrow, il produttore continua a migliorare il proprio prodotto durante tutto il periodo della sua diffusione; l'attività di innovazione è interna alla produzione e non si ferma mai, anzi permette di lanciare generazioni successive di prodotto. Secondo l'economista americano il reiterarsi di nuovi oggetti genera un processo continuo di apprendimento. Questo tipo di comportamento è conosciuto come il modello dell'innovazione incrementale. Seguendo Arrow, molti ricercatori hanno mostrato che la gran parte delle innovazioni in agricoltura, nell'industria e nel terziario sono il risultato dell'accumularsi di piccoli cambiamenti e che il periodo di tempo necessario per apprezzare in pieno gli effetti cumulativi di questi cambiamenti è lungo. Accanto alle innovazioni spettacolari ma poco numerose, vi sarebbe un numero enorme di piccole o addirittura marginali innovazioni che, prese collettivamente, producono un grande impatto in termini di produttività, qualità e competitività.

Un'altra corrente di pensiero afferma che è solo il mercato ad avere un'influenza determinante sull'innovazione tecnologica; afferma J.M. Utterback che dal 60 all'80%  delle più importanti innovazioni sono state sviluppate in risposta ai bisogni del mercato. La filosofia del "pilotaggio attraverso la domanda (o market pull)" si fa risalire all'opera di Jacob Schmookler, quando afferma che l'attività ideativa di un settore economico dipende solo dall'esistenza di una domanda.

Giova comunque osservare che, per lo più, l'innovazione viene analizzata dagli economisti in termini statici e mancano studi approfonditi su una teoria degli effetti dello sviluppo tecnologico sull'impresa. L'esperienza dell'autore porta a privilegiare il modello di Arrow  dell'innovazione incrementale, anche se i modelli del technology push e del market pull trovano riscontro tra le imprese più evolute.

D'altra parte, giova sottolineare che le tecnologie stanno rivoluzionando il modo di gestire le imprese (Gaillard, 1997 - Chierchia, 1998 - Caruso, 1999), per una serie di motivi.

  • I tempi di diffusione delle innovazioni sono brevissimi.
  • Le nuove tecnologie trovano applicazione in settori industriali diversi.
  • Settori merceologicamente diversi possono entrare in concorrenza grazie a nuove tecnologie.
  • Nuove tecnologie possono accorciare, improvvisamente, il ciclo di vita di un prodotto, rendendolo obsoleto.
  • Internet sta introducendo nuovi paradigmi che costringeranno le aziende a rivedere molti dei propri schemi operativi.

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