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Come si è arrivati alla grande crisi del 2008. Parte I

Facilis descensus Averni.
Virgilio - Eneide


In questo articolo sono utilizzati molti termini tecnici, si rimanda pertanto al seguente Glossario Finanziario che è uno dei più completi che si possa trovare su Internet.

Indice
1. L’era del grande indebitamento.
2. Dalla crisi delle assicurazioni e delle banche d’affari Usa, alla crisi finanziaria mondiale.
3. Il rischio derivati incombe.
4. La situazione delle banche italiane.
5. Crisi del settore produttivo
6. Conclusioni

1. L’era del grande indebitamento.

Negli ultimi dieci anni  tutti i maggiori paesi industrializzati hanno visto crescere in modo esponenziale l’indebitamento delle famiglie, specialmente negli Usa. Debiti che sono stati contratti per comprare di tutto dalle case alle automobili, dagli elettrodomestici ai mobili, dalle vacanze all’abbigliamento. Paradossalmente, nel mercato dell’automobile a esempio, i venditori preferiscono i clienti che non pagano in contanti, ma a rate, potendo guadagnare, sia la commissione sulla vendita, che la commissione sul finanziamento. I consumi consentono alle imprese di ampliare le produzioni e le banche sono il motore di questa economia taroccata.
Infatti, con il tempo è andata accumulandosi,  nel pianeta, una massa impressionante di debiti. Banche e assicurazioni, nel timore che i debitori non possano onorare i loro impegni, utilizzano gli strumenti della "finanza creativa" scambiandosi l’un l’altra i rischi dei propri crediti e distribuendoli negli investimenti dei risparmiatori.
Il mercato mobiliare statunitense registra, fino al 2006, un incremento dei prezzi impressionante; dal 1997 al 2006 il prezzo delle abitazioni cresce del 125%. Conseguentemente, aumenta l’indebitamento di coloro che in quel periodo hanno acquistato casa, tanto che nel 2007 il rapporto tra debito e reddito negli Usa raggiunge il livello del 130%; da quel momento il valore delle abitazioni inizia a diminuire: del 10% circa nel 2007 e del 15% nel 2008. Intanto, dal 2004 al 2006 la Federal Reserve, al fine di contenere l’inflazione, alza progressivamente il costo del denaro, portandolo dall’1 al 5,25%, facendo lievitare vistosamente gli interessi dei mutui.  L’aumento delle rate e il forte calo del valore delle abitazioni mandano in crisi le famiglie americane indebitate. Prima quelle che hanno sottoscritto i mutui subprime, concessi ai clienti meno solvibili, poi le famiglie più abbienti. Le banche, inizialmente, non si rendono conto del’elevato grado di insolvenza dei mutui subprime perché essi sono stati quasi tutti cartolarizzati, cioè impacchettai in obbligazioni (Asset backed securities, Abs) vendute a investitori istituzionali. Per diluire il rischio, gran parte di questi Abs sono stati,  a loro volta, impacchettati in altre obbligazioni (i Collateralised debt obligation, Cdo). Molte banche acquistano i bond delle cartolarizzazioni attraverso società veicolo fuori bilancio, chiamate Conduit e Siv (create dalle banche per ridurre il capitale di rischio proprio) le quali acquistano i bond per effetto leva indebitandosi in modo esponenziale. Quando scoppia la bolla immobiliare Usa tutti cercano di sbarazzarsi di Abs e di Cdo, i prezzi crollano anche più dell’80% e inizia a manifestarsi il panico nelle borse mondiali. Le società veicolo che con la leva avevano moltiplicato i guadagni ora moltiplicano le perdite e le banche devono intervenire per salvarle inglobando le loro perdite. Complessivamente in pochi mesi le banche sono costrette a svalutare più di 500 miliardi di dollari di obbligazioni “spazzatura”.
Nella debacle delle cartolarizzazioni gli investitori vendono, in modo indiscriminato, obbligazioni e azioni; in particolare sono colpite azioni e obbligazioni di banche e assicurazioni; le banche, in cerca di liquidità, vendono, a loro volta, i titoli liquidi che hanno in portafoglio accentuando la crisi delle borse del pianeta. Dopo la crisi di Abs e Cdo è la volta delle polizze usate dagli investitori per assicurarsi contro l’insolvenza delle obbligazioni, i Credit default swap (Cds). Possiamo ora illustrare, con un esempio, in dettaglio, il meccanismo della leva finanziaria che consentirebbe di fare moneta con la moneta. Supponiamo che Mr. Johnson abbai stipulato un mutuo da 100.000 dollari con la Banca 1; l’istituto di credito cartolarizza il credito che ha con Mr. Johnson  e lo inserisce in un’obbligazione Abs. L’obbligazione viene acquistata dalla Banca 2 che la inserisce in un’obbligazione Cdo che vende alla Banca 3, la Banca 3 vuole assicurarsi per il rischio di quell’obbligazione e si rivolge alla Banca 4 per una polizza per un eventuale default del Cdo, la Banca 4 utilizza un Cds per tale copertura. I 100.000 dollari di Mr. Johnson sono diventati, in breve tempo, 300.000 dollari con una sorta di gioco delle tre tavolette. Ma, dal momento che le obbligazioni sono sul mercato si attivano gli investimenti con altri derivati (forward, future, esotici, strutturati) che possono portare la massa degli investimenti a venti- quaranta volte il valore degli iniziali 100.000 dollari. L'inconsapevole Mr. Johnson non avrebbe mai immaginato che l'acquisto della sua casa avrebbe innescato una sorta di reazione a catena nucleare i cui frammenti di fissione si sarebbero diffusi in tutto il sistema bancario mondiale. Tra i titoli spazzatura, i più utilizzati e nel contempo pericolosi sono i Cds nudi: questi sono assicurazioni contro il default di obbligazioni o altro e possono essere acquistati anche se non si possiedono quelle obbligazioni o altro. E' come se io facessi un'assicurazione contro il rischio di incendio della casa del mio vicino; probabilmente potrei essere tentato di appiccarvi un incendio doloso. .Nello stesso modo se compro Cds a protezione di obbligazioni di un'impresa o di uno stato sovrano avrei tutto il vantaggio a far sì che quelle obbligazioni vadano in default.
Il virus della sfiducia, nato con i mutui subprime negli Usa, rapidamente si diffonde in tutto il pianeta e gli istituti di credito temono di essere contagiati dal virus dei crediti inesigibili; le banche europee non si fidano più l’una dell’altra e non si prestano soldi sul mercato interbancario, oppure lo fanno a tassi altissimi, con effetti negativi sui mutui ipotecari che, in Europa, sono legati all’Euribor, a sua volta legato proprio al tasso di interesse interbancario; partendo dalla crisi dei mutui americani si arriva, quindi, alla crisi dei mutui europei, e, conseguentemente, alla crisi del settore immobilare di tutto il pianeta.
La mancanza di liquidità delle banche manda in crisi la banca d’affari usa Bear Stearns che viene salvata da JP Morgan grazie a 30 miliardi di dollari messi  a disposizione dalla Federal Reserve. Ma si tratta del primo segnale di una tempesta.

2. Dalla crisi delle assicurazioni e delle banche d’affari Usa, alla crisi finanziaria mondiale.

I mesi di settembre – ottobre 2008 passeranno alla storia statunitense per la drammaticità degli eventi finanziari. Il 7 settembre è annunciata la nazionalizzazione di Fannie Mae e Freddie Mac, le finanziarie che controllano metà dei 12.000 miliardi di dollari di mutui statunitensi; ci sono, infatti, in gioco, sia la credibilità della finanza statunitense, che da decenni offre le obbligazioni delle due compagnie (specie in Cina e in Giappone) con la garanzia implicita del Tesoro, sia la sopravvivenza di migliaia di famiglie americane. L'11 settembre l'Opec, per contenerne la discesa del prezzo, annuncia il taglio della produzione di petrolio di 520.000 barili al giorno. Il 14 settembre fallisce la Banca d’Affari Lehman Brothers, schiacciata dai debiti, dai titoli del mercato immobiliare e dai derivati; le trattative per l’acquisizione da parte della Barclays sono bloccate dalla Banca Centrale di Londra che reputa che la Barclays non abbia i parametri sufficienti per l’acquisizione. La Federal Reserve non interviene nel salvataggio, come ha fatto con la Bear Stearns, commettendo un grave errore; il fallimento dell’importante banca d’affari, infatti, trasforma le preoccupazioni in panico che spinge i risparmiatori a vendere tutto ciò che sia monetizzabile. La Barclays acquista la sola società di brokeraggio, salvando, comunque, diverse migliaia di posti di lavoro. Lo stesso giorno la Merrill Lynch viene salvata dalla Bank of America che la acquista per 50 miliardi di dollari contro i 100 della capitalizzazione di pochi mesi prima. Il 16 settembre il segretario del tesoro Paulson, con un prestito da 85 miliardi di dollari, annuncia il salvataggio di Aig, la più grande compagnia di assicurazioni degli Usa, rovinata dalle speculazioni con i nuovi prodotti finanziari; anche in questo salvataggio sono in gioco la credibilità della finanza Usa all’estero e la difesa dei fondi pensione americani. Giova ricordare che la visione, molto  chiara a Truman, Kennedy ed Eisenhower, dello stretto legame tra solidità finanziaria e leadership americana è stata notevolmente offuscata, a partire dalla politica del debito attuata dal presidente Nixon e proseguita dalla deregulation di Reagan. Il 21 settembre le banche di investimento Goldman Sachs e Morgan Stanley cambiano status e ottengono l’approvazione della Federal Reserve a diventare banche ordinarie; possono, perciò, accedere ai prestiti di emergenza della Fed e salvarsi dal fallimento.  Il 25 settembre le autorità americane annunciano il fallimento della cassa di risparmio Washington Mutual, il maggiore della storia bancaria statunitense, e ordinano il trasferimento delle attività bancarie al gruppo Jp Morgan Chase per 1,9 miliardi di dollari.  Il 28 settembre Citigroup si impegna a salvare dal fallimento, Wachovia,  la quarta banca statunitense, che passa però di mano a Wells Fargo per 15,1 miliardi di dollari.  Il 29 settembre il Congresso boccia il piano da 700 miliardi preparato da Bush e Paulson; i repubblicani più conservatori votano contro perché non vogliono l’intervento dello stato nel mercato, i democratici più a sinistra perché ritengono che il piano sia stato confezionato dall’amministrazione Bush per salvare Wall Street e i banchieri responsabili del disastro e che hanno guadagnato miliardi sulle spalle degli investitori. Le ali estreme dei due partiti si sono coalizzate “rappresentando” lo spirito dell’americano medio contro l’establishment. A Wall Street, ribattezzata Fraud Street dal New York Post, l’indice S&P 500 segna un calo dell’8,7%, il ribasso più alto dall’ottobre del 1987, con una perdita del 16% del comparto finanziario. Fino a quella data sarebbe stato impensabile che, negli Usa, una crisi finanziaria potesse essere aggravata dai comportamenti della politica. Sempre il 29 settembre il gruppo bancario belga-olandese Fortis viene parzialmente nazionalizzato. Fortis è la prima grande banca di Eurolandia sulla quale si interviene per sottrarla dai colpi della crisi dei mercati internazionali. I governi di Belgio, Olanda e Lussemburgo iniettano 11 miliardi di euro nel colosso assicurativo. «La mossa - spiega il premier belga Yves Leterme - fa parte di un'azione concordata dei tre governi e delle rispettive autorità di supervisione per aiutare Fortis». La compagnia assicurativa ha visto un terzo del suo valore di capitalizzazione volatilizzarsi in una sola settimana per i timori sulla sua mancanza di liquidità. Il 3 ottobre democratici e repubblicani usa, pur occupati nella dura campagna elettorale, raggiungono un accordo per un piano da 850 miliardi di dollari che si somma alle iniziative già prese; si tratta del piano Paulson da 700 miliardi, più una serie di interventi, per 150 miliardi, volti a salvaguardare maggiormente le famiglie e le imprese. I mercati non dànno fiducia al piano statunitense e si arriva al lunedì nero del 6 ottobre, una giornata borsistica delle più drammatiche di tutti i tempi. Parigi perde il 9,04%, Milano l’8,24%, Londra il 7,85%, Francoforte il 7,07%, New York il 3,86%; vengono bruciati, in 24 ore, 2.200 miliardi di dollari; gli indici toccano il minimo dal maggio 2003.  L’8 ottobre Aig ottiene un nuovo prestito da 38 miliardi di dollari dalla Fed, sempre l’8 ottobre, con un’iniziativa senza precedenti, le sei banche centrali di Eurozona, Usa, GB, Svizzera, Canada e Svezia riducono, tutte insieme, il costo del denaro, di 50 punti base, pensando di poter contenere la crisi finanziaria; non interviene il Giappone il cui tasso di riferimento è, però, già, allo 0,5%. La Bce, inoltre, abbassa dal 5,25% al 4,25% la Marginal lending facility, lasciando al 3,25% la Deposit facility. Eppure, la settimana dal 6 al 10 ottobre sarà ricordata come la peggiore dai tempi della grande depressione; alla fine della settimana si rileva che dal primo gennaio 2008 Tokio perde il 51,77%,  Milano il 51,64%, Parigi il 45,81%, Francoforte il 43,06%, New York il 42,55%, Londra il 40, 56%, portando a una perdita di valore complessiva di 25.000 miliardi di dollari. I risparmiatori si sono precipitati a vendere azioni, obbligazioni e fondi, la crisi ha minato la credibilità del sistema nel suo complesso, il mercato interbancario è congelato, e anche le maggiori banche non riescono a gestire in modo “sereno” i normali flussi di tesoreria. Gli investitori istituzionali, come i piccoli risparmiatori cercano sicurezza nell’unico porto sicuro, i titoli di stato, i cui rendimenti, peraltro, stanno calando ai minimi storici sotto la spinta della domanda. Il 9 ottobre la Commissione Europea dà il via libera al piano di salvataggio del gruppo Dexia da parte di Belgio, Francia e Lussemburgo: i tre paesi hanno concluso un accordo su un meccanismo di garanzia congiunto, coperto al 60,5% dal Belgio, al 36,5% dalla Francia e al 3% dal Lussemburgo. Il 9 ottobre si riunisce il Financial Stability Forum, presieduto da Mario Draghi, che enuncia alcuni obiettivi da perseguire: ricreare un sistema finanziario che operi con un più basso tasso di indebitamento, aumentare il capitale delle istituzioni finanziarie, rafforzare gli organi di vigilanza, riorganizzare gli strumenti di controllo, rafforzare la cooperazione internazionale al fine di migliorare la vigilanza sul sistema finaziario mondiale, modificare le normative per quelle istituzioni e quei mercati non regolamentati. Il 10 ottobre si riunisce il G-7 che vara un piano in 5 punti: 1. Garantire la sopravvivenza delle banche in difficoltà con aiuti statali. 2. Prendere misure ad hoc per sbloccare i mercati finanziari e assicurare che le banche abbiano accesso a liquidità e finanziamenti. 3. Ricapitalizzare le banche anche con fondi statali (la presenza dello stato nelle banche deve consentire, anche, di controllare gli stipendi dei manager). 4. Predisporre sistemi di garanzie sui conti correnti bancari. 5. Attivare le opportune iniziative per stabilizzare il mercato dei mutui. Il G-7 ritiene inoltre urgente una riunione del G-20 che rappresenta il 90% dell'economia mondiale; il summit straordinario del G-20 viene programmato per il 15 novembre. L'Opec annuncia che dal 1 novembre si avrà un ulteriore taglio nella produzione di peterolio, pari a 1,5 milioni di barili al giorno; poco dopo la decisione dell'Opec i contratti future sul Brent, il greggio di riferimento in Europa, hanno perso ancora. Sembra che la relazione causa effetto tra domanda e offerta non valga più. L'11 novembre la Cina annuncia l'immissione di liquidità per 586 miliardi di dollari nel sistema bancario del paese. Il 14 novembre, Bank of Scotland annuncia il licenziamento di 3.000 dipendenti, nonostante il piano di sostegno varato dal governo britannico, nel mese di ottobre, a favore delle banche del paese. Il 21 novembre il presidente della Bce, Jean-Claude Trichet, afferma «non si possono escludere nuovi tagli dei tassi d'interesse da parte della Banca centrale europea; infatti la situazione economica è cambiata drammaticamente». Trichet afferma, poi, che gli istituti bancari dovrebbero trarre vantaggio dagli sforzi fatti da banche centrali e governi e allentare le tensioni sui mercati interbancari. «Ciò potrebbe essere raggiunto impegnandosi a far ripartire il mercato interbancario e a riprendere il ruolo di intermediari». Il presidente Bce spiega inoltre che il sistema finanziario globale ha bisogno di essere riformato, e che la crisi «dalla sfera finanziaria ha contagiato l'economia reale» oltre ad essersi allargata alle economie dei paesi emergenti. Il 24 novembre il governo Usa annuncia che stanzierà subito 20 miliardi di dollari in Citigroup, il colosso finanziario sull'orlo del fallimento a causa dell'indebitamento da derivati. Il maxi piano di salvataggio prevede una copertura dei debiti pari a 306 miliardi di dollari in cambio di una partecipazione pubblica nel capitale sociale del colosso del credito e del licenziamento di 53.000 dipendenti. Il Tesoro, la Federal Reserve e la Federal Deposit Insurance Corporation hanno dato, congiuntamente, l'annuncio, nel tentativo di ricostruire la fiducia degli investitori nella banca, che è una delle più grandi del Paese e del mondo; il piano prevede che Washington garantisca «protezione contro la possibilità di inusuali grandi perdite». Fino a un anno fa il gruppo, che opera in più di 100 Paesi, era la banca più potente del mondo con 200 milioni di clienti,oggi, in una sola ettimana, nonostante le rassicurazioni dei vertici sulla sua solidità, riesce a perdere la metà del suo valore in borsa. L'intervento del Governo è l'ennesimo sforzo per rilanciare l'industria finanziaria usa ed evitare un fallimento come quello di Lehman Brothers, che sarebbe drammatico anche sul piano psicologico. Il 3 dicembre la BCE abbassa il tasso di interesse di 75 punti base, portando il costo del denaro al 2,5%, il tasso marginale al 3% e il deposit rate al 2%, allo scopo di riattivare i prestiti interbancari; la Banca d'Inghilterra abbassa il tasso di interesse al 2% (mentre la sterlina paga il mancato ingresso nell'eurozona perdendo terreno nei confronti di euro e dollaro); la banca di Svezia taglia il tasso di interesse dell'1,75% e la Nuova Zelanda dell'1,5%. L'11 dicembre Bank of America, il primo istituto statunitense in termini di depositi e di capitalizzazione, annuncia di volere ridurre il proprio organico di 30-35 mila unità nel prossimo triennio a seguito dell'acquisto della banca d'affari Merrill Lynch, non si esclude che la banca debba essere nazionalizzata. Il 12 dicembre viene scoperto il più grave scandalo della storia di Wall Street, Bernard Madoff, 70 anni, ex presidente del Nasdaq, viene arrestato con l’accusa di aver ideato una frode da 50 miliardi di dollari. Stando alla denuncia presentata alla corte federale di Manhattan, Madoff avrebbe confessato che il business della sua società di consulenza finanziaria era una «frode», e che «tutto era una grande menzogna»: si trattava, in sostanza, di un «gigantesco schema di Ponzi, una sorta di piramide finanziaria che consisteva nell’assicurare alti ritorni finanziari a breve ai primi investitori della catena finanziaria, grazie ai soldi forniti dai nuovi investitori». Un sistema destinato ad accumulare, ovviamente, enormi perdite. Secondo gli inquirenti la frode sarebbe stata perpetrata attraverso un altro hedge fund “ombra” gestito sempre da Madoff. Sembra incredibile che nel terzo millennio possano esistere finanziatori che utilizzano la vecchia "catena di sant'antonio, tanto in uso tra i pataccari italiani del dopoguerra". Gli organi di controllo dove erano? I clienti di Madoff erano perlopiù grandi istituti finanziari e investitori istituzionali, sui quali ricadranno le conseguenze delle truffa. Diverse banche in tutto il mondo hanno dichiarato di essere esposte verso il fondo di Madoff sia direttamente, sia attraverso fondi da loro gestiti. Tra le italiane si segnala Unicredit per 75 milioni di euro, Bim, ha un'esposizione indiretta per 11 milioni dieuro, e il Banco Popolare per 8 milioni. Più gravi invece le ricadute per altri istituti europei come Royal Bank of Scotland esposta per circa 445 milioni di euro, la spagnola Bbva per circa 300 milioni di euro e la francese Natixis con perdite pari a 450 milioni di euro. L'importo più consistente ad oggi sembra essere quello del gruppo britannico HSBC esposto per circa un miliardo di dollari e del società di gestione Fairfield Greenwich Group che ha investito nel fondo di Madoff oltre metà del suo patrimonio per una cifra di 7,5 miliardi di dollari. In un precedente articolo Impresa Oggi aveva mostrato come fosse grave la crisi etica nel mondo dell'impresa statunitense. L'industria del risparmio gestito, e, in particolare, quello dei fondi speculativi si basa sulla fiducia e sulla reputazione; ancora una volta il sistema finanziario Usa, con i limitati controlli a cui questo settore è assoggettato ne esce a pezzi. Revisori, banche depositarie e la Sec subiscono un nuovo smacco e una perditàdi credibilità pesantissima. Quest'ultimo scandalo può essere, probabilmente, la causa dell'indebolimento del dollaro nei confronti con l'euro. Nel mese di dicembre da un cambio di 1,25 contro l'euro il dollaro è passato al minimo di 1,47; la debolezza del dollaro ha trascinato anche la sterlina britannica che nel corso del 2008 perde ben il 23% nei confronti della moneta europea. Il 17 dicembre l'Opec, per rallentare la discesa del prezzo del barile, decide un taglio record di 2,2 milioni di barili al giorno. La riduzione arriva pochi mesi dopo il taglio di settembre (520mila barili) e quello di ottobre da 1,5 milioni di barili. Con questo taglio, dunque, l'Opec ha ridotto la produzione di 4,2 milioni di barili dallo scorso settembre; di converso il prezzo del petrolio raggiunge il 19 dicembre il minimo di 33$/barile. A fine dicembre, Commerzbank, seconda banca privata tedesca, vara una ricapitalizzazione, con fondi pubblici, da 10 miliardi e annuncia che il 25% del capitale più un'azione passerà sotto il controllo dello Stato tedesco. Si tratta della prima nazionalizzazione decisa in Germania a seguito della crisi finanziaria globale. Il piano porterà il core capital del nuovo gruppo Commerzbank/Dresdner Bank (la fusione è prevista entro fine gennaio) al 10 per cento. Ai primi del 2009, a meno di tre mesi dall'ultimo salvataggio del settore, il premier Gordon Brown ha annunciato una serie di interventi per allentare la stretta creditizia e aiutare le banche a superare la fase piu' acuta della crisi. "L'intervento di ottobre era mirato a ricapitalizzare le banche, quello attuale serve a far ripartire il credito. Ma ci saranno obblighi ben precisi per le banche, che dovranno sottoscrivere accordi vincolanti." Londra concede al settore altri miliardi di sterline di aiuti – la cifra è impossibile da calcolare, ha detto il premier – ma con precise e rigide condizioni. Il tono rispetto a ottobre è cambiato: Brown ha parlato della sua "rabbia" per le "decisioni irresponsabili" prese dalle banche in passato ed ha insistito sulla necessità di una piu' rigida regolamentazione del settore concordata a livello internazionale. Sotto i riflettori è soprattutto la Royal Bank of Scotland (Rbs), che ha annunciato le peggiori perdite mai registrate da una societa' britannica: 28 miliardi di sterline, 8 miliardi di perdite prima degli oneri straordinari e il resto perdite legate all'acquisizione della banca olandese Abn Amro. Il Governo ha convertito le sue azioni preferenziali della banca in azioni ordinarie per ridurre l'onere degli interessi annuali, aumentando così la sua quota di Rbs dal 58 al 70 per cento. Brown ha però negato stamattina che una piena nazionalizzazione della banca sia inevitabile, come sostengono molti analisti. Northern Rock, la banca completamente nazionalizzata, riprenderà a concedere mutui e prestiti, ha anche detto Brown. Il nuovo piano di sostegno delle banche è articolato in tre interventi. Il primo è l'assicurazione degli asset a rischio: le banche devono individuare gli asset "tossici"che il Governo assicura in cambio di una commissione. Il secondo è l'ampliamento del sistema di garanzie al credito da 250 miliardi di sterline annunciato in ottobre, che è stato esteso fino alla fine dell'anno. Il terzo, un piano innovativo che secondo molti analisti verra' "imitato" da altri Governi, è una garanzia per le asset-backed securities, compresi mutui, debiti societari e personali, per far ripartire i mercati del wholesale funding. Un ruolo di rilievo e' assegnato alla Banca d'Inghilterra, che immettera' piu' liquidita' sul mercato, ampliando da 30 giorni a un anno la sua Discount Window in cambio di una commissione aggiuntiva di 25 punti base. La BoE avra' inoltre un fondo da 50 miliardi di sterline, garantito dal Tesoro, per acquistare asset e aumentare la massa monetaria. "La Asset Purchase Facility rappresentera' uno strumento importante," ha dichiarato il governatore Mervyn King. Barclays ha annunciato di aver chiuso il 2008 con utili pari a 6,1 mld di sterline (9 mln di dollari), in calo del 14% su base annua.. La banca inglese non distribuirà dividendi e rivedrà i meccanismi di retribuzione del management. Ing, Direct. colosso bancario e assicurativo olandese, noto in Italia per il conto Arancio, nel quale il governo ha già iniettato liquidità in ottobre, stima di chiudere il 2008 con una perdita netta di circa 1 miliardo di euro e annuncia «severi passi per ridurre rischi e costi» che prevedono, per il 2009, il taglio di 7000 posti di lavoro. Ai primi di gennaio, Bank of America riceve 20 miliardi di dollari in aiuti diretti da parte del governo Usa, oltre a una garanzia per quasi 100 miliardi, per far fronte a perdite potenziali su attivi tossici derivanti dal bilancio di Merrill Lynch, la banca d'investimenti acquisita. L'iniezione di capitale si aggiunge a quella precedente da 25 miliardi di dollari che Bank of America aveva ricevuto tramite il programma Tarp (Treasury Department's Troubled Asset Relief Program) a ottobre 2008. L'ultimo salvataggio colloca Bank of America al primo posto, accanto a Citigroup, come beneficiaria di fondi pubblici negli Stati Uniti, dove il governo è impegnato ad arginare gli effetti sui bilanci bancari della crisi nata dalle insolvenze sui mutui. Sempre nel tentativo di offrire respiro agli istituti di credito, l'ente governativo Federal Deposit Insurance Corp ha preannunciato che proporrà l'allungamento da tre a dieci anni del periodo di scadenza del debito bancario che è disposto a garantire. Le banche dovranno però usare il ricavato per concedere credito ai consumatori. Perdite per 2,3 miliardi di euro nel solo quarto trimestre 2008 per Dexia. Il gruppo finanziario belga chiude così il 2008 con un rosso complessivo di 3 miliardi di euro. Dexia ha annunciato il piano di ristrutturazione che prevede tra l'altro il taglio di 900 posti di lavoro. Riduzione dell'organico che permetterà il risparmio di 200 mln di euro nel corso del 2009. I nuovi programmi prevedono l'uscita dai mercati della finanza pubblica di Australia, Messico, India e Scandinavia e un forte ridimensionamento del business anche in Gran Bretagna e America del Nord. Sempre ai primi del 2009, anche Deutsche Bank annuncia una perdita netta record di 3,9 miliardi di euro per l'esercizio 2008 (ed un rosso di 4,8 miliardi per il solo IV trimestre). Il gruppo bancario e assicurativo olandese Ing ha registrato nel quarto trimestre 2008 una perdita netta di 3,7 miliardi di euro. Nel mese di dicembre Ing Group ha ricevuto 10 miliardi di euro come aiuto di stato dal Governo olandese per cercare di superare la crisi finanziaria. La compagnia riassicurativa elvetica Swiss Re, annuncia di attendersi una perdita netta per l'esercizio 2008 di 1 miliardo di franchi svizzeri a fronte di un capitale sociale stimato al 31 dicembre 2008 tra i 19 e i 20 miliardi di franchi. Le perdite annuali delle due principali banche svizzere, Ubs e Credit Suisse, dovrebbero raggiungere la cifra record di 29 miliardi di franchi svizzeri (19 miliardi di euro). Ubs annuncia una perdita di 21 miliardi di franchi nel 2008, la più grande mai registrata da un'impresa in Svizzera. La banca dovrebbe quindi annunciare «tra i 5mila e gli 8mila nuovi tagli di posti di lavoro», dopo i 2mila di inizio ottobre. Da parte sua, Credit Suisse annuncia una perdita da 8 miliardi, senza però prevedere nuovi tagli dell'occupazione. Il Governo tedesco intende dotarsi del potere di nazionalizzare le banche espropriando, se necessario, gli azionisti degli istituti di credito. Il progetto appare tagliato su misura per permettere al governo di assumere il controllo della banca immobiliare Hypo Real Estate, che si trova sull'orlo del fallimento. La maggiore banca francese per capitalizzazione, Bnp Paribas, ha riportato nel quarto trimestre 2008 una perdita netta di 1,37 miliardi di euro. A incidere sui risultati del colosso bancario d'Oltralpe sono stati diversi fattori: le perdite della divisione investment banking, l'esposizione per 345 milioni nei confronti del finanziere Usa Bernard Madoff e la debolezza economica emersa in Ucraina, paese verso cui la banca è esposta. Blackstone Group, il più grande fondo di private equity al mondo, ha segnato perdite per 827,1 milioni di dollari nel quarto trimestre del 2008. La perdita, è risultata di 68 centesimi per azione rispetto ad un utile di 88 milioni di dollari o 8 centesimi per azione nel 2007. Per Blackstone si tratta della terzo passivo in quattro trimestri. Anche per Warren Buffett, il 2008, è stato un anno terribile. La sua holding Berkshire Athaway, nell'ultimo trimestre dello scorso esercizio ha riportato un utile netto di 117 milioni di dollari, in calo del 96% rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente. Dal canto suo, il book value per share (l'indicatore che Buffet usa per valutare la performace della sua holding - vedi glossario) è sceso del 9,6%. Il colosso bancario britannico Hsbc lancerà una nuova emissione azionaria per raccogliere capitali, mentre gli utili del 2008 sono scesi del 70% a 5,7 miliardi di dollari, mentre i cattivi debiti sono saliti a 24,9 miliardi di dollari. L'emissione azionaria ammonta a 12,5 miliardi di sterline, la più alta mai lanciata in Gran Bretagna e superiore a quella da 12 miliardi di sterline di Rbs. Hsbc ha anche annunciato la soppressione di 6100 posti di lavoro negli Stati Uniti. La banca francese Credit Agricole ha segnato nel 2008 un calo del 75% dell'utile netto consolidato a 1,02 miliardi di euro, dopo avere chiuso il quarto trimestre con una perdita di 309 milioni. Il 2008 si chiude con una debacle per quasi tutte le banche mondiali.

Giova notare che, nel 2008, le migliori Borse valori del pianeta sono state quelle del Ghana (+22% in dollari), di Tunisi (+10% in dollari) e dell'Equador (+6% in dollari), le peggiori quella islandese (-97% in dollari) e quelle dell'Europa dell'Est. Le Borse dei paesi dell'eurozona si attestano tra il -53% di Amsterdam e il -33% di Londra.

3. Il rischio derivati incombe.

Il mercato dei Credit default swap (Cds), le polizze che servono ad assicurarsi contro il default delle obbligazioni nel 1999, praticamente,  non esiste. Nel 2001 la prima stima parla di 630 miliardi di dollari, poi la crescita diventa esponenziale, nel dicembre 2007, hanno raggiunto la cifra di 55.000 miliardi di dollari, più del Pil di tutto il pianeta; come è noto ne sono contagiate anche le amministrazioni di molti comuni italiani. I Cds sono venduti in mercati al di fuori delle Borse regolamentate, non solo da piccole e grandi banche, ma anche dagli hedge fund e da speculatori improvvisati. Se ai Cds si sommano tutti gli altri prodotti derivati si arriva alla somma di 531.000 miliardi di dollari, dieci volte il Pil del pianeta. Le autorità di controllo sarebbero dovute intervenire creando la figura di un garante unico che avrebbe annullato il rischio di fallimento dei singoli “assicuratori”. Non se ne è fatto nulla, così quando la crisi finanziaria ha messo sotto pressione il mercato dei Cds, anche grandi nomi come, appunto Aig e Lehman Brothers non sono stati in grado di onorare  gli impegni. Comunque la massa dei Cds rappresenta, tuttora, una mina vagante che potrebbe dare ulteriori mazzate al sistema finanziario; una parte dei Cds sono a copertura della fallita Lehman Brothers, in parte di imprese in gravi difficoltà, come Gm, Ford e Chrysler (le ex big three sull'orlo del fallimento), in parte di stati sovrani in difficoltà, come Turchia, Indonesia, Corea del Sud, Ucraina, Kazakstan, Islanda, Lettonia.

Giova notare che gran parte di questi titoli tossici sono "nascosti", in parte, nei cosiddetti paradisi fiscali, pertanto la loro quantificazione non sarà mai precisamente conosciuta. La nota dolente di questo fatto è che in questi cosiddetti "paradisi" sono presenti quasi tutte le principali banche mondiali; solo City Group, la più grande del mondo, ha qualcosa come 427 banche controllate nei paradisi fiscali di tutto il pianeta.

4. La situazione delle banche italiane.

Il governatore di Bankitalia dall’inizio della crisi ha sempre sostenuto che la capitalizzazione delle banche italiane era molto buona, eppure anche le nostre maggiori banche non hanno retto l’ondata della crisi e sono state investite da una pioggia di vendite. La particolarità delle tre maggiori banche UniCredit, Intesa Sanpaolo e Monte dei Paschi è che la crisi finanziaria le ha trovate nel mezzo del guado di grandi fusioni.
Unicredit dopo la fusione con Capitalia e le acquisizioni nell’Europa dell’Est e di quote di Bank Austria si ritrova, all’inizio della crisi, con un Core Tier 1 (misura della solidità patrimoniale di una banca) del 5,5%, contro la soglia di sicurezza del 6% e pertanto in una posizione di estrema debolezza; la crisi non consente alla banca di attuare il piano di cessioni che avrebbe riportato il Core Tier 1 al 6%. Le azioni Unicredit segnano, il 10 ottobre, un calo di ben il 70% dai massimi dell’aprile 2007.  La banca, con il sostegno di Mediobanca, avvia un piano di patrimonializzazione che dovrebbe portare il Core Tier1 al 6,7%.
Intesa Sanpaolo, a maggio 2008 decide, dopo la fusione, di premiare la fedeltà degli azionisti con una maxi-cedola da 4,8 miliardi di euro e il suo Core Tier 1 scende al 5,7%, trovandola impreparata a  sostenere l’urto della crisi.
Monte dei Paschi nel novembre 2007 acquista la Banca Antonveneta per 9 miliardi di euro e, nonostante un aumento di capitale di 5 miliardi, la banca si trova ad affrontare la crisi con un modesto  Core Tier 1 del 5,1%.
Colpo di scena ai vertici del Banco Popolare. Dopo una settimana nera in Borsa, che ha portato il quarto istituto di credito italiano (con 21 mila dipendenti, oltre 3 milioni di clienti e circa 2.200 filiali) a bruciare quasi un terzo della sua capitalizzazione, Fabio Innocenzi, consigliere delegato del Banco Popolare, ha deciso di farsi da parte. Al suo posto è stato nominato Pier Francesco Saviotti, vice presidente per l’Europa di Merrill Lynch. Innocenzi, il primo banchiere italiano piegato dalla crisi finanziaria, avrebbe maturato la decisione di lasciare il timone della banca, nata nel luglio 2007 dalla fusione fra Banca Popolare di Verona e Novara e Banca Popolare Italiana, proprio a seguito del crollo delle azioni del Banco Popolare.In una settimana a Piazza Affari il titolo ha perso il 30,85%. Ma da inizio 2008 il bilancio è ancora più in rosso: -68%.
In contrazione l'utile netto del gruppo Banca Etruria che nel 2008 si è attestato a quota 19,3 milioni di euro dai 50,293 mln del 2007.

Nonostante le difficoltà incontrate dalle tre maggiori banche italiane, giova notare che il sistema bancario italiano ha mostrato, nell'insieme, una certa solidità; l'Italia è uno dei pochi paesi nei quali lo stato, fino al gennaio 2009, non è dovuto intervenire per ricapitalizzare una banca; la prudenza del sistema bancario, che è sata più volte considerata una colpa, questa volta si è rivelata provvidenziale. La Commissione Ue ha dato via libera alla modifica del regime italiano di conferimento di capitali agli istituti di credito, conosciuto come "Tremonti bond". In una nota l'Esecutivo Ue spiega che «le modifiche forniscono essenzialmente alle banche un'opzione alternativa per la remunerazione dei titoli» e che «il regime modificato rispetta le indicazioni della Commissione sulle misure di sostegno alle banche nel contesto della crisi finanziaria». In sostanza si tratta di nuovi strumenti finanziari, sottoscrivibili dal Tesoro, in grado di rafforzare sotto il profilo patrimoniale le imprese di credito che li emettono e che permette loro di tenere aperto il rubinetto del credito all'economia. L'annuncio arriva con una nota nella quale Neelie Kroes, commissaria europea responsabile della concorrenza, spiega: «Le autorità italiane hanno chiesto il permesso di modificare l'impianto del loro regime per renderlo più interessante per le banche sane che intendono utilizzare capitali statali soltanto per un periodo molto breve. Il regime modificato garantisce una remunerazione adeguata per lo Stato e incoraggia l'uscita anticipata».
La Commissione Ue ha precisato che la dotazione di capitale fornita attraverso il Tremonti bond sarà limitata al 2% del valore dell'insieme delle attività della banca ponderate per il rischio e, in linea di massima, entro un livello dell'8% del capitale Tier 1 (vedi glossario). Le condizioni di remunerazione comprendono un coupon iniziale con clausole di step-up (vedi glossario) fissi, aumenti della remunerazione connessi ai pagamenti di dividendi e al costo di finanziamento dello Stato italiano nonché un premio sul prezzo di riscatto e che aumenta con il passare del tempo.

La capitalizzazione a Piazza Affari, nel corso del 2008, si è dimezzata, gli scambi sono drasticamente diminuiti, la volatilità è raddoppiata; il rapporto capitalizzazione di Borsa/Pil è passato dal 47,8% del 2007 (già in calo dal 52,8% del 2006) al 23,4% attuale. A ridurre la capitalizzazione complessiva, passata dai 731 miliardi di fine 2007 ai 372 miliardi attuali, ha pesato, ovviamente, il calo delle quotazioni; sono andati in fumo ben 359 miliardi, ossia metà del valore di un anno prima. Ed è stato soprattutto il peso della finanza a far crollare la capitalizazione. Diminuisce quindi, e di molto, il «peso» della Borsa nell'economia del paese.

5. Crisi del settore produttivo

In due precedenti editoriali abbiamo parlato degli interventi presi dai principali paesi occidentali (in Italia il 1 dicembre viene varato il primo piano anti crisi) e dalla Cina, non è pertanto il caso di riparlarne.
Quello che giova notare è che nei mesi di settembre - novembre si assiste al rafforzamento di dollaro e yen nei confronti dell’euro e al crollo del prezzo del petrolio (il 3 dicembre il brent cala sotto i 40 dollari al barile, quando solo pochi mesi prima l'Opec ipotizzava che potesse raggiungere la soglia dei 200 dollari). Il primo dato mostra che, comunque, la finanza mondiale crede più nella capacità di ripresa degli Usa che dell’Europa, il secondo, se da un lato contribuisce al ridimensionamento delle pressioni inflazionistiche, dall'altro, getta fosche ombre sulla tenuta del sistema produttivo mondiale, perché, oltre alle manovre speculative, il crollo del prezzo del petrolio, nonostante le riduzioni di produzione dell’Opec, significa una minor richiesta da parte del sistema produttivo mondiale. Da più parti si paventa l'onda d'urto di tre possibili "mostri", come li ha definiti il ministro Tremonti: derivati, carte di credito e bancarotta di una massa enorme di imprese (in Italia l'indebitamento delle sole società di capitale supera i 900 miliardi di euro).
D’altra parte, il fondo monetario internazionale prevede stagnazione (crescita del Pil = 0) per l’Europa per tutto il 2009 e ha rivisto al ribasso dal 3,9 al 3,0% la crescita del Pil mondiale; in Italia Confindustria prevede recessione fino a tutto il 2009.
Un aspetto preoccupante, dopo gli anni di vacche grasse, è la scomparsa del mercato del credito. Obiettivo di banche centrali, governi, istituzioni internazionali  è cercare di farlo ripartire. Gli interventi, pertanto, dovrebbero essere finalizzati non solo a ricapitalizzare il sistema bancario, ma anche a indurre le banche a prestarsi denaro tra loro  e a prestarlo alle imprese; l’unico strumento che potrebbe innescare il processo è che gli stati concedano, per un certo periodo di tempo, garanzie sui crediti a breve e medio termine concessi delle banche.

Dopo il congelamento del settore immobiliare, dal mese di settembre 2008, incomincia a farsi sentire la morsa della crisi anche sulle imprese di produzione e di servizi.

In Germania (la locomotiva dell'economia europea) , la Baaf annuncia l'arresto della produzione in ottanta fabbriche e riduzioni di produzione in più di cento. Volkswagen, Mercedes, Bmw, e Opel prevedono la chiusura di tutte le fabbriche in dicembre per alcune settimane. La cancelliera tedesca Angela Merkel e il ministro delle Finanze Peer Steinbrück hanno deciso un programma di settimana corta per le imprese; dal 1˚ gennaio, le imprese in crisi potranno passare a tre o quattro giorni lavorativi per settimana: gli imprenditori pagheranno il tempo lavorato, quasi tutto quello che manca sarà a carico dello Stato. Un modo per evitare licenziamenti e che soddisfa imprese e sindacati. Il gruppo Daimler ha già fatto sapere che ne usufruirà in quattro fabbriche, per migliaia di lavoratori, fino a quando non sarà pronto a lanciare sui mercati la nuova E-Class. Molte altre imprese sono pronte a usare lo schema. Annaspa uno dei simboli del British Style: la Bentley, fabbrica d'auto di lusso del gruppo Volkswagen, ha annunciato che sospenderà la produzione per sette settimane. La società Qimonda, controllata della Infineon Technologies e attiva nel settore dei chip di memoria, ha avviato le procedure per lo stato di insolvenza nel Land tedesco di Monaco di Baviera. Nel mese di dicembre, la società, che ha 13mila dipendenti in tutto il mondo, ha ottenuto aiuti per 325 milioni di euro dalla Sassonia, dal governo federale tedesco, da una banca portoghese e dall'azionista di maggioranza Infineon Technologies, secondo produttore europeo di semiconduttori. Tuttavia, sembrerebbe che la società abbia bisogno di ulteriori 300 milioni di euro per proseguire le attività. La Sap ha archiviato il 2008 con una contrazione del 2 per cento sugli utili netti, Un anno "a due facce", in cui l'avvio positivo è stato seguito da un secondo semestre molto difficile, e ora il primo produttore mondiale di software per la gestione d'impresa vara tagli all'organico, sopprimendo 3.000 posti di lavoro tra i suoi circa 52.000 addetti in 50 paesi del mondo. Il governo tedesco ha ratificato un secondo pacchetto anti-crisi annunciato il 13 gennaio dalla cancelliera Angela Merkel. Il provvedimento, per complessivi 50 miliardi di euro, sommato a quello precedente per circa 31 miliardi di euro, porta a un totale di oltre 80 miliardi di euro l'ammontare degli aiuti all'economia decisi finora dalla Grande Coalizione tedesca. Il gruppo automobilistico Daimler ha chiuso l'anno fiscale 2008 con un utile netto del 65% in meno rispetto all'esercizio precedente. La casa automobilistica Opel ha bisogno di una garanzia statale molto più elevata di quanto ipotizzato finora. In totale il fabbisogno di liquidità dell'azienda si aggira intorno ai 3,3 miliardi di euro.
Il Pil della Germania registra un calo record del 2,1% nel quarto trimestre del 2008 rispetto ai precedenti tre mesi. Si tratta della peggiore prestazione dell'economia tedesca dalla riunificazione del 1990 e, comunque, del dato peggiore dal 1987.

In Francia, Peugeot-Citroen annuncia il taglio di 11.000 posti di lavoro; il gruppo ha chiuso il 2008 con una perdita di 343 milioni di euro contro un utile di 885 milioni del 2007. La Nissan motor, il gruppo giapponese, controllato da Renault, intende tagliare 3.500 posti di lavoro in Spagna, Giappone e Usa. Stmicroelectronics, colosso franco-europeo di componenti elettronici, nel corso della presentazione dei risultati dell'esercizio 2008, ha annunciato «la riduzione netta di circa 4.500 posti di lavoro nel mondo nel 2009». Nel mese di gennaio, il presidente Sarkozy si è detto pronto ad aiutare l'auto francese (Peugeot-Citroen e Renault) con 5-6 miliardi di euro, da spalmarsi con strumenti vari di debito o di iniezione diretta di capitali. L'urgenza è la parola d'ordine, in quanto la caduta delle vendite sta riempendo i piazzali di invenduto e di debiti le tesorerie delle due case automobilistiche. Ma il messaggio deill'esecutivo francese è chiaro: non si danno soldi a chi delocalizza la produzione. Anche il gruppo alimentare Danone nel 2008 ha registrato un calo dell'utile netto del 68,5%. Air France KLM ha chiuso il terzo trimestre 2008 con una perdita netta di 505 milioni. Il gruppo sottolinea come i risultati "riflettano l'aggravarsi della crisi economica". Air France-Klm ha annunciato un taglio da 1.000-1.200 posti di lavoro nel 2009, per non sostituzione dei pensionamenti e blocco delle assunzioni. L'Oreal congelerà per la prima volta dal 1974 le assunzioni per adattare il suo organico all'andamento della crisi. Il gruppo ha chiuso il 2008 con un utile netto in calo del 26,6%. France Telecom, il terzo gruppo europeo di telefonia, ha chiuso il 2008 con un calo dell'utile netto del 35% anche se i ricavi hanno fatto segnare un andamento stabile.
Il ministro delle finanze francese, Christine LagardeIl, ha comunicato che il Pil francese nel quarto trimestre 2008 accusa una contrazione dell'1,2%.

In Svezia, SKF, numero uno nel mondo per la produzione di cuscinetti a sfera, ha annunciato il taglio di 2.500 posti di lavoro, ovvero il 6,3 % dei dipendenti. I tagli al personale, che riguarderanno 1.200 lavoratori stabili e 1.300 temporanei, saranno effettuati in tutto il mondo e interesseranno in particolare gli Stati Uniti, la Francia, l'Italia (dove i dipendenti sono circa 4.500), l'Ucraina, il Brasile e l'Argentina. Nessun posto di lavoro sarà invece tagliato in Svezia, dove verranno adottati accordi lavorativi più flessibili. Il colosso farmaceutico svedese AstraZeneca chiude tre fabbriche, con 1.400 licenziamenti (300 in Italia). Ericsson ha in programma una maxi riduzione dei costi che porterà ad un taglio di circa 9.000 posti di lavoro. Le misure che verranno adottate, secondo un comunicato dell'azienda, includono il trasferimento di alcune attività nei paesi a basso costo di produzione e l'eliminazione di lavoratori temporanei e consulenti. Il gruppo automobilistico Saab ha annunciato di aver fatto ricorso all'amministrazione controllata per proteggersi dai creditori. Il produttore svedese di automobili fa parte del gruppo Gm che nei giorni scorsi aveva preannunciato la decisione di mettere in vendita la controllata.
Contrazione del prodotto interno lordo del 2,4% per la Svezia nel IV trimestre, su base annua il calo risulta del 4,9%. Il ministro delle Finanze ritiene che il Pil svedese registrerebbe una battuta d’arresto significativa anche nel 2009 (-1,2%) per poi riprendersi nel 2010 (+1,4%).

In Giappone, Sony taglierà complessivamente 16mila posti di lavoro, pari al 10% della forza lavoro globale (che conta 160 mila dipendenti), oltre a ridurre il numero di lavoratori stagionali e temporanei. Il colosso dell'elettronica ha annunciato, inoltre, che ridurrà del 10% i suoi siti manifatturieri chiudendo diversi impianti e taglierà gli investimenti di circa il 30%, nell'ambito del piano di riorganizzazione avviato per fronteggiare la crisi. Non va meglio per Toshiba: il gruppo fa sapere che nel 2009 andrà in rosso e che taglierà 4,500 posti di lavoro a tempo determinato nel settore dei semiconduttori. Inoltre il gruppo ridurrà del 60% la spesa in conto capitale per l'esercizio 2009. Hitachi annuncia un maxi-taglio fino a 7.000 dipendenti a livello globale nelle divisioni elettronica e automotive. L'azienda stima per fine esercizio, al 31 marzo, una perdita netta di 5,8 miliardi di euro. Il gigante dell'elettronica Nec ha annunciato il taglio di 20 mila posti di lavoro. Dati drammatici che si sommano a quelli degli altri gruppi elettronici. Panasonic annuncia il taglio di 15 mila posti di lavoro a livello complessivo e la chiusura di 27 impianti per contrastare gli effetti della crisi. Il mercato dell'auto giapponese si prepara a vivere un 2009 da incubo con vendite inferiori ai 5 milioni di unità, ai minimi dal 1978. Il bilancio dell'esercizio 2008-09 (aprile-marzo) della Toyota, a esempio, si chiuderà con perdite operative per 3,3 miliardi di euro.La Honda ha registrato un calo di utili del 90% nel trimestre da ottobre e dicembre e ha ridotto del 57% le previsioni dei profitti netti per il 2009. Perdite anche per Mitsubishi Motors che si aspetta di chiudere l'esercizio 2008-2009 con una perdita netta di 500 milioni di euro. Il gruppo ha annunciato che si ritirerà totalmente dai rally, compreso la Dakar. Mitsubishi ha partecipato 27 volte alla Dakar, vincendone 12 edizioni, delle quali sette consecutive. Con l'abbandono da parte della Mitsubishi, il mondo dei rally perde il terzo marchio giapponese. A metà dicembre 2008 era arrivato l'annuncio del ritiro della Fuji Heavy Industries, produttrice della Subaru. Sempre la contrazione delle vendite, pochi giorni prima aveva portato la Suzuki a prendere la stessa decisione dopo un solo anno di gare. Risultati in calo anche per Nissan Motor, tanto che la casa automobilistica prevede che le perdite si attesteranno attorno a 2,2 miliardi di euro. Nissan annuncia un maxi piano di ristrutturazione per fronteggiare la crisi, con il taglio di 20.000 posti di lavoro entro il marzo 2010. Sharp ha reso noto di vedere per l'anno fiscale 2008-2009, una perdita operativa di 250 milioni di euro. Pioneer starebbe per dare addio ai suoi televisori; l'azienda potrebbe decidere di uscire da questo settore, alla luce delle fortissime perdite che sta registrando. Non solo. Tredici anni dopo aver lanciato il primo dvd, Pioneer potrebbe anche cessare la produzione diretta di lettori. Il Giappone segna a gennaio un deficit commerciale di 8 miliardi di euro. Il dato è dovuto al crollo dell'export del 45,7% su base annua. Lo rende noto il ministero delle Finanze, precisando che il saldo commerciale è negativo per il quarto mese di fila.
Il Pil giapponese nell'ultimo trimestre 2008 è crollato del 12,7% su base annua. Il declino rispetto a luglio-settembre è del 3,3%: si tratta, rende noto il governo, di una contrazione che è inferiore solo al 3,3% (-13,1% su base annua) segnato nel trimestre gennaio-marzo del 1974, a causa della prima crisi petrolifera. Tanto che il ministro dell'ecomomia, Kaoru Yosano, ha definito l'attuale situazione economica come la peggiore dalla fine della II guerra Mondiale.

Negli Usa, dall'inizio della crisi si sono persi più di 2 milioni di posti di lavoro; nel solo mese di novembre la perdita è stata di ben 533.000 unità la più alta degli ultimi 34 anni. La Casa Bianca e i leader democratici del Congresso il 10 dicembre raggiungono un accordo preliminare sul pacchetto di aiuti da 15 miliardi di dollari di prestiti governativi alle case produttrici di automobili. Uno degli elementi chiave del piano di aiuti a Gm, Chrysler e Ford (questa sta un po' meglio delle altre due) è la nomina di uno «Zar dell'auto» per la supervisione della ristrutturazione dell'industria automobilistica. La figura dello Zar dell'auto - che di fatto rende la procedura di aiuto molto simile a un commissariamento - nasce come garanzia: secondo Bloomberg se entro il prossimo 31 marzo Gm e Chrysler non presenteranno un piano di ristrutturazione verrà aperta la procedura "Chapter 11" del Bankruptcy, aprendo la strada al fallimento (il titolo 11 "Bankruptcy" dello United States Code disciplina la legge fallimentare negli Stati Uniti). Il Tesoro degli Stati Uniti erogherà finanziamenti per 13,4 miliardi di dollari a favore di Gm, Ford e Chrysler tra la fine di dicembre e l'inizio di gennaio. Una seconda tranche di 4 miliardi verrà erogata a febbraio. I prestiti dovranno essere restituiti dai produttori di auto se entro il 31 di marzo non avranno dimostrato di essere in grado di risanare le proprie attività. Intanto, la Chrysler ha annunciato che a partire dal 19 dicembre fermerà tutti gli impianti, circa trenta, per almeno un mese. L'obiettivo è far fronte al crollo delle vendite. General Motors ha preparato un piano che prevede oltre 5.000 licenziamenti, fra cui molti colletti bianchi. L'obiettivo è di approntare i risparmi necessari a mantenere i miliardi di dollari di aiuti ricevuti dallo Stato. Il 10 dicembre è il momento di Yahoo: sono state consegnate le prime lettere di licenziamento che porteranno a una riduzione del 10 per cento dei dipendenti (circa 1500 persone a livello mondiale). La California è ufficialmente sull'orlo della bancarotta: il governatore Arnold Schwarzenegger ha dichiarato, il 19 dicembre, lo stato di emergenza fiscale e ha siglato un provvedimento per correre ai ripari e salvare il bilancio. Tra le misure previste, il congelamento delle assunzioni e un taglio del 10% negli stipendi della pubblica amministrazione. Schwarzenegger ha anche stabilito l'obbligo per tutti i 235mila dipendenti pubblici di prendere due giorni di sospensione dal lavoro non pagati ogni mese. Dell, il secondo produttore mondiale di Pc, ha ridotto del 13% la forza lavoro rispetto al 2007 e punta a risparmiare ben 3 miliardi di dolllari fino al 2011. Duro colpo per l'economia dell'Irlanda già in gravi difficoltà per la crisi globale: Dell, infatti, ha deciso di chiudere gli impianti nell'isola, tagliare 1.900 posti di lavoro e spostare la produzione in Polonia. Manovre che mineranno ulteriormente la congiuntura nel paese, considerando che le attività di Dell contribuiscono per ben il 5 per cento del Pil nazionale. A fine anno, anche il colosso Usa del software Microsoft annuncia un taglio fino a 5 mila posti di lavoro.. La decisione è stata adottata per rispondere al rallentamento dell'economia e dopo la flessione dell'11% dell'utile netto del secondo trimestre fiscale che resta comunque a quota 4,17 miliardi di dollari. Il colosso dei microprocessori Intel ha annunciato un piano di ristrutturazione che prevede la chiusura di alcuni impianti e una riduzione della forza lavoro tra i 5.000 e i 6.000 dipendenti; verrà chiusa l'ultima fabbrica Intel che era rimasta nella silicon valley. General Electric ha chiuso il quarto trimestre del 2008 con un utile netto del -44% sullo stesso periodo del 2007; nell'intero esercizio l'utile si è attestato al -22% rispetto all'esercizio precedente e le previsioni per il 2009 sono molto negative. Caterpillar, colosso mondiale nelle macchine movimentazione terra, ha annunciato che taglierà 20mila posti di lavoro, dopo aver archiviato il secondo trimestre consecutivo con profitti in calo; la società americana prevede, inoltre, per il 2009, un calo del giro d'affari del 20 per cento. Anche la compagnia telefonica Sprint Nextel ha annunciato il taglio di 8000 posti di lavoro. Ondata di licenziamenti in vista anche per Boeing, il colosso aerospaziale americano che ha annunciato di aver chiuso il quarto trimestre del 2008 in perdita. L'azienda ha reso noto anche un piano per licenziare 10.000 dipendenti, pari al 6% circa della sua forza lavoro. Eastman Kodak ha annunciato che taglierà fra i 3.500 e i 4.500 posti, pari al 18% del totale della forza lavoro. Primo rosso da oltre tre anni per la News Corporation di Rupert Murdoch: il colosso dei media chiude il secondo trimestre dell'esercizio 2008-2009 con perdite per 6,4 miliardi di dollari. E annuncia un "rigoroso taglio dei costi" che si tradurrà in una riduzione della forza lavoro, anche al Wall Street Journal. Starbucks parte all'attacco della crisi; la famosa caffetteria farà sconti sulla prima colazione, con caffè e cornetto a 3,95 dollari. Si tratta della prima mossa di una campagna che vuol mettere in evidenza come i suoi prodotti non sono cari. Starbucks ha chiuso l'ultimo trimestre con vendite in calo del 6% e utili più che dimezzati (64,3 mln di dollari contro gli oltre 200 dello stesso periodo dell'anno precedente). E sta per chiudere oltre 300 punti vendita. Anche Coca-Cola Enterprises ha chiuso il quarto trimestre del 2008 con una perdita di 1,45 mld di dollari; in calo anche il fatturato, sceso dell'1,2% a 5,24 miliardi. Il colosso della distribuzione Wal-Mart ha chiuso il quarto trimestre 2008 con utili netti in calo del 7%. Goodyear ha chiuso il 2008 con una perdita netta di 77 milioni di dollari, in forte peggioramento rispetto all'utile netto di 602 mln conseguiti nel 2007. Il produttore di pneumatici ha annunciato il taglio di ulteriori 5.000 posti di lavoro dopo i 4.000 giá realizzati. Il colosso minerario usa Quadra Mining ha chiuso il 2008 in deciso calo. L'utile netto è sceso da 135mila a 39mila dollari, la società di Vancouver ha spiegato che i risultati sono negativi a causa del crollo dei prezzi del rame
Il Pil degli Usa nel quarto trimestre 2008 evidenzia una contrazione del 6,2%. Il ribasso degli ultimi tre mesi del 2008 è il più forte dal primo trimestre 1982, quando il Pil segnò un -6,4%.

In Gb, la Roll-Royce annuncia 2.000 licenziamenti. Anche il governo del Regno Unito vara misure di supporto per l’industria dell’automobile stanziando poco meno di 2,5 miliardi di euro. Il ministro per l’industria, Peter Mandelson ha infatti annunciato che garantirà presso la Banca Europea una linea di credito per 1,3 miliardi di sterline e il governo stesso farà lo stesso per un altro miliardo destinato a finanziare investimenti che riguardano la mobilità sostenibile. Anglo American, colosso del settore minerario che controlla anche il più grande produttore mondiale di platino, taglierà 19 mila posti di lavoro da qui alla fine dell'anno, nel quadro di un piano di contenimento dei costi dopo aver visto i profitti scivolare del 29%. Il gruppo ha anche deciso di sospendere il pagamento dei dividendi, per riprenderlo «non appena lo consentiranno le condizioni del mercato». Anglo American detiene anche il 45% della De Beers, la più grande compagnia produttrice di diamanti.
L'Office for national statistics della Gran Bretagna vede per il quarto trimestre 2008 una contrazione dell'1,5% del Pil britannico, facendo seguito al calo dello 0,6% che era stato registrato un trimestre prima. Su base annua la ricchezza prodotta si è contratta dell'1,8%.

Il marchio di porcellana ceca Thun, che ha la fabbrica di produzione a Karlovy Vary, licenzierà, alla fine del 2008, 1.100 dei 1.800 dipendenti; secondo quanto annunciato dal direttore generale Vlastimil Argman, l'impresa, che è in stato di crisi dal 10 dicembre, potrebbe essere salvata solo mettendola in vendita.
L'australiana BHP Billiton, primo gruppo al mondo nell'estrazione metallurgica, ha annunciato che taglierà 6.000 posti di lavoro. Il gruppo ha infatti deciso di chiudere una miniera di nickel in Australia occidentale e di ridurre la produzione in un altro sito, come conseguenza del forte ribasso dei prezzi del metallo.
Il colosso finlandese Nokia, numero uno mondiale per la produzione di cellulari, annuncia un calo di oltre il 60% negli utili nel quarto trimestre, mentre i ricavi sono diminuiti del 20%. L'impianto di Salo, caposaldo del successo dell'azienda produttrice di cellulari, lascerà temporaneamente a casa l'intero staff di 2.500 persone a rotazione, fermando a tempo tra il 20 e il 30% degli impiegati.
La coreana LG Electronics, secondo più grande produttore asiatico di telefonia mobile e proprietaria della più grande fabbrica al mondo di televisiori lcd e al plasma, ha registrato una perdita record nel quarto trimestre 2008, a causa della contrazione globale della domanda per cellulari e flat Tv. La perdita ammonta a 489 milioni di dollari. Prima perdita trimestrale nella storia della Samsung, primo produttore mondiale di televisori a schermo piatto, chip di memoria e display a cristalli liquidi. Nel quarto trimestre 2008 il gigante coreano registra una perdita operativa di 682 milioni di dollari.
Tagli di personale in vista anche per il colosso olandese dell'elettronica Philips, che licenzierà 6000 dipendenti in tutto il mondo. La ristrutturazione, ha aggiunto un portavoce, permetterà di risparmiare circa 400 milioni l'anno, a partire dal secondo semestre del 2009, e tutte le divisioni del gruppo verranno coinvolte. Nel 2008 i ricavi annui sono stati pari a 26,39 miliardi di euro, in calo dell'1,5% rispetto all'anno precedente. Nell'ultimo trimestre del 2008 Philips ha perso 1,5 miliardi di dollari. .
Ciba Holding ha chiuso il 2008 con una perdita pari a 564 milioni di franchi svizzeri rispetto al profitto pari a 237 milioni di franchi registrato un anno fa. Secondo quanto comunicato dal gruppo chimico elvetico, il giro d'affari è sceso da 6,5 a 5,9 miliardi di franchi svizzeri, in calo del 9% rispetto al 2007.
La crisi economica mondiale sarebbe già costata alle sole imprese esportatrici indiane tra 700mila e 1 milione di posti di lavoro. La stima fatta dal segretario al Commercio G.K. Pillai conferma con quale forza la recessione di Europa, Stati Uniti e Giappone stia colpendo anche le economie emergenti dell'Asia. «Le perdite di posti di lavoro – spiega Pillai – sono massicce e i settori più colpiti sono quelli a maggiore intensità di manodopera: la lavorazione delle pietre preziose, la gioielleria, l'abbigliamento, il tessile e l'artigianato. È improbabile che assisteremo a una ripresa prima di giugno».
La compagnia nazionale Petroli del Messico (Pemex) ha annunciato una perdita di 7,16 miliardi di dollari nel 2008. Il rosso della Pemex è di sei volte superiore a quello del 2007 (1,06 miliardi) ed è dovuto principalmente al calo del peso rispetto al dollaro nello scorso trimestre. Il peso messicano ha toccato ieri il livello più basso della sua storia nei confronti del dollaro: 15,22 ad 1. A metà 2008 il cambio era di 10 pesos per 1 dollaro.

In Italia il piano della cassa integrazione della FIAT prevede : una settimana a settembre, una a ottobre e una novembre per Mirafiori (Musa Idea, Punto Classic, Multipla, Thesis); stessa sosta per Termini Imerese (Lancia Y) e anche per Melfi (Grande Punto); Pomigliano d' Arco (Alfa 147, 159 berlina, Sport wagon e GT) si fermerà due settimane a settembre, una a ottobre, una a novembre; per due settimane a settembre, una a ottobre, due a novembre e una a dicembre resteranno inattivi gli stabilimenti CNH di San Mauro Torinese e Imola. Solo nell' area di Torino, compresi quelli dell' indotto auto, sono 14 mila i lavoratori interessati alla cassa integrazione. Novembre è stato un mese nero per il mercato automobilistico europeo: le immatricolazioni di auto nuove in Europa (27 paesi Ue più quelli Efta) sono state 932.537, in calo del 25,8% rispetto allo stesso mese del 2007, a ottobre il calo era stato del 14,5%. Il mercato italiano ha registrato una flessione del 29,5% (138.352 unità) dopo la flessione del 18,9% di ottobre. Nei primi undici mesi del 2008 le immatricolazioni di auto nuove sono ammontate in Europa a 13.788.256 unità (-7,1% sullo stesso periodo del 2007). In dicembre i lavoratori della Fiat in cassa integrazione sono 56.000. Il 3 dicembre viene siglato l'accordo per il salvataggio del gruppo Pininfarina da parte delle banche creditrici (nei confronti delle quali l'azienda ha un'esposizione che si aggira intorno ai 680 milioni di euro). Il produttore di telefonini Motorola taglia 400 posti in Italia (su un piano complessivo di 3mila). La parte più corposa è collegata alla chiusura del Centro ricerche di Torino (tutti i 370 addetti). Le difficoltà del settore tessile stanno portando alla scomparsa l'industria della Val Seriana, colpita da ristrutturazioni e chiusure: il comparto ha 1.300 addetti in cassa integrazione (di cui 500 senza prospettive), mentre 800 lavoratori sono stati già licenziati. Il settore è peraltro in crisi da tempo; dal 2001 le imprese tessili delle province lombarde di Bergamo, Brescia, Como e Varese hanno perso 20 mila addetti, in pratica otto operai al giorno. Altri 5 mila posti sono a rischio tra mobilità e cassa integrazione straordinaria. Il 3 dicembre Barnabè informa la comunità finanziaria che entro il 2011 Telecom avrà la necessità di ridurrre la forza lavoro del 14%: sono previsti, pertanto, 9.000 esuberi dei quali 5.000 violontari, già concordati con i sindacati. Tiscali, nel mese di gennaio, conferma 250 tagli dei dipendenti italiani del gruppo, precisando in una nota che si tratta di «esodi volontari incentivati» e che il piano industriale per la controllata italiana dovrebbe portare a «una riduzione complessiva dei costi operativi di struttura di circa 40 milioni di euro». Sono 250mila i posti di lavoro a rischio nei prossimi sei mesi nel settore delle costruzioni, compreso l'indotto. È la stima di Confindustria e delle associazioni collegate che raggruppano le imprese attive nel comparto delle opere infrastrutturali (Ance, Agi, Oice e Federprogetti). Una cifra che rappresenta quasi la metà dei 600mila posti di lavoro che, secondo le previsioni del centro studi degli industriali (Csc), potrebbero essere persi tra la fine del 2008 e la metà del 2009. La crisi investe anche la moda; Ittierre Spa, unità della It Holding, ha annunciato che chiederà l'amministrazione controllata. Ma l'intero gruppo sarebbe sull'orlo della bancarotta. It, la holding quotata in Borsa, controlla le Spa Ittierre, licenziataria di marchi prestigiosi come Just Cavalli e Versace jeans couture, Malo e Gianfranco Ferrè. Stiamo perdendo due nomi storici, come Caffaro e Montefibre, gli ultimi pezzi pregiati della chimica italiana. Caffaro è stata messa in liquidazione e Montefibre ha portato i libri alle banche per una moratoria sul debito. Drammatica la situazione nel settore dell'auto che ha visto un calo di produzione del 18 per cento sull'anno e del 48% nel mese di dicembre. A dimostrazione che non tutti soffrono, la Ferrari nel 2008 chiude un altro anno record: un fatturato di 1.921 mln di euro, +15,2% rispetto ai 1.668 mln del 2007. L'aumento è legato soprattutto alle vendite della 430 Scuderia e alle ottime performance della 612 Scaglietti e della 599 Gtb Fiorano, che hanno beneficiato del lancio del programma di personalizzazione One to One. A fine anno Indesit annuncia la chiusura dello stabilimento di None (To); la produzione viene spostata in Polonia, dove, energia e personale costano molto meno. La B&C Speakers impresa che opera a livello internazionale curando la progettazione, produzione, distribuzione e commercializzazione di trasduttori elettroacustici ad uso professionale, chiude il 2008 con un calo del 20% dell'utile netto. Secondo i dati preventivi presentati da Assinform, nel 2008 il mercato aggregato dell'Ict in Italia ha superato i 64 mila milioni di euro, pari a una crescita dello 0,1% rispetto al 2007, quando era stata dello 0,9 per cento. "Colpa" soprattutto del comparto delle telecomunicazioni, che registra un calo dello 0,2%, nonostante una buona spinta dei servizi su rete mobile.

E' crollata la produzione industriale nel 2008. L'Istat comunica che nel quarto trimestre 2008 l'indice della produzione nel settore delle costruzioni con base 2000=100 è risultato pari a 123,6 con una diminuzione del 9,6 per cento rispetto al quarto trimestre del 2007. Nella media del 2008, l’indice ha registrato, rispetto al 2007, una diminuzione del 2,1 per cento.
Drastica discesa del Pil nel 2008, che cala ai minimi storici da oltre 30 anni. Nel 2008, comunica l'Istat, il prodotto interno lordo è diminuito dell'1%, dopo il +1,6% del 2007 e segna il record negativo dal 1975, quando il Pil diminuì del 2,1%.

Nel gennaio 2009 il Centro Studi Euler Hermes, multinazionale leader nell'assicurazione del credito che fa capo al gruppo Allianz, ha fatto un'analisi delle imprese che hanno dichiarato bancarotta nel 2008 e avanzato delle previsioni per i sei paesi presi in considerazione. Il numero medio delle insolvenze nel 2008 è stato del 25% superiore al numero di quelle del 2007 e le previsioni per il 2009 sono di un'altra crescita del 25%. Nel seguito sono riportati i numeri di insolvenze del 2008 e tra parentesi le stime di crescita per il 2009. USA 41.200 (+50%), GB 28.600 (+34%), Francia 56.000 (+12%), Germania 30.100 (+12%), Cina 4.570 (+10%), Giappone 15.800 (+8%). Per l'Italia, il Cribis.it, su dati di Unioncamere, riporta, per il 2008, 13.000 bancarotte con un incremento del 50% sul 2007.

In Usa il neo eletto Obana, come prima importante mossa sceglie un gruppo di economisti ai quali affida il compito di uscire dalla crisi. La nuova squadra economica, ha spiegato il presidente eletto, mette insieme «i migliori cervelli d'America ed è stata scelta sulla base dell'esperienza» ma anche della capacità di offrire «idee coraggiose». Obama ha aggiunto che la filosofia comune a tutti i membri della sua squadra economica è che «non possiamo avere una Wall Street che prospera se non prospera anche Main Street». Tra i nomi scelti da Obama ci sono Christina Romer, un'economista di Berkeley, alla guida del Council of Economic Advisers, un organismo della Casa Bianca che ha compiti consultivi; Timothy Geithner come ministro del Tesoro; Larry Summers alla guida del Consiglio nazionale per l'economia della Casa Bianca; Melody Barnes sarà a capo del Consiglio di politica interna della Casa Bianca, la Barnes lavorerà, però, fianco a fianco con la squadra economica per aiutare l'America a uscire dalla crisi. A Peter Orszag è stato affidato il compito di setacciare il bilancio federale alla ricerca di sprechi e spese clientelari e Paul Volcker, ex capo della FED, è stato messo alla guida del comitato che valuterà l'efficacia delle politiche di rilancio dell'economia. Chi aveva pensato (o sperato) che la vittoria di Obana potesse coincidere con la fine del liberismo economico in Usa ha dovuto subito ricredersi; lo staff degli economisti scelti (quasi tutti clintoniani) è costituito da gente con i piedi ben piantati nel mercato, anche se non disposti a lasciare al loro destino le banche in difficoltà e le "Big Three". Alla sinistra "movimentista" e a molti centri di potere europei che chiedevano una politica economica più statalista e un rinnovamento radicale Obama ha risposto "è sufficiente che ci sia io a rappresentare il rinnovamento". Sembra, comunque, certo che l'amministrazione Obana seguirà la strada dei suoi predecessori privilegiando le relazioni economiche con la Cina piuttosto che con l'Europa. La presenza di Geithner e di Summers fa presagire, che l'Europa difficilmente recupererà un ruolo centrale nella politica economica mondiale, anzi, e che il G7 è destinato a scomparire (o a restare il museo delle illusioni di grandezza) a favore del G20 dove è forte la presenza dei paesi emergenti, come Cina, India e Brasile.

In Italia la politica, negli ultimi mesi del 2008, ha come problema prioritario la soluzione della questione della presidenza alla Commissione di vigilanza della Rai e, in piena crisi, la Calabria decide di procedere alla realizzazione di un quarto aeroporto, a Sibari, nonostante le perdite croniche degli aeroporti di Reggio Calabria e di Crotone, il piano anticrisi non prevede nessun provvedimento volto a ridurre i costi della politica (in campagna elettorale destra e sinistra promettevano l'abolizione delle provincie a esempio).

Alla chiusura del 2008 gli esperti del Fondo monetario internazionale, hanno pubblicato uno studio in cui passano in rassegna i vari strumenti a disposizione dei governi anche in base all'effetto che le varie ricette hanno avuto in crisi precedenti (compresa la Grande depressione Usa degli anni '30). Secondo gli esperti del FMI, affidarsi alla spesa pubblica è lo strumento più efficace e affidabile per impedire che la recessione si trasformi in una depressione di portata globale. Ne sono convinti . "Viste le attuali circostanze, un aumento della spesa pubblica e trasferimenti di denaro tramite tagli di tasse mirati sono le soluzioni che avrebbero il maggior effetto nella crescita del Pil", concludono i quattro economisti che hanno redatto il documento tra cui il direttore del dipartimento di ricerca Olivier Blanchard e quello del dipartimento politiche fiscali, Carlo Cottarelli. "Tagli generalizzati delle tasse o sussidi ai consumatori e alle imprese - affermano - avrebbero invece effetti minori".
Nuovi "pacchetti fiscali" dovrebbero servire per tenere alto il livello della domanda interna. E per riuscirci dovrebbero essere tempestivi, di grandi dimensioni, duraturi (5-6 anni), diversificati (cioè non limitarsi ad un solo strumento), anticiclici, condivisi a livello internazionale e sostenibili rispetto ai propri bilanci in modo da evitare che i mercati finanziari puniscano aumenti eccessivi del debito. Sette caratteristiche non facili da conciliare perché, affermano gli autori, "spesso in concorrenza tra loro". Il documento del Fmi conferma che lo spazio di manovra sulla moneta (ulteriori riduzioni del tasso d'interesse) è ormai limitato, mentre parallelamente si dovrà lavorare per sanare il sistema finanziario. Concentrarsi sull'economia reale è prioritario perché "un ulteriore calo della domanda incrementerà il rischio di dinamiche perverse di deflazione e incremento del debito". E' chiaro che le capacità di bilancio dei singoli paesi sarà determinante nel definire la grandezza di tali manovre e in questo l'Italia (con la Grecia messa tra i "sorvegliati speciali" sui mercati) è particolarmente limitata. Nel dettaglio si consiglia di non chiudere programmi di spesa per mancanza di risorse, anzi per quanto possibile di rafforzare e di far ripartire grandi progetti infrastrutturali e di aumentare la quota pubblica nei settori in cui collaborano capitali statali e privati. Si suggerisce, inoltre, di aumentare il numero di dipendenti pubblici, meglio se per un periodo limitato: una misura più utile che aumentare lo stipendio di quelli già assunti. Sul fronte dei consumi bisognerebbe concentrarsi sui segmenti della popolazione più colpiti: disoccupati, chi rischia di perdere la casa, i poveri. L'obiettivo è quello di ridurre la tendenza a risparmi forzati che possano ulteriormente ridurre la domanda. Tagliare le tasse alle imprese invece potrebbe non avere effetti sull'occupazione o i prezzi. Può fare eccezione un taglio concentrato nel tempo dell'Iva su alcuni prodotti per incentivare gli acquisti.

6. Conclusioni

Quale sarà la durata della recessione innescata dalla crisi bancaria globale? Quante persone saranno licenziate? Torneremo agli anni Trenta, quando la recessione degenerò nella Grande Depressione? Fin dove si spingerà la mano pubblica nel turare le falle della finanza privata già colpita dal suo primo suicidio eccellente, quello del miliardario tedesco Adolf Merckle che, travolto dalle speculazioni fallite, si è gettato sotto un treno? Come ne usciremo, alla fine? Nell’ottobre 2008, la Banca d’Inghilterra aveva stimato un impegno di 7 mila miliardi di dollari a carico dei Tesori nazionali per impedire il tracollo dei sistemi bancari. A novembre, soltanto gli Usa hanno aggiunto nuovi programmi d’acquisto di mutui tossici e obbligazioni illiquide per 800 miliardi da eseguire nel 2009. Il 13 gennaio, intervenendo alla London School of Economics, il governatore della Federal Reserve, Ben Bernanke, ha avvertito che i costi dei salvataggi bancari in giro per il mondo sono destinati a crescere ancora. Nell’Occidente avanzato, produzione, commerci e servizi regrediscono intrecciando in una spirale perversa gli effetti della crisi finanziaria a quelli, ancor più drammatici, della crisi dell’economia reale. La Merrill Lynch si aspetta un arretramento dell’economia americana del 2,3% quest’anno e una parvenza di ripresa, non più dello 0,5%, nel 2010, mentre vede Eurolandia a meno 0,6% nel 2009 e a più 1,1% l’anno prossimo. Ma quando i credit default swaps sulle obbligazioni del Tesoro della Corona britannica, il massimo della sicurezza, tripla A per le agenzie di rating, pagano 108 punti base e McDonald’s, una sola A, paga 57 punti base, ogni previsione è un numero al lotto. Le domande sul futuro, pur naturali e diffuse, sono destinate a restare senza risposte attendibili, almeno per un po’. Al contrario, le esperienze fatte, se indagate, possono offrire interessanti suggestioni.

Per cominciare, bisogna chiedersi com’è la finanza globale che è andata spavaldamente incontro al disastro, convinta che la rappresentazione dei risultati del lavoro contenuta nei suoi complicatissimi titoli fosse reale e consistente e non, invece, virtuale e drogata. Secondo il McKinsey Global Institute, nel 2007 la ricchezza finanziaria globale (azioni, obbligazioni private e pubbliche e depositi bancari) valeva 196 mila miliardi di dollari, 3,6 volte il prodotto interno lordo del pianeta. Pur scontando la svalutazione della moneta Usa, nell’ultimo anno «buono » tale ricchezza in larga misura cartacea era aumentata del 12% contro un incremento medio annuale che, a partire dal 1990, si aggirava sul 9%. A trainare questa espansione sempre più marcata dei valori, in un mondo dove il denaro, equivalente universale, circolava sempre più liberamente, sono stati il settore privato e le economie emergenti. Nel 1990, le obbligazioni statali rappresentavano il 18,6% delle attività finanziarie del mondo; diciotto anni dopo erano scese al 14,3%. Nel 2000 erano 11 i Paesi con attività finanziarie pari a 3,5 volte il prodotto interno lordo; nel 2007 gli 11 erano diventati 25, comprendendo nel novero anche giganti come Cina e Brasile.

Gli ormai frenetici flussi finanziari tra un Paese e l’altro sono arrivati a 11.200 miliardi di dollari, con un incremento del 19% rispetto al 2006, e tra questi flussi la parte del leone la fanno i depositi e i prestiti sull’onda dell’internazionalizzazione di banche, assicurazioni, hedge funds e private equity. Privatizzazioni e globalizzazione hanno dunque favorito la finanziarizzazione dell’economia alimentata dal debito: un debito cross-border che, secondo la Banca dei regolamenti internazionali, era per il 65% con scadenza inferiore ai 12 mesi, e dunque fragile perché facilmente revocabile. Particolare interessante, la dinamica del debito è molto forte nei paesi più avanzati, con l’eccezione della Germania, mentre la crescita delle attività finanziarie delle economie emergenti dipende per lo più dal collocamento in Borsa delle loro grandi aziende più o meno a partecipazione statale.

Negli Stati Uniti, epicentro di tutto, la bolla finanziaria è stata gonfiata della crescita prolungata dei prezzi delle azioni e delle case nonché dall’aumento del deficit della bilancia commerciale che rappresenta la faccia imperiale dell’aumento del prodotto interno lordo pro capite (noi consumiamo e voi pagate). Due economisti americani, Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff, hanno constatato come queste tendenze si siano sempre manifestate nell’incubazione delle principali crisi bancarie degli ultimi trent’anni: Spagna (1977), Norvegia (1987), Finlandia e Svezia (1991), Giappone (1992). Negli Stati Uniti, semmai, non si è registrata l’impennata del debito pubblico prima della crisi, ma questo potrebbe spiegarsi con l’accortezza di nasconderne una parte sotto etichette formalmente private come Fannie Mae e Freddie Mac a dimostrazione che il gioco delle tre carte non si fa soltanto a Napoli. Se dunque l’incubazione è stata simile, quali sono le costanti negli esiti delle crisi?

Partiamo dal valore delle case, che da confortevole rifugio sono diventate una trappola mortale. Nelle 22 crisi esaminate da Reinhart e Rogoff, la caduta dei prezzi degli immobili dai massimi ai minimi al netto dell’inflazione è mediamente del 35,5% al netto dell’inflazione e il declino dura 6 anni. Più pronunciato ma meno persistente è il crollo reale delle quotazioni azionarie: mediamente è del 55,9% e si prolunga per 3,4 anni. Il tasso di disoccupazione aumenta di 7 punti percentuali e il declino va avanti per 4,8 anni. Queste tendenze parziali si riflettono in un andamento del Pil, che arretra di 9,3 punti e torna a crescere dopo un anno e nove mesi. Nel suo ultimo World Economic Outlook, il Fondo monetario internazionale ha addirittura comparato 113 episodi di crisi finanziaria in 17 paesi svi luppati, sempre negli ultimi trent’anni. E’ emerso che solo 31 volte le crisi hanno generato recessioni vere e proprie e solo in un numero ancor minore di casi, 17 volte per la precisione, le recessioni sono state preparate da una crisi bancaria. In questi ultimi casi la durata e la profondità delle crisi sono state più che doppie rispetto alle recessioni normali (7,6 trimestri di durata media contro 3,1 trimestri; perdita cumulata di Pil del 19,8% rispetto a un 5,4% se non c’è crisi bancaria). Nessuna di queste crisi, tuttavia, ha avuto l’estensione geografica di quella in corso. Negli Stati Uniti, in 18 mesi di crisi finanziaria, l’indice Dow Jones ha bruciato il 40%, i prezzi delle abitazioni il 28% e nel 2008, anno nel quale complessivamente il Pil è aumentato di circa un punto, oltre 2,5 milioni di persone hanno perso il lavoro. Quali saranno le nuove percentuali a metà 2010 quando, a dar retta a Merrill Lynch piuttosto che al Fondo monetario internazionale l’andamento del Pil dovrebbe invertire la tendenza?

La reazione di Barack Obama si fonda su un aumento della spesa, che si aggiunge al costo delle manovre dell’ultimo Bush. Stiamo parlando di 800 miliardi di dollari di stimolo all’economia oltre la cifra analoga che la Federal Reserve è già impegnata a spendere a sostegno delle banche. Il presidente eletto eredita un Paese che ha un debito totale (imprese, famiglie, settore finanziario ed esteri) di 51.849 miliardi di dollari a fronte di prodotto interno lordo di 14.412. Un debito pari al 359,7% della ricchezza prodotta ogni anno. Nel 2009 la componente pubblica di questo debito è destinata a aumentare allo scopo, se non altro, di contenere quella privata consentendo a famiglie e imprese di sopravvivere. E già oggi, a seconda di come si effettua il conteggio, il debito pubblico americano avvicina o addirittura supera il prodotto interno lordo. Come segnalano Reinhart e Rogoff, del resto, nei tre anni successivi alle crisi bancarie passate il debito pubblico è aumentato dell’ 86%, perché non è con le pur necessarie manovre sui tassi, effettuate dalle banche centrali, che si superano queste crisi così gravi, ma con la spesa pubblica fatalmente finanziata con il debito pubblico. Se però si guarda all’esperienza degli Stati Uniti della Grande Depressione si dovrà andare oltre le rilevazioni dei due economisti. Perché quando, nel 1941, il prodotto interno lordo espresso in moneta corrente tornò finalmente ai livelli pre-crisi del 1929, il debito totale americano si era dimezzato. E tutti sanno che esistono solo quattro modi per tagliare drasticamente un debito: l’insolvenza, la bancarotta, l’inflazione e la cancellazione del debito mediante un Giubileo di biblica memoria come ironicamente ricorda Niall Ferguson sul Financial Times o attraverso la conversione dei debiti in azioni, come suggeriva Guido Carli all’Italia degli anni Settanta.

Il commento conclusivo di Inpresa Oggi si rifa alla teoria economica di Joseph Shumpeter. Secondo l'economista austraico, «Ogni produzione consiste nel combinare materiali e forze che si trovano alla nostra portata. Produrre altre cose o le stesse cose in maniera differente, significa combinare queste cose e queste forze in maniera diversa» In un'ipotetica economia basata sul modello statico, i beni vengono prodotti e venduti secondo la mutevole domanda dei consumatori e il ciclo economico assorbe le influenze della storia, ma i prodotti scambiati rimangono sempre gli stessi e le strutture economiche non mutano.. Schumpeter fa notare che questo modello di economia non corrisponde alla realtà e lo supera con il ben noto approccio "dinamico", in cui l'imprenditore, sfrutta le innovazioni tecnologiche, che il mercato della scienza e della tecnologia gli offre, introduce nuovi prodotti, apre nuovi mercati e cambia le modalità organizzative della produzione. La teoria delle innovazioni consente a Schumpeter di spiegare l'alternarsi, nel ciclo economico, di fasi espansive e recessive. Le innovazioni, infatti, non vengono introdotte in misura costante, ma si concentrano in alcuni periodi di tempo - che, per questo, sono caratterizzati da una forte espansione - a cui seguono le recessioni, in cui l'economia rientra nell'equilibrio di flusso circolare. Un equilibrio però, non uguale a quello precedente, ma mutato dall'innovazione. Le fasi di trasformazione sotto la spinta di innovazioni maggiori vengono definite da Schumpeter di "distruzione creatrice", alludendo al drastico processo selettivo che le contraddistingue, nel quale molte imprese spariscono, altre ne nascono, e altre si rafforzano.

Seguendo il filo logico della teoria shumpeteriana possiamo ritenere che al termine della crisi esisteranno altri prodotti e altri mercati, che molte imprese saranno decedute, che molte saranno nate e, considerando le basse capitalizzazioni di quasi tutte le medie e grandi imprese che molte di esse si troveranno ad avere nuovi "padroni" (Ad esempio, già il 19 gennaio Fiat acquisisce il 35 per cento di Chrysler senza sborsare un euro).
I primi dati approssimativi dicono che nel solo 2008 gli stati, tra salvataggi, nazionalizzazioni e garanzie, abbiano bruciato più di 1.500 miliardi di dollari, molto più di quanto gli stessi stati abbiano incassato negli ultimi 20 anni dalle privatizzazioni, "lo stato si sta ricomperando il mondo" dice qualcuno. E', pertanto, evidente che da questa "distruzione creatrice" nascerà un nuovo mondo economico.

Nel frattempo i produttori di cioccolata e di gomme da masticare hanno avuto un'impennata di vendite e di utili; in tempi di crisi la gente preferisce masticare doce piuttosto che amaro.


 Eugenio Caruso
19 novembre 2008
25 gennaio 2009

Per un approfondimento su come l'Italia sia arrivata al limite del baratro si rimanda a
E. Caruso, L'estinzione dei dinosauri di stato.

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