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Produzione di pannelli PV. Con riferimento a due imprese italiane.


sodio sedimentatosi si usa, come all’inizio, HCl in soluzione con successivi risciacquo in acqua demi e centrifuga.
A questo punto si opera la “texturizzazione”, ossia un trattamento antiriflesso. Esso si ottiene immergendo le fette per 15 minuti in una debole soluzione di NaOH ed alcol isopropilico, che lentamente corrode la superficie delle fette formando sui cristalli di orientazione “100” delle microscopiche piramidi che intrappoleranno la luce impedendone in parte la riflessione; dato che le fette sono policristalline le altre orientazioni (“110,111,ecc.) non risponderanno al trattamento, che dunque avrà un’efficacia, nella risultante opacizzazione della fetta, del 40÷50%.
Per realizzare la giunzione p-n: le fette vanno in un forno esteso in profondità, dove sono esposte a vapori di fosforo. Su una faccia delle fette, per evitare che venga esposta al fosforo, viene fatto aderire un foglio di carta a perdere; poi vengono infornate. In un tubo di quarzo in cui è contenuto acido ortofosforico allo stato liquido (a 600°C) viene pompato azoto, che porta con sé l’acido e diffonde sulle fette; per il principio della parete fredda l’acido condensa in goccioline sulle fette e viene assorbito, essendo la temperatura, nel forno (riscaldato da resistenze elettriche), di 920°C; modulando la temperatura e la velocità di passaggio si riesce a drogare di tipo n uno strato di 0,3 µ. E' necessario, quindi, eliminare lo strato azzurrino di 20÷30 Å di SiO2 termico (isolante) che si è formato sulla superficie dei wafers. La deossidazione si effettua con acido fluoridrico e ammonio fluoruro. Si passa quindi al decapaggio, ossia alla rimozione delle giunzioni parassite lungo lo spessore perimetrale dei wafers. Per far questo si imprigionano le fette tra due piastre, e si immergono in un plasma caldo di ioni: il plasma corrode il bordo per 0.35 µ.
Dato che le due facce delle fette sono uguali, nel caso se ne confondesse il verso è possibile usare un misuratore di resistività. L’ultimo trattamento chimico è la deposizione di un film antiriflesso, questa volta a base di biossido di titanio; il titanio viene disciolto in alcool isopropilico (il quale evapora facilmente), e per il principio della parete fredda, sulle fette condensano goccioline di TiO2, dando una colorazione azzurrina, o incline al viola se avviene un eccesso di deposizione; queste ultime fette, troppo trattate, vengono comunque riciclate nel processo. Infine vengono stesi i contatti metallici: i wafers vengono introdotti nelle macchine per la serigrafia. Viene usata una griglia di fili di acciaio inossidabile ricoperta da un’emulsione. La prima serigrafia avviene sul lato n; si usa una pasta a base di Ag con una griglia a maglie larghe. La serigrafia sul lato p si realizza invece a lamina piana, utilizzando una pasta a base di Al. I contatti metallici appena realizzati vanno asciugati (fissati a fuoco) in un forno a infrarossi a 3 stadi: il forno fa evaporare la matrice organica delle paste, compatta i grani metallici ivi disciolti e normalizza le tensioni con il supporto; la temperatura media è 250÷260 °C, con uno stretto picco di 900°C. L’ultima macchina della catena realizza un test di rendimento e divide le celle in classi di efficienza: le celle oramai terminate vengono esposte una ad una ad un flash da una lampada allo xenon, e appositi sensori misurano le loro caratteristiche elettriche e un PC collegato realizza la caratteristica curva (V,I).

OPERAZIONI DI PROCESSO

1) lavaggio;
2) fusione;
3) squadratura;
4) test spessore;
5) affettatrice;
6) lavaggio;
7) vasca;
8) lavaggio;
9) texturizzazione;
10) giunzione p-n;
11) deossidazione;
12) decapaggio;
13) antiriflesso;
14) serigrafia;
15) forno a infrarossi;
16) test efficienza.

ASSEMBLAGGIO DEI MODULI

La prima fase è detta “tabbing”. Per evitare il formarsi di ossido si usano bandine di Cu ricotto stagnate elettroliticamente (Sn – Pb – Ag); le bandine vengono comprate in rulli; si tagliano le code e si passa il flussante, in modo da rendere possibile la trasmissione del calore da una parte all’altra della cella. Con un saldatore a 250°C le bande vengono unite alla cella.
A questo punto bisogna formare l’array serie; per farlo si può procedere sia manualmente sia con una macchina. L’array finisce su una tavola di polistirolo. Manualmente si usa una “lima” e si salda coda per coda. Nel processo automatico, invece, una macchina passa sopra l’array con una fila di cannelli dalle punte saldanti. Per rifinire l’array bisogna saldare le 4 stringhe, ciascuna composta da 9 celle. Fuori campo vengono preparate delle bande di Cu ricotto, con Ni e Sn-Pb elettrolitico, ma senza Ag, perché non vanno a contatto con l’Ag ossidato. Vengono inseriti i fili per le due polarità; inoltre viene inserito un filo centrale con diodi in antiparallello: questo affinché se metà del modulo va in ombra questa metà non accresca la resistenza del modulo e non lo riscaldi eccessivamente. Il Sandwich sarà composto da:

  1. un vetro temperato ad alta trasmittanza (a basso contenuto di Fe)
  2. uno strato di materiale plastico che fonde a bassa temperatura, e ingloba le celle: EVA (Etil Vinil Acetato)
  3. le celle fotovoltaiche
  4. uno strato di fibra di vetro
  5. un altro strato di EVA
  6. la copertura posteriore.

Il lato interno del vetro temperato è antiriflesso (piccole piramidi superficiali) mentre quello esterno è liscio al fine di impedire l’accumulo di polveri e la conseguente indesiderata opacizzazione del modulo.
L’EVA è lo stesso che si usa per i pneumatici delle automobili: grazie alla vulcanizzazione vengono rotti i polimeri (alla temperatura di 140÷160°C); alla temperatura di 80÷110°C il polimero va in fase liquida; oltre i 110°C si formano altre catene. Regolando i tempi di permanenza a queste temperatura si riesce ad ottenere una trasparenza dello strato di EVA corrispondente a una trasmittanza del 70÷92% La lana di vetro si taglia da un rullo e si inserisce a fogli. La fibra di vetro è importante nel processo di “cottura”: infatti, durante detta fase, l’EVA si liquefa, tendendo a trascinare ed allargare le distanze tra le celle; la fibra di vetro impedisce che ciò avvenga tramite la sua azione di attrito. L’EVA cotta è un buon assorbente di umidità; la penetrazione di umidità nel modulo potrebbe infatti causare elettrocorrosione (non dimentichiamo la compresenza di Ag e bandine di Cu). Per proteggere il modulo dall’umidità sul fronte c’è vetro, sul retro c’è una copertura opaca. L’optimum sarebbe avere uno strato di vetro temperato (nel sandwich va ad una temperatura di 160°C) anche sul retro, ma dato l’elevato costo di questa soluzione, essa si impiega solo in casi speciali. Inoltre il vetro temperato sul retro richiede un'elevata precisione nella saldatura e deposizione degli strati metallici delle celle: infatti possibili asperità possono rompere il vetro quando è nel laminatoio. In conclusione il doppio vetro trova applicazione prevalentemente in campo architettonico. Quando la tempratura è di tipo termico il vetro si spacca in piccoli pezzettini, mentre quando è di tipo chimico si spacca in grossi pezzi. La tempra chimica si ottiene mediante immersione in H2F.
Il Tetlar è composto da: bianco Tedlar (37µ), poliestere (75÷80µ), tedlar. Il tedlar resiste benissimo ai raggi UV, mentre altri materiali si criccano. Il film di poliestere serve per l’umidità; il colore non conta. Il laminatoio è fatto con una piastra di Cu riscaldata, e con una membrana sotto il coperchio. La membrana, tramite pompa del vuoto, schiaccia il sandwich, facendo fuoriuscire l’aria. Inizialmente si porta la temperatura a 80°C, si chiude il coperchio del laminatoio, e l’EVA comincia a liberare il gas (acetato); chiudendosi il coperchio la pompa del vuoto comincia a funzionare, aspirando aria dai bocchettoni; meno acetato rimane più aumenta la trasparenza. Il vuoto attrae la membrana. Il processo è computerizzato: il sandwich rimane ca. 20 minuti sotto vuoto, a 145°C. Alla fine si spengono le resistenze e si invia acqua di raffreddamento all’interno della piastra. Ci si serve di fogli di carta e di un bisturi per “rasare” il modulo, che viene infine incorniciato. Nella fase di preparazione le barre di Al vengono tagliate con una macchina; il silicone (manualmente o con la pistola) viene inserito a mo’ di colla tra pannello e cornice, e pressato con un sistema pneumatico. A questo punto si fissano le scatole elettriche e si testa il pannello (ISO 9000). La genesi del pannello deve essere tracciabile. La macchina per il test contiene una lampada di prova e un condensatore ad elevata capacità per generare il flash. Bisogna ottenere una curva di prova di forma affine alla caratteristica della cella. Gli scarti andranno ad alimentare un sottomercato (es.: camper, ecc). Va considerata l’energia elettrica spesa per la saldatura delle bandine, quella spesa nella macchina per la saldatura in serie dei contatti, quella elettrica richiesta dal laminatoio e dai computer per il controllo della cottura del sandwich, quella necessaria al funzionamento della pistola al silicone, quella della macchina per il taglio delle barre di alluminio. Per un’analisi di secondo livello è necessario considerare anche i bilanci inerenti ai cicli di vita dei materiali e sostanze afferenti.

OPERAZIONI DI PROCESSO

1) tabbing;
2) saldature array;
3) composizione sandwich;
4) cottura in laminatoio;
5) rasatura;
6) montaggio scatola di giunzione;
7) incorniciamento;
8) test efficienza.

COMPONENTI AUSILIARI (BOS)

L’unità funzionale è il kWp fotovoltaico prodotto (funzionante per un’ora), il quale viene inteso come una sottoparte del modulo; in esso sono quindi inclusi i contributi della cornice di alluminio, della scatola di giunzione, dei diodi e tutti quei componenti che sono serviti per arrivare alla fabbricazione del modulo completo. Per passare da qui all’esercizio di un impianto FV sono necessari, oltre ai moduli, un insieme di componenti ausiliari che andranno a far parte dell’impianto; essi sono:
1. sostegni in acciaio zincato
2. MPPT
3. locale ausiliari
4. inverter
5. regolatore di carica
6. batteria
7. trasformatore
8. impianto elettrico (scatole di derivazione, cavi, quadri, impianto di terra)
9. contatore di energia
10. protezioni (scaricatori, ecc.)
11. eventuale impianto di inseguimento solare
12. apparecchio di monitoraggio (per impianti in parallelo alla rete).


Per ognuno di questi componenti ausiliari bisognerà considerare, prendendola da una base di dati LCA, la parte di ciclo di vita e i relativi bilanci che li interessano nell’ambito dell’applicazione al fotovoltaico. A seconda, poi, della tipologia dell’installazione, i contributi di cui sopra dovranno essere opportunamente organizzati e divisi. I limiti dell’analisi derivano dal grado di attendibilità e di accuratezza con i quali sono stati redatti i cicli di vita dei dodici componenti. Inoltre, per ogni tipologia di componenti si sceglie un prodotto campione: andrebbe considerata la totalità dei modelli in commercio e analizzate le variazioni dal caso campione, stabilendo quindi non dei semplici valori bensì una fascia di contenimento di questi valori, compilata con opportuni riferimenti ai vari modelli.

INSTALLAZIONE, ESERCIZIO E DISMISSIONE

L’installazione è la fase, in termini di bilanci, meno rilevante. Vengono portati sul luogo i moduli e gli ausiliari. L’unica operazione da considerare ai fini di bilancio sarà quella di sollevamento effettuata da apposite macchine. Così nei tre bilanci giocherà un ruolo unico il combustibile degli apparecchi di sollevamento, impiegato sia durante il viaggio della macchina al luogo di installazione, sia durante l’esercizio. Per quanto riguarda l’esercizio, sono possibili tre diverse configurazioni, di cui andranno riportati gli schemi: stand-alone, in parallelo alla rete o ibrido. Il bilancio energetico andrà diviso in fasce, a seconda della latitudine del luogo e della corrispondente curva isoradiativa; altre sottofasce saranno necessarie per considerare la diversa tipologia dell’impianto (alpino, uffici pubblici, in campagna) a seconda del grado di utilizzazione. Si trascura l’energia impegnata per i segnali di comando all’inverter. È d’uopo una stima del numero medio di interventi di manutenzione nel corso dell’anno (frequenza di interventi, specificata per ogni componente), e dei pezzi di ricambio necessari nel relativo periodo, considerando anche il trasporto (in genere su gomma) dei ricambi. Ci sarà poi bisogno delle curve di rendimento dei moduli in funzione del tempo di esercizio.
Per quanto riguarda il bilancio materiale, oltre ai ricambi e ai prodotti usati per la manutenzione (ad es.: per eliminare neve e sporcizia da pioggia depositatasi sui moduli), sarà da considerare l’H2 e l’O2 prodotto dalla batteria. Saranno interessati dalla manutenzione principalmente l’inverter, le batterie, il trasformatore. Nel bilancio ambientale il ruolo di primo piano è svolto dall’occupazione di territorio e dall’impatto visivo, oltre alla mancata energia assorbita dal suolo e agli effetti di tale fenomeno sull’ecosistema.


Tratto da


www.impresaoggi.com