Le nuvole di Aristofane


A colui che è buono non può accadere nulla di male, né da vivo né da morto, gli Dei si prenderanno cura della sua sorte.
Platone, Apologia di Socrate


Aristofane (Atene, 450 a.C. circa – 385 a.C. circa) è stato uno dei principali esponenti della Commedia antica (l’Archaia) insieme a Cratino ed Eupoli, nonché l'unico di cui ci siano pervenute alcune opere complete (undici).
Il periodo della maturità.
Nel 425 a.C. andò in scena gli Acarnesi, la prima commedia pervenutaci. Aristofane era solito affrontare direttamente i problemi più scottanti, e stavolta, nel sesto anno di guerra, trattava della pace sospirata da molti cittadini ateniesi, facendo riferimento ai raccolti distrutti, all'esclusione della città dalle rotte commerciali e, in breve, al collasso della ormai precaria economia di Atene, costretta a contare solo sui tributi degli alleati. Le sofferenze della guerra, esaltate particolarmente dall'autore, scuotono il pubblico, che vede denunciata dall'eroe comico - un contadino, quindi un membro della classe sociale più colpita dalla guerra - l'assurdità di una politica, che rende la vita impossibile ai cittadini. Il protagonista Diceopoli conclude per proprio conto una pace separata con gli Spartani, illustrando così ai concittadini i benefici del ritorno alla normalità.
Le critiche di Aristofane alla democrazia ateniese, in nome di una democrazia reale e non fittizia, toccano il culmine nei Cavalieri, commedia rappresentata nel 424 a.C. Il personaggio Paflagone - da notare la scelta di un nome barbaro - personifica l'odiato demagogo Cleone, che da servo del Demos spadroneggia con inganni e calunnie, adulando il padrone (il popolo) e rubando alle sue spalle, invano combattuto dal ceto più abbiente (i Cavalieri). A lui Aristofane contrappone un Salsicciaio capace di battere il servo infedele con le sue stesse armi, aprendo finalmente gli occhi al Demos.
Le Nuvole risale all'anno successivo, il 423 a.C. È certamente l'opera più famosa del grande commediografo, che qui ha messo in scena il filosofo Socrate. Aristofane illustra l'impatto disastroso della sofistica sulla democrazia ateniese tramite la vicenda del vecchio Strepsiade, che, indebitato a causa del figlio Fidippide, manda il rampollo a studiare da Socrate, perché impari a non pagare i debiti, e troppo tardi scopre che lì ha imparato anche a picchiare i genitori. La commedia non ebbe affatto successo e Aristofane non se ne seppe dare pace. Compose infatti una seconda versione delle Nuvole, quella che ci è pervenuta, e che tuttavia non fu mai rappresentata.
Nel 422 a.C. andò in scena un'altra sua nota commedia, le Vespe. Come i Banchettanti e le Nuvole anche questa tratta il rapporto tra Demos e demagoghi e tra la vecchia e la nuova generazione. Questa volta però Aristofane attacca direttamente l'uso perverso del sistema giuridico ateniese da parte dei demagoghi (Cleone aveva appena aumentato il salario dei giudici popolari). Aristofane mette in luce quanto i giudici popolari, nella loro ingenua ebbrezza di potere e di giustizialismo, siano lusingati e strumentalizzati a poco prezzo da chi nel proprio interesse muove dietro le quinte cause pretestuose.
Nello stesso anno ad Anfipoli morì Cleone e il commediografo iniziò a lavorare alla commedia la Pace, rappresentata nel 421 a.C. Ancora un contadino, Trigeo, è il protagonista che si reca a disseppellire la Pace, volando eroicamente su uno scarabeo alato.
In effetti di lì a poco fu conclusa effettivamente la pace di Nicia. Ma durò poco. Nel 420 fu eletto stratego per la prima volta Alcibiade, destinato a incarnare in modo perfetto nella storia ateniese il tipo del Fidippide delle Nuvole. Alcibiade impresse alla politica egemonica ateniese una svolta aggressiva: Pericle aveva ammonito a non tentare di ingrandire i territori controllati da Atene durante la guerra, Alcibiade spinse invece verso l'espansione. Nel 416 a.C. l'esercito di Atene conquistò la piccola isola di Melo, che voleva restare neutrale, ne massacrò gli abitanti maschi e rese schiavi donne e bambini. Nel 415 Alcibiade riuscì a far partire la spedizione, da lui fortemente voluta, che doveva conquistare la Sicilia e si concluse invece in modo disastroso due anni dopo. Richiamato in patria per difendersi dalle accuse di empietà sollevate in tribunale contro di lui dai suoi avversari, Alcibiade si rifiutò di obbedire, e con un tradimento clamoroso si rifugiò direttamente presso gli Spartani, dove cominciò a prestare la sua opera di consigliere contro Atene.
In questo clima inquieto, l'anno dopo (414 a.C.) andò in scena gli Uccelli. Due ateniesi, Pisetero ed Evelpide, disperando ormai di poter trovare una città vivibile tra gli uomini, decidono di fondare una città degli Uccelli tra le nuvole, Nubicucùlia. E in questo spazio s'inventano una strategia vincente, che avrà ragione degli uomini e degli dèi.
Le ultime due commedie che Aristofane scrisse con la sua tipica causticità e fantasia risalgono al 411 a.C., dopo la catastrofe della spedizione in Sicilia. Le Tesmoforiazuse, imperniata sulla celebrazione di una festa riservata alle donne, le Tesmoforie, bersagliava Euripide e la sua analisi dei personaggi femminili, e in generale il fatto che nella tragedia euripidea il centro dell'attenzione è irrimediabilmente distratto dai problemi della convivenza politica e spostato verso la psicologia individuale e le vicende private. Il ruolo della donna è centrale anche nella Lisistrata, che ha come protagonista una donna agli antipodi del modello euripideo, tutta rivolta verso gli interessi della comunità, che per spezzare la spirale di una guerra ormai senza fine propone e realizza lo "sciopero sessuale" delle mogli di tutta la Grecia, affinché gli uomini smettano di uccidersi tra loro.
Poco tempo dopo (giugno-autunno 411) scoppiò in Atene il terrore, con il colpo di Stato oligarchico dei Quattrocento; ma la flotta ateniese di stanza a Samo reagì, e riuscì a ristabilire la democrazia già nell'estate del 410. La guerra continuò, ma ormai Sparta si era assicurata l'appoggio e i finanziamenti del Re di Persia.
Le Rane, scritte dopo la morte del grande "nemico" Euripide, tornano a occuparsi della situazione culturale: nel deserto della scena ateniese il dio Dioniso scende all'Ade per recuperare il suo amato Euripide e finisce invece per riportare in vita Eschilo. Qui troviamo anche un accenno alle perplessità dell'autore per la drammatica decisione ateniese dopo la sanguinosa vittoria del 406 a.C. nella battaglia delle Arginuse, quando tutti gli strateghi vittoriosi furono condannati a morte per non aver salvato i naufraghi dopo la battaglia.
Nel 405 a.C. Atene subì la sconfitta decisiva: gli Spartani, guidati dal navarco Lisandro, a Egospotami distrussero la flotta ateniese ed entrarono da vincitori nel Pireo. Le lunghe mura furono abbattute e un presidio spartano fu instaurato in Attica.
Nel 392 a.C., quando Atene cercava di riprendere la vecchia politica antispartana e di riguadagnare le posizioni perdute dopo la grave sconfitta subita, Aristofane rappresentò le Ecclesiazuse (Le donne a parlamento). Come dice il titolo, l'opera mette in scena un'utopia: Prassagora, vestita da uomo, si infiltra nell'Assemblea e fa approvare come unica possibilità di salvezza per Atene il passaggio del governo alle donne (argomento ripreso in seguito anche da Platone). La parte finale è costituita da un'allegra e vorticosa scena erotica, a detta di alcuni esempio del cosiddetto "comunismo sessuale", in cui le donne costringono gli uomini a soddisfare le donne anziane prima di poter accedere alle giovani.
L'ultima opera di Aristofane è il Pluto, che tratta della ricchezza e della sua ingiusta distribuzione tra gli uomini. Il protagonista Cremilo accoglie nella sua casa un cieco, che si rivela essere il dio Pluto. Cremilo gli restituisce la vista, facendo in modo che la ricchezza venga distribuita secondo il merito. Nelle due ultime commedie Aristofane mette in luce il cambiamento di mentalità, da comunitaria a privatistica e individualista, e l'impoverimento intervenuto nella società ateniese dopo la sconfitta del 404 e la guerra civile che ne era seguita.

Le nuvole
Il contadino Strepsiade non riesce a dormire: pensa ai suoi debiti e agli interessi che dovrà pagare alla fine del mese. Il figlio Fidippide, invece, ronfa tranquillo, sognando i cavalli e le corse in cui spende tutto il denaro paterno. Strepsiade, rimpiange la sua semplice vita di campagna prima del disgraziato matrimonio con un’aristocratica e raffinata gran dama, dalla quale il giovane Fidippide ha ereditato l’inclinazione agli agi e al lusso; persino, sul nome da dare al figlio i due sposi avevano stentato a raggiungere un accordo: lei ne voleva uno in "ippo", da cavaliere, lui lo voleva chiamare Fidonide, "uno che risparmia"; e si erano decisi per Fidippide. D’improvviso al vecchio si presenta una soluzione. Sveglia il figlio e gli propone di entrare nel pensatoio di Socrate per apprendere la pratica sofistica del "rendere più forte il discorso più debole", in modo da eludere i creditori. Di fronte al rifiuto di Fidippide, non esita a farsi egli stesso scolaro. Quindi si reca al pensatoio e vi incontra gli individui più strani; a un certo punto scorge, in una cesta sospesa per aria, il celebre filosofo Socrate. Per ottenere quanto desidera - gli dice il maestro- dovrà abbandonare i vecchi dei e affidarsi alle nuvole (il coro), le sole vere divinità. Esse compaiono: promettono di aiutare Strepsiade a divenire un oratore imbattibile e lo affidano a Socrate.
Le lezioni, tuttavia,confondono le idee al semplice Strepsiade, che costringe Fidippide a entrare in sua vece nel pensatoio.
Qui il Discorso migliore e il Discorso peggiore, personificati da due attori, si contendono in un agone la palma del migliore per convincere Fidippide.

Dialogo tratto dalla commedia.

Discorso peggiore: Se uno ti becca in flagrante con sua moglie, gli risponderai che non hai fatto niente di male; poi butterai la colpa addosso a Zeus, dicendo che anche lui soccombe all'amore per le donne. E tu, mortale come sei, come potresti avere più forza di un dio?

Discorso migliore: E se coi tuoi consigli si ritrova un rafano su per il culo e lo spellano con la cenere rovente, come farà dopo a sostenere di non avere il culo rotto?

Discorso peggiore: E anche se ha il culo rotto, che male c'é?

Discorso migliore: Non vedo cos'altro gli potrebbe capitare di peggio.

Discorso peggiore: Che ne diresti, allora, se ti dimostro che hai torto proprio su questo punto?

Discorso migliore: Me ne starè zitto. Cos'altro potrei fare?

Discorso peggiore: Dunque, dimmi un po': gli avvocati, che gente sono?

Discorso migliore: Rottinculo.

Discorso peggiore: Esatto. E i tragici?

Discorso migliore: Rottinculo.

Discorso peggiore: Giusto. E i politici?

Discorso migliore: Rottinculo.

Discorso peggiore: Ti rendi conto di aver torto marcio? Anche gli spettatori, guarda un po' chi sono, la maggioranza...

Discorso migliore: Sto guardando...

Discorso peggiore: E cosa vedi?

Discorso migliore: Per gli dei, la maggioranza assoluta sono rottinculo! Questo lo conosco, e anche quello, e anche il capellone qui davanti.

Discorso peggiore: E cosa ne concludi?

Discorso migliore: Abbiamo perso. Razza di culaperti, tenete, eccovi il mio mantello: passo dalla vostra parte.

A voler prendere sul serio l'argomento, il Discorso peggiore ha la meglio perché il Discorso migliore sostiene le sue tesi sulla base di una tradizione condivisa. Ma è sufficiente che la tradizione condivisa muti, perché quello che prima era così fondato rimanga senza sostegno. La debolezza del Discorso migliore non è stata creata da Socrate, bensì dai limiti della cultura poetica di fronte alla nuova cultura dell'argomentazione.

Alla fine, Fidippide sceglie il Discorso ingiusto e spiega al padre con quali mezzi può evitare di rimborsare i creditori. Dopo però lo picchia, dimostrandogli con quegli stessi mezzi di aver proprio ragione: quando era bambino, infatti, Strepsiade lo aveva percosso più volte per correggerlo; ora che è diventato adulto, il figlio si limita a rendergli il favore, del resto "i vecchi"-dice- "sono due volte bambini; anzi è giusto che ne prendano più i vecchi che i giovani, perché meno dei giovani dovrebbero sbagliare". Ma quando Fidippide minaccia di picchiare anche la propria madre, il vecchio fuori di sé, si precipita a dar fuoco al pensatoio. La commedia oggi appare come una delle più riuscite del poeta per la capacità di trasferire situazioni contingenti in una dimensione universale, eternando in Strepsiade e Fidippide il perenne conflitto delle generazioni e il problema di una corretta scelta educativa: un tema trattato da Aristofane col genio di una comicità smagliante.
Con "Le nuvole" Aristofane crea uno dei testi più complessi e inquietanti del teatro antico, nel quale dà del suo contemporaneo Socrate un giudizio che contraddice quello con cui la tradizione considererà il filosofo ateniese: un maestro sublime, dedito all’incessante ricerca della verità. Egli, invece, rappresenta il pensatoio di Socrate come una scuola di ribalderie, dove non si apprenderebbe solo l’arte di rafforzare una posizione debole attraverso l’affinamento delle capacità dialettiche, ma anche quella di giustificare sempre e comunque il proprio operato, così da riscuotere la generale approvazione. Sicuramente non si tratta di un fraintendimento involontario: infatti Socrate, pur non essendo un sofista- attento solo a onori e guadagni- è per Aristofane un esponente di quel pensiero critico che può dar luogo a effetti disastrosi. Lo dimostra, appunto, il danno che ne viene allo sprovveduto Strepsiade che si fa discepolo socratico per imparare qualche imbroglio utile a tacitare i creditori; ancora maggiori poi sono i danni che la nuova filosofia arreca a suo figlio Fidippide , più intelligente del padre e meglio capace di assimilare e sfruttare quanto appreso dai cattivi maestri.
Aristofane dimostra, quindi, una grande preoccupazione per l’educazione dei giovani: essi sono attratti dalla vita brillante e dai piaceri, ma devono addestrarsi ad assumere le responsabilità di futuri cittadini adulti. Lasciarli senza saldi principi, prospettare loro che ogni cosa può essere giusta o ingiusta, relativamente a come la si considera, significa educarli nella convinzione che qualunque arbitrio sia possibile, minando la società fin dalle fondamenta.
Il vertice poetico del testo è rappresentato dall’agone fra Discorso giusto e Discorso ingiusto, i due personaggi che tentano di conquistare- ciascuno per sé- il favore di Fidippide. Ma mentre il primo gli propone un programma di vita austero, fatto di temperanza, controllo degli istinti, faticosi esercizi fisici e bagni freddi, così da acquisire le stesse virtù dei combattenti di Maratona; l’altro non soltanto teorizza la massima permissività in tutti i campi, ma sostiene anche con argomentazioni capziose il diritto per ciascuno di comportarsi come crede, facendosi beffe della moralità antica. Nell'agone, come già detto, vince il Discorso ingiusto; all’altro non resta che ritirarsi sconfitto, riconoscendo di non avere nulla di attraente da offrire, a parte la fedeltà a una giustizia ormai scomparsa dalla coscienza degli individui.
Sulle vicende degli uomini si librano poi le nuvole del coro, talvolta partecipi, più spesso impassibili osservatrici di tanta follia; una follia che, prima o poi, dovrà fare i conti con la volontà degli dei, giacché questi non consentiranno per sempre il trionfo della malvagità (cosa di cui Aristofane, con autentico senso religioso, è assolutamente convinto).
Il coro esprime, inoltre, l’insoddisfazione del poeta per la sordità del pubblico ai suoi messaggi politici contro Cleone. "Quando eleggeste stratego quel cuoiaio di Paflagone, odioso agli dei, noi aggrottammo le ciglia e facevamo cose da pazzi…eppure lo eleggeste. Dicono infatti che in questa città sia presente il cattivo consiglio, ma che comunque poi gli dei volgano al meglio i vostri errori". Sulla soglia del regime democratico o demagogico, quando l’aspirazione di pochi individui al subdolo controllo delle masse sembra vanificare la partecipazione di tutti alle decisioni comuni, Aristofane esprime la sua speranza e volontà di cambiamento dichiarando la propria fiducia nella vitalità intrinseca delle istituzioni democratiche.

Da sempre studi e letture de "Le Nuvole"sono stati orientati dai suggerimenti del più antico critico di Aristofane: Platone. Far dire a Socrate stesso, nell’Apologia, che la causa reale della sua condanna non era tanto l’accusa occasionale di Anito e Meleto,quanto la diffamazione remota di un "autore di commedie",significò far coincidere l’inizio dei mali del filosofo con la "commedia di Aristofane". L’avvicendarsi inesauribile di questioni interpretative su "Le Nuvole" è stato per secoli sorretto dal dogma della responsabilità di Aristofane nella condanna del filosofo e si è pensato che la rappresentazione di Socrate, per quanto distorta dall’ostilità e dalla satira, sia stata comprensibilmente interpretata come immagine attendibile del personaggio storico. Così già in Diogene Laerzio ed in Eliano troviamo l’ipotesi d’accordo tra Aristofane e gli accusatori di Socrate. Meno drammatico risulta invece l’intervento di Eunapio secondo il quale "Aristofane,pur non direttamente prezzolato, sarebbe comunque responsabile del verdetto contro Socrate".
Solo a partire dalla fine del Settecento si rinuncia a vedere in Aristofane un "carnefice consapevole" e sul personaggio di Socrate ne "Le Nuvole" si formano finalmente ipotesi diverse come quelle di ispirazione romantica o quelle addotte da Hegel che rivendicano la "serietà culturale e politica" di Aristofane, liberando così le Nuvole dall’accusa ormai divenuta canonica.
E’ in "Aristophanis comoediae ex optimis exemplaribus emendatae" che Brunk considera Socrate come "riflesso di una prassi letteraria più che di una figura reale" e reputa dunque che "il nome del filosofo servirebbe solo a dare forma e credibilità a un insieme di tratti eterogenei tipici della commedia antica". Sarà Maier con la celebre monografia socratica "Sokrates" che combinerà l’ipotesi dell’equivoco (Socrate come rappresentate antonomastico dei filosofi naturalistici da lui in realtà così distanti) con la teoria della tipicità da commedia. Alessandro Grilli tende invece a sottolineare che ne "Le Nuvole" ci sia una buona probabilità che "i tratti del filosofo siano tipizzati e solo la mancanza di confronti estesi con caricature analoghe impedisce di ricondurne univocamente una buona parte alle convenzioni del genere".

Eugenio Caruso - 13 ottobre 2015

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