Alla scoperta dell'Universo dalla mitologia al big bang.


La fedeltà è il più santo bene dell'umana coscienza
Seneca Lettere morali a Lucilio

Uno dei primi riscontri storici che affrontano l'argomento della nascita dell'Universo si trova nella Bibbia le cui prime tracce risalgono al 3.500 - 4.000 A.C.
Nella Genesi troviamo scritto. In principio Dio creò il cielo e la terra. La terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l'abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque.
Dio disse: «Sia la luce!». E la luce fu. Dio vide che la luce era cosa buona e separò la luce dalle tenebre e chiamò la luce giorno e le tenebre notte.
Dio disse: «Sia il firmamento in mezzo alle acque per separare le acque dalle acque». Dio fece il firmamento e separò le acque, che sono sotto il firmamento, dalle acque, che sono sopra il firmamento. E così avvenne. Dio chiamò il firmamento cielo. Dio disse: «Le acque che sono sotto il cielo, si raccolgano in un solo luogo e appaia l'asciutto». E così avvenne. Dio chiamò l'asciutto terra e la massa delle acque mare. E Dio vide che era cosa buona. E Dio disse: «La terra produca germogli, erbe che producono seme e alberi da frutto, che facciano sulla terra frutto con il seme, ciascuno secondo la sua specie». E così avvenne: la terra produsse germogli, erbe che producono seme, ciascuna secondo la propria specie e alberi che fanno ciascuno frutto con il seme, secondo la propria specie. Dio vide che era cosa buona.
Dio disse: «Ci siano luci nel firmamento del cielo, per distinguere il giorno dalla notte; servano da segni per le stagioni, per i giorni e per gli anni e servano da luci nel firmamento del cielo per illuminare la terra». E così avvenne: Dio fece le due luci grandi, la luce maggiore per regolare il giorno e la luce minore per regolare la notte, e le stelle. Dio le pose nel firmamento del cielo per illuminare la terra e per regolare giorno e notte e per separare la luce dalle tenebre. E Dio vide che era cosa buona.
Dio disse: «Le acque brulichino di esseri viventi e uccelli volino sopra la terra, davanti al firmamento del cielo». Dio creò i grandi mostri marini e tutti gli esseri viventi che guizzano e brulicano nelle acque, secondo la loro specie, e tutti gli uccelli alati secondo la loro specie. E Dio vide che era cosa buona. Dio li benedisse: «Siate fecondi e moltiplicatevi e riempite le acque dei mari; gli uccelli si moltiplichino sulla terra».
Dio disse: «La terra produca esseri viventi secondo la loro specie: bestiame, rettili e bestie selvatiche secondo la loro specie». E così avvenne: Dio fece le bestie selvatiche secondo la loro specie e il bestiame secondo la propria specie e tutti i rettili del suolo secondo la loro specie. E Dio vide che era cosa buona. E Dio disse: «Facciamo l'uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra».
Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò. Dio li benedisse e disse loro: «Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente, che striscia sulla terra». Poi Dio disse: «Ecco, io vi do ogni erba che produce seme e che è su tutta la terra e ogni albero in cui è il frutto, che produce seme: saranno il vostro cibo. A tutte le bestie selvatiche, a tutti gli uccelli del cielo e a tutti gli esseri che strisciano sulla terra e nei quali è alito di vita, io do in cibo ogni erba verde». E così avvenne. Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona.
Così furono portati a compimento il cielo e la terra e tutte le loro schiere. Allora Dio, nel settimo giorno portò a termine il lavoro che aveva fatto e cessò nel settimo giorno da ogni suo lavoro. Dio benedisse il settimo giorno e lo consacrò, perché in esso aveva cessato da ogni lavoro che egli creando aveva fatto. Queste le origini del cielo e della terra, quando vennero creati.

Un'altra testimonianza sull'idea di nascita dell'Universo si ha nei testi sumeri, sempre databili tra il 3.000 e il 4.000 a. C.
In principio vi era il Mare Primordiale (Nammu), mai creato, e quindi eterno. Dal Mare ebbe origine la Montagna cosmica, che aveva per base gli strati più bassi della terra, e per cima la sommità del cielo. La Montagna era formata da Cielo e Terra, ancora uniti insieme e non distinti. Il Cielo, nella personificazione il dio An, e la Terra, nella personificazione la dea Ki, generarono il dio dell'Aria Enlil. A questo punto avvenne la separazione: An "tirò" il Cielo verso di sé, mentre Enlil "tirava" la Terra, sua madre. Dall'incesto di Enlil e Ki nacquero tutti gli esseri viventi, dei, uomini, animali e piante. I sumeri consideravano l'universo visibile sotto forma di una semisfera, avente per base la Terra e per calotta il Cielo (An-Ki). La Terra era un disco piatto circondato dal mare (Abzu) e galleggiante su di esso. Al di sotto della terra stava un'altra semisfera diametralmente opposta a quella del cielo, non visibile, che conteneva le regioni infernali (Kur). Dunque, l'universo in generale era una sfera, divisa in due orizzontalmente dal piano diametrale costituito dalla terra. Da alcuni frammenti pare che i sumeri considerassero il cielo formato di un qualche metallo dai riflessi bluastri (questa credenza dipendeva probabilmente dal fatto che i meteoriti sono composti soprattutto di ferro e nichel quasi puri: il ferro siderale fu l'unica fonte di ferro metallurgico puro dell'antichità). Tra il Cielo e la Terra esisteva un terzo elemento, una sorta di "vento", o "soffio" (lil), le cui caratteristiche erano l'espansione e il moto (caratteristiche che noi oggi consideriamo proprie dell'atmosfera). Gli elementi cosmici come Sole, Luna e stelle si ritenevano composti della stessa materia, ma in questo caso luminosa. All'esterno della sfera dell'universo si stendeva all'infinito un Oceano Cosmico, un Mare primordiale misterioso e invisibile. I quattro dei creatori erano riconosciuti in An, Enlil, Enki e Ki, corrispondenti ai quattro princìpi creatori Cielo, Aria, Acqua e Terra.

univ. sumeri

L'Universo dei sumeri

Cosmologia tratta dai Veda, attorno al 2.000 a.C.
La leggenda secondo cui il Cielo (Dyaus pitr) è il padre di Aurora (Usas) ricorre nelle parti più antiche del Rgveda, i cosiddetti mandala familiari (mandala, lett. 'cerchio', è qui inteso come sezione), come pure nel più tardo primo mandala. Poiché il Cielo e la Terra sono spesso detti "i genitori" o anche "i genitori degli dèi", la Terra era probabilmente la madre di Usas. Inoltre in un'occasione si dice che i due Cavalieri (Asvin) sono nati dal Cielo, ma più spesso che sono suoi nipoti; quest'ultima relazione è spiegata dal fatto che si afferma che la madre dei due Cavalieri è Usas. Brown osservò che i nomi divini ricorrenti in questo mito sono tutti d'origine indoeuropea e che il mito stesso presenta paralleli indoeuropei (ma anche mesopotamici); egli ne concluse che fu introdotto in India dagli Ari vedici. Secondo questo mito il Cielo e la Terra erano una volta congiunti; la loro origine non è specificata. Un inno tardo afferma però che fu il Carpentiere (Tvastr, nome di origine non indoeuropea) a foggiare il Cielo e la Terra; in inni più antichi si dice che questi avrebbe creato le forme. Sembra che possa essere considerato il più antico dio creatore concepito dagli Indiani vedici; esisteva infatti prima del Cosmo. Molti altri dèi sarebbero stati in seguito descritti come creatori dell'Universo. Secondo un altro mito, evidentemente indoiranico, gli esseri più antichi erano gli Asura; tra questi era annoverato il Cielo. Gli Asura erano divisi in due gruppi principali: gli Aditya, capeggiati da Mitra, Varuna e Aryaman, dèi dell'ordine e della giustizia, e i Danava, demoni capeggiati dal Copritore (Vrtra). Vrtra, un drago, legò le Rodasi, ossia il Cielo e la Terra, le tenne insieme, e circondò le acque rinchiudendole. Il dio Indra nacque per uccidere questo drago, fu generato dagli dèi, i due mondi (Cielo e Terra) lo formarono, i due mondi e gli dèi lo generarono. Indra assalì Vrtra e lo uccise, perforò la montagna, liberò le acque rinchiuse, separò il Cielo dalla Terra creando lo Spazio intermedio (antariksa), puntellò il Cielo e fissò la Terra. In virtù dell'atto di creazione compiuto da Indra, l'Universo consiste in una regione sotterranea, il 'non esistente' o 'caotico' (asat), abitato dai demoni, e in un triplice Cosmo (sat) costituito da Terra, Spazio intermedio e Cielo.
Questi tre mondi saranno soggetti a ulteriori moltiplicazioni ed elaborazioni, le quali daranno origine alle concezioni vediche dei molti mondi e regioni. Secondo diversi inni del Rgveda, il Cosmo risultò formato di nove parti, e cioè tre Terre, tre Spazi intermedi e tre Cieli (che ricordano i tre Cieli della cosmologia mesopotamica). Per quanto concerne la forma del Cielo e della Terra, sappiamo da un inno tardo che Indra li puntellò separandoli in virtù dei suoi poteri, come due ruote per mezzo d'un asse. Ciò implica che essi fossero concepiti come superfici parallele, circolari e piatte. Altrove il Cielo e la Terra sono definiti come due ciotole, benché non se ne debba concludere che essi formassero una sfera.
Nel decimo mandala del Rgveda compaiono speculazioni teologiche sulla creazione del mondo. Tra queste è degno di menzione l'inno del Rgveda che descrive manifestamente Hiranyagarbha, l'Embrione d'oro, come una forma di Prajapati (signore delle creature), e come "in principio nato quale unico signore di tutto quel che è venuto all'esistenza". A partire da quest'idea si sviluppò quella dell'Uovo cosmico presente nelle Upanisad. In un altro inno del decimo mandala si narra la storia degli dèi che, avendo sacrificato il Purusa, l'uomo primordiale, forgiano con il suo corpo le varie parti dell'Universo. Queste due concezioni si trovano fuse in un inno dell'Atharvaveda, nel quale le parti dell'Universo sono descritte come le membra di Brahma, che in principio era l'Embrione d'oro. Nelle Upanisad la fonte ultima dell'essere e del non essere sarà detta brahman (termine che in precedenza designava il potere della formula vedica).
I Brahmana conservano la concezione del triplice Cosmo, come anche l'idea che esso sia circondato dalle acque sotterranee, celesti e oceaniche. La Terra è concepita come orizzontale, piatta e, in genere, circolare (ma a volte come un quadrilatero), come anche lo Spazio intermedio (ora talvolta denominato akasa), mentre il Cielo è come una ciotola rovesciata il cui bordo tocca il margine della Terra o l'oceano che la circonda. Il Sole è collocato nello Spazio intermedio, la Luna e i naksatra (le stelle) si trovano al di sopra del Sole; dei pianeti non si fa cenno, proprio come nella cosmologia di Anassimandro e Anassimene, i quali dispongono Sole, Luna e stelle nel medesimo ordine, ma invertito. Il Sole, la Luna e le stelle sono definite le porte del Cielo.
E' soltanto nell'ultimo periodo della letteratura dei Brahmana che appare la più antica formulazione dei cinque 'grandi elementi': terra, vento, spazio vuoto, acque, luci.

Attorno a VII secolo a. C. anche il taoismo tracciò un indirizzo sull'origine dell'Universo.
Il Taoismo introduce il concetto di ciclo. Come molte religioni orientali, ha una concezione ciclica dell'esistenza: non c'è un punto che ne segna l'origine come non c'è un punto che ne segna la fine, perché tutte le cose dell'universo sono soggette a un eterno ciclo, la loro esistenza non procede in linea retta.
Ipotizzando di poter concepire il ciclo, di fissare un punto di origine su questo ciclo, e di percorrerlo tutto o in una direzione o nell'altra si giungerebbe in entrambi i casi al punto da cui si era partiti. Qui, dunque, ci si chiederebbe cosa c'era prima che il ciclo iniziasse e cosa ci sarà dopo che il ciclo sarà terminato. Esplorando la questione a fondo ci si renderebbe conto di come la mente lavori in cerchio tentando di trovare una risposta, confermando il fatto che l'esistenza, l'universo, sia ciclica.
Appurato che l'universo funziona in modo ciclico e non lineare, e che quindi non può essere stato creato da qualcosa che esisteva prima, altrimenti anche questo qualcosa dovrebbe essere stato creato da qualcos'altro, e questo qualcos'altro da qualcos'altro ancora (avanti all'infinito), viene spontaneo chiedersi cosa ha dato l'inizio all'eterno ciclo dell'esistenza, o meglio, come l'esistenza abbia iniziato a girare in cerchio.
Il Taoismo risponde che a originare il ciclo può essere stata solo quella cosa che esiste da sempre e per sempre, che esiste in sé e di sé, senza alcuna forma, ovvero il ciclo stesso, la Via, il Tao. Il Tao è il ciclo, l'oscillazione, il moto armonico. Dal suo movimento dipendono tutte le cose, il suo movimento dà origine a tutte le cose.
Il Qi, letteralmente forza della vita, o semplicemente energia, è la manifestazione del Tao attraverso il ciclo di Yin e Yang. È l'energia che pervade e vitalizza tutte le cose dell'universo. Essa è il Tao, in circolo nell'universo. (Il concetto di yin (nero) e yang (bianco) ha origine molto probabilmente dall'osservazione del giorno che si tramuta in notte e della notte che si tramuta in giorno o dalle osservazioni e riflessioni che Laozi faceva nei confronti del fuoco, notandone il colore, il calore, la luce e la propensione della fiamma di svilupparsi verso l'alto).
Il Qi come ogni altra cosa esistente nell'universo è un frutto, una manifestazione, dovuta al continuo movimento ciclico del Tao. La materia stessa è espressione del ciclo perpetuo della natura, e tutto l'universo funziona in modo ciclico perché segue la legge cosmica del Tao, perché l'universo stesso e tutto ciò che comprende è la legge cosmica stessa, la Via, il Tao. Tutto ciò che esiste è espressione del suo movimento: la sua staticità corrisponde al Wu Chi; il suo movimento al fluire del Qi. L'esistenza è dunque un'illusione, è la proiezione olografica data dal movimento del Tao. L'interazione di Yin e Yang è espressa attraverso cinque manifestazioni base dell'energia, i cinque elementi. Il termine non si riferisce ai cinque elementi base che si possono trovare ovunque in natura, ma è una metafora, si riferisce ai cinque modi attraverso cui il Qi si esprime nell'universo. I cinque elementi sono semplicemente gli emblemi di rappresentazione delle cinque fasi di movimento del Qi.
La prima fase corrisponde all'energia a riposo, in un estremo stato di quiete e concentrazione. Questa fase è identificata con l'acqua, in quanto l'acqua è un elemento che, se indisturbato, diviene spontaneamente calmo e statico. La seconda fase è lo sviluppo della prima: se l'energia è completamente in quiete, ha un enorme potenziale, che prima o poi si manifesta. Proprio come il Wuji che da statico si attiva. Questa seconda fase corrisponde dunque all'esplosione dell'energia, ed è rappresentata dal legno, in quanto gli alberi tornano in attività in primavera, dopo il riposo invernale. L'esplosione di attività nella fase Legno non dura per sempre, prima o poi l'energia si stabilizza e inizia una fase di equilibrio in cui l'energia fluisce con uniformità mantenendosi costante. Questa terza fase corrisponde al fuoco, in quanto il fuoco è un elemento in grado di sostenere un alto livello energetico per lunghi periodi. Mentre il Fuoco rilascia tutto il suo potenziale energetico inizia a degenerare nella quarta fase, in cui l'energia si condensa. È la fase del Metallo. È rappresentata dal metallo in quanto esso è uno stato di energia altamente condensato. La quinta fase energetica corrisponde al momento in cui sopraggiunge equilibrio, armonia e interconnessione tra tutti gli altri quattro stati energetici. Questa fase finale è rappresentata dalla Terra, ovvero il frutto della combinazione degli altri elementi.
L'equilibrio Yin-Yang è la radice e il fusto di tutto ciò che esiste; i cinque elementi sono i rami che sostengono le foglie, i fiori e i frutti dell'universo. Il risultato di queste cinque fasi energetiche è la manifestazione e attività di tutto: della vita sulla Terra, del Sole, della Luna, delle stelle di tutto l'universo. Il Taoismo, quindi, concepisce l'universo come un immenso oceano di interazioni energetiche derivate dall'interazione fondamentale di Yin e Yang. L'universo, in quanto manifestazione dell'energia dei cinque elementi, si auto-sostiene. Tutte le creature viventi e non, sono in continua interazione con i cinque elementi dell'esistenza. L'uomo può accentuare questo contatto interattivo mangiando, respirando, sentendo, udendo e pensando. Questa visione della cosmologia taoista potrebbe apparire astratta e semplicistica, ma la scienza moderna ha essenzialmente la medesima opinione del cosmo. La scienza è arrivata a ipotizzare che all'origine di tutto ci fu il Big Bang, proprio come sostenuto dalla cosmologia taoista: il Big Bang può essere infatti considerato un processo paragonabile alle cinque fasi che hanno portato l'energia Qi a dare origine al cosmo.

ouroboros

L'ouroboros, simbolo della concezione ciclica dell'esistenza. Apparentemente immobile, ma in eterno movimento, rappresenta il potere che divora e rigenera se stesso, l'energia universale che si consuma e si rinnova di continuo, la natura ciclica delle cose, che ricominciano dall'inizio dopo aver raggiunto la propria fine. Simboleggia quindi l'unità e l'androgino primordiale, la totalità del tutto, l'infinito, l'eternità, il tempo ciclico, l'eterno ritorno, l'immortalità e la perfezione.

Nel VII secolo a.C. abbiamo la teogonia di Esiodo
Il principio di tutto era il Caos, l'insieme di tutti gli elementi senza ordine e senza distinzione e forma al di là del tempo e dello spazio, dal quale all'improvviso, per una forza ignota, cominciarono a separarsi tutti gli elementi. Apparve Gea, la terra principio di vita e madre della stirpe divina, prima realtà materiale della creazione. Dopo di lei si generarono Eros (l'amore e la forza attrattiva che feconda), il Tartaro (luogo di punizione delle anime malvagie), l'Erebo (le tenebre) e la Notte. In un secondo tempo, l'Erebo e la Notte generarono i loro contrari: l'Etere e il Giorno. Gea generò da sola Ponto (il mare), i Monti e Urano (il cielo stellato), che scelse come sposo. Urano e Gea furono i genitori dei primi esseri del mondo soprannaturale greco. I primi tre figli (Briareo, Gia e Cotto), erano mostri con cinquanta teste e cento bracciai. Poi naquero i tre Ciclopi (Bronte, Sterope ed Arge) che erano giganti con un solo occhio in mezzo alla fronte. Il loro aspetto era così mostruoso che il padre Urano, disgustato, li nascose nelle viscere della Terra. I Titani, ultimi figli, erano dodici, sei maschi (Oceano, Ceo, Crio, Iperione, Giapeto, Crono) e sei femmine (Tea, Rea, Temi, Teti, Febe, Mnemosine). Di questi alcuni formavano coppie: Oceano e Teti, Crono e Rea, Iperione e Tea. Gea si unì anche con Ponto, dal quale ebbe Taumante (che secondo alcuni fu padre delle Arpie), Forco (la personificazione del mare in tempesta), Ceto (la personificazione delle insidie che si celano nel mare in tempesta) ed Euribia (personificazione della violenza tempestosa del mare). Iniziava così il regno di Urano, che assieme a Gea governavano il creato. Urano era preoccupato dall'idea che i suoi figli potessero privarlo del dominio dell'universo, tanto che, ossessionato da questa paura, iniziò a sprofondarli al centro della terra. Gea, triste e irata per la sorte che il suo sposo destinava ai figli, decise di reagire. Costruì, all'insaputa di Urano, un falcetto con del ferro estratto dalle sue viscere e radunati i suoi figli, chiese a tutti di ribellarsi al padre e punire la sua ferocia. Uno solo, il più giovane e ultimo dei Titani, osò seguire il consiglio della madre: Crono, che armato dalla madre, si nascose nella Terra e attese l'arrivo del padre. Era infatti abitudine di Urano, discendere la notte dal cielo per abbracciare la sposa nell'oscurità. Non appena Urano si presentò, Crono saltò fuori e con una mano immobilizzò il padre mentre con l'altra lo evirava con il falcetto. Il sangue che sgorgava copioso dalla ferita fecondò Gea dalla quale nacquero le Erinni, le ninfe Meliadi, i Giganti e le ninfe del Frassino, mentre dalla spuma dei suoi testicoli che cadevano nel mare, nacque Afrodite (dea della bellezza e dell'amore). Urano riuscì però a scappare lontano e da allora mai più si avvicinò alla terra, sua sposa. Il governo della terra, sarebbe toccato al più anziano, Oceano (uno dei Titani), ma Crono con l'inganno riuscì a impossessarsi del trono e a regnare sul creato. Terminava così il regno di Urano, primo sovrano della divina famiglia, e aveva inizio il regno di Crono, secondo sovrano e suo figlio. La prima cosa che fece Crono fu quella di liberare i suoi fratelli dalla prigionia alla quale il padre li aveva relegati ad eccezione dei Ciclopi e degli Ecatonchiri nei confronti dei quali nutriva seri dubbi sulla loro lealtà nei suoi confronti. Questo fu un grave errore da parte sua, errore che, negli anni a venire, gli sarebbe costato molto caro. Per continuare l'opera della creazione Crono, scelse Rea, una dei Titani e sua sorella, come sposa. Nel frattempo il mondo si popolava di numerose divinità: le Graie e le Gorgoni (figlie di Forco e di Ceto), Thanatos la morte, Eris la discordia, Nemesi la vendetta, le temibili Moire arbitre della vita e della morte (tutti figli di Erebo e della Notte), Elios il sole, Selene la luna, Eos l'aurora (tutti figli del Titano Iperione), Iride l'arcobaleno (figlia di Taumante) ed altre ancora. Con Rea, Crono ebbe numerosi figli: Poseidone, Ade, Era, Demetra, Estia e Zeus. Sotto il regno di Crono la terra conobbe l'età dell'oro ma la sua tranquillità fu minata da una terribile profezia: gli fu infatti predetto che il suo regno avrebbe avuto fine per mano del suo figlio più forte. Terrorizzato, per tentare di ingannare il destino, iniziò a divorare i suoi figli non appena nascevano, tenendoli così prigionieri nelle sue viscere. Rea, disperata, chiese aiuto ai genitori per cercare di salvare i propri figli. Fu così che dopo aver fatto nascere il suo ultimogenito Zeus, Rea si recò dal suo sposo e anziché presentargli il figlio, gli consegnò un masso avvolto nelle fasce che Crono ingoiò senza sospettare nulla. Con l'aiuto di Gea, il piccolo era stato nascosto da Rea in una caverna del monte Ida nell'isola di Creta, e dato in custodia alle due figlie del re di Creta, alle ninfe dei boschi, a un pastore e alla capra Amaltea che gli dava il suo latte e l'ambrosia che sgorgava dalle sue corna, all'ape Panacride che gli dava il miele e a un'aquila che gli portava ogni giorno il nettare dell'immortalità. I suoi pianti erano coperti dai Cureti che battevano il ferro per impedire ad alcuno di sentire i suoi vagiti. Quando Zeus fu adulto salì in cielo, affrontò il padre e con l'inganno fece bere a Crono una speciale bevande che gli fece vomitare i figli che aveva divorato, che essendo dei e quindi immortali erano restati in vita, e dopo ciò dichiarò guerra al padre. Ebbe così inizio una terribile lotta che durò dieci anni e che vide da una parte Crono, al cui fianco si schierarono i Titani, e dall'altra Zeus, al cui fianco c'erano tutti i suoi fratelli. Entrambe le parti si battevano senza esclusione di colpi. La terra era devastata dai Titani che con la loro forza cambiavano i contorni della terra, distruggendo montagne e scagliandole nell'Olimpo, il monte più alto della Grecia, dove Zeus ed i suoi fratelli avevano stabilito il proprio regno. La guerra sarebbe andata avanti ancora per parecchio tempo se Gea non fosse intervenuta per consigliare a Zeus di liberare i Ciclopi e stringere alleanza con loro. I Ciclopi, per ripagare Zeus di avergli reso la libertà, fabbricarono per lui le armi che sarebbero entrate nella leggenda e con le quali avrebbe retto il suo regno dalla cima dell'Olimpo: le folgori. Zeus liberò anche gli Ecatonchiri, che con le loro cento braccia iniziarono a scagliare una quantità infinita di massi contro la gente di Crono che assieme alle folgori scagliate da Zeus, decretarono la vittoria finale. Sulla sorte che Zeus fece fare al padre Crono ci sono diverse ipotesi. Secondo alcuni gli fu concesso di regnare nelle isole dei Beati, ai confini del mondo. Secondi altri, fu condotto a Tule e sprofondato in un magico sonno, mentre secondo altri ancora fu incatenato nelle più profonde viscere della terra. Certa è invece la sorte che fu destinata ai Titani: furono incatenati nel Tartaro, e la loro custodia fu affidata agli Ecantonchiri. Terminava così il regno di Crono, secondo sovrano della divina famiglia e aveva inizio il regno di Zeus, terzo sovrano e suo figlio.
Diversi studiosi hanno evidenziato le analogie, e quindi le influenze, che tale modello mitologico riceve dalle culture religiose e dai miti propri del Vicino Oriente antico e dell'Antico Egitto: lo sviluppo della vita dell'universo viene presentata da Esiodo secondo l'idea (largamente diffusa nella mitologia comparata) dello scontro fra generazioni divine che si succedono nel dominio. Il mito da lui narrato rivela l'influenza di racconti sacri diffusi tra le culture del Vicino Oriente: l'opera in cui va identificato il più antico modello della Teogonia è un testo hittita redatto intorno al 1400 a.C. e derivato a sua volta da una più antica versione hurrita (forse del terzo millennio a.C.). Secondo questi racconti, il dio più antico fu Alalu, a cui seguì il dio del cielo Anu (corrispondente a Urano); suo figlio Kumarabi (corrispondente a Crono) lo evirò e prese il potere. In seguito nacque il dio delle tempeste, che Kumarabi voleva inghiottire per sventare ogni futuro pericolo; al suo posto però gli fu data una pietra. Infine il dio delle tempeste (una divinità legata ai fenomeni atmosferici, esatto corrispondente di Zeus) prese il potere e dovette poi lottare contro mostri e giganti che cercavano di spodestarlo. Il racconto di Esiodo s'ispira dunque a un antichissimo mito cosmogonico, che attraverso varie mediazioni giunse sino a lui e fu inglobato molto precocemente nel sistema mitologico greco.

Il nome di Democrito ("che 'l mondo a caso pone," Dante Inferno IV Canto) è rimasto legato alla sua teoria atomista considerata, anche a distanza di secoli, una delle visioni più “scientifiche” dell'antichità: l'atomismo democriteo infatti fu ripreso non solo da altri pensatori greci, come Epicuro, ma anche da filosofi e poeti romani. Come è stato rilevato da Theodor Gomperz e da altri studiosi, Democrito può essere considerato il “padre della fisica”, così come Empedocle lo era stato per la chimica. Geymonat afferma che “l'atomismo di Democrito […] ebbe una funzione determinante, nel XVI e XVII secolo, per la formazione della scienza moderna”. Alla base dell'ontologia di Democrito c'erano i due concetti di atomo e di vuoto. Democrito per certi aspetti sostituì l'opposizione logica tra essere e non essere con l'opposizione fisica tra atomo e vuoto: l'atomo costituiva l'essere, il vuoto rimandava in un certo senso al non essere. C'è da precisare che l'atomo democriteo non costituiva in sé un'intelligibilità pura, come sarà l'idea di Platone, in quanto esso possedeva un'essenziale consistenza materiale: tuttavia era pur sempre una realtà intelligibile poiché sfuggiva ai sensi e si coglieva solo mediante l'intelletto. La realtà degli atomi costituiva per Democrito l'essere immutabile ed eterno. Gli atomi erano concepiti come particelle originarie indivisibili: essi cioè erano quantità o grandezze primitive e semplici, omogenee e compatte, la cui caratteristica principale era l'indivisibilità. Democrito, quindi, contrappose alla divisibilità infinita dello spazio geometrico, sostenuta da Zenone di Elea con i suoi paradossi, l'indivisibilità dello spazio fisico, che trovava appunto nell'atomo un limite invalicabile. Gli atomi dunque, in quanto principio primo di ogni realtà, erano eterni ed immutabili: essi non erano stati generati né potevano essere distrutti, ma esistevano da sempre e sempre sarebbero esistiti. Gli atomi, però, in quanto particelle quantitative, costituivano il pieno, che rimandava necessariamente alla realtà di un vuoto in cui potersi collocare, in cui poter esistere. Il vuoto infinito costituiva quindi anch'esso una realtà originaria analoga a quella degli atomi, poiché rendeva possibile la loro esistenza: infatti gli atomi non sarebbero stati nemmeno pensabili senza uno spazio vuoto infinito entro cui potersi muovere incessantemente. In questo illimitato vuoto spaziale non esistevano più punti di riferimento, tanto è vero che il filosofo greco, quasi anticipando il moderno concetto di infinito fisico, affermò: «non esiste basso né alto, né centro né ultimo, né estremo». Di fronte alla realtà di qualcosa (l'atomo), Democrito avrebbe ammesso l'esistenza di un "non qualcosa", il vuoto appunto, il nulla inteso come spazio. Quindi il vuoto di Democrito non stava ad indicare l'esistenza del non essere ma più semplicemente la mancanza di materia, coincidente appunto con lo spazio. Pieno e vuoto costituivano pertanto i due principi originari a cui ricondurre l'esistenza di tutte le cose: l'uno rimandava all'altro, lo implicava necessariamente, poiché la realtà era il risultato della loro sintesi. Gli atomi di Democrito possedevano il movimento come loro caratteristica intrinseca: essi infatti si muovevano eternamente e spontaneamente nel vuoto, incontrandosi e scontrandosi. Il divenire del cosmo e della natura e la molteplicità degli enti erano dovuti proprio a questo incessante movimento da cui tutto si formava per poi disgregarsi. Il movimento quindi costituiva una proprietà intrinseca e spontanea degli atomi e, come tale, non era generato da una causa esterna ad essi: spontaneamente, per loro natura, essi si muovevano. In questo eterno e naturale movimento degli atomi di Democrito alcuni studiosi hanno visto una sorta di primitiva intuizione del principio di inerzia. È stato notato che «il principio di inerzia, fondamento della dinamica galileiana, dice pressappoco la stessa cosa: afferma infatti che il moto rettilineo uniforme non richiede la presenza di alcuna causa che lo provochi; solo dove si ha accelerazione deve esserci una causa che lo produce». In Democrito, come osservò Aristotele, era assente il concetto di una causa del movimento; non era chiaro il perché del movimento, né di quale specie esso sia né la causa per cui il movimento avviene in un modo o in un altro. Come abbiamo già detto, gli atomi democritei, essendo definiti come quantità infinitesime, erano del tutto privi di determinazioni qualitative: sono fatti tutti della medesima materia, ma differiscono per quanto riguarda gli aspetti quantitativi, vale a dire forma, ordine e posizione

La cosmologia secondo Aristoltele (384 - 322 a.C.)
Aristotele tratta nelle sue opere della conformazione dell'universo. Aristotele propone un modello geocentrico, che pone cioè la Terra al centro dell'universo.
Secondo Aristotele, la Terra è formata da quattro elementi: la terra, l'aria, il fuoco e l'acqua. Le varie composizioni degli elementi costituiscono tutto ciò che si trova nel mondo. Ogni elemento possiede due delle quattro qualità (o «attributi») della materia:
il secco (terra e fuoco),
l'umido (aria ed acqua),
il freddo (acqua e terra),
il caldo (fuoco e aria).
Ogni elemento ha la tendenza a rimanere o a tornare nel proprio luogo naturale, che per la terra e l'acqua è il basso, mentre per l'aria e il fuoco è l'alto. La Terra, quindi, non può che stare al centro dell'universo, poiché è formata dai due elementi tendenti al basso, e il "basso assoluto" è proprio il centro dell'universo.
Riguardo a ciò che si trova oltre la Terra, Aristotele lo riteneva composto di un quinto elemento (o essenza): l'etere. L'etere, che non esiste sulla Terra, sarebbe privo di massa, invisibile e, soprattutto, eterno ed inalterabile: queste due ultime caratteristiche sanciscono un confine tra i luoghi sub-lunari del mutamento (la Terra) e i luoghi immutabili (il cosmo).
Aristotele riteneva che i corpi celesti si muovessero su sfere concentriche (in numero di cinquantacinque). Oltre la Terra per lui vi erano, in ordine, la Luna, Mercurio, Venere, il Sole, Marte, Giove, Saturno, e, infine, il cielo delle stelle fisse, così chiamate perché come incastonate nel cielo sembravano immobili nelle loro posizioni relative sulla sfera celeste.
La sfera delle stelle fisse è chiamata da Aristotele primo mobile perché metteva tutte le altre sfere in movimento. Poiché ogni effetto risale a una causa, il moto delle stelle fisse deve dipendere da una causa prima, una causa che deve essere incausata affinché non si risalga all'infinito nella ricerca della prima causa. Nella catena dei movimenti vi è dunque il primo motore immobile, causa di movimento ma di per sé immobile, poiché essendo atto puro, in quanto immateriale, in lui non vi è divenire e movimento: egli rimane eternamente identico a sé stesso, immobile e distante dalle cose terrene ma tuttavia egli è anche "motore" in quanto la sua presenza mette in moto tutto ciò che è imperfetto che guarda, aspira e tende a Lui come una somma perfezione identificabile con la divinità suprema (mentre le altre divinità risiedevano all'interno del cosmo presidiando al movimento delle singole sfere).Il primo mobile si muove quindi per un desiderio di natura intellettiva, cioè tende a Dio come propria causa finale. Cercando dunque di imitare la sua perfetta immobilità, esso è contraddistinto dal moto più regolare e uniforme che ci sia: quello circolare.
Questa visione dell'Universo durò per circa 2.000 anni, anche se alcuni saggi seppero porre alcune obiezioni.
Per Anassagora come per Platone il "caos" è il luogo della materia informe e rozza a cui attinge un principio superiore, la "Mente" per Anassagora e il "Demiurgo" per Platone, per la formazione del mondo ordinato. L'instaurazione dell'ordine dal caos primigenio avviene generalmente attraverso un combattimento, che porta alla vittoria la divinità riconosciuta come capo e guida rappresentativa della religione a cui appartiene: questa divinità, quale ad esempio è Zeus nella mitologia greca, stabilisce dunque il suo primato solo alla termine del processo di evoluzione del cosmo.

univ arist

L'Universo secondo Aristotele che fu successivamente perfezionato da Tolomeo

Nei 2.000 anni di affermazione delle teorie aristoteliche ogni tanto si alzava qualche voce discordante.
Filolao nel IV secolo a.C. e Aristarco di Samo, nel III secolo a.C. avevano proposto modelli nei quali non figurava la terra al centro dell'Universo.
Filolao infatti sosteneva un modello non geocentrico; al centro dell'universo vi era un grande Fuoco attorno al quale ruotavano dieci corpi: la Terra, l'Antiterra, la Luna, il Sole, Mercurio, Venere, Marte, Giove, Saturno, e il cielo delle stelle fisse interpretato come un fuoco esterno. I dieci corpi si trovavano lontani dal Fuoco centrale secondo distanze proporzionali a fattori del numero 3, un numero ritenuto sacro dai pitagorici.
Aristarco è noto per avere per primo introdotto una teoria astronomica nella quale il Sole e le stelle fisse sono immobili mentre la Terra ruota attorno al Sole percorrendo una circonferenza . Sappiamo inoltre che Aristarco concordava con Eraclide Pontico nell'attribuire alla terra anche un moto di rotazione diurna attorno ad un asse inclinato rispetto al piano dell'orbita intorno al Sole (l'ultima ipotesi giustificava l'alternarsi delle stagioni). Dell'opera in cui Aristarco illustrava la teoria eliocentrica, ci rimangono solo pochi frammenti, costituiti da brevi citazioni di tradizione indiretta. L'obiezione che gli mossero i suoi contemporanei fu per quale motivo le stelle fisse non modificassero la propria posizione nella volta celeste nel corso dell'anno, come invece avrebbero dovuto fare se la Terra fosse stata in movimento. Archimede riporta che Aristarco superò l'obiezione ipotizzando che la distanza tra la Terra e le stelle fisse fosse infinitamente maggiore del raggio dell'orbita annuale terrestre, e in effetti è tanto maggiore da evitare ogni effetto di parallasse misurabile con gli strumenti dell'epoca (e anche delle epoche successive fino al XIX secolo). L'idea che le stelle fossero a una distanza enormemente superiore a quella del Sole fu ripresa da altri (ad esempio da Cleomede). Secondo la testimonianza di Plutarco, l'eliocentrismo (che Aristarco aveva accettato come base della sua teoria perché gli permetteva di giustificare i moti osservati dei pianeti) era stato successivamente dimostrato da Seleuco di Seleucia. La teoria eliocentrica fu però rifiutata con forza, quattro secoli dopo Aristarco, da Claudio Tolomeo, le cui concezioni dominarono incontrastate la tarda antichità e il medioevo .
Sant'Agostino nel IV secolo d. C. affermò che l'Universo e il tempo erano sorti contemporaneamente, un'intuizione geniale che anticipava di 1.500 anni Einstein e la teoria della relatività.
Giordano Bruno sul finire del 1500 fu arso vivo per aver scritto tra le altre" eresie" anche questa " Resta, dunque, da sapere che c'è un infinito campo e spazio continente, il qual comprende e penetra il tutto. In quello sono infiniti corpi simili a questo (la Terra), de quali l'uno non è più in mezzo de l'Universo che l'altro, perchè questo è infinito, e però senza centro e senza margine". Il filosofo di Nola può a ragione essere considerato uno dei padri della scienza moderna. La convinzione di G. Bruno sull'omogeneità dell'Universo ha però avuto due predecessori Averroè (1126-1198) e Nicola Cusano (1404-1464). La percezione del cosmo nell'Europa medievale, sia cristiana che musulmana, era abbastanza uniforme e si basava sulla fisica di Aristotele e sui modelli astronomici di Tolomeo, stabiliti nel suo Almagesto, nel II secolo d. C.. Non ci deve stupire che una società ordinata e statica, situata sotto un cielo, considerato immobile, abbia sviluppato un modello di cosmo fisso e gerarchico. E non stupisce che Giordano Bruno sostenitore che le stelle non erano lanterne appese a un fondo nero, ma soli come il nostro, situati a distanze enormi, tra i quali potevano esistere pianeti come la Terra, sconvolgesse i principi consolidati e introdotti dal "maestro di color che sanno" (Dante, Inferno, IV Canto).
Dobbiamo arrivare, sempre alla fine del 1500, a Niccolò Copernico, la cui teoria, propone il Sole al centro del sistema di orbite dei pianeti componenti il sistema solare, riprendendo quella greca di Aristarco di Samo. Quindi non è merito suo l'idea, già espressa dai greci, ma la sua rigorosa dimostrazione tramite procedimenti di carattere matematico. Il nucleo centrale della teoria di Copernico, l'essere il Sole al centro delle orbite degli altri pianeti, e non la Terra, fu pubblicato nel libro De revolutionibus orbium coelestium l'anno della sua morte. Il libro è il punto di partenza di una conversione dottrinale dal sistema geocentrico a quello eliocentrico e contiene gli elementi più salienti della teoria astronomica dei nostri tempi, comprese una corretta definizione dell'ordine dei pianeti, della rivoluzione quotidiana della Terra intorno al proprio asse, della precessione degli equinozi. La teoria di Copernico non era però senza difetti, o almeno senza punti che in seguito si sarebbero rivelati fallaci, come per esempio l'indicazione di orbite circolari, anziché ellittiche dei pianeti e degli epicicli. Questi errori rendevano i risultati concreti degli studi, come per esempio le previsioni delle effemeridi, non più precise di quanto non fosse già possibile ottenere col sistema Tolemaico o (geocentrico).
Nei primi anni del 1600 intervenne nella disputa tra elio e geo centrismo, Galileo Galilei. Convinto della correttezza della cosmologia copernicana, Galileo era ben consapevole che essa era ritenuta in contraddizione con il testo biblico e la tradizione dei Padri della Chiesa, che sostenevano invece una concezione geocentrica dell'universo. Poiché la Chiesa considerava le Sacre Scritture ispirate dallo Spirito Santo, la teoria eliocentrica poteva essere accettata, fino a prova contraria, soltanto come semplice ipotesi (ex suppositione) o modello matematico, senza alcuna attinenza con la reale posizione dei corpi celesti. Proprio a questa condizione il De revolutionibus orbium coelestium di Copernico non era stato condannato dalle autorità ecclesiastiche e menzionato nell'Indice dei libri proibiti, almeno fino al 1616. Galileo, intellettuale cattolico, si inserì nel dibattito sul rapporto fra scienza e fede con la lettera a padre Benedetto Castelli del 1613. Egli difese il modello copernicano sostenendo che esistono due verità necessariamente non in contraddizione o in conflitto fra loro. La Bibbia è certamente un testo sacro di ispirazione divina e dello Spirito Santo, ma comunque scritto in un preciso momento storico con lo scopo di orientare il lettore verso la comprensione della vera religione. Per questa ragione, come già avevano sostenuto molti esegeti, i fatti della Bibbia sono stati necessariamente scritti in modo tale da poter essere compresi anche dagli antichi e dalla gente comune. Occorre quindi discernere, come già sostenuto da Agostino d'Ippona, il messaggio propriamente religioso dalla descrizione, storicamente connotata e inevitabilmente narrativa e didascalica, di fatti, episodi e personaggi: « Dal che seguita, che qualunque volta alcuno, nell'esporla, volesse fermarsi sempre nel nudo suono litterale, potrebbe, errando esso, far apparire nelle Scritture non solo contraddizioni e proposizioni remote dal vero, ma gravi eresie e bestemmie ancora: poi che sarebbe necessario dare a Iddio e piedi e mani e occhi, e non meno affetti corporali e umani, come d'ira, di pentimento, d'odio ed anco tal volta la dimenticanza delle cose passate e l'ignoranza delle future [...] » (Galileo Galilei, Lettera a Madama Cristina di Lorena granduchessa di Toscana). Sempre nella lettera alla granduchessa Cristina di Lorena del 1615, alla domanda se la teologia potesse ancora essere concepita come la regina delle scienze, Galilei rispose che l'oggetto di cui trattava la teologia la rendeva d'importanza primaria, ma che questa non poteva pretendere di pronunciare giudizi nel campo delle verità della scienza. Al contrario, se un certo fatto o fenomeno scientificamente dimostrato non si accorda con i testi sacri, allora sono questi che devono essere riletti alla luce dei nuovi progressi e delle nuove scoperte. Secondo la dottrina galileiana delle due verità non vi può essere, in definitiva, disaccordo tra vera scienza e vera fede essendo, per definizione, entrambe vere. Ma, in caso di apparente contraddizione su fatti naturali, occorre modificare l'interpretazione del testo sacro per adeguarla alle conoscenze scientifiche più aggiornate. La posizione della Chiesa al riguardo non differiva sostanzialmente da quella di Galileo: con molte più cautele, anche la Chiesa cattolica ammetteva la necessità di rivedere l'interpretazione delle sacre scritture alla luce di fatti nuovi e nuove conoscenze solidamente comprovate. Ma nel caso del sistema copernicano, il cardinal Roberto Bellarmino e molti altri teologi cattolici sostennero, ragionevolmente, che non vi fossero prove conclusive a suo favore.
Nell'Astronomia nova Keplero enuncia due delle tre leggi che portano il suo nome. La terza compare nel Harmonices mundi libri quinque del 1619. Le tre leggi di Keplero rappresentano un modello di descrizione del moto dei pianeti del sistema solare assolutamente preciso. Le tre leggi sono:
1) L'orbita descritta da ogni pianeta nel proprio moto di rivoluzione è un'ellisse di cui il Sole occupa uno dei due fuochi.
2) Durante il movimento del pianeta, il raggio che unisce il centro del Pianeta al centro del Sole (raggio vettore) descrive aree uguali in tempi uguali.
3) Il quadrato del periodo di rivoluzione di un pianeta è proporzionale al cubo della sua distanza media dal Sole.
Sul finire del 1600 Isacco Newton illuminò del suo genio il mondo della fisica facendo luce su molti problemi ancora irrisolti. Noto soprattutto per il suo contributo alla meccanica classica, Isaac Newton contribuì in maniera fondamentale a più di una branca del sapere. Pubblicò i Philosophiae Naturalis Principia Mathematica nel 1687, opera nella quale descrisse la legge di gravitazione universale e, attraverso le sue leggi del moto, stabilì i fondamenti per la meccanica classica. Newton inoltre condivise con Gottfried Wilhelm Leibniz la paternità dello sviluppo del calcolo differenziale o infinitesimale. Newton fu il primo a dimostrare che le leggi della natura governano il movimento della Terra e degli altri corpi celesti. Egli contribuì alla Rivoluzione scientifica e al successo definitivo della teoria eliocentrica. A Newton si deve anche la sistematizzazione matematica delle leggi di Keplero sul movimento dei pianeti. Oltre a dedurle matematicamente dalla soluzione del problema della dinamica applicata alla Forza di gravità (problema dei due corpi) ovvero dalle omonime equazioni di Newton, egli generalizzò queste leggi intuendo che le orbite (come quelle delle comete) potevano essere non solo ellittiche, ma anche iperboliche e paraboliche. Newton fu il primo a dimostrare che la luce bianca è composta dalla somma (in frequenza) di tutti gli altri colori. Egli, infine, avanzò l'ipotesi che la luce fosse composta da particelle da cui nacque la teoria corpuscolare della luce in contrapposizione ai sostenitori della teoria ondulatoria della luce, patrocinata dall'astronomo olandese Christiaan Huygens e dall'inglese Young e corroborata alla fine dell'Ottocento dai lavori di Maxwell e Hertz. La tesi di Newton trovò invece conferme, circa due secoli dopo, con l'introduzione del "quanto " da parte Max Planck (1900) e l'articolo di Albert Einstein (1905) sull'interpretazione dell'effetto fotoelettrico a partire dal quanto di radiazione elettromagnetica, poi denominato fotone. Queste due interpretazioni coesisteranno nell'ambito della meccanica quantistica, come previsto dal dualismo onda-particella. Isaac Newton occupa una posizione di grande rilievo nella storia della scienza e della cultura in generale. Il suo nome è associato a una grande quantità di leggi e teorie ancora oggi insegnate: si parla così di dinamica newtoniana, di leggi newtoniane del moto, di legge di gravitazione universale. Più in generale ci si riferisce al newtonianesimo come a una concezione del mondo che ha influenzato la cultura europea per tutto il Seicento.
Alla fine del XVII secolo Edmond Halley scoprì che la cometa che, oggi, porta oggi il suo nome segue un'orbita periodica intorno al Sole, retta dalle leggi di Keplero. Nel 1676, visitò l'isola di Sant'Elena con l'intenzione di studiare le stelle dall'emisfero australe. L'anno seguente pubblicò Catalogus Stellarum Australium che comprendeva 341 stelle meridionali. Un problema che attirò la sua attenzione fu la prova delle leggi di Keplero sul moto planetario. Nell'agosto del 1684 andò a Cambridge per discuterne con Isaac Newton, scoprì che Newton aveva già risolto il problema matematicamente ma non aveva ancora pubblicato niente. Halley lo convinse a scrivere Philosophiae Naturalis Principia Mathematica (1687), che fu pubblicato a spese di Halley. Nel 1705 pubblicò Synopsis Astronomia Cometicae nel quale espose il suo convincimento che gli avvistamenti cometari del 1456, 1531 1607 e 1682 erano relativi alla stessa cometa, e ne predisse il ritorno nel 1758. Quando ciò accadde, divenne nota come la Cometa di Halley. Nel 1716, Halley suggerì una misurazione precisa della distanza tra la Terra e il Sole basandosi sul transito di Venere. Nel 1718 scoprì il moto proprio delle stelle "fisse", comparando le sue misurazioni astrometriche con quelle riportate nell'Almagesto. Halley fu il primo scienziato a stabilire che alcune stelle erano dotate di moto proprio.
Fu però, Wilhelm Herschel che parecchi decenni più tardi stabilì che nel cosmo non c'è nulla a riposo, che tutto si trova in movimento a cominciare dalle cosiddette stelle fisse e dalla stessa Via Lattea. Herschel fu un pioniere anche nella galattografia. Nel 1784, infatti, decise di contare il numero complessivo delle stelle tramite un computo a campione. Conoscendo il numero preciso, sarebbe stato possibile comprendere la forma della Via Lattea. Divise il cielo in 683 zone a campione e calcolò il numero di stelle in ognuna di esse. Scoprì che il numero di stelle era massimo sul piano della via Lattea e minimo perpendicolarmente a esso. Le stelle erano pari a trecento milioni e la galassia aveva la forma di una macina, lunga 7000 anni luce e larga 1300, con il sole in una posizione non troppo privilegiata. Per quanto i suoi dati siano ben inferiori al reale, è innegabile lo spirito pionieristico dello studio e la difficoltà di operare senza poter effettuare fotografie. Dovette passare un secolo prima che altri cercassero di ottenere misure migliori. In "On the Construction of the Heavens" (1785) riuscì a descrivere la struttura tridimensionale della Via Lattea. Frutto delle sue osservazioni della sfera celeste i suoi cataloghi contenevano la descrizione di circa 2.500 nebulose. Infine scoprì che le stelle binarie erano un sistema unico nel quale una delle due stelle ruotava intorno all'altra. Durante tutto il cammino per la configurazione di un'Universo circoscritto, formato da un'unica grande galassia "lenticolare" fatta di una moltitudine di stelle e situata in un luogo determinato dentro uno spazio vuoto infinito mancava ad Herschel e ai suoi successori una misura affidabile della distanza delle stelle; si capiva che questa misura poteva essere effetttuata grazie alla misura della parallase stellare ma l'osservazione si rivelò estremamente ardua.
Solo nel 1838 Wilhelm Bessel riuscì nell'impresa, rompendo la barriera del secondo d'Arco. Si ritenne, pertanto, più comodo introdurre una nuova unità di misura delle distanze, il Mpc (megaparsec); 1 Mpc=3 milioni di anni luce. Oggi la missione Gaia dell'Agenzia Spaziale Europea prevede di utilizzare tecnologie che hanno portato la sensibilità della parallasse al valore del microsecondo di arco, un nilione di volte più sensibile della prima misura effettuata da Bissel. Un'equipe di più di mille astronomi dislocati nei laboratori di tutto il pianeta riporta risultati miliardi di volte maggiori di quelli ottenuti dai due grandi pionieri dello spazio, Herschel e Bissel, con la loro scarsa attrezzatura ma grande coraggio e inventiva. Man mano che si ristringerà l'angolo di parallasse si sarà in grado di valutare le distanze di oggetti sempre più lontani, uscendo dall'isola ristretta della Via Lattea ed esplorando l'Universo extragalattico.

parsec

Il parsec è definito come la distanza dalla Terra (o dal Sole) di una stella (P) che ha una parallasse di 1 secondo d'arco (è l'angolo formato dai segmenti PS e PT). Infatti, del triangolo rettangolo PST, conoscendo il lato ST e l'angolo sul vertice P è possibile risalire al valore di PT, la distanza tra la Terra e la stella di cui si misura la parallasse.

Laplace, ai primi del 1800, diede un valido contributo alla meccanica celeste spiegando in modo molto dettagliato il moto dei corpi. Trascorse gran parte della sua vita lavorando sull'astronomia matematica e il suo lavoro culminò nella verifica della stabilità dinamica del sistema solare sotto l'ipotesi che esso consista in un insieme di corpi rigidi che si muovono nel vuoto. Formulò autonomamente l'ipotesi della nebulosa, già ipotizzata nel 1755 da Immanuel Kant, assertore dell'esistenza di infinite galassie esterne alla Via Lattea, che il filosofo chiamò Uuniversi isola, in cotrapposizione all'isola solitaria (la Via Lattea) di Herschel. Laplace fu uno dei primi scienziati a postulare l'esistenza dei buchi neri e la nozione di collasso gravitazionale. Secondo l'ipotesi laplaciana della nebulosa, il sistema solare si sarebbe sviluppato da una massa globulare di gas incandescente che ruotava attorno a un asse passante per il suo centro di massa. Raffreddandosi questa massa si sarebbe ristretta e alcuni anelli concentrici si sarebbero staccati dal suo bordo esterno. Questi anelli poi, raffreddatisi, si sarebbero condensati nei pianeti. Il Sole rappresenterebbe il nucleo centrale della nebulosa che, rimasto ancora incandescente, continuerebbe a irradiare. Da questo punto di vista dovremmo aspettarci che i pianeti più distanti siano più vecchi rispetto a quelli più vicini al Sole. L'idea sostanziale della teoria, seppur con qualche importante modifica, è accettata ancora oggi. Laplace inoltre intuì il concetto di buco nero. Egli mostrò che ci potrebbero esistere stelle massive dotate di gravità così grande che nemmeno la luce avrebbe velocità sufficiente a uscire dal loro interno. Laplace inoltre ipotizzò che alcune delle nebulose mostrate dai telescopi non facessero parte della Via Lattea e fossero esse stesse delle galassie. Quindi, Laplace, intuendo che esistessero corpi celesti al di fuori dell'Universo circoscritto alla Via Lattea di Herschel, anticipò la grande scoperta di Edwin Hubble, un secolo prima che avvenisse.
Edwin Hubble è noto principalmente per la scoperta, assieme a Milton Humason, nel 1929, della correlazione redshift-distanza, universalmente nota come legge di Hubble, la cui interpretazione è coerente con le soluzioni di Alexander Friedman e Georges Lemaître delle equazioni di Einstein per uno spaziotempo omogeneo isotropo e in espansione. Il Telescopio Hooker usato da Hubble all'Osservatorio di Monte Wilson era, allora, il più potente del mondo. Le osservazioni di Hubble condotte tra il 1923 e il 1924 con l'Hooker stabilirono, senza ombra di dubbio, che gran parte delle cosiddette nebulose a spirale, prima osservate con telescopi meno potenti, non facevano parte della nostra galassia, ma erano esse stesse galassie, poste al di fuori della Via Lattea. Ciò fu possibile dopo che Hubble osservò per la prima volta la stella V1, una variabile cefeide nella Galassia di Andromeda, determinandone la distanza con precisione e smentendo la precedente teoria, sostenuta anche da Shapley, sull'appartenenza di tali nebulose alla nostra galassia. L'annuncio di questa scoperta rivoluzionaria, fu dato il 30 dicembre 1924. Il telescopio Hooker fu usato da Hubble anche per misurare i redshift delle galassie. Unendo le sue misure delle distanze delle galassie (con la parallasse) e le misure dei redshift scoprì una proporzionalità tra le due misure. Nel 1929 Hubble, assieme a Milton Humason, formulò la legge empirica di distanza di redshift delle galassie, oggi nota come legge di Hubble, che portò al concetto di universo in espansione. Se il redshift è interpretato come misura di velocità di allontanamento, allora esso indica uno spazio in espansione omogenea. Questa scoperta successivamente ha portato alla formulazione della teoria del Big Bang da parte di George Gamow. Nel 1917 Albert Einstein aveva avuto gli stessi risultati nella Teoria della relatività generale ma, non volendo accettare le implicazioni cosmologiche che potevano conseguirne, introdusse nelle equazioni la costante cosmologica. Quando Einstein venne a conoscenza della scoperta di Hubble, disse che quella costante era stato l'errore più grande della sua vita. Hubble, inoltre, inventò un sistema di classificazione per le galassie, raggruppandole secondo contenuto, distanza, forma, dimensione e brillantezza.

Per alcuni decenni il mondo scientifico era stato interessato dal grande dibattito sull'esistenza o meno di oggetti cosmici al di fuori della Via Lattea. La prima soluzione al problema venne dalle stelle isolate nella nebulosa a spirale di Andromeda: il confronto dei loro spettri con quelli di altre spirali non identificabili, rivelò che avevano una natura analoga. Il colpo finale lo diede Edwin Hibble con le osservazioni fatte con il grande telescopio Hooker; le sue osservazioni non lasciavano adito a dubbi. La costellazione di Andromeda era un oggetto extragalattico e immenso un'"universo-isola" a se stante. Di conseguenza il lungo cammino da Copernico a Hubble condusse nella metà del XX secolo a un quadro del cosmo sconcertante per la sua immensità, in espansione e con una struttura che solo i geni come Kant avevano immaginato: centinaia di miliardi di galassie fino a dove arriva l'osservazione, di forme e dimensioni diverse, non solo a spirale, formate ognuna da centinaia di migliaia di stelle. La grande struttura dell'Universo.

andromeda

Andromeda, la prima galassia individuata come esterna alla Via Lattea.

Nel 1964 dagli astronomi statunitensi Arno Penzias e Robert Woodrow Wilson scoprirono la radiazione cosmica di fondo (CMB); come Hubble aveva consentito di osservare l'Universo ai suoi limiti estremi, così con la CMB era possibile osservarlo com'era nel passato. All'inizio degli anni sessanta fu scoperta l'esistenza dei QUASAR. Il primo spettro di un quasar, che rivelò numerose linee di emissione, dalle quali si misurò il caratteristico spostamento verso il rosso, fu ottenuto da Maarten Schmidt nel 1963. Una volta identificata la classe di oggetti, fu possibile rintracciarli anche su lastre fotografiche risalenti anche al XIX secolo. Un quasar (contrazione di QUASi-stellAR radio source, radiosorgente quasi stellare) è un nucleo galattico attivo estremamente luminoso e generalmente molto distante dalla Terra (dell'ordine dei miliardi di anni luce). Il nome deriva dal fatto che questi oggetti, la cui natura è stata controversa fino ai primi anni ottanta, furono inizialmente scoperti come potenti sorgenti radio, la cui controparte ottica risultava puntiforme come una stella. Il grande spostamento verso il rosso che caratterizza i quasar, in accordo con la legge di Hubble, implica che siano oggetti molto distanti, potremmo dire ai confini dell'Universo, e che debbano emettere energia equivalente a centinaia di normali galassie. Si ritiene comunemente che i quasar siano enormi galassie attive la cui grande luminosità sia originata dall'attrito causato da gas e polveri che cadono in un buco nero supermassiccio. Nel 1998 Saul Perlmutter, Brian P. Schmidt e Adam Riess sulla base di osservazioni di supernove di tipo Ia in galassie lontane scoprono che l'Universo si trova in una fase di espansione accelerata. Le supernove di tipo Ia sono oggetti molto luminosi, tanto da diventare luminose quanto tutta la galassia a cui appartengono. Sono inoltre caratterizzate da ben definite curve di luminosità e spettro. Queste caratteristiche fanno sì che possano essere utilizzate come candele standard e permettano una misura precisa della loro distanza. Questa, insieme con la misura dello spostamento verso il rosso, ha permesso di misurare la velocità di espansione in corrispondenza a diverse distanze spazio-temporali ed evidenziare così l'accelerazione dell'espansione dell'Universo. Le osservazioni del 1998 sono state ripetute e confermate. Inoltre l'evidenza di un universo in accelerazione è stata corroborata da altre misure indipendenti come quelle basate sul clustering di galassie e sull'osservazione dell'anisotropia della radiazione cosmica di fondo.

La teoria della nucleosintesi primordiale regola la formazione degli elementi leggeri nell'universo primordiale, come l'elio, il deuterio e il litio, mentre la teoria della struttura a grande scala dell'Universo regola la formazione di stelle, quasar, galassie e gruppi e ammassi di galassie. Entrambe le teorie suggeriscono che la densità d'energia di tutta la materia ipotizzabile nell'universo, costituita dai barioni e dalla materia oscura , sia circa il 30% di quella necessaria per rendere la curvatura dell'universo nulla. Poiché misurazioni della radiazione cosmica di fondo effettuate dal satellite WMAP, lanciato nel 2001, indicano che l'universo è molto vicino a una curvatura nulla, è possibile concludere che una quota di energia non visibile, "oscura" appunto, deve costituire il restante 70% circa. Giova notare che la curvatura nulla è avvalorata dalla validazione del teorema di Pitagora, anche a distanze cosmologiche. Non c'è contrasto tra curvatura nulla e deformazioni dello spazio tempo perchè la curvatura dell'Universo media tra tutte le curvature presenti in prossimità di materia e di energia. Se si assume la relatività generale come teoria della gravitazione bisogna metterla in relazione con un tipo adatto di Universo. Le soluzioni cosmologiche delle equazioni di Einstein propongono diversi modelli: si assumono quindi delle semplificazioni che permettono di restringere il campo. Tra il ventaglio delle possibili ipotesi, l’Universo che raccoglie il maggior consenso, il più semplice da descrivere e supportato dalle maggiori evidenze osservative, è quello spazialmente omogeneo e isotropo, ossia con proprietà fisiche identiche in ogni punto dello spazio e che appare simile in tutte le direzioni, senza che ne esista alcuna privilegiata. Queste due ipotesi (omogeneità e isotropia) sono in buon accordo con le osservazioni della distribuzione della materia a grande scala e con le caratteristiche della radiazione cosmica di fondo. Ovviamente si osservano direzioni con maggiori concentrazioni di materia (galassie, ammassi, superammassi) e distribuzioni irregolari, ma l’uniformità spaziale diventa sempre più netta quanto più lontano la si osservi. Matematicamente, per un Universo omogeneo e isotropo lo spazio deve avere una curvatura media costante, perché questa è determinata dalla materia che, a sua volta, deve essere distribuita in modo uniforme. In conclusione l'Universo è piatto, omogeneo e isotropo.

Eugenio Caruso - 2 marzo -2016

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