L'Odissea con alcune considerazioni personali

Recentemente ho pubblicato un articolo con il quale notavo alcune associazioni logiche tra Omero e Dante; discutendone con alcuni mi resi conto che quasi nessuno conosceva o ricordava la trama dell'Odissea. Ritengo pertanto utile parlarne.

L'Odissea (greco: Odysseia) è uno dei due grandi poemi epici greci attribuiti al poeta Omero. La datazione del poema viene comunemente fatta risalire al periodo tra l'800 a.C. e il 700 a.C. L'argomento del poema è in parte una continuazione dell'Iliade, e tratta principalmente delle avventure capitate a Odisseo (Ulisse, alla latina) durante il suo lungo viaggio di ritorno verso la sua patria Itaca, dopo la caduta di Troia. Mi piace notare che la mia recente rilettura dell'Odissea mi porta alla conclusione che le "famose" avventure di Odisseo sono, in gran parte, dovute a errori, imprudenze e facilonerie.
Odisseo è una personalità "multiforme": in alcune occasioni è franco e generoso, in altre raffinatamente falso, calcolatore e privo di scrupoli. Ha il pensiero rivolto a Itaca, ma va continuamente in cerca di avventure; è cauto e fiuta i pericoli, ma si caccia senza necessità nei guai, come quando, ad esempio, entra nell'antro di Polifemo, scatenando ancor più l'ira di Poseidone. Dai lirici greci e latini, passando per Dante, fino a oggi, i tratti negativi e quelli positivi si intrecciano e riprendono gli epiteti già presenti nell'Odissea: l'eroe è infatti "ricco di astuzie", "dal multiforme ingegno", "audace", "capace di grande sopportazione", "grande viaggiatore", "versatile". Insomma, da Odisseo, già per gli antichi ci si poteva aspettare di tutto. A me piace ricordare che Odisseo, che nelle letture scolastiche ci fanno passare per un eroe, con la testa sempre rivolta a Itaca e alla sua famiglia, dei dieci anni del suo viaggio ne passò sette o otto tra le braccia di Calipso e uno tra quelle di Circe e che una volta giunto a Itaca, immediatamente ripartì, se seguiamo alla lettera la profezia di Tiresia.
A esclusione di Nestore, tutti i Greci che combatterono a Troia ebbero "difficoltà" a rientrare in patria. Come profetizzato da Ettore in punto di morte Achille fu ucciso da Paride con una freccia avvelenata diretta nel tallone destro, il suo unico punto mortale (secondo Stazio). Secondo diverse, fonti quando Achille fu trafitto mortalmente, Glauco, guerriero della Licia che combatteva a fianco dei troiani, cercò di impossessarsi del suo cadavere: egli scagliò la sua lancia contro Aiace Telamonio, il quale proteggeva il corpo di Achille, ma essa riuscì solo a scalfire lo scudo senza che gli penetrasse nella pelle. Aiace, a sua volta, gli scagliò contro la sua lancia, ferendolo mortalmente e poi, roteando la sua immensa ascia, tenne lontano i troiani, dando modo a Odisseo di caricare Achille sul suo carro e di portarlo via. Aiace accecato dall'ira per non aver ricevuto in premio le armi di Achille impazzi e si suicidò. Agamennone fu favorito da Era e rientrò a Micene in poco tempo. Per festeggiare il ritorno di Agamennone, Clitennestra organizzò un banchetto al quale avrebbero partecipato anche i compagni di Agamennone. Prima del banchetto il re volle riprendere le forze con un bagno ristoratore e, nonostante Cassandra lo avesse avvertito del pericolo incombente, si affidò alle attenzioni della moglie. Mentre egli usciva dal bagno Clitennestra lo imprigionò in un panno e aiutata da Egisto, lo colpì con una spada e lo decapitò. Poi si mosse a uccidere Cassandra, mentre Egisto, con una schiera di uomini fedeli, faceva strage dei compagni di Agamennone, che si erano radunati nella sala del palazzo in attesa dei festeggiamenti. Menelao fu, con Nestore, tra i primi a salpare da Troia alla volta della Grecia, insieme a Elena ma, dopo varie peripezie, raggiunse la patria solamente otto anni dopo. A differenza di quello del fratello, il suo matrimonio sarebbe da allora durato felice, tanto che avrebbe in seguito ospitato Telemaco partito alla ricerca del padre.
Il poema è uno dei testi fondamentali della cultura classica occidentale, e viene tuttora comunemente letto in tutto il mondo, sia nella versione originale, che attraverso le numerose traduzioni. L'Odissea si presenta attualmente in forma scritta, mentre in origine il poema era tramandato in forma orale da abili ed esperti aedi; mi piace ricordare che anche La Commedia di Dante veniva recitata da aedi in tutte le corti d'Europa.
Tra gli aspetti più interessanti del testo vi è la sorprendente modernità dello sviluppo della narrazione, con l'uso Frequente del "flash-back". Inoltre, diversamente da come accade in altri poemi epici, lo svolgersi degli avvenimenti sembra fatto dipendere tanto dalle scelte e dalle azioni dei personaggi femminili e degli schiavi, quanto dalle gesta degli eroi e dei guerrieri.
L'originale più antico dell'opera risale al VII secolo a.C., quando il tiranno ateniese Pisistrato, nel VI secolo a.C., decide di uniformare e dare forma scritta al poema che fino ad allora si era tramandato quasi esclusivamente per forma orale. Quest'ultima forma, però, continuerà fino al III secolo d.C. in Egitto, con tutti i cambiamenti e le mutazioni inevitabili nella forma orale.
L'Odissea è anche stata vista come l'archetipo del romanzo, in quanto racconta dall'inizio alla fine la vicenda scelta, senza lasciarsi troppo distrarre, per così dire, da eventi secondari e non strettamente correlati alle avventure di Odisseo. È da segnalare, infine, che la suddivisione in 24 libri non è originale. Furono infatti i filologi alessandrini a suddividere i due poemi omerici in 24 capitoli e ad assegnare ad ogni capitolo una lettera dell'alfabeto greco (composto da 24 lettere, appunto): maiuscole per l'Iliade, minuscole per l'Odissea.
La trama
Telemaco, il figlio di Odisseo, era ancora un bambino quando suo padre era partito per la Guerra di Troia. Al momento in cui la narrazione dell'Odissea ha inizio, dieci anni dopo che la guerra stessa è terminata, Telemaco è ormai un uomo di circa vent'anni, e condivide la casa paterna con la madre Penelope e, suo malgrado, con un gruppo di uomini turbolenti e arroganti, i Proci, che intendono convincere Penelope ad accettare il fatto che la scomparsa del marito è ormai definitiva e deve, di conseguenza, scegliere tra di loro un nuovo marito per governare Itaca (Il termine è latino, procus, proci, ed è usato per tradurre letteralmente il termine originale in greco antico: "pretendenti").
La dea Atena, che è la protettrice di Odisseo, in un momento in cui il dio del mare Poseidone (che invece è suo nemico giurato) si è allontanato dall'Olimpo, discute del suo destino con Zeus. Quindi, assunte le sembianze di Mente, re dei Tafi, va da Telemaco e lo esorta ad andare al più presto in cerca di notizie del padre. Telemaco le offre ospitalità e insieme assistono alle gozzoviglie serali dei Proci, mentre il cantastorie Femio recita per loro un poema. Penelope si lamenta del testo scelto da Femio, ovvero il "Ritorno da Troia", perché le ricorda il marito scomparso, ma Telemaco si oppone alle sue lamentele.
Il mattino seguente Telemaco convoca un'assemblea dei cittadini di Itaca e chiede loro di fornirgli una nave e un equipaggio. Accompagnato da Atena (che stavolta ha assunto le sembianze del suo amico Mentore) fa quindi vela verso la casa di Nestore, il più venerabile dei guerrieri greci che, dopo aver partecipato alla guerra di Troia, aveva fatto ritorno nella sua Pilo. Da qui Telemaco, accompagnato dal figlio di Nestore, Pisistrato, si dirige via terra verso Sparta, dove incontra Menelao ed Elena. Gli raccontano che erano riusciti a fare ritorno in Grecia dopo un lungo viaggio durante il quale erano passati anche per l'Egitto: lì, sull'isola incantata di Faro, Menelao aveva incontrato il vecchio dio del mare Proteo che gli aveva detto che Odisseo era prigioniero della misteriosa Ninfa Calipso. Telemaco viene così a conoscenza anche del destino del fratello di Menelao, Agamennone.
Odisseo, dopo svariate peripezie delle quali dobbiamo ancora parlare, ha trascorso appunto gli ultimi sette anni prigioniero sulla lontana isola della Ninfa Calipso.

Odisseo 1

Odisseo e Calipso di Brueghel il Vecchio

Il messaggero degli dei Ermes convince la Ninfa a lasciarlo andare, e Odisseo si costruisce a questo scopo una zattera. La zattera, dato che il dio del mare Poseidone gli è nemico, fa inevitabilmente naufragio, ma egli riesce a salvarsi a nuoto toccando alla fine terra sull'isola Scheria sulla cui riva, nudo ed esausto, cade addormentato. Il mattino dopo, svegliatosi udendo delle risa di ragazze, vede la giovane Nausicaa che era andata sulla spiaggia accompagnata dalle sue ancelle per lavare dei panni. Odisseo le chiede così aiuto, ed ella lo esorta a chiedere l'ospitalità dei suoi genitori Arete e Alcinoo. Questi lo accolgono amichevolmente senza nemmeno, chiedergli chi egli sia. Resta parecchi giorni con Alcinoo, partecipa ad alcune gare atletiche ed ascolta il cieco cantore Demodoco esibirsi nella narrazione di due antichi poemi.
Il primo narra di un altrimenti poco noto episodio della guerra di Troia, "La lite tra Odisseo ed Achille"; il secondo è il divertente racconto della storia d'amore tra due déi dell'Olimpo, Marte e Afrodite. Alla fine Odisseo chiede a Demodoco di continuare a occuparsi della guerra di Troia, e questi racconta dello stratagemma del Cavallo di Troia, episodio nel quale Odisseo aveva svolto la parte dell'indiscusso protagonista. Incapace di dominare le emozioni suscitate dall'aver rivissuto quei momenti, Odisseo finisce per rivelare la sua identità, e inizia a narrare l'incredibile storia del suo ritorno da Troia.

Lasciata Troia, dopo aver saccheggiato la città di Ismaro, nella terra dei Ciconi, Odisseo e le dodici navi della sua flotta persero la rotta a causa di una tempesta che si abbatté su di loro. Approdarono sulle coste della Libia nella terra dei "pigri" Lotofagi (mangiatori di loto). Gli studiosi hanno individuato nei frutti di giuggiolo, frutto zuccherino, fornito di nocciolo che veniva mescolato a chicchi di frumento e che rappresentava la maggiore fonte di sostentamento alimentare di questa popolazione. I Lotofagi, spremevano questo elemento per ricavarne un sidro. Ma, nell'avventura di Odisseo contano solo gli effetti della sua assunzione: chiunque ne mangiasse o ne bevesse piombava nell'oblio, dimenticando il passato e perdendo interesse per il futuro. E' quello che accade a tre compagni di Odisseo mandati in avanscoperta che bevono il sidro offerto loro di Lotofagi. I tre devono essere legati per essere riportati sulle navi.
Omero ci narra che Odisseo sbarca nella Terra dei Ciclopi. Spinto dalla curiosità, egli raggiunge la grotta del più terribile di tutti, Polifemo, figlio di Poseidone e Toosa; egli aveva abbandonato la pratica della metallurgia e si dedicava ala pastorizia. Odisseo vuole assolutamente visitarne la grotta dove, con gli uomini che aveva portato con sé, imbandisce una lauto pranzo attingendo senza risparmio alle provviste del ciclope, a base di carne arrostita di capretto e formaggi. Sul far della sera Polifemo rientra e si chiude in "casa" ponendo all'ingrsso un enorme masso. Quando si accorge degli "ospiti" questi vengono catturati dal gigante. Vengono, inoltre, divorati sei uomini dei dodici scelti da Odisseo per esplorare l'isola. Intrappolati nella caverna del Ciclope, il cui ingresso è bloccato, Odisseo escogita un piano per sfuggire alla prigionia di Polifemo. Come prima mossa, egli offre del vino molto forte al Ciclope, per farlo cadere in un sonno profondo. Polifemo gradisce così tanto il vino che promette a Odisseo un dono, chiedendogli però il suo nome. Odisseo, astutamente, gli rispose allora di chiamarsi "Nessuno"; "E io mangerò per ultimo Nessuno", è il dono del ciclope. Dopodiché Polifemo si addormenta profondamente, stordito dal vino. Qui Odisseo mette in atto la seconda parte del suo piano. Egli infatti, insieme ai suoi compagni, aveva preparato un bastone di notevoli dimensioni ricavato da un ulivo che una volta arroventato viene piantato nell'occhio del Ciclope dormiente. Polifemo urla così forte da destare dal sonno i ciclopi suoi fratelli. Essi corrono allora alla porta della sua grotta mentre Odisseo e i suoi compagni si nascondono vicino al gregge di Polifemo. I ciclopi chiedono a Polifemo perché avesse urlato così forte e perché stesse invocando aiuto, ed egli risponde loro che "Nessuno" stava cercando di ucciderlo. I ciclopi pensandolo ubriaco lo lasciano perdere. La mattina dopo, mentre Polifemo fa uscire il suo gregge per liberarlo, giacché lui non sarebbe stato più in grado di guidarlo, Odisseo e i suoi soldati scappano grazie a un altro abile stratagemma, che faceva parte della terza parte del piano. Ognuno di loro si era aggrappato infatti al vello del ventre di una pecora per sfuggire al tocco di Polifemo, poiché il Ciclope si era posto davanti alla porta della caverna, tastando ogni pecora in uscita per impedire ai Greci di fuggire. Odisseo, ultimo a uscire dalla grotta, lo fa aggrappato all'ariete più grande.
Accortosi della fuga dei Greci, Polifemo si spinge su un promontorio, dove, alla cieca, inizia a gettare enormi sassi in mare, nel tentativo di affondare la nave. Qui Odisseo commette un altro errore. All'ennesimo tiro a vuoto del Gigante, ridendo, urla: «Se qualcuno ti chiederà chi ti ha accecato, rispondi che non fu Oudeis ("Nessuno"), ma Odisseo d'Itaca!», rivelando così il suo vero nome. Polifemo, venuto allora a conoscenza dell'identità del greco, lo maledì, invocando il padre suo Poseidone e pregandolo di non farlo mai ritornare in patria.
Sin dall'antichità, i Greci situavano il paese dei Ciclopi in Sicilia, ai piedi dell'Etna, così come del resto attesta lo stesso Tucidide: «La più antica popolazione che la tradizione riconosce come aver vissuto una parte della Sicilia sono i Ciclopi». In effetti lo storico non fece altro che riprendere le conoscenze diffuse dai navigatori greci sin dai tempi delle prime spedizioni coloniali nell'VIII secolo a.C., conoscenze che riflettono la loro rappresentazione dei mari e delle terre occidentali. Di fronte alla "terra dei Ciclopi" Odisseo e i suoi uomini sbarcano su di un'isola disabitata ma peraltro ricca di risorse: terre fertili, pascoli per il bestiame, colline per i vigneti, sorgenti di acqua limpida, porto naturale dal facile ancoraggio, senza ormeggio difficoltoso né manovre lunghe e delicate. Tutto questo sviluppo del poema dell'Odissea sembra progettato per suggerire come l'isola offra ogni possibile vantaggio per mercanti in cerca di approdi e punti vendita. Ellenisti e studiosi hanno dunque cercato di individuare quale fosse effettivamente il paese dei Ciclopi. I nomi che appaiono su tutte le carte marine ed i dati di navigazione situano il paese dei Ciclopi alle pendici dell'Etna, di fronte ai Faraglioni dei Ciclopi presso Aci Trezza. Ma è a Milazzo dove sorge il famoso antro, che ancora oggi si può ammirare. Molti studi permettono di assimilare il ciclope Polifemo a un vulcano dall'unico cratere tondeggiante, l'Etna: del resto, come il vulcano, Polifemo sprofonda nel sonno dopo un'eruzione e nei suoi terribili risvegli erutta e scaglia lontano massi e rocce. A sua volta Victor Berard, basandosi su di una breve indicazione di Tucidide, situa la terra dei Ciclopi lievemente a nord di Napoli, laddove si trova l'isola di Nisida e, fra le scogliere di Posillipo, molte grotte servirono come abitazioni rupestri sino al ventesimo secolo. Una di queste grotte, particolarmente grande, chiamata Grotta di Seiano, potrebbe essere, secondo l'ellenista, la grotta di Polifemo. Infine, fra le varie ipotesi, Ernie Bradford opta per l'arcipelago delle Egadi, composto da Marettimo, Favignana e Levanzo; su quest'ultima isola si trova la Grotta dei Genovesi, abitata sin dal Paleolitico e dal Neolitico. L'isola montagnosa di Marettimo in particolare, costellata di grotte, ha un aspetto piuttosto impressionante. Dinnanzi, sulla costa della Sicilia, le rovine dell'antica città di Erice attestano peraltro una presenza greca molto antica. Nessuna di queste tre differenti ipotesi si è tuttora affermata definitivamente.
I greci sostano per un periodo alla reggia del signore dei venti Eolo, che consegna a Odisseo un otre di pelle che racchiude tutti i venti, un dono che avrebbe garantito loro un rapido e sicuro ritorno a casa. Purtroppo i marinai aprono sconsideratamente l'otre mentre Odisseo dorme. Tutti i venti escono insieme dall'otre, scatenando una tempesta che ricaccia le navi indietro da dove erano venute. Pregano Eolo di aiutarli nuovamente, ma egli rifiuta di farlo.
Rimessisi in mare finiscono per approdare sulla terra dei cannibali Lestrigoni (da alcuni collocata in Sicilia e da altri dove oggi sorge Formia): solo la nave di Odisseo riesce a sfuggire al terribile destino.
Nuovamente salpati giungono all'isola di Circe (in greco Kìrke), una dea della mitologia greca che compare per la prima volta nell'Odissea. Sull'isola, alcuni dei suoi compagni di viaggio introdottisi nel suo palazzo vengono da Circe trasformati in porci e quindi condotti nelle stalle.
« E quella, subito uscì e aprì le porte splendenti
e li invitò: essi, stolti, tutti insieme la seguirono.
Euriloco invece rimase indietro: sospettò l’inganno.
Ella li condusse dentro, li fece sedere su sedie e seggi,
e per essi formaggio e farina e giallognolo miele
mescolò con vino di Pramno; e nell’impasto aggiunse
veleni funesti perché del tutto scordassero la patria terra.
Ma quando a loro lo diede ed essi bevvero, allora subito
li percosse con la sua verga e li rinchiuse nel porcile.
Ed essi di porci avevano e testa e voce e peli
e tutto il corpo, ma la mente era intatta, come prima.
Così quelli piangenti furono rinchiusi; e a loro Circe
buttò ghiande di leccio e di quercia e corniolo,
quali sempre mangiano i porci che dormono per terra. (Od. X,230-243) »
Il dio Ermes viene quindi in soccorso di Odisseo e gli dona un infuso a base di erbe magiche, utile come antidoto contro l'effetto delle pozioni di Circe. In questo modo egli costringe la maga a liberare i suoi compagni dall'incantesimo. Odisseo diventa però l'amante di Circe, tanto che resta con lei per un anno e avrà da lei un figlio Telegono, (alcune versione parlano di tre figli, Agrio, Latino e Telegono, ma questa versione è in contrasto con la durata del soggiorno di un solo anno). Alla fine, i suoi uomini riescono a convincerlo del fatto che sia giunto il momento di ripartire. Se non ci fosse stata l'insistenza dei suoi marinai sarebbe rimasto ancora!!!

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Circe offre la coppa della pozione a Odisseo di J.W. Waterhouse

Grazie anche alle indicazioni di Circe, Odisseo e i suoi marinai attraversano l'Oceano e raggiungono una baia situata all'estremo limite occidentale del mondo conosciuto; Odisseo discende nell'Ade. Il suo obiettivo è quello di parlare con l’ombra dell’indovino tebano Tiresia, per conoscere quale sorte lo attende. Dopo aver sacrificato alcuni animali, aspetta l’arrivo di Tiresia, mentre lo attorniano centinaia di ombre, desiderose del sangue da lui versato. Arriva l’indovino che dopo essersi saziato viene interrogato da Odisseo che gli chiede cosa accadrà a lui e ai suoi compagni, in particolare se torneranno alle proprie case. Il tebano parla più volte del destino, premettendo che a Odisseo sarà difficile tornare in patria perché l’ira di Poseidone, al quale hanno accecato il figlio Polifemo, li ostacolerà per tutto il viaggio. In questi versi si trova già un segno della possibile opposizione al destino da parte dell’uomo: “Ma anche così potresti arrivare, pur subendo sventure” dice Tiresia, il quale dà particolare importanza all’incontro che faranno con i buoi del Sole. In questo verso parla del destino come una certezza: vedranno sicuramente i buoi. Il loro destino dipenderà da cosa faranno Odisseo e il suo equipaggio: se daranno fastidio agli animali, l’unico che si salverà sarà Odisseo, anche se perderà tutto. Se invece non faranno niente di male, il ritorno, anche se difficile, sarà comunque possibile per tutti. Fa poi accenno alla situazione della famiglia che è rimasta a Itaca, con i Proci che si sono stabiliti nella casa e chiedono la mano di Penelope. Afferma che sicuramente saranno sterminati da Odisseo stesso che, a vendetta fatta, dovrà andare da gente che non conosce il mare, anche se comunque questo non lo salverà: morirà in mare, in un ultimo viaggio. Tiresia non parla del destino come se fosse una via da seguire in tutti i suoi aspetti: infatti dice che la scelta di infastidire o meno i buoi del Sole spetta a Odisseo e all’equipaggio. Ammette dunque che l'uomo possa modificare il proprio destino. Poi però parla di tutto il resto come se gli dei avessero già deciso tutto: la vendetta sui Proci è già decisa, qualunque sia la scelta che opereranno i compagni. Purtroppo però è già deciso che Odisseo morirà in mare: forse per l’offesa recata a Poseidone, dovrà compiere un ultimo viaggio, ma non tornerà più a Itaca: “Per te la morte verrà fuori dal mare [...]. Questo senza errore ti annunzio”. In conclusione, la visione omerica del destino umano è questa: una piccola possibilità di variare il corso degli eventi, nonostante una fine sia già stata scelta da qualcuno più in alto di qualsiasi uomo. Omero ha una concezione del destino che si potrebbe riassumere in una frase: l’importante non è la fine, ma il percorso che ci porta a essa.

Infine venne l’anima del tebano Tiresia,
con uno scettro d’oro, e mi conobbe e mi disse:
«Divino Laerzíade, ingegnoso Odisseo,
perché infelice, lasciando la luce del sole,
venisti a vedere i morti e questo lugubre luogo?
Ma levati dalla fossa, ritira la spada affilata,
che beva il sangue e poi il vero ti dica».
Parlava cosí, e io, ritirandomi, la spada a borchie d’argento
rimisi nel fodero; lui bevve il sangue nero,
poi finalmente mi disse parole, il profeta glorioso:
«Cerchi il ritorno dolcezza di miele, splendido Odisseo,
ma faticoso lo farà un nume; non credo
che sfuggirai all’Ennosígeo, tant’odio s’è messo nel cuore,
irato perché il figlio suo gli accecasti;
ma anche cosí, pur soffrendo dolori, potrete arrivare,
se vuoi frenare il tuo cuore e quello dei tuoi,
quando avvicinerai la solida nave
all’isola Trinachía, scampato dal mare viola,
e pascolanti là troverete le vacche e le floride greggi
del Sole, che tutto vede e tutto ascolta dall’alto.
Se intatte le lascerai, se penserai al ritorno,
in Itaca, pur soffrendo dolori, potrete arrivare:
ma se le rapisci allora t’annuncio la fine
per la nave e i compagni. Quanto a te, se ti salvi,
tardi e male tornerai, perduti tutti i compagni,
su nave altrui, troverai pene in casa,
uomini tracotanti, che le ricchezze ti mangiano,
facendo la corte alla sposa divina e offrendole doni di nozze.
Ma la loro violenza punirai, ritornato.
E quando i pretendenti nel tuo palazzo avrai spento,
o con l’inganno, o apertamente col bronzo affilato,
allora parti, prendendo il maneggevole remo,
finché a genti tu arrivi che non conoscono il mare,
non mangiano cibi conditi con sale,
non sanno le navi dalle guance di minio,
né i maneggevoli remi che son ali alle navi.

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Odisseo e Tiresia di Alessandro Allori

Prima di Tiresia, Ulisse incontra nell’Ade il compagno insepolto Elpenore, il quale lo prega di dargli degna sepoltura, la madre Anticlea, i propri compagni d’armi durante la guerra di Troia, Agamennone, Achille e Patroclo, Antiloco e Aiace, e infine i grandi dannati, Minosse, Orione, Tizio, Tantalo, Sisifo ed Eracle. Quella compiuta da Ulisse non è però una vera e propria visita del regno dei morti: manca nel testo omerico una precisa topografia dell’Ade; l’eroe greco si limita ad arrestarsi sulla soglia, dove le ombre dei morti gli appaiono davanti una dopo l’altra, attratte dal sangue sacrificale. Le anime presentano caratteristiche diverse: alcune appaiono come fantasmi, corpi aerei, reali ma dotati di scarsa attività vitale; inutilmente infatti Ulisse cerca di abbracciare la madre Anticlea: «E mi slanciai tre volte, il cuore mi obbligava a abbracciarla: / tre volte dalle mie mani, all’ombra simile o al sogno, / volò via». Le anime possono tuttavia rinvigorirsi bevendo il sangue sacrificale, come risulta dalle parole di Tiresia: «Ma levati dalla fossa, ritira la spada affilata, / che beva il sangue e poi il vero ti dica» (XI, 95-96). Le anime dei grandi dannati possiedono invece un grande vigore fisico, a cui è legato il loro eterno tormento: Sisifo spinge un enorme macigno; Tizio è tormentato da due avvoltoi che «annidati ai suoi fianchi, rodevano il fegato, / penetrando nei visceri» (XI, 578-579); Tantalo, circondato da acqua e frutti, soffre pene atroci nell’impossibilità di toccarli.

[...] e sopraggiunse l’anima d’Achille Pelide,
e quella di Patroclo, del nobilissimo Antíloco,
e quella d’Aiace, il piú bello d’aspetto e di corpo
fra tutti i Danai, dopo il Pelide perfetto.
E mi conobbe l’anima del piede rapido Eacíde,
e sospirando parole fugaci diceva:
«Divino Laerzíade, ingegnoso Odisseo,
ah pazzo! che altra fatica maggiore mediterai nell’animo?
Come osasti scendere all’Ade, dove fantasmi
privi di mente han dimora, parvenze d’uomini morti?»
Cosí parlava, e io rispondendogli dissi:
«O Achille, figlio di Peleo, fortissimo fra gli Achei,
venni per bisogno a Tiresia, se qualche consiglio
mi desse, come in Itaca petrosa verrò.
Perché non ho ancora toccato l’Acaia, la mia
terra non ho raggiunta, ma sempre ho travagli. Ma di te, Achille,
nessun eroe, né prima, né poi, piú felice:
prima da vivo t’onoravamo come gli dèi
noi Argivi, e adesso tu signoreggi tra i morti,
quaggiù; perciò d’esser morto non t’affliggere, Achille».
Io dicevo cosí: e subito rispondendomi disse:
«Non lodarmi la morte, splendido Odisseo.
Vorrei esser bifolco, servire un padrone,
un diseredato, che non avesse ricchezza,
piuttosto che dominare su tutte l’ombre consunte…».

Quando tornano all'isola di Circe, per dare sepotura a Elpenore, questa, prima della loro nuova partenza, li mette in guardia sui pericoli che li attendono nelle rimanenti tappe del loro viaggio. Grazie ai suggerimenti di Circe, riuscirono a fiancheggiare indenni gli scogli delle Sirene e passare in mezzo alla trappola rappresentata da Scilla, mostro dalle innumerevoli teste, e dal terribile gorgo Cariddi, approdando sull'isola Trinacria.

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Odisseo e le sirene edi Herbert Droper

Qui i compagni di Odisseo – ignorando gli avvertimenti ricevuti da Tiresia e Circe – catturano e uccidono per cibarsene alcuni capi della sacra mandria del dio del sole Elio. Questo sacrilegio è duramente punito con un naufragio nel quale tutti, tranne Odisseo stesso, finiscono annegati. Lui viene spinto dai flutti sulle rive dell'isola Ogigia dove vive Calipso, che lo costringe a restare con lei come suo amante per sette anni. Nell'Odissea Calipso è presentata come figlia di Atlante e vive sull'isola di Ogigia, che gli autori pongono nell'Occidente mediterraneo e che è simile alla penisola di Ceuta, di fronte a Gibilterra ma anche una grotta in riva al mare, nell'isola di Gozo, di fronte a Malta, viene indicata come la dimora di Calipso. Donna bellissima e immortale era stata punita dagli dei per essersi schierata dalla parte del padre nella Titanomachia. Era costretta a rimanere sull'isola di Ogigia, dove le Moire mandavano uomini bellissimi ed eroici di cui non faceva che innamorarsi, ma che poi dovevano partire. Avviene anche nel secondo libro della saga di Percy Jackson e gli Dei dell'Olimpo, si nota quindi come la Nereide sia importante anche nella narrativa odierna. L'Odissea racconta come ella lo amò e lo tenne con sé, secondo Omero, per sette anni offrendogli invano l'immortalità, che l'eroe insistentemente rifiuta. Ulisse conserva in fondo al cuore il desiderio di tornare ad Itaca, e non si lascia sedurre, anche se, la bellezza e disponibilità della donna doveva un po' sedurlo. Calipso abita in una grotta profonda, con molte sale, che si apre su giardini naturali, un bosco sacro con grandi alberi e sorgenti che scorrono attraverso l'erba. Ella passa il tempo a filare, tessere, con le schiave, anch'esse ninfe, che cantano mentre lavorano.
Le lacrime di Ulisse vennero accolte da Atena, la quale, dispiaciuta per il suo protetto, chiese a Zeus di intervenire. Il dio allora mandò Ermes per convincere Calipso a lasciarlo partire e lei a malincuore acconsentì. Gli diede legname per costruirsi una zattera, e provviste per il viaggio. Gli indicò anche su quali astri regolare la navigazione. Le leggende posteriori all'Odissea attribuiscono a Ulisse e Calipso un figlio, chiamato Latino, più spesso considerato come figlio di Circe; talvolta, si racconta che essi avessero avuto due figli, Nausitoo e Nausinoo, i cui nomi ricordano la nave. Infine si attribuisce loro come figlio anche Ausone, l'eponimo dell'Ausonia

Dopo aver ascoltato con grande interesse e curiosità la sua storia i Feaci, che sono un popolo di abili navigatori, decidono di aiutare Odisseo a tornare a casa: nottetempo, mentre è profondamente addormentato, lo portano a Itaca approdando in un luogo nascosto. Odisseo da qui riesce a raggiungere la capanna di quello che era un tempo uno dei suoi schiavi, il guardiano di porci Eumeo. Odisseo decide di fingersi un mendicante, in modo di riuscire ad ottenere informazioni su quanto sta succedendo nel suo palazzo e nel suo regno. Dopo aver cenato insieme, racconta ai suoi contadini e braccianti una falsa storia della sua vita. Dice loro di essere nativo di Creta e di aver guidato un gruppo di suoi conterranei a combattere a Troia al fianco degli altri Greci, di aver quindi trascorso sette anni alla corte del re dell'Egito e di essere alla fine naufragato sulle coste tesprote e da lì venuto ad Itaca.

Giova notare che le narrazioni tradizionali tratteggiano i Feaci come un popolo che vive in un locus amoenus, in condizioni di felicità e prosperità, caratteri che rimarcano per contrapposizione le dure condizioni di vita a cui sono sottoposti i Greci. Incerta è l'ubicazione che la tradizione letteraria greca assegna a questo popolo: accanto alla immaginaria Iperia, vi è la collocazione che li vorrebbe gli antichi abitanti di Corcira (l'odierna Corfù), accolta da Tucidide. Strabone, nella sua Geografia, la colloca invece nel mezzo dell'Oceano Atlantico, al pari di Ogigia, l'isola della ninfa Calipso, infine lo scrittore Ph. Champault, nel suo libro Phéniciens et Grécs en Italie d'après l'Odysée dimostra che la terra dei Feaci, la loro città Scheria ed i Feaci stessi si identificano con l'isola d'Ischia e con quella colonia di Fenici ellenizzanti che vennero primi a stabilirsi in essa. Altri ancora identificano l'isola di Scheria con la Sardegna nuragica, in quanto anch'essa collocata nel mare occidentale, popolata da abili navigatori e con usanze simili a quelle di Scheria come la lotta tra i pugilatori (attestata nei bronzetti nuragici) e il famoso ballo tondo, inoltre anche la Sardegna nuragica era probabilmente dominata da diversi sovrani.

Telemaco, che avevamo lasciato mentre si trovava a Sparta, fa vela verso casa e riesce a scampare a un'imboscata tesagli dai Proci. Dopo essere sbarcato sulla costa di Itaca, va anche lui alla capanna di Eumeo. Finalmente il padre e il figlio si incontrano: Odisseo si rivela a Telemaco (ma non ancora ad Eumeo) e insieme decidono di uccidere i Proci. Dopo che Telemaco è tornato a palazzo per primo, Odisseo, accompagnato da Eumeo, fa ritorno nella sua casa ma continua a restare travestito da mendicante. In questo modo osserva il comportamento violento e tracotante dei Proci, e studia il piano per ucciderli. Incontra anche sua moglie Penelope, che non lo riconosce, e cerca di capire le sue intenzioni raccontando anche a lei di essere cretese e che un giorno sulla sua isola aveva incontrato Odisseo.
Incalzato dalle ansiose domande di Penelope, dice anche che di recente in Tesprozia ha avuto notizia delle sue più recenti avventure. La sua vecchia nutrice Euriclea capisce la vera identità di Odisseo quando si spoglia per fare un bagno, mostrando una cicatrice sulla coscia che si era procurato da bambino, ed egli la costringe a giurare di mantenere il segreto. Il giorno dopo, su suggerimento di Atena, Penelope spinge i Proci ad organizzare una gara per conquistare la sua mano: si tratterà di una competizione di abilità nel tiro con l'arco e i Proci dovranno servirsi dell'arco di Odisseo, che nessuno a parte lui stesso è mai riuscito a tendere. Nessuno dei pretendenti riesce a superare la prova e a quel punto, tra l'ilarità generale, quello che è creduto un vecchio mendicante chiede di partecipare a sua volta: Odisseo naturalmente riesce a tendere l'arma e a vincere la gara, lasciando tutti stupefatti.
Prima che si riprendano dalla sorpresa rivolge quindi l'arco contro i Proci e, con l'aiuto di Telemaco, li uccide tutti. Odisseo e il figlio decidono poi di far giustiziare dodici delle ancelle della casa che erano state amanti dei Proci e uccidono il capraio Melanzio che era stato loro complice. Adesso Odisseo può finalmente rivelarsi a Penelope: la donna esita e non riesce a credere alle sue parole, ma si convince dopo che il marito le descrive alla perfezione il letto che lui stesso aveva costruito in occasione del loro matrimonio.
Il giorno dopo, insieme a Telemaco, va ad incontrare suo padre Laerte nella sua fattoria, ma anche il vecchio accetta la rivelazione della sua identità solo dopo che Odisseo gli ha descritto il frutteto che un tempo Laerte stesso gli aveva donato. Gli abitanti di Itaca hanno seguito Odisseo con l'intenzione di vendicare le uccisioni dei Proci loro figli: quello che sembra essere il capo della folla fa notare a tutti che Odisseo è stato la causa della morte di due intere generazioni di uomini ad Itaca, prima i marinai e coloro che l'avevano seguito in guerra dei quali nessuno è sopravvissuto, poi i Proci che ha ucciso con le sue mani. La dea Atena però interviene nella disputa e convince tutti a desistere dai propositi di vendetta.
Secondo un racconto minore dell'Odissea, Odisseo, eseguendo le istruzioni avute da Tiresia partì a piedi con un remo sulle spalle per placare l'ira di Poseidone. Giunto in Tesprozia, come era stato vaticinato, un contadino lo apostrfò chiedendogli cosa stesse facendo così combinato. Lì Odisseo si fermò, sacrificò a Poseidone un cinghiale e un ariete e ne ebbe il perdono. Sposò la locale regina Callidice e lasciò il trono dei Tespriozi a Polipete, generato con lei. Poi ritornò a Itaca dove fu ucciso da Telegono il figlio avuto da Circe. Questa partenza di Odisseo è sicuramente quello che aveva in mente Omero, considerando che la mette tra le previsioni di Tiresia.

L'edizione pisistratea dell'Odissea,comunque, non rappresenta un canone fisso. In seguito, infatti, convive con le successive edizioni scritte delle città greche di Massalia (odierna Marsiglia), Creta, Cipro, Argo e Sinope. Queste edizioni vengono dette "politiche" (dal greco póleis), nel senso di appartenenti alle poleis, alle città.
Esiste un'edizione pre-ellenistica di origine ignota, chiamata (poliùsticos, letteralmente "con molte linee"), e che presenta un maggior numero di versi rispetto alla versione pisistratea: gli studiosi tendono a considerarla una versione "annacquata" da interventi operati da chi la tramandava oralmente.
Esistono poi delle edizioni di cui si sa molto poco dette "personali" (dal greco cat'àndra), nel senso che appartenevano a uomini (àndra) illustri, come Antimaco di Colofone o Euripide (figlio del più famoso drammaturgo). Sembra non confermato il fatto che anche il filosofo Aristotele avesse un'edizione personale delle opere di Omero.
L'Odissea si svolge principalmente nel Peloponneso e nelle isole ioniche, ma identificare esattamente i luoghi visitati da Odisseo appare quasi impossibile, anche perché il testo offre in genere assai pochi spunti per identificare geograficamente i luoghi. Gli studiosi non sono nemmeno unanimemente concordi nell'identificare l'Itaca di Odisseo con la moderna Itaca, poiché le descrizioni geografiche e il numero di isole dell'arcipelago non corrispondono.
Tradizionalmente si identifica nella Sicilia la terra dei Ciclopi e dei Lestrigoni, in una delle isole Eolie l'isola in cui Ulisse incontrò il dio Eolo, e in Corfù la terra dei Feaci, Scheria.
Successivamente sono state proposti molti altri luoghi, la maggior parte di questi situati nell'area mediterranea, ma alcuni studiosi sono anche arrivati ad ipotizzare che Odisseo abbia raggiunto l'Oceano Atlantico.
Alcuni studiosi ritengono di poter rintracciare nell'Odissea forti influenze da parte di temi tipici della mitologia mediorientale. Martin West ha evidenziato sostanziali parallelismi tra l'Epopea di Gilgamesh e il poema omerico.
Sia Odisseo che Gilgamesh compiono un viaggio fino ai confini della terra e discendono da vivi nel mondo dei morti. Nel corso della sua discesa agli inferi Odisseo segue i consigli e le indicazioni dategli da Circe, una semidea figlia del dio del sole Elio, la cui isola Aiaia si trova ai limiti del mondo conosciuto e per la quale si può fare una chiara associazione con il sole. Come Odisseo, Gilgamesh trova il modo di raggiungere il mondo dei morti grazie ad un aiuto divino: nel suo caso quello della dea Siduri che, come Circe, vive in mare nei pressi dei confini del mondo. Anche la sua casa è in relazione con il sole: Gilgamesh la raggiunge attraversando una galleria che passa sotto al monte Mashu, l'alta montagna dietro la quale il sole sorge per poi innalzarsi nel cielo.
West ne deduce quindi che le somiglianze dei viaggi di Odisseo e Gilgamesh ai confini della terra siano il risultato dell'influenza avuta dall'epopea di Gilgamesh sulla composizione dell'Odissea.

Eugenio Caruso 27 ottobre 2017

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