In apertura della Conferenza sui  cambiamenti climatici, tenutasi a Roma il 12 e 13 settembre, nella sede della  FAO, presenti scienziati da tutto il mondo,  il ministro dell’Ambiente, Pecoraro Scanio, ha  affermato che: «La temperatura in Italia è aumentata quattro volte in più che  nel resto del mondo: 1,4 gradi negli ultimi 50 anni mentre l'incremento medio mondiale sarebbe stato   0,7 gradi nell'intero secolo». Ora, a parte le differenze temporali tra cinquant'anni e cento anni sui cui valori di temperatura  nessuno può discettare (nei primi cinquant'anni la temperatura potrebbe essere aumentata, diminuita, rimasta costante che è l'ipotesi conservatica che si può fare), se la temperatura fosse aumentata di quattro  volte in più che nel resto del mondo sarebbe dovuta aumentare di 2,8 gradi e  non di 1,4. Probabilmente nel mondo della politica la matematica è solo  un’opinione.  Come facilmente  prevedibile, il dato è finito sulle prime pagine di giornali e nelle aperture  dei telegiornali; a livello internazionale i nostri politici hanno fatto la  solita figura di incompetenti con vignette che mostrano gli italiani che recandosi all’estero  si attrezzano con spesse maglie di lana per sopportare il temperature lag.
   
  Il dato citato da Pecoraro Scanio,  è, ovviamente una pura invenzione, mirata a fare del terrorismo ideologico, in  un ambito in cui occorrono prudenza e seri approfondimenti. Lo ha ricordato, in  diverse interviste, Franco Prodi, direttore dell’Istituto di Scienze  dell’atmosfera e del clima del Consiglio Nazionale delle Ricerche, nonché fratello  del più famoso Romano: «È stato detto che in Italia la temperatura è aumentata  quattro volte in più rispetto al resto del pianeta: ma come hanno potuto affermare una simile sciocchezza?  I dati pubblicati dal Cnr dicono ben altro, e cioè, che a fronte di un aumento  di temperatura di sette decimi di grado nell’ultimo secolo, a livello di  pianeta, in Italia la temperatura è aumentata di un grado. Ovvero l'Italia è  assolutamente in linea rispetto al resto delle terre emerse dove, si sa, la  temperatura è di qualche decimo di grado superiore al valore medio globale. Inoltre,  i partecipanti alla Conferenza hanno dato per scontato e misurato il contributo  antropico all'aumento della temperatura. Ma non è così, è assai probabile che  vi sia un contributo dell'uomo nell'aumento di temperatura. Ma quantificarlo,  sarà il problema che l’uomo dovrà risolvere in questo secolo.»
La mia senzazione è che questi dati allarmistici, che vengono poi smentiti, non vanno nella direzione di una difesa dell'ambiente del pianeta, perchè inducono nella gente comune atteggiamenti di sfiducia in tutto ciò che proviente dall'establishment. 
  Nella pura realtà, sebbene la concentrazione di anidride carbonica  nell’atmosfera sia aumentata di più di un terzo rispetto all’epoca  pre-industriale, non sappiamo ancora dire qual è stato l’impatto dell’uomo sul  clima; la ragione è che tale influenza è finora piccola se paragonata alla  naturale variabilità del clima. Questa semplice constatazione dovrebbe indurre alla  prudenza nell’intraprendere azioni di drastica riduzione delle emissioni di CO2  e a guardare anche criticamente al protocollo di Kyoto. Eppure nel corso della  conferenza non si è sentito altro che una difesa ad oltranza del citato  protocollo.
Nel sito di Impresa Oggi riportiamo  spesso le voci di coloro che sono in disaccordo con il catastrofismo imperante.
    
  Ad esempio, l’americano William Nordhaus, definito dall’Economist come il padre  della “climate economics”, in un recente articolo ha descritto il protocollo di  Kyoto come uno strumento mal concepito, probabilmente inefficace e fondato su  un obiettivo ambientale alquanto discutibile. Per il professore di Yale, i  costi di mitigazione conseguenti all’attuazione del protocollo sarebbero  cinquanta volte superiori rispetto a quelli di politiche più efficaci. Ancor  più negativa è la valutazione espressa da Nordhaus relativamente ai piani di  rapida riduzione delle emissioni contenuti nel rapporto Stern e nella proposta  avanzata dall’ex vice presidente degli Stati Uniti, Al Gore. Tali politiche  avrebbero infatti costi superiori ai benefici ed un bilancio negativo stimato  rispettivamente pari a 17mila miliardi ed a 22mila miliardi di dollari.  Piuttosto che adottarli sarebbe preferibile non fare nulla. La politica  ottimale, secondo Nordhaus, sarebbe quella che non prevede la fissazione di  limiti aprioristici alle emissioni ma, piuttosto, l’introduzione di una tassa  omogenea a scala globale pari a 7,5 dollari per tonnellata di anidride  carbonica emessa.
Un altro economista, il canadese  Ross McKitrick, ha poi avanzato una proposta che costituirebbe una sorta di  compromesso tra scettici ed allarmisti: si tratterebbe di introdurre un  meccanismo automatico in base al quale il livello di tassazione aumenterebbe o  diminuirebbe in funzione della variazione della temperatura dell’atmosfera. Se  hanno ragione gli scettici e il riscaldamento sarà modesto oppure si fermerà,  il livello di tassazione verrebbe corretto al ribasso; viceversa, se l’impatto  dell’uomo sul clima dovesse rivelarsi più rilevante, la tassa aumenterebbe nel  tempo. Se tale proposta venisse adottata si avrebbe, come auspicato dal  vicepresidente di Confindustria Emma Marcegaglia, «un sistema di regole certe,  un quadro organico chiaro e costante.»
Personalmente, non credo che i politici, in particolare quelli europei,  recepiscano tali proposte. E non lo faranno perché in molti casi si scoprirebbe  che l’attuale livello di tassazione è già superiore a quello auspicabile.  Consideriamo ad esempio quanto accade nel settore dei trasporti: l’attuale  imposizione fiscale sulla benzina è equivalente a circa 300 euro per tonnellata  di CO2 emessa, ossia quaranta volte superiore alla tassa proposta da Nordhaus.
E non lo faranno perché per molti il  cambiamento climatico non è un problema da affrontare ma piuttosto uno  strumento tramite il quale raggiungere un fine poltico, come si può leggere  nella dichiarazione rilasciata alla conferenza sul clima dal ministro Mussi,  secondo il quale «il capitalismo nella sua forma attuale è incompatibile con il  pianeta Terra.»
Il 23 settembre, Benedetto XVI, a commento della conferenza sul clima, ha affermato «Il capitalismo è responsabile di gravi ingiustizie .... L'emergenza della fame e quella ecologica (sic) lo denunciano con crescente evidenza ..... il capitalismo non va considerato come l'unico modello valido di organizzazione economica.» 
Eugenio Caruso