La new economy, impatto sulle imprese.

Respingi tutte le vanità, se sei saggio, o meglio, per diventare saggio, e tendi a grandi passi e con ogni energia ad acquisire una mentalità fondata su sani principi. Se c'è qualcosa che ti frena, liberati dai suoi lacci o recidili.

Seneca Lettere morali a Lucilio


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Negli ultimissimi anni il sistema produttivo mondiale sta affrontando i marosi di un vero e proprio rivolgimento che va sotto il nome di new-economy. Chi, come l'autore, ha l'occasione di venire a contatto con centinaia d'imprese, ogni anno, può affermare che la nascita e lo sviluppo recente di un gran numero d'imprese nei settori dell'e-commerce, dello sfruttamento delle potenzialità di Internet e delle telecomunicazioni, non è altro che la punta di un iceberg.

Questo iceberg è una vera seconda rivoluzione industriale che sta conducendo a modifiche culturali, organizzative e strategiche la massa delle imprese dei paesi più industrializzati.

Assistiamo, ad esempio, a un'accelerazione degli avvenimenti, mai vista prima, tutto è fluido, i cambiamenti avvengono in modo così repentino da imporre l'assioma che le imprese, per sopravvivere, oltreché essere veloci e flessibili, devono interpretare il cambiamento come un fatto fisiologico, incorporato nel proprio dna. Volendo porre su un piano cartesiano le curve che rappresentano i cambiamenti dei paradigmi (1) economici, in funzione del tempo, gli economisti hanno, addirittura, dovuto introdurre uno strumento tipico della fisica, l'uso dei frattali (2).

Il mercato non risponde più ai principi cartesiani di causa-effetto, ma pone in essere comportamenti, spesso imprevedibili, sempre più creativi e slegati da modelli; l'esercizio della previsione sembra opera di stregoneria, poiché cerca ordine e continuità in sistemi che diventano sempre più caotici e non lineari.

Eppure, ancora oggi, si legge su giornali che hanno un notevole impatto sull'opinione pubblica che la new-economy è una bolla speculativa, che non è sufficientemente supportata dai cosiddetti "fondamentali", che è un'economia da far-west, che non reggerà all'esame del tempo, che rappresenta un ritorno all'impresa fordista, con poveri giovani costretti a lavorare quindici ore al giorno in sottoscala e garage. Tutto questo supportato da firme prestigiose di professori che raramente hanno messo piede in un'impresa, se non per sedere nel consiglio di amministrazione di qualche gruppo industriale, oppure ispirato dal vecchio establishment imprenditoriale e manageriale che non ha la capacità di adeguarsi alle regole della nuova economia e che tuttora detiene la proprietà dei grandi mezzi di comunicazione.

Alla base di questi atteggiamenti esistono una fisiologica resistenza ad accettare il nuovo che avanza e la forza del marketing che riesce sempre ad imporre ai media slogan facili e accattivanti; in parte, queste prese di posizione derivano anche dall'errore di limitare la new-economy solo a quel settore che nasce e si sviluppa grazie alla diffusione di Internet. Questo errore di impostazione è avallato dagli sforzi che alcuni fanno per incasellare quelle aziende, che, pur non essendo Internet based, hanno una gamma di prodotti o servizi che vengono modificati dalla presenza di Internet, ad esempio, i cosiddetti tmt (tecnologici, media e telecomunicazioni).
Ebbene queste imprese non sarebbero né new-economy, né old economy, ma old-new-economy; le imprese fornitrici di software e hardware per Internet sarebbero d'altra parte new-new-economy, altri fantasiosi hanno introdotto le espressioni net-economy e cyber-economy, da contrapporsi alla true-economy.
La lettura degli articoli di questi "esperti" fa pensare a quel botanico che ritenga di poter descrivere la tipologia degli alberi di una foresta con la semplice osservazione da un oblò di un aereo di linea.
 
Un fatto è certo: tutto il sistema produttivo sta subendo trasformazioni violente che impongono all'economia nuovi paradigmi. Chi insiste nel decantare la old-economy, intendendo quelle imprese quotate al di fuori del nasdaq americano o del nuovo mercato italiano non ha compreso che quell'economia, quel modo di gestire le imprese valido fino a ieri non esiste più e che ancora una volta le leggi del mercato hanno avuto il sopravvento.

Mentre i soloni dell'establishment si sbizzarriscono nelle definizioni semantiche, la Toyota, che capitalizza più di General Motors, Ford e Daimler-Chrysler messe insieme, sta lanciando «la seconda grande rivoluzione della sua storia» sferrando un attacco a 360 in tutti i settori di punta delle nuove tecnologie (informatica, telefonia cellulare, Internet, finanza); il suo Presidente Hiroshi Okuda prevede che entro cinque anni i profitti del gruppo saranno generati per il 20% da "nuovi business".

General Motors, Ford e Daimler-Chrysler hanno annunciato la propria convergenza su un unico grande e-marketplace dell'auto, dotato di centinaia di dipendenti e congrui investimenti.

Una delle maggiori fonti di profitti della General Electric è la Ge Equity (utili per 3200 miliardi di lire previsti nel 2000), un fondo di venture capital, che investe in imprese high tech non quotate.
 
Nel marzo del 2000 è stato illustrato, dalla Pirelli, il progetto, mirs (modular integrated robitised system), che consiste nella realizzazione di numerose piccole fabbriche di pneumatici autonome e distribuite in ogni angolo del pianeta, vicino a una fabbrica di automobili, nell'area industriale di una grande città, nei pressi di un grande rivenditore, tutte collegate da una rete informatica.
Il due maggio 2000 una dozzina di produttori di computer annunciano la formazione di un consorzio per l'avvio di un e-marketplace finalizzato, in prevalenza, alla gestione delle catene di fornitura di un settore che, già alla fine del 2000, vedrà transazioni in rete per più del 30% del fatturato globale.
Sempre nel mese di maggio 2000, un consorzio, formato da dodici multinazionali della chimica, ha annunciato la costituzione di una società per il commercio elettronico business to business, con una dote iniziale di 150 milioni di dollari, e con l'obiettivo di costruire un mercato on-line della chimica da 400 miliardi di dollari l'anno.
Praticamente ogni giorno si legge di qualche multinazionale o raggruppamento di multinazionali che presentano proposte di riorganizzazioni impensabili solo sei mesi prima.

    Per capire cosa realmente sia questo iceberg della nuova economia, forse, più che porre l'attenzione sui grandi gruppi gioverebbe osservare come le piccole e medie imprese (pmi) più avanzate siano protagoniste di una vera e propria rivoluzione copernicana con l'introduzione dell'information technology nella progettazione, nei processi produttivi, nella gestione e con una marcata attenzione alle nuove tecnologie.

Secondo un rapporto di Assinform-NetConsulting, nel 1999, le piccole e medie imprese (pmi) italiane hanno investito poco meno di settemila miliardi di lire, solo, in attrezzature per l'information technology.
Si possono, tra l'altro, illustrare un gran numero di esempi pratici; le imprese italianei di macchine utensili, dopo un periodo di stallo, sotto i colpi della concorrenza a basso costo del lavoro, stanno ritrovando lo slancio e la leadership del passato (3) grazie all'information technology e all'utilizzo massiccio di una grappolo di tecnologie (4) (laser, fibre ottiche, microelettronica, miniaturizzazione dei motori elettrici).

Le due regine dell'export italiano sono rispettivamente, la meccanica, con un saldo commerciale attivo, nel '99, di 52 mila miliardi e il tessile abbigliamento, con un saldo attivo di 24 mila miliardi, due settori nei quali la concorrenza proveniente da ogni angolo del mondo è agguerrita; ma l'innovazione tecnologica e gestionale, l'information and communication technology e la creatività hanno dato ai nostri imprenditori quel plus che consente ad una miriade di piccole, medie e grandi (poche) imprese di battere la concorrenza.

Le piccole e medie imprese (pmi) italiane che operano nel campo della strumentazione, stavano andando incontro a seri problemi nel reperimento della componentistica elettronica, poiché i canali di distribuzione privilegiavano le grandi commesse provenienti dal settore delle telecomunicazioni trascurando le piccole forniture, ebbene l'e-commerce sul mercato americano e accordi con courier internazionali ha consentito a queste imprese di sopravvivere.
Un altro elemento che sta a significare quanto questa nuova economia sia lontana da quella di cinque anni fa è l'analisi del mondo del lavoro nel quale è cresciuta enormemente la dimensione individuale. In Italia vi sono cinque milioni di piccole imprese, circa cinque milioni e mezzo di lavoratori indipendenti, quasi quattro milioni di professionisti, contro meno di dieci milioni di lavoratori dipendenti dalle grandi organizzazioni.

Il rapporto individuale con il lavoro ha portato alla valorizzazione delle doti personali, dello spirito d'impresa e della sfida, dell'orgoglio della propria utilità sociale, della responsabilizzazione, elementi che hanno, coerentemente, creato anche una maggiore soggettività nella vita extra-lavorativa degli individui; non è stato rivoluzionato solo il mondo del lavoro, ma anche il contesto sociale con il quale il lavoratore interagisce.

La rivoluzione succitata è caratterizzata da una serie di elementi distintivi, che non possono non rientrare in un concetto di nuova economia. Ieri l'impresa era focalizzata su aspetti tangibili o misurabili (strutture, impianti, materie prime, lavoro, capitale, bilanci), oggi sono gli aspetti intangibili che dettano le regole della competitività (leadership, immagine, informazione, conoscenza, vision, sfida).
Imprenditori e manager devono fronteggiare situazioni contraddittorie e dilemmi (semplice-complesso, stabile-instabile, centralizzato-decentrato, competizione-cooperazione, ordine-disordine, velocità decisionale-condivisione, comando-leadership), ma sono impreparati a fondere gli opposti, ad affrontare il paradosso, a misurare l'immisurabile e per loro si preannunciano difficoltà e crisi da demansionamento (5).

iò non significa che le imprese non vogliano cambiare, esse, infatti, hanno sperimentato vari modelli organizzativi, come l'activity based management (6) , il total quality management con le sue varie modalità operative, il business process reengineering (7) , l'outsourcing, il downsizing, la lean organization (8) , il pdca (9).

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(1) Con paradigma si intende un insieme di regole, generalmente condivise, che servono da riferimento allo scopo di una corretta interpretazione di una situazione relativamente  a un determinato fenomeno. Thomas Kuhn dà dei paradigmi la seguente definizione «Una costellazione di concetti, percezioni, consuetudini e valori che creano una particolare visione della realtà».

(2) I frattali sono strutture geometriche in grado di descrivere il livello di complessità dei sistemi caotici.

(3) E' interessante notare che, nel 1999, l'Italia è salita al terzo posto, dopo Giappone e Germania, nella produzione di robot, ed è salita sempre al terzo posto, dopo Usa e Germania, nel consumo di robot.

(4) Assistiamo a successive ondate di evoluzioni scientifiche, in campi tra loro molto differenziati, prodotte dall'azione sinergica di più tecnologie (grappolo di tecnologie) suscettibili  di rivoluzionare il modo di produrre e i prodotti stessi; si dice, infatti, che l'introduzione nelle aziende di questi grappoli tecnologici ha, a beneficio delle performance aziendali, un "impatto sostitutivo".

(5) Neologismo che riguarda una situazione di sotto occupazione di un lavoratore (dirigenti inclusi), che può andare da un mutamento in pejus delle mansioni, fino alla completa inattività.

(6) Gestione basata sul management by processes.


Si potrebbe affermare che le imprese, specie le grandi, sono state investite da ondate di proposte d'innovazione delle loro strutture organizzative; spesso i risultati sono stati modesti e si sono tradotti, sostanzialmente, in drastici tagli nel costo del personale, nell'applicazione del buon senso (10) e nel superamento delle logiche burocratiche e gerarchico-funzionali.

Ma ora, la nuova economia richiede al management, sia un salto rispetto alla tradizione deterministica e meccanicistica, sia l'abbandono di regole e paradigmi che sono ancora alla base della vecchia cultura.

Paradossalmente, alla complessità, alla fluidità e alla non linearità della nuova economia non è possibile rispondere con modelli complessi, con ristrutturazioni onerose e con una continua perdita di risorse, ma, viceversa, con una semplificazione dei modelli di gestione e con la focalizzazione su alcuni principi guida.

E' essenziale rammentare che la piccola e media impresa (pmi), nerbo e cerniera del sistema produttivo non ha, quasi mai, seguito le mode delle riorganizzazioni, eppure i risultati parlano di un loro continuo e inarrestabile successo. Allora, forse, anche la grande impresa deve entrare nell'ottica della piccola e media impresa e adottare alcuni semplici principi guida.

Le cause che sottendono l'eccellenza delle imprese sono state di volta in volta individuate nella business excellence, nell'efficacia delle esecuzioni, nel competence and knowledge management, nel management process (11) excellence; esiste una vastissima letteratura che offre le ricette più disparate per raggiungere l'eccellenza. Si tratta, per lo più, di modelli di inaudita complessità, che, forse, solo qualche grande impresa è in grado di prendere in considerazione e che, in generale, si adattano ai sistemi organizzativi dell'impresa statunitense. L'opinione dell'autore è che non tutto ciò che proviene dalla cultura d'impresa americana automaticamente si adatta all'azienda europea e italiana in particolare.

Giova sottolineare che alla complessità non si può rispondere con i grandi piani strategici, con le continue ristrutturazioni, ma seguendo i principi guida di gestione della piccola e media impresa (pmi):

  • scegliere le priorità,
  • concentrarsi su esse delegando il resto,
  • decidere le modalità operative,
  • mobilitare le persone che servono,
  • cercare i risultati nel breve.

 Il mondo dell'impresa è passato dalla realtà dei dati degli anni settanta, a quella delle informazioni degli anni ottanta a quella della conoscenza; Rifkin, nel suo libro, La fine del lavoro illustra efficacemente che il futuro del sistema produttivo è nelle mani dei knowledge workers. Oggi la capacità di acquisire, sviluppare, disseminare più velocemente della concorrenza idee, creatività, immaginazione, conoscenza sta sostituendo la capacità di realizzare prodotti e servizi innovativi come fattore critico di successo.

Questa nuova economia, caratterizzata dalla transizione da modelli fondati su dati e informazioni a modelli basati sulla conoscenza ha imposto, conseguentemente, una revisione di alcuni processi organizzativi tra i quali la comunicazione, condizione irrinunciabile per tradurre in pratica le strategie di business.

Il processo di comunicazione deve articolarsi in due fasi: il concepimento del dettato strategico (vision (12), mission, sistema dei valori, definizione del business) e la condivisione di tale dettato tra tutti gli stakeholder (13) , in modo che, in un circolo virtuoso, si ottenga la convergenza tra il progetto d'impresa e il progetto di vita dei singoli individui.

Un altro carattere distintivo della nuova economia è il cambiamento, non le piccole modifiche incrementali alle quali eravamo abituati, ma veri e propri salti di qualità; per gestire questi salti occorre la leadership, che alcuni ancora confondono con il management (14) . Più marcato è il cambiamento, più forte è la domanda di leadership della quale questa nuova economia è in forte debito per uno sviluppo più organico ed efficiente.

Purtroppo, in generale, le imprese invece di aiutare i dipendenti a sviluppare il loro talento, a prendere iniziative, a responsabilizzarsi, a imparare da errori e successi, spesso, ignorano il potenziale dei collaboratori cosicché il deficit di leadership resta una carenza grave del nuovo sistema economico e l'ostacolo maggiore per l'evoluzione delle aziende da imprese moderne a imprese eccellenti.

Per riassumere si può affermare che il modello di impresa eccellente lo si incontra, quotidianamente, quando si analizzano imprese, specie piccole e medie, che hanno acquisito una posizione di leadership nel loro segmento di mercato.
 
Ciò significa che l'eccellenza è la condizione per acquisire una leadership di mercato, ma acquisire una leadership sta diventando una condizione di sopravvivenza per molte imprese, cosicché, in un circolo virtuoso l'eccellenza produce la leadership, che, a sua volta, è alla base della "vitalità" delle imprese.

Molti degli imprenditori di quelle aziende "eccellenti" non hanno, probabilmente, letto i testi più avanzati, su come sta evolvendo l'impresa moderna, eppure quelle persone hanno messo in atto organizzazioni e strategie adeguate a sostenere le sfide del mercato.
E' possibile incontrare imprese che hanno adottato il modello dell'impresa cava o dell'impresa a rete, il modello dell'impresa virtuale o dell'impresa snella, e che, forse inconsapevolmente, rispondono ai criteri dell'impresa eccellente. Qual è la ragione che sottende questi comportamenti? E' la legge del mercato, è il darwinismo economico che porta imprese, poco propense ad identificarsi sotto qualsiasi modello, ad individuare il percorso ottimale per conquistare o difendere una leadership e raggiungere l'eccellenza che, come abbiamo detto, può essere lo strumento di sopravvivenza in un mercato che chiede alle imprese una continua attività di reinvenzione o di revisione del proprio business.

A fronte di questa realtà, che poggia su rischio e creatività, il nostro paese gode del "privilegio" di un establishment sclerotizzato e incapace, eppure amante di protagonismo e arroganza. A metà degli anni ottanta ci fu una forte ripresa economica eppure nulla fu fatto per modernizzare il sistema paese, per la nostra classe politica tutto si ridusse ad una gara tra Italia e UK per chi avesse il pil più elevato.

Nel 2000 siamo in presenza di un'altra importante ripresa dell'economia, ma, purtroppo, essa resta, per l'Italia, un puro fatto congiunturale; la piccola e media impresa (pmi)i deve, ancora, fare i conti non solo con una concorrenza agguerrita, proveniente da tutto il pianeta, ma anche con l'inefficienza di uno stato che non riesce a procurare quel minimo di infrastrutture che possano consentire di affermare che l'efficienza dell'impresa non si ferma ai cancelli dei propri stabilimenti o uffici, come ho dovuto, amaramente, osservare in un mio precedente lavoro.

Questo articolo è stato tratto da una conferenza tenuta da Eugenio Caruso nel 2004. Esso è, pertanto, un po' datato, ma utile per comprendere cosa si intende per new economy.

Eugenio Caruso 25-05-2004


(7) Riprogettazione radicale dei processi per ottenere drastici miglioramenti di prestazioni, costi, qualità, servizio, velocità.

(8) Struttura organizzativa caratterizzata da quattro criteri fondamentali: la riduzione dei livelli gerarchici, la semplificazione delle procedure, la riduzione del frazionamento orizzontale, l'ampliamento dei ruoli.

(9) Elaborato dal prof. Deming il ciclo pdca è uno strumento per il miglioramento dei processi e delle performance aziendali. Il pdca si realizza attraverso un circolo virtuoso costituito da quattro fasi: plan (pianificare), do (fare ciò che si è pianificato), check (verificare i risultati e confrontarli con il piano), act (decidere di mantenere o correggere).

(10) Non a caso il prof. T. Asak afferma che «la qualità totale è l'applicazione del buon senso».

(11) I processi di management sono: pianificare, impostare le modalità operative, eseguire.

(12) Immagine del futuro che si vuole creare in azienda; è, in sintesi, l'azienda oltre il suo orizzonte.

(13) Per la definizione di stakeholder, i gruppi di interesse dell'impresa, si rimanda al capitolo 3, paragrafo 2.8.

(14) Non si vuol dire che la leadership sia il bene e il management il male, ma che essi rispondono ad obiettivi diversi. Il management assicura il funzionamento del sistema corrente e le necessarie modifiche incrementali, la leadership fa fare salti qualitativi al sistema aziendale.


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