Stato dell'arte delle celle fotovoltaiche a materiali organici.


Ora io sono Medea. Il mio ingegno è cresciuto col male.
Seneca, Medea


Le celle fotovoltaiche sono dispositivi che convertono la luce direttamente in elettricità grazie all'effetto fotovoltaico. Gli elettroni in una cella solare assorbono l'energia dei fotoni della luce solare, provocando il salto dell'elettrone dalla banda di valenza a quella di conduzione. Questo processo genera una lacuna, che viene separata da un campo elettrico (come una giunzione p-n), inducendo così un flusso di corrente elettrica. Le celle fotovoltaiche organiche utilizzano materiali organici nello strato attivo dei dispositivi. Negli anni novanta mi sono occupato di celle fotovoltaiche e già allora si iniziava a parlare di dispositivi con materiali organici. Mi sembra, comunque, che con efficienze attorno all'1% si sia ancora lontani dall'oltre il 20% delle celle al silicio (Nota di E. Caruso).

cella

Schema di funzionamento di una cella fotovoltaica


La parola d’ordine oggi è «biomimetica». Di solare organico gli scienziati parlano dai primi anni Novanta, ma la sfida principale rimane ancora aperta: riuscire a imitare nel modo migliore possibile la natura. Solo così i moduli solari che usano estratti vegetali al posto del silicio potranno raggiungere alti livelli di efficienza e diventare un sostituto low cost e più ecosostenibile dei moduli solari tradizionali. «Ci stiamo avvicinando sempre di più a una fotosintesi artificiale», che prova a mimare la perfezione di quella clorofilliana, spiega Aldo Di Carlo, co-direttore del Chose, il centro di ricerca della Regione Lazio che dal 2006 studia il solare organico.
Intanto, mentre le prime applicazioni delle celle «a base di succo di mirtillo» sono già arrivate sul mercato con tastiere e zaini solari, nei laboratori si studia come industrializzarle su scala più grande. Nelle dye-sensitized solar cell (Dssc), messe a punto nel 1991 da Michael Grätzel al Politecnico di Losanna, gli estratti naturali assorbono la luce solare e trasferiscono gli elettroni a un leggero strato di biossido di titanio. La carica viene poi trasmessa grazie a un fluido elettrolita a base di iodio. Per migliorare l’efficienza delle celle, aumentando cioè la quantità di luce solare trasformata in energia elettrica, i ricercatori del Chose stanno puntando su molecole estratte dalle alghe: «Abbiamo osservato che utilizzando questo tipo di estratti l’efficienza arriva al 4%», contro circa l’uno per cento delle antocianine estratte dai mirtilli.
Un altro aspetto da migliorare è la durata: «I moduli in silicio hanno una vita di oltre due decenni, contro quella di pochi anni delle celle organiche», spiega Filippo Spertino, docente di ingegneria energetica al Politecnico di Torino. «Grazie a molecole sintetizzate in laboratorio, siamo riusciti ad allungare l’esistenza dei moduli: è un primo passo, penso che in futuro ci riusciremo anche utilizzando estratti naturali», aggiunge Di Carlo. E c’è anche chi, in centri di ricerca in varie parti del mondo, sta facendo esperimenti per utilizzare come elettrolita fluidi acquosi al posto di quelli a base di iodio. Un articolo pubblicato di recente sulla rivista scientifica Chemical Society Review da due ricercatori torinesi insieme allo stesso Grätzel spiega che «attraverso Dssc fabbricate con elettroliti a base di acqua sarebbe facile ottenere costi ridotti, eliminare il problema dell’infiammabilità, diminuire la volatilità e migliorare la compatibilità ambientale».
Se ci sono aspetti critici ancora da risolvere, il fotovoltaico organico offre anche molti vantaggi: il basso costo dei materiali, l’ecosostenibilità, la possibile integrazione in dispositivi elettronici, abiti, architetture grazie a moduli trasparenti, colorati, flessibili. «Tra le celle solari più innovative, le tecnologie Dssc rappresentano un’alternativa percorribile rispetto ai sistemi tradizionali, sia per vantaggio economico sia per metodologie costruttive eco-friendly, che permettono un migliore riciclo degli elementi, con minore impatto ambientale», ha stabilito pochi mesi fa un gruppo di ricercatori dell’Università di Siena coordinati da Riccardo Basosi. E non è tutto: se in generale l’efficienza di celle con estratti vegetali è bassa, negli ambienti chiusi esse hanno in realtà performance anche superiori ai moduli a silicio: «Imitando la natura, la cella di Grätzel converte la luce in energia anche in casi di illuminazione non ottimale. In una stanza con lampade a fluorescenza, la Dssc raggiunge un’efficienza del 24%», spiega Di Carlo.
A Roma, il consorzio Dyepower, di cui fanno parte le Università di Ferrara, Torino e Tor Vergata con il Chose, insieme a colossi come Erg e il gruppo italiano di ingegneria e costruzioni Permasteelisa, lavora per industrializzare la tecnologia Dssc, sperimentando anche applicazioni nell’edilizia. E i test stanno andando avanti in tutto il mondo, dalla Germania al Giappone, con progressi significativi: «Da celle grandi come un francobollo si è passati oggi a produrre fogli continui di moduli e celle grandi anche un metro quadrato». Dovremo aspettare ancora alcuni anni per vederle uscire dalla nicchia, ma per Di Carlo si tratta di un tempo di attesa fisiologico: «Con il Led bianco è accaduto lo stesso: per arrivare alla maturità della tecnologia ci sono voluti vent’anni. Gli scienziati giapponesi che hanno inventato nel 1992 i diodi a emissione di luce blu hanno vinto il Nobel solo nel 2014. Dopo il laboratorio, c’è la lunga strada dell’industrializzazione».

Veronica Ulivieri

LOGO Tratto da www.corriere.it ... 20 maggio 2015


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