Si inaspriscono i contrasti tra Grecia e Istituzioni internazionali.


Se cade la furia del vento, ecco che il mare si stende più calmo di un lago.
Seneca, Tieste

Lo Zimbawbe, paese fallito da 28 anni sotto il regime del presidente Robert Mugabe, ieri si è arreso. Travolto da un’inflazione a 9 cifre, ha deliberato che da lunedì la moneta locale inizierà a sparire, cosa che avverrà definitivamente entro settembre. E sarà trasformata in dollari americani. Al cambio di 1 dollaro USA per 35 quadrilioni della moneta locale. Un quadrilione sono 1 milione di miliardi, 35 quadrilioni sono dunque 35 milioni di miliardi: per un dollaro USA. L’ultima banconota della banca centrale dello Zimbawbe aveva un valore facciale di 100 trilioni, cioè 100mila miliardi. La domanda che si ponevano ieri alcuni giornali europei, annunciando la notizia africana, era scontata: la Grecia come lo Zimbawbe?
La settimana prossima è decisiva, dicono. Ma scappa da ridere a pensarlo, a 6 mesi dalle elezioni greche e di inconcludente balletto tra Alexis Tsipras con i vertici della Ue, della Bce e del Fondo Monetario Internazionale. In ogni caso, lunedì Draghi ha un’audizione al parlamento europeo, martedì si riuniscono gli sherpa che preparano l’eurogruppo di giovedì, e infine venerdì c’è l’Ecofin. Se non si trova l’accordo con Atene, l’ultima istanza è il Consiglio Europeo del 25 e 26 giugno. Dopodiché, senza accordo la Grecia non paga il miliardo e 600 milioni di dollari che deve al FMI, né a luglio e agosto i 6,8 miliardi di euro che deve alla BCE. E la Grecia va in default, fallisce. Detta così significa però poco o nulla: tutto dipende da “come” fallisce. Ma prima di arrivare a quello, verifichiamo le ipotesi.
Washington. Obama non si capacita che gli europei siano così tonti dal non risolvere il problema dell’eccesso di debito di un membro che vale meno del 2% del Pil dell’euroarea. Putin si precipiterebbe a spalancare le braccia a Tsipras. Per la Casa Bianca è inaccettabile Indebolire il fianco sud della NATO mentre l’UE nicchia sulle sanzioni a Putin, e il caos mediorientale tra Siria, Iraq ed espansione dell’Isis non è minimamente sotto controllo da parte dell’arrabbattata coalizione “aerea” (nel senso che agisce solo bombardando sporadicamente dal cielo) messa in piedi da Obama. Ma è anche vero che sin qui Washington ha fatto mille appelli, ma non ha tirato fuori in dollaro.
FMI. Si è rotto le scatole dell’inconcludenza della Ue. Da almeno tre mesi ha capito che Atene non cede affatto alle richieste di rigore, e che in queste condizioni è inutile perder tempo: l’istituzione multilaterale guidata da Christine Lagarde altri soldi non li mette. Il messaggio è alla cancelleria tedesca: Berlino si prenda la responsabilità di una scelta.
Merkel. Dicono che vorrebbe un accordo anche, ormai, assai poco rigoroso, per concedere ad Atene una prima tranche di 7,2 miliardi di euro di aiuti. Ma ha tre problemi. Nei sondaggi sui tabloid popolari germanici, ormai i tedeschi che vogliono Atene fuori dall’euro hanno superato il 50%. Il tosto ministro delle Finanze Schaueble è ormai della stessa idea, non è stato coinvolto dalla Merkel negli ultimi incontri con Tsipras, e si è incupito non poco. In più, nella CSU ma ormai anche nella CDU la fronda anti-greca conta una settantina di parlamentari. E in caso di aiuti, il Bundestag dovrebbe pronunciarsi, perché in Germania non si dà un cent in più all’Europa senza voto parlamentare (santo principio). Ergo la Merkel deve riuscire a piegare Tsipras almeno su qualche punto di fondo, altrimenti rischia schizzi copiosi di fango a casa sua.
Syriza. E’ inchiodata. Quanto più Tsipras è duro nei negoziati, tanto più cresce nei sondaggi. L’ala sinistra del partito ha fatto votare documenti in cui si ribloccano le privatizzazioni, non si toccano le pensioni, si torna alla contrattazione solo nazionale, si riassumono i dipendenti pubblici. Il problema “con quali soldi” pare irrilevante sull’orizzonte politico greco. Ma del resto troppo spesso vale anche nella politica italiana. I greci però vogliono restare nell’euro, oltre il 70% nei sondaggi si esprime così. E ti credo: è grazie all’euro che la Grecia si è permessa di accentuare ulteriormente tutti i suoi squilibri di folle statalismo. E’ un paese con pensioni medie pressoché pari a quelle tedesche, ma in cui in media si va in pensione 6 anni prima che in Germania, e con un PIL procapite meno della metà di quello tedesco. Senza manifattura, con export industriale pressoché assente, solo il turismo a tirare, produttività bassissima malgrado il record annuale di ore lavorate a testa, e armatori-oligarchi che non pagano le tasse per Costituzione.
Referendum o elezioni. In caso di mancato accordo, per la Merkel la via d’uscita sarebbe di negoziare in accordo con Draghi un trimestre di dilazione, consentendo a Tsipras di chiedere ai greci che cosa vogliono fare. Tsipras non ne ha alcuna voglia, però. Fino a 6 mesi fa erano i premier greci a minacciare la UE con ipotesi di referendum. Ora è la Ue a fare il contrario: sperando che i greci cambino idea nelle urne, al timore di vedere i propri residui risparmi in fumo.
Default incontrollato. Molti economisti filo euro ormai pensano quel che ha scritto Francesco Giavazzi: la Grecia non vuole modernizzarsi, non possiamo obbligarla, lasciamola andare. E’ la stessa tesi dei rigoristi tedeschi più duri come Hans-Werner Sinn, che da mesi scrive che gli aiuti alla Grecia hanno consentito ai greci stessi di portare in questi mesi nell’euroarea decine di miliardi che rimarranno denominati i euro, al riparo da ogni restituzione ai creditori europei, e scudati dalla mega inflazione del 40-50% – è la stima convergente di molte grandi banche internazionali – che si scatenerebbe in Grecia. Un default incontrollato farebbe molto male ai greci, quantomeno nel breve-medio termine (attenti a dirlo: i guru antieuro accademici italiani sono pronti a coprirvi di contumelie). Nel senso che i vincoli sui capitali, i fallimenti bancari e delle imprese i cui debiti restassero in euro con attivi in moneta invece svalutata, la svendita di asset deprezzati a compratori internazionali, il valore reale del risparmio abbattuto da svalutazione e inflazione, porterebbero la recessione greca a trimestri durissimi. Con una ripresa, è vero, nell’arco del biennio successivo, se guardiamo a precedenti come l’Argentina del 2002: ma attenti che la Grecia esporta poco, con la svalutazione non è che venda meglio nel mondo automobili o manufatti che non produce. Certo, per la politica greca sarebbe facile puntare sull’orgoglio nazionale, dando la colpa agli europei nuovi nazisti. E russi e cinesi accorrerebbero a far la parte dei salvatori, campioni come sono delle libertà che fondano l’idea stessa della loro sovranità.
Un default controllato. Il punto è che il default incontrollato non farebbe male solo ai greci, ma anche a noi. Alla Ue, che è invece convinta di non averne nulla da temere. Molti economisti e analisti si sono persuasi che la rottura dell’impossibilità dell’uscita dall’euro sarebbe anzi benedetta: deprezzerebbe la moneta comune, che invece da metà marzo ha ripreso a salire sul dollaro, riguadagnando quota 1,15 dalla quasi parità col biglietto verde che aveva raggiunto. E l’euro deprezzato fa bene alla ripresa europea. Padoan è convinto poi che l’ovvio effetto scommessa dei mercati contro l’Italia, uscita la Grecia, sarebbe piegato dalla Bce, costretta a difenderci comprando ancor più nostri titoli pubblici. Chi qui scrive pensa siano illusioni. La storia è piena di banche centrali sconfitte dai mercati. Noi pagheremmo più oneri sul debito pubblico. Già oggi le previsioni del DEF governativo di aprile non stanno in piedi, visto che i rendimenti di mercato dei titoli pubblici decennali si sono alzati da allora di 100 punti base, incorporando quelli del BUND tedesco. Sarebbe dunque molto meglio concordare un default parziale, con procedure condivise, vincolando la Grecia e la sua dracma a una fascia di oscillazione con l’euro anche ampia ma fissa, in cambio di qualche aiuto. Speriamo qualcuno abbia pronto lo schema, a Berlino e a Francoforte.
L’Italia. Credere che il nostro paese “non abbia vulnerabilità”, come ha detto Padoan, è una rassicurazione vana. E’ meglio che i governi italiano, spagnolo e francese ci pensino bene. Sono anch’io per lasciare liberi i greci, le monete-prigione nella storia non esistono e non reggono. Ma senza tenerli legati in qualche modo all’euro, allora Podemos in Spagna, Grillo e Salvini in Italia, la Le Pen in Francia, avranno una carta oggettivamente potentissima da giocare di fronte ai rispettivi elettorati. E sarà una colpa ulteriore dell’imbelle politica europea, a quel punto.

Oscar Giannino da www.brunoleoni.it - 15-06-2015

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