Censis - Rapporto annuale - 2006 - Segnali di ripresa per le imprese.

Non giudicare mai felice un uomo il cui equilibrio dipende da una prosperità materiale.

Seneca Lettere morali a Lucilio


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1. Considerazioni generali

Il Censis nel 40° Rapporto annuale apre la sua relazione con un messaggio ottimistico, :"la ripresa c’è e potrebbe persino configurarsi come un piccolo silenzioso boom se riusciremo a esprimere un impegno positivo in questi mesi invernali, superando non solo il pessimismo generalizzato, ma anche la dose di demotivazione che molti hanno maturato a seguito della legge finanziaria del governo Prodi".
L’affermazione di una ripresa in atto può apparire nel clima odierno troppo ottimistica ma non è ingiustificata se si elencano le forti scelte soggettive che sul piano economico imprenditoriale si sono manifestate nel corso del 2006. In particolare le scelte di quegli imprenditori, piccoli e medi, che hanno perseguito strategie di “nicchia alta” a livello globale sui bisogni sofisticati del lusso; di quegli imprenditori che hanno sviluppato una strategia “meticcia” combinando ruoli industriali, logistici, commerciali, finanziari, di import-export; delle imprese che sviluppano a livello internazionale produzioni “su misura” e “su ordinazione”; degli stessi imprenditori che sembravano condannati al “buco nero” dei loro settori (auto, tessile e abbigliamento, calzaturiero) e che hanno reagito con vitalità ed intelligenza; di quegli imprenditori e manager che hanno dimostrato voglia di diventare big players nei settori di appartenenza (nel credito come nella cantieristica); nonché dei molti soggetti localistici (distretti industriali, alcune grandi città, aree ad economia borghigiana) che stanno rendendo compatto il tessuto economico del territorio.

Se supereremo queste tendenze alla demotivazione, è possibile che si torni ad una crescita continua perché i suoi soggetti e i suoi processi sono quotidianamente operanti. Il sistema produttivo, infatti, sta procedendo in parallelo a una trasformazione significativa della composizione sociale italiana, cioè dell’antico serbatoio di energie socioeconomiche che sottende lo sviluppo dagli anni ’60 ad oggi. Il nostro sistema sociale, infatti, non sembra più addensarsi nel grande "ceto medio" creatosi dagli anni ’70 in poi.

Una nuova articolazione sociale comincia a manifestarsi, come effetto:
- di una rimodulazione del sistema di imprese sull’esempio di una minoranza trainante che si misura anche sulla competizione internazionale (imprenditori di nicchia, big players, imprenditori “meticci” o medie imprese operanti su commessa”);
- del crescente valore economico di un geo-centrismo che era nato marginale, nel localismo degli anni ’70 e che oggi vede vitalissimi i distretti, le aree a vocazione borghigiana, le città a forte rinnovamento di ruolo;
- di quell’area di terziario non impiegatizio, ossia a crescente impegno imprenditoriale e professionale, nei settori della logistica, dei trasporti, della finanza, degli stessi servizi alle persone e alle comunità (dove si affacciano anche imprenditori extracomunitari integrati nel nostro modello di sviluppo e di piccola impresa).
E’ questa triade che, rompendo l’invaso e la cultura del ceto medio, sta alla base della ripresa attuale e della sua futura tenuta.
Il Censis ritiene che su di essa si debbano concentrare l’attenzione e l’impegno politico, nella convinzione che essa sia più forte e più promettente della triade che oggi tiene banco (redistribuzione per leva fiscale - politica delle riforme - difesa a oltranza degli interessi particolari) ma che non riesce a costruire - e costruirsi - un futuro.

2. La società italiana al 2006

La ripresa c’è:

  1. Vi sono segnali di ritorno alla vitalità economica. L’atteggiamento attivo, definito lo scorso anno come “schegge di vitalità”, determina oggi maggiore fiducia nelle prospettive delle imprese, che vengono ritenute positive per il 92,6% delle imprese con oltre 20 addetti, intervistate in ottobre. A fronte della crescita del pil pari all’1,7%, con cui si chiuderà verosimilmente il 2006, uno dei risultati che maggiormente colpisce riguarda la crescita, nei primi 6 mesi di quest’anno, dell’occupazione e l’ulteriore discesa del tasso di disoccupazione. L’aumento degli occupati è stato dell’1,6% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente e nel secondo trimestre la variazione è stata del 2%. Nel sistema delle imprese, tra gennaio e luglio di quest’anno l’indice del fatturato è aumentato dell’8,7% e gli ordinativi sono aumentati del 10,7% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente; tra i comparti che spiccano per l’incremento del valore delle vendite compaiono quello delle industrie calzaturiere (+10,7%), della produzione di metallo e di prodotti in metallo (+11,5%), dell’elettromeccanica (+12,5%) e dei mezzi di trasporto (+19,5%).
  2. Le nuove strategie delle imprese appaiono vincenti. Oltre il 60% del valore delle esportazioni del 2005 si è concentrato in settori in cui l’Italia costituisce un partner estremamente competitivo a livello internazionale: molte aree della meccanica che, con 59 miliardi, pesa per il 20% circa sull’export italiano; i tessuti, la cui quota di mercato è cresciuta in cinque anni di 1,3 punti percentuali, arrivando all’11,8%; la produzione di tubi, dove l’Italia è leader mondiale con una quota di mercato dell’11,3%. E’ cresciuta la capacità di movimento degli imprenditori nello scenario internazionale: il 13,3% delle imprese manifatturiere italiane con oltre 50 addetti ha all’estero una parte di attività produttiva, tra quelle con 200/500 addetti la percentuale sale al 29,4%, tra quelle con più di 500 al 37,2%; il numero degli investitori italiani all’estero è cresciuto del 21,3%, arrivando a quota 5.750, per un numero di imprese all’estero partecipate da soggetti italiani pari a 16.832 unità; nell’ultimo anno la presenza delle imprese italiane in Cina è cresciuta del 12,4% arrivando a quota 1.461. E’ indicativo del percorso di riposizionamento sullo scenario internazionale e di consolidamento su quello interno, la sensibile crescita registrata tra 2001 e 2004 delle medie e grandi imprese, aumentate rispettivamente del 7,8% quelle tra 10 e 49 addetti, del 6,4% quelle tra i 50 e 249 e del 5,9% quelle oltre i 250.
  3. Si consolida un ruolo da big player per la grande impresa. Possiamo contare su un patrimonio di circa 2.000 grandi imprese che in prospettiva possono assicurarci una presenza più forte nei mercati emergenti e innescare un effetto di trascinamento della media impresa rafforzando le strategie innovative e il successo che queste stanno avendo; il fatturato globale delle grandi imprese, per il 2005, ha superato i 512 miliardi di euro, pari al 36,2% del pil dell’anno. Chi, in Italia, in maniera più o meno consapevole, può svolgere un ruolo di big player? Enel, Eni, Finmeccanica, Fiat, Unicredit, San Paolo – Intesa, Generali, Telecom Italia.
  4. Si consolida l’economia delle vacanze. Gli ultimi dati ufficiali relativi al movimento turistico negli esercizi ricettivi attestano per il 2005 un aumento annuo del 2,7% sia degli arrivi che delle presenze, con un significativo effetto di traino da parte della componente straniera della domanda (+3,6% gli arrivi e +5,0% i pernottamenti). Vi sono segnali di passaggio a un turismo post-industriale: a vocazione individuale, residenziale, “artigiana” e immobiliare. Vi è un’accentuata tendenza a spalmare le ferie durante l’anno, ormai solo il 43,5% dei viaggi per vacanze è concentrato nel trimestre estivo. Le vacanze brevi, di 1-3 notti, sono aumentate del 13,1% rispetto all’anno precedente, arrivando a costituire ormai il 46,7% del totale. Vi è un crescente uso delle seconde case di proprietà per fini turistici, che nel 2005 ha riguardato il 13% delle vacanze (l’11,8% nell’anno precedente). La disponibilità complessiva delle seconde case per vacanza può essere stimata in almeno 10 milioni di posti letto, ovvero circa 2,5 volte la ricettività alberghiera ed extra alberghiera.
  5. Tiene il modello di integrazione socioeconomica degli immigrati. Resta basso e decresce il tasso di disoccupazione tra gli stranieri (8,8%); è confortante il dato in forte crescita relativo agli stranieri extracomunitari titolari di impresa: circa 200.000 nel 2005.

Ma persistono zavorre sistemiche:

  1. Gli effetti sottovalutati di una spesa pubblica indomabile. Nel periodo 2000-2005 la spesa pubblica corrente al netto degli interessi è passata da 475 miliardi di euro (pari al 39,9% del pil) a 622 miliardi di euro (43,9% del pil) con un tasso medio di crescita annuo reale del +2,6%, mentre nello stesso periodo il pil è cresciuto dello 0,6%.
  2. I tempi lunghi e gli alti costi delle reti infrastrutturali. Le “opere compensative e indotte” legate al programma complessivo dell’alta velocità si stima ammontino a circa 9,2 miliardi di euro.
  3. L’involuzione retorica di scuola e università. Si conferma per l’Italia una tendenza all’investimento sociale in istruzione più debole rispetto agli altri paesi; la spesa pubblica in istruzione sia in rapporto al pil (4,9%), sia in rapporto al totale della spesa pubblica (9,9%) sono inferiori alla media dei paesi Ocse, dove raggiungono rispettivamente le quote del 5,5% e del 13,3%.
  4. Un welfare di tipo clientelare. Difformità di trattamenti, indebite strategie di selezione della domanda lavorano, in maniera sotterranea, all’interno del sistema di welfare. Il 32% delle famiglie italiane, secondo i risultati di un’indagine Censis del 2006 ha affermato di essere stata deviata dall’offerta pubblica verso quella privata.
  5. La criminalità emergente fra metropoli e piccole province. Il 30,8% dei reati, 795.191 in valore assoluto, avviene nelle aree metropolitane di Milano, Roma, Torino e Napoli; ma l’incremento della paura e quindi delle denunce avviene in una graduatoria imprevista in cui ai primi posti si trovano Ferrara (+20,9% di reati denunciati in un anno), Perugia (+19,1% dal 2004 al 2005), Pisa, Rovigo, Salerno, Cuneo, Viterbo, tutte province solo marginalmente interessate dalle cronache criminali.
  6. E le leadership appaiono in una crisi di senso: svuotate dall’emersione dei ceti, corrose dall’ossessione mediatica, distratte dai malefici effetti del localismo corporativo, ancora incapaci di includere le donne, e incalzate dall’ambiguo primato dei singoli nelle decisioni bioetiche.

3. I processi formativi

Sulla formazione linguistica l’Italia è divisa in due: da una parte gli indifferenti, i diffidenti e i perplessi (in totale il 54% della popolazione) che ritengono non serva conoscere le lingue; dall’altra parte i fiduciosi (25%; soprattutto giovani studenti) e i globetrotters (21%), gli unici che sembrano veramente a proprio agio in un contesto multilinguistico.
Per gli immigrati conoscere l’italiano è importante per stringere rapporti di amicizia con gli italiani (82,1%), per utilizzare i servizi pubblici (78,6%), per lo svolgimento dell’attività lavorativa (86,5%), per trovare un lavoro migliore (71,4%). Il 72,2% degli intervistati vive in Italia da un periodo compreso tra 3 e 10 anni; il 55,7% non ha intenzione di tornare nel proprio paese di origine e il 24,9% afferma che vi tornerà tra molto tempo; solo il 17,9% manifesta la volontà di andare a vivere in futuro in un altro paese.
Sono quasi 2.000 i master presenti sul mercato, di cui il 41% alla prima edizione, per un totale di 38.000 posti ed un volume di affari pari a 180 milioni di euro in caso di piena collocazione sul mercato. Il tasso di saturazione dei posti disponibili è elevato (70%). Il ricavo medio per iscritto è di 5.800 euro, superiore al prezzo medio di iscrizione (4.800 euro), in virtù del maggior numero di iscritti registrato dai master più costosi. Un master umanistico costa in media 2.700 euro; un master gestionale o di management 8.000 euro. Al nord si concentra il 48% dei master ed il 43% dei posti disponibili. La durata media è di 500-600 ore, e sono impegnati 18 mila docenti di ruolo universitari e 16 mila docenti extra accademici. I master dell’area economico-finanziario-manageriale coprono il 23% dell’offerta, mentre i master di nuova istituzione riguardano soprattutto i settori scientifico (49%) e umanistico (48%). Un master su 3 prevede l’erogazione di lezioni in lingua straniera ed 1/3 dei corsi coinvolge docenti stranieri, solo l’8% offre la possibilità di effettuare un tirocinio/stage all’estero.


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Nelle scuole italiane 100 allievi si dividono 8 computer, contro gli 11,3 computer della media europea a 25 paesi. Vi sono però alcune aree in cui la scuola italiana appare più dinamica: 69 scuole italiane su 100 dispongono di un accesso a banda larga, contro le 67 della media europea; il 73% delle scuole italiane ha un proprio sito internet contro il 63% dell’Unione europea. La quota dei docenti che ritiene di possedere competenze adeguate è pari al 77,4%, la media europea è dell’82,1%. Gli insegnanti italiani presentano una percezione più positiva degli effetti dell’uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione sulla didattica: 81% contro il 70% della media europea.
Le domande di iscrizione ai corsi regionali di formazione permanente cofinanziati dal Fondo sociale europeo sono quasi il doppio dei posti disponibili. Il confronto tra gli iscritti all’avvio del progetto e gli effettivi frequentanti dei corsi mostra però una flessione del 16% rispetto agli utenti iscritti ai corsi e del 9% rispetto ai destinatari previsti. La difficoltà consiste nel conciliare le esigenze imposte dai corsi (nei giorni ed orari stabiliti) con i tempi e le attività tipiche della vita adulta.
Si va progressivamente annullando lo storico ritardo nella scolarizzazione della componente femminile della popolazione con oltre 15 anni di età: nel 2005 la quota di laureate, pari al 9,1%, si attesta su livelli prossimi a quelli dei maschi laureati (9,2%). La popolazione scolastica, nel 2005-2006 ammonta a 8.908.336 allievi, 24.492 in più rispetto all’anno precedente (+0,3%). A contrastare un andamento tendenzialmente negativo se rapportato all’andamento demografico e ai bassi tassi di natalità concorrono la crescente presenza di allievi immigrati da altri paesi, l’aumento della propensione a conseguire più alti livelli di scolarità e l’ampliamento di offerta e domanda a livello di scuola dell’infanzia, non obbligatoria. Gli iscritti fuori corso ai corsi di laurea passano dai 121.508 del 2003-2004 ai 245.604 del 2004-2005 (+102,1%) e, nel 2005-2006 dovrebbero superare ampiamente le 300.000 unità, con un incremento percentuale pari al 37,6%.

4. Lavoro, professionalità, rappresentanze

Il bilancio d’anno è polarizzato fra una conferma della vitalità del sistema sul piano della creazione di occupazione e una sostanziale staticità delle proposte di intervento. Le norme e gli strumenti esistenti per sostenere il mercato del lavoro hanno raggiunto obiettivi significativi: dal settembre 2005 al settembre 2006 gli occupati sono cresciuti del 2,4%, persino nel Mezzogiorno, con un incremento del 2,2%. Il tasso di disoccupazione si è attestato intorno al 6,5% e anche la partecipazione al lavoro ha registrato segnali positivi. La flessibilità in sostanza ha dato i frutti attesi e probabilmente ha raggiunto una soglia di quasi saturazione, posto che l’11% degli occupati lavora con contratti a termine. Nel futuro non ci potrà essere attenzione soltanto a nuove politiche di flessibilità, ma dovrà essere dato più valore a due variabili che non sono marginali rispetto alla possibilità di mantenere e, se possibile di elevare, i livelli di occupazione, ossia il collegamento fra i mercati territoriali del lavoro e i meccanismi di governance tramite i quali gestire il sistema.
Il problema che rimane aperto è quello della qualificazione del lavoro, che tende a crescere fra le posizioni esecutive (+2,0%) e non qualificate (+3,3%), e che non trova più grandi riconoscimenti neanche all’interno del lavoro dipendente terziario, come quello bancario, in cui per molto tempo ha rappresentato una risorsa importante. Attualmente, i lavoratori del comparto creditizio patiscono gli effetti della seconda fase delle ristrutturazioni societarie in atto: il 73,4% dei bancari è scontento dei percorsi di carriera e il 67,4% ritiene di avere carichi di lavoro troppo pesanti a fronte di una progressiva perdita di centralità sostanziale nelle strategie aziendali.
Il lavoro autonomo, per parte sua, pur perdendo progressivamente peso (-4,2%, dal 2004 al 2005) presenta segnali di cambiamento interessanti. I piccoli e medi imprenditori sono fortemente orientati all’innovazione, che realizzano soprattutto sul piano della tecnologia e dei sistemi informatici (77,5%), del prodotto servizio (45,6%) e, benché in misura minore, per l’ingresso sui mercati esteri (17,7%). All’interno delle attività professionali si stanno muovendo analoghi flussi di cambiamento, testimoniati dall’orientamento degli Ordini e delle Associazioni in merito alla certificazione dei loro iscritti, come un’unica strada per garantire credibilità a questa quota del terziario (41,2%).
Nel terziario che avanza sul piano delle macro aggregazioni, si stanno verificando alcuni fenomeni importanti sotto il profilo della rappresentanza degli interessi, poiché i lavoratori terziari esprimono una domanda di nuovo protagonismo che si traduce nella creazione di aggregati nuovi, magari non destinati a rimanere stabili (si pensi alla ritrovata unitarietà dei sindacati bancari, o alla piazza dei professionisti), ma in grado di dirigere flussi di consenso consistenti.
Il 2006 ha segnato un passaggio positivo anche per le donne, la cui partecipazione al mercato del lavoro è aumentata (il tasso di attività è al 51%), a fronte di una riduzione della disoccupazione (-10,3%). Nonostante questi segnali incoraggianti, le donne continuano ad occupare ruoli di secondo piano nello spazio pubblico e nei luoghi di potere: l’Italia occupa il 59° posto nella graduatoria mondiale stilata in relazione alla quota di donne presenti nei Parlamenti, inserendosi dietro paesi come, ad esempio, il Rwuanda, il Costa Rica, Cuba e Monzambico.

5. Il sistema di welfare

Sanità: i costi della cattiva programmazione. Negli ultimi anni la sanità ha visto un incremento della spesa e del disavanzo (il cumulo dei disavanzi per il periodo 2002-2005 è stato di circa 17 miliardi di euro) accompagnato da una mediocre stabilità dell’offerta; infatti, per quasi il 51% degli italiani negli ultimi due anni i servizi sanitari non hanno subito mutamenti, per il 26,6% hanno registrato un peggioramento, inoltre l’informazione sulla salute è un territorio in cui pochi si orientano. Il 74,9% degli italiani si ritiene molto o abbastanza informato sui temi della salute, e la “fame” di informazione trova risposte soprattutto sui media: tra le fonti principali, la televisione passa infatti dal 22,8% del 2003 al 43,2% nel 2006, mentre il medico di medicina generale, che pure rimane centrale, passa dal 71,6% al 65,8%, ed è marcata nello stesso tempo la crescita di Internet, passata al 13,1% dal 2,8% del 2003. A costituire una discriminante decisiva, in termini di scelta delle fonti, di comprensione e soprattutto di messa in pratica di quanto appreso, è però la variabile culturale: Internet è infatti citata dal 23,1% dei laureati contro l’1,3% di rispondenti con i titoli più bassi, mentre la televisione è più citata al diminuire dei titoli di studio, e inoltre, a fronte del 40% che ha dichiarato di aver tradotto le informazioni ricevute in comportamento concreto, la quota di laureati sale fino al 50,4%.
Tra responsabilità individuale e imperativo della bellezza: la pressione mediatica sui corpi delle donne. Nelle opinioni delle donne si trova conferma di quanto emerge dal dibattito pubblico, a proposito dei modelli estetici caratterizzati dalla magrezza: il 31,2% delle italiane infatti trova nelle immagini proposte dalle pubblicità televisive un termine di confronto frustrante, considerandole “modelli irraggiungibili che hanno il solo scopo di fare sentire inadeguate le donne reali”, e le più giovani in particolare sembrano subire questa pressione: solo una 18-25enne su tre, contro il 40,9% complessivo, si piace così com’è, ed il 56,1% (contro il 43,7% totale) esprime l’aspirazione a migliorare il suo aspetto. Il 45,9% delle 18-25enni, contro la media del 35,4%, si è sottoposto nell’ultimo anno ad una dieta per perdere peso, e il 37,8% lo ha fatto pur essendo normopeso o sottopeso.
Per l’assistenza non è solo un problema di risorse. Per il 45% degli italiani occorre potenziare i servizi sul territorio relativi agli anziani, i disabili e le persone non autosufficienti; per oltre l’81% ciò deve avvenire con l’istituzione di un Fondo ad hoc per la non autosufficienza, senza però creare tasse aggiuntive. Infatti, per il 57,1% il Fondo deve essere finanziato con una quota dell’attuale spesa sanitaria, per il 23,6% con contribuzione volontaria e solo il 12,3% accetterebbe una tassa di scopo.
La lenta preparazione della previdenza complementare.  Continua la crescita degli iscritti ai Fondi Pensione (circa 3 milioni nel 2005, +8,7% rispetto al 2004), tuttavia è ancora insufficiente perché nel 2004 il rapporto delle attività in gestione dei Fondi Pensione rispetto al pil era in Italia del 2,6%) inferiore a quello di molti dei più importanti paesi europei. Va, però, segnalato che negli ultimi anni il rendimento dei Fondi Pensione è migliorato, e nel 2005 è stato pari all’8,5% contro il 2,6% della rivalutazione netta del Tfr, con effetti potenzialmente positivi in vista della riforma del Tfr.

6. I soggetti economici dello sviluppo

Ripresa economica dal doppio volto. I segnali di crescita economica percepiti in trasparenza alla fine dello scorso anno si sono consolidati. Il 2006 si chiuderà con un insperato ma significativo incremento del pil. Fatturato e ordinativi delle imprese hanno registrato nei primi otto mesi di quest’anno consistenti incrementi; i consumi delle famiglie aumentano seppure in misura contenuta; l’occupazione aumenta considerevolmente e si riduce parallelamente il tasso di disoccupazione. Ciò tuttavia non necessariamente delinea fenomeni di vero sviluppo. Ci si chiede che tipo di ripresa si prospetta, se si tratti di un semplice assestamento o di un mutamento rinvigorente in grado di sostanziarsi nella modernizzazione del Paese. A ben guardare rischiamo di posizionarci più sul primo scenario che sul secondo.
Liberalizzazioni e nuova politica industriale. Liberalizzazioni e rilancio della competitività del sistema produttivo italiano figurano tra gli obiettivi di politica economica varati dalle nuove forze di governo. Si è deciso di intervenire sulla liberalizzazione dei prezzi e della distribuzione dei farmaci, delle licenze dei taxi nei grandi centri urbani e sull’abbattimento delle tariffe minime praticate nell’ambito delle libere professioni. Il rilancio del sistema produttivo dovrebbe passare anche, ma non solo, attraverso incentivi generalizzati con assegnazione automatica. Sebbene si tratti di provvedimenti in grado di generare vantaggi per il Paese, essi dànno il senso di una politica economica dei “piccoli passi”, più che di un piano di ampio respiro.
Reti d’impresa e nuove strategie per l’internazionalizzazione. Sembra emergere in Italia un modello nuovo di impresa determinata ad investire nella riorganizzazione complessiva delle strategie di mercato, nell’ampliamento e controllo delle reti distributive, dei sistemi logistici, nella diversificazione delle strategie di marketing e nel rafforzamento delle reti di conoscenza. Il 47% delle imprese italiane partecipa a reti di collaborazione; per il 65% di esse, il network serve allo scambio di informazioni tecniche, per il 37% all’innovazione di prodotto o di processo, per il 35% al rafforzamento delle politiche commerciali. Le imprese partecipanti a reti interaziendali mostrano una maggiore propensione all’internazionalizzazione di quelle che non operano in un sistema a rete.
Fotografia dei distretti industriali a metà decennio. Il 2006 è accreditabile di una ripresa piuttosto sostenuta delle esportazioni e della produzione dei principali distretti industriali italiani. Per oltre il 74% di 516 aziende variamente distribuite tra 23 distretti industriali la fase congiunturale del 2006 viene vista come positiva. Si modificano e si rafforzano le strategie di mercato: il 37% delle aziende di distretto adotta una strategia di nicchia e il 16% una strategia aggressiva, solo il 30% dichiara una strategia di difesa dai competitori. Il diradarsi dei segnali di crisi, attraverso l’inversione di tendenza che sembra avviato in questo 2006 ci restituisce un nuovo modello di cluster produttivo, in cui si agitano forze contrapposte: da un lato la spinta alla torsione e al riposizionamento in un mercato profondamente mutato e, dall’altro, la propensione alla frammentazione interna.
Il cluster marittimo italiano: sistema di impresa che crea valore. Con 36,5 miliardi di euro di beni e servizi prodotti, al netto delle importazioni, il sistema marittimo italiano contribuisce alla formazione del 2,7% del pil nazionale (nel 2000 l’incidenza era del 2,3%) e coinvolge l’1,6% dell’occupazione totale. Ormai da tempo, il mare genera valore ed è divenuto anche in Italia il fattor comune di un sistema complesso di imprese, di reti e servizi per la logistica e di capitale umano. Non appare azzardato affermare che il sistema marittimo nazionale ha seguito negli ultimi anni un percorso anticiclico rispetto al rallentamento complessivo dell’economia italiana.
I circuiti economici dell’Italia multietnica. L’impatto sociale e economico generato nel nostro Paese da più di 2,6 milioni di immigrati regolari (il 4,5% dell’intera popolazione residente) non può che essere rilevante. Che gli immigrati non siano soggetti passivi dell’economia nazionale è provato da alcuni dati relativi al sistema del credito. In particolare, quasi la metà delle 800 famiglie straniere analizzate dal Censis nel 2006 mostra un discreto livello di bancarizzazione, oltre il 40% dispone di un conto corrente e di una carta Bancomat, il 17% ha un conto presso le Poste italiane e il 16% ha un libretto di risparmio presso una banca o presso le Poste; quasi il 60% ha dichiarato di fare abitualmente ricorso ai servizi bancari senza incontrare grandi problemi; il 23% ha già utilizzato il credito al consumo, l’11,2% ha attivato un mutuo per l’acquisto di una casa e il 17,5% pensa di farlo a breve.
Forme e significati dell’indebitamento delle famiglie italiane. Aumenta in Italia il grado di diffusione dell’indebitamento: agli inizi di questo decennio si stimava che tale fenomeno riguardasse circa il 19% dei nuclei familiari italiani, mentre attualmente la quota si attesta al 22%, ma il pericolo di sovra indebitamento appare molto remoto. Il Censis rileva che il 35% di un campione di 1000 famiglie ha fatto ricorso negli ultimi due anni ad acquisti rateali finanziati; la percentuale risulta in crescita costante. I crediti in sofferenza in capo alle famiglie sono in diminuzione; in particolare, le sofferenze in essere dei crediti concessi alle famiglie ammontavano nel 2002 a 11,1 miliardi di euro, mentre a metà del 2006 esse risultano pari a 10 miliardi di euro. Le situazioni di rischio diffuso di default generato da eccessivo indebitamento risultano piuttosto limitate: tra gli utilizzatori di credito al consumo (35% delle 1000 famiglie contattate dal Censis), il 91% non ha avuto problemi nella restituzione del prestito, il 5% ha restituito le rate con qualche difficoltà, il 2% ha avuto notevoli difficoltà e il restante 2% si è ritrovato in una vera situazione di default non essendo riuscito a rispettare le scadenze e adempiere agli impegni assunti.


7. Comunicazione e media

Cittadini mono-mediali e multi-mediali in Europa. Nel confronto fra cittadini che usano (sanno usare) sostanzialmente un solo media (ossia la televisione) e cittadini che invece usano (sanno usare) sostanzialmente tutti i media a disposizione, siamo all’ultimo posto nella classifica europea. L’unico paese con un profilo simile al nostro è la Francia (con il 47,1% di mono-mediali rispetto al nostro 47%), mentre la Spagna (61,3% di multi-mediali), la Germania (67,7%) e la Gran Bretagna (74,9%) si collocano su posizioni molto distanti.
Negli ultimi anni in Italia c’è stato un aumento significativo di cittadini multi-mediali, che erano il 46,6% nel 2002 e sono diventati il 53% nel 2006. Un incremento importante, raggiunto grazie all’apporto delle fasce più giovani e più istruite della popolazione, ma con cui non riusciamo a colmare il divario che ancora ci separa dal resto d’Europa.
A cosa servono i media. Informarsi e approfondire sono le attività preferite dal pubblico dei media, non solo per il gran numero di persone che gli attribuiscono la “massima importanza” (80,7% e 69% rispettivamente), ma anche per la minima percentuale di persone che gli attribuisce “nessuna importanza” (0,8% e 3,2%). Più bassa, invece, l’importanza attribuita all’intrattenimento (41,3%), o al relazionarsi con gli altri (45,3%), che sembrerebbero funzioni centrali nell’esperienza della fruizione dei media di massa, ma che ormai sono quasi del tutto mescolate all’informazione e all’approfondimento.
Centralità e multi-medialità della musica nella vita quotidiana. Nel rapporto con i media ben il 46,5% degli italiani attribuisce la “massima importanza” all’interesse per la musica (al terzo posto dopo i più urgenti/diffusi bisogni di informazione e approfondimento). Quali sono i media a cui si fa ricorso per assecondare tale interesse e con quale grado di soddisfazione? Ai primi posti per l’uso, la radio (77,4%) e persino la televisione (57,3%). Ma la “massima soddisfazione” si ottiene con i lettori MP3 (77,2%) e con Internet (69,7%), che tuttavia sono ancora usati da quote di popolazione modeste rispetto ai grandi pubblici di radio e televisione.
Sta tornando il piacere di leggere libri. Per la prima volta la percentuale di quanti in Italia hanno letto almeno un libro nell’ultimo anno supera la metà della popolazione (sopra i 14 anni) collocandosi al 55,3%. Ma nonostante questo notevole passo avanti, siamo ancora molto indietro rispetto agli altri paesi, che oscillano dal 62% della Francia al 75% della Gran Bretagna. Dal punto di vista degli acquisti la distanza tra l’Italia e gli altri paesi è meno marcata rispetto alla lettura: gli italiani che comprano libri (48,7%) sono anche un po’ più dei francesi (46,6%) e poco meno degli spagnoli (53,3%), mentre solo tedeschi (61,5%) e britannici (64,7%) si collocano su di un piano nettamente superiore.
I quotidiani si vendono poco, ma vendono molto. I dati a disposizione sulle opere allegate ad alcuni dei principali quotidiani italiani, tuttora disponibili in edicola, perché ancora in corso o da richiedere come arretrati, sono sorprendenti per le dimensioni del fenomeno: ben 89 iniziative editoriali per un numero complessivo di volumi pari a 1.397.

8. Processi innovativi

Costruire i territori digitali. Le analisi di Rur e Censis sulle città digitali, partendo dai siti web istituzionali, consentono di esprimersi sul percorso di regioni, province e comuni verso la digitalizzazione dei propri territori. Tra i veterani, nelle regioni troviamo la triade di eccellenza rappresentata da Liguria, Emilia Romagna e Toscana seguite dalla Lombardia che viaggia a ridosso delle tre con un andamento lievemente più incostante. I veterani tra i comuni capoluogo sono Bologna e Torino in primis, che si passano da anni il testimone della migliore città on line. Fanno parte di questa categoria anche i siti del Comune di Firenze (sebbene in discesa quest’anno) e Roma, i siti dei comuni di Genova, Modena, Pisa, Venezia, Ravenna, Cremona.

Il Mezzogiorno digitale. Per quanto riguarda gli utenti la distribuzione di questi per area geografica ci restituisce un’Italia una volta tanto omogenea nei comportamenti: usa la rete il 38% degli italiani con scostamenti minimi da una parte all’altra del Paese a parte il Nord-Ovest. Più articolati i risultati in merito alle attività svolte su Internet. Da questa prospettiva si evince una specificità più che del Sud Italia dove gli intervistati dichiarano un utilizzo di Internet meno prevalente sul lato business ma più legato ai consumi famigliari (informazioni sugli acquisiti, acquisti svolti direttamente on line, ascolto della radio on line, ecc.). Analoghe considerazioni emergono per quanto riguarda la copertura aggiornata della rete Adsl per Regione. La realtà italiana in questo caso è ancora più articolata, a tal punto che in alcune regioni la popolazione raggiunta dalla “alta velocità” è pari al 90% del totale mentre, in altre, si ferma al 56%. Nonostante ciò, anche in questo caso, la differenziazione territoriale non si concentra in aree specifiche per cui ad un Molise, che in effetti registra il valore più basso in termini di diffusione tra la popolazione, si contrappongono regioni come la Campania e la Sicilia che possono vantare valori tra i più alti.

Innovazioni diverse: etnobusiness, migranti e panorami tecnologici. Negli ultimi cinque anni l’etnobusiness è cresciuto notevolmente, non solo in settori tradizionali quali costruzioni (+202,1%), agricoltura e pesca (+28,9%), commercio (+101,7%), ma anche nel settore informatico (+28,2%) e delle telecomunicazioni. I titolari di impresa extracomunitari, 174.936 nel 2004, arrivano nel 2005 a quota 202.016; se si considerano, poi, non solo i titolari ma anche soci ed amministratori i migranti che hanno fatto la scelta di mettersi in proprio salgono a quota 355.820 nel 2005, con un incremento rispetto a cinque anni prima dell’82,5%. Nel settore dell’informatica la serie storica mostra un incremento costante delle imprese gestite da extracomunitari che crescono più del doppio rispetto alle imprese gestite da italiani. Gli immigrati che fanno impresa nel settore ICT sono in prevalenza uomini (ogni dieci imprenditori, 7 sono uomini) e si concentrano nella classe di età media. Nello specifico, per quanto riguarda il settore Informatica ed attività connesse sono il 67,1% gli imprenditori tra i 30 e 49 anni, mentre salgono al 72,1% nel settore Poste e telecomunicazioni. Un lieve scostamento è tuttavia osservabile per quanto riguarda quest’ultimo settore in cui i giovanissimi, fino a 29 anni, si aggiudicano il 22,2% delle imprese di categoria.

Inclusione, coinvolgimento e partecipazione: la democrazia elettronica per una migliore qualità della vita. I 129 progetti di e-democracy presentati nel 2004 al Cnipa (di cui 57 sono stati ammessi a finanziamento e 55 sono ora in fase di start-up) hanno visto la partecipazione di comuni nell’80% dei casi, di province nel 6% dei casi e di regioni nel 3% dei casi, per un complesso di 744 enti (in fase di sviluppo o di riuso). Nel 75% dei casi hanno partecipato associazioni, con contributo anche economico e 50 progetti hanno avuto l’apporto di privati. L’indagine 2006 sulle città digitali individua sui siti istituzionali una crescita nella tendenza ad aggiornare e rendere trasparente l’attività quotidiana dei vertici politici: sono 17 le regioni che pubblicano le delibere di giunta (15 delle quali le pubblicano in versione integrale (erano 13 nella precedente rilevazione). Delibere di giunta sono presenti integralmente nel 35,2% dei siti provinciali (che comunque danno informazioni in diversa misura delle delibere in oltre il 60% dei casi). Anche per i comuni capoluogo, è di oltre il 60% la pubblicazione delle delibere, quasi il 40% pubblicate interamente, la maggior parte delle volte è presente un motore di ricerca che facilita la consultazione. Aumenta anche la tendenza a chiedere la registrazione dell’utente al sito, presente ormai nel 55% dei siti regionali, nel 21,5% dei siti provinciali e nel 31% dei siti comunali.

9. Sicurezza e cittadinanza

Indulto: che cosa è stato fatto, che cosa si poteva fare.  Al 31 luglio 2006 risultavano presenti nelle carceri 60.710 detenuti, a fronte di una capienza massima di 43.233 unità. Di questi 38.134, pari al 62,8% risultavano condannati. Gli stranieri erano 20.088, pari al 33,1% della popolazione carceraria. Al primo marzo 2006 i tossicodipendenti presenti in carcere erano 16.185 (pari al 27 % del totale dei detenuti) e si contavano 11.800 detenuti affetti da patologie del sistema nervoso o da disturbi mentali. In aumento i suicidi, passati dai 52 del 2004 ai 57 del 2005. Il 30 settembre del 2006, a due mesi dall’indulto, le carceri italiane avevano una popolazione complessiva di 38.326 detenuti, al di sotto della soglia della capienza massima.
La criminalità al passo coi tempi.  Tra il 1998 e il 2004, il numero di articoli contraffatti sequestrati alle frontiere della Ue è aumentato di oltre il 1.000%, passando dai 10 milioni del 1998 agli oltre 103 milioni del 2004. In Italia, le stime indicano, nel 2003, un volume di merci contraffatte pari ad un valore di circa 1,5 miliardi di euro. Tra il 2003 e il 2004, la Guardia di Finanza ha sequestrato in tutto il territorio italiano oltre 129 milioni di pezzi tra abbigliamento (19,4%), elettronica (7,9%), beni di consumo (36,9%) e giocattoli (35,8%). Complessivamente le truffe e le frodi informatiche denunciate all’Autorità Giudiziaria dalle Forze di Polizia sono cresciute del 36,5% nell’ultimo anno, passando da 66.294 a 90.523.
In prossimità dei cittadini. Il servizio di prossimità più innovativo è rappresentato senza dubbio dal Commissariato on line (www.commissariatodips.it), inaugurato il 15 febbraio di quest’anno. Si tratta del primo e unico tentativo al mondo di attivare un commissariato virtuale. Dal 15 febbraio al 30 settembre 2006 il sito ha avuto 258.709 visitatori; e di questi 17.574 per più di una volta, per una durata media delle visite di 4 minuti circa. Per quanto riguarda la tipologia degli interventi richiesti, vi sono state 4.822 richieste di informazioni; le segnalazioni sono state 2.203; le denunce sono state 1.968.

L’immigrazione al Sud tra stabilizzazione delle presenze e difetto di programmazione. Ciò che emerge dall’analisi dei contesti migratori delle grandi città del Sud è un lento ma progressivo mutamento del fenomeno, animato da tendenze comuni: il consolidamento delle presenze per cui in tutte le città si registra una crescita importante che, seppur inferiore a quella media italiana, raggiunge punte alte soprattutto a Reggio Calabria (+157,4%) e a Napoli (+116,9%); la femminilizzazione dei flussi, evidente in particolare a Napoli ove la popolazione femminile sfiora il 65% del totale; una spiccata multietnicità, per cui nelle città analizzate sono presenti, in larga parte, stranieri originari di paesi orientali (dell’Europa dell’Est e dei Paesi affacciati sull’oceano indiano) e, in misura minore, dell’Africa e dell’America Latina; la distribuzione polarizzata dei migranti, concentrati nella zona centrale e in quelle della periferia estrema del territorio comunale.

CENSIS

Rapporto del 1 dicembre 2006


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