Nascita e ruolo di Mediobanca


Il giusto secondo natura corrisponde a ciò che si rivela utile per non danneggiare gli altri e non essere danneggiati.
Epicuro, Epistola a Meneceo


Copertina

Con questo articolo proseguo la pubblicazione di alcuni stralci del mio libro storico-economico L'estinzione dei dinosauri di stato. Il libro racconta i primi sessant'anni della Repubblica soffermandosi sulla nascita, maturità e declino di quelle grandi istituzioni (partiti, enti economici, sindacati) che hanno caratterizzato questo periodo della nostra storia. La bibliografia sarà riportata nell'ultimo articolo di questa serie di stralci. Il libro può essere acquistato in libreria, in tutte le librerie on-line, oppure on line presso la casa editrice Mind.
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Nel 1946 nasce, per le pressioni di Raffaele Mattioli, presidente della Comit, Mediobanca; affermerà Antonio Maccanico: «Si trattava di far nascere un istituto speciale con il compito di aiutare la ricostruzione del sistema industriale del Paese, compito che la legge bancaria del 1936 precludeva agli istituti di credito ordinario». L’ambiente finanziario italiano vede con ostilità la sua nascita, tanto che 14 tra le banche interpellate si defilano e viene siglato un accordo solo con i tre istituti di credito in possesso dell’Iri (Comit, Credit e Banco di Roma), che diventano i soci di controllo della nuova banca. Questa si procura, attraverso le tre Bin (banche di interesse nazionale), i mezzi per la raccolta finanziaria necessaria per operare come banca d’affari.
Mediobanca rappresenta un’anomalia del sistema bancario: è un’istituzione con una maggioranza di controllo in mano allo Stato, al servizio degli interessi dei grandi industriali del Nord, grazie ai depositi delle banche Iri, ma operante in assoluta autonomia, come se fosse un soggetto privato, grazie alla sorveglianza del dominus della banca, Enrico Cuccia, che riesce a tenere i partiti a debita distanza da Mediobanca. Cuccia, come molti personaggi cresciuti all’ombra dei padri del Partito d’Azione, aveva un gran disprezzo per la politica vissuta come professione esclusiva.
Nel 1958 veniva costituito un sindacato di controllo nel quale i privati, pur controllando solo il 6,25% delle azioni, avevano un diritto di veto sulle decisioni della maggioranza costituita dalle tre Bin. Nel 1984 Cuccia cerca di forzare la mano verso una maggiore privatizzazione di Mediobanca, cercando di vendere il 20% di azioni alla Banque Lazard; Prodi reagisce duramente, impedendo che Cuccia venga rieletto nel consiglio di amministrazione tra i consiglieri espressi dall’Iri. Sostiene, infatti, che mai l’Iri rinuncerà al controllo di Mediobanca, concede di vendere solo il 6% di azioni e fa scadere il patto di sindacato stipulato nel 1958. Seguono furiose lotte di palazzo, nei partiti e nei vari centri di potere. Usando le parole di Massimo Pini: «Era necessario a quel punto rivolgersi a un mediatore per sciogliere il nodo gordiano senza usare la spada di Gordio: in quell’ottica, il 16 marzo 1987, viene eletto presidente di Mediobanca Antonio Maccanico, nipote di Adolfo Tino» che ne era stato per trent’anni presidente.
Maccanico, anche lui cresciuto alla scuola dell’azionismo, porta Mediobanca alla privatizzazione entro un anno. Il 13 ottobre 1987 presenta un piano che – dopo veti, interferenze politiche e relative modifiche – consente alle tre Bin (con il 25%) e al gruppo privato (con un altro 25%) di costituire il sindacato di controllo (con il restante 50% delle azioni posto sul mercato). Nel novembre 1988 le plusvalenze realizzate dalle tre Bin assommeranno a 1.235 miliardi; dall’iniziale “provocazione” di Cuccia, che aveva tanto irritato Prodi, ne nasce quindi una delle poche operazioni che porta liquidità nelle casse dell’Iri.
Un’altra iniziativa che va citata è la prima utilizzazione della legge Amato sulle fondazioni bancarie. Il professor Pellegrino Capaldo, con la benedizione politica di Andreotti e grazie alla fondazione della Cassa di risparmio di Roma, riesce a “sfilare” all’Iri con poca spesa il Banco di Santo Spirito e il Banco di Roma (Bragantini, 1996). Le due banche erano fonte di continue preoccupazioni finanziarie per l’istituto. Prodi presenta una proposta di vendita che viene giudicata dal consiglio troppo favorevole al compratore e la proposta viene modificata, grazie alla valutazione dell’advisor Schroders. Comunque, anche a causa delle forti interferenze politiche intervenute nell’operazione, le due banche dell’Iri vengono svendute.
Il 21 aprile 1988 il ministro delle Partecipazioni statali Fracanzani invita i dirigenti delle aziende pubbliche a presentare le loro proposte per gli stanziamenti, da parte del Tesoro, dei fondi di dotazione per il triennio 1989-1991. Le richieste sono di 3.000 miliardi dall’Eni e di 11.500 miliardi dall’Iri (senza contare gli oneri della reindustrializzazione delle ex aree siderurgiche, valutate 1.600 miliardi). Fracanzani si chiede come si concili la forte richiesta di fondi da parte dell’Iri con i comunicati trionfalistici di Prodi e dei suoi amici, che parlano di una gestione risanata, cosicché invia al presidente dell’Iri una nota nella quale chiede di essere informato preventivamente su tutte le iniziative di una certa importanza. Prodi risponde rivendicando l’autonomia di gestione dell’istituto ma Fracanzani, con una nota durissima, afferma che il ministro delle Partecipazioni statali è il solo responsabile nei confronti di Governo e Parlamento «per tutto quanto attiene alla attività e alla gestione degli enti».
Nel 1989, al termine del prima presidenza Prodi – con le cautele suggerite dalla Corte dei Conti, che afferma: «L’attuale sistema contabile dell’Iri rende di non facile comprensione all’esterno l’interpretazione dei risultati economici» – il bilancio dell’Iri segna un meno 2.416 miliardi (considerando anche le perdite transitate nel conto patrimoniale), il netto patrimoniale passa dai 3.959 miliardi del 1982 a 2.102 miliardi e l’indebitamento sale dai 7.349 del 1982 a 20.873 miliardi (+184%); dei 28.500 miliardi erogati dallo Stato a titolo di fondo di dotazione dalla nascita dell’Iri, Prodi ne ottiene ben 17.500 (Geronimo, 2000). Ma quali sono, allora, i tanto decantati successi di Prodi all’Iri? E come mai «la stampa di informazione economica non si risparmiò nel diffondere urbi et orbi i trionfalistici comunicati dell’istituto sul bilancio del 1988» (Pini, 2000), che chiudeva con una perdita di 1.403 miliardi? Solo Milano Finanza riporta le analisi di Mediobanca, che mostrano come gli utili fossero invece perdite.

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17 luglio 2015

Eugenio Caruso da L'estinzione dei dinosauri di stato.



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