Renzi propone di tagliare le tasse? Invece di deriderlo, stimoliamolo continuamente!!!


Il giusto è tranquillo, l'ingiusto è preda della più grande inquietitudine
Epicuro, Lettera a Meneceo.

La stragrande maggioranza dell’informazione italiana non è riuscita a prendere troppo sul serio l’annuncio in materia fiscale fatto da Renzi all’assemblea del Pd. Pesano vent’anni di delusione cocente dei contribuenti italiani, visto che agli annunci simili fatti da governi di destra e sinistra è sempre invariabilmente seguito un aumento di pressione fiscale, e oggi in Europa solo Francia e Belgio ci battono (la stessa Svezia, solo per un soffio). Eppure, proprio per questo la reazione più adeguata dovrebbe essere opposta. L’annuncio del presidente del Consiglio, da 18 mesi a questa parte, deve essere assunto letteralmente come il più importante degli impegni sinora assunti dall’attuale governo. Tra i 40 e i 50 miliardi di euro di meno imposte entro 3-4 anni da oggi, e cioè con una verifica elettorale nazionale di mezzo, rappresentano il dimezzamento abbondante dei 5 punti di PIL di maggior pressione fiscale di cui oggi l’Italia soffre rispetto alla Germania. Sarebbe una svolta, in termini di liberazione di risorse da volgere alla ripresa dei consumi, e al ritorno sopra lo zero a cui langue il margine netto delle imprese italiane sul valore aggiunto.
Com’è ovvio, nell’annuncio pesano le difficoltà interne al Pd sulle riforme, la discesa del governo nei sondaggi, il risultato delle ultime amministrative, i mille falò accesi a sinistra dalle vicende calabresi, siciliane, romane, liguri, venete e milanesi. Tutto verissimo, lo sappiamo. Ma l’informazione (e le opposizioni) commetterebbero un grave errore, a disconoscere l’importanza che occorra una vera e propria rivoluzione fiscale, per ridare all’Italia gambe e fiato. Al contrario: bisogna prendere Renzi sul serio, inchiodarlo a quel che ha detto, e d’ora in poi chiedergli incessantemente di dare risposte concrete a tutti i cento dubbi e le mille insidie che obbligano allo scetticismo, di fronte a un obiettivo tanto impegnativo alla luce dei clamorosi fallimenti sin qui visti. Neanche Berlusconi, in realtà, aveva annunciato una rivoluzione tanto profonda che investisse sia la tassazione patrimoniale, sia quella sui redditi delle persone fisiche e delle imprese. Il Libro Bianco Berlusconi-Tremonti annunciava due sole aliquote IRPEF per le perone fisiche, al 22 e al 33%, ma toccava meno il resto. Qui invece siamo all’annuncio della scomparsa della tassazione patrimoniale sulla prima casa e di altro che entra sull’IMU-TASI, alla scomparsa dell’IRAP residua, a un taglio significativo dell’IRES alle imprese, e a una ristrutturazione profonda dell’IRPEF su 3 sole aliquote.
Vediamo in sintesi le prime più rilevanti difficoltà, in ordine temporale. Abolire l’IMU-TASI prima casa, l’IMU agricola e quella sui macchinari “imbullonati” nei capannoni delle imprese, vale poco meno di 5 miliardi. Ci sono due maxi complicazioni. La prima è l’annuncio di Renzi viene quando da 6 mesi è già deciso che l’IMU-TASI entrasse nella cosiddetta local tax di pertinenza comunale, a partire dalla prossima legge di stabilità nel 2016. L’ANCI non ha mai fatto mistero che concepiva la local tax per recuperare parte dei pesanti trasferimenti subiti da Roma in questi anni, tanto che si pensava di passare per IMU-TASi dai 25 miliardi e rotti incassati complessivamente nel 2014 (la tassazione patrimoniale degli immobili era pari a 10 miliardi nel 2011, per avere un’idea dell’aumento determinatori nel frattempo..) verso quota 30 miliardi. Oggi il governo dice che 5 miliardi devono sparire. Come si finanzia il buco? Si fa l’ennesimo scherzetto ai Comuni? Li si lascia liberi di alzare altre imposte e tariffe, col che l’abrogazione sarebbe l’ennesima presa per i fondelli? Oppure il governo taglia lui spese per 5 miliardi, a copertura dei trasferimenti ai Comuni e abolendo quel che ha detto che vuole abolire?
La seconda difficoltà è purtroppo presto detta. La legge di stabilità attesa per settembre deve evitare clausole di salvarguardia fiscale per 16 miliardi, dei quali 6 il governo pensa di ottenerli come bonus di Bruxelles in cambio del procedere delle riforme (ecco perché Renzi ha collegato riforme e rivoluzione fiscale) e 10 devono venire da tagli alla spesa sin qui rinviati da un anno e mezzo, dai tempi di Cottarelli. A questo si aggiunge il finanziamento dei buchi di bilancio creati dal no di Bruxelles alla reverse charge IVA per i fornitori pubblici, a quelli della Corte sulle pensioni e sul necessario rinnovo dei contratti pubblici. Già così, la legge di stabilità doveva ammontare all’incirca sui 20 miliardi di risorse, per continuare a finanziare decontribuzione dei contratti, bonus 80 euro, nonché per far scendere il deficit all’1,8% di PIL nel 2016.
La domanda diventa: aggiungere altri 5 miliardi di tagli di spesa è quel che il governo vuol fare, oppure intende disconoscere l’obiettivo a medio termine sin qui contrattato con Bruxelles, per raggiungere in un triennio l’azzeramento del deficit al netto del ciclo? All’assemblea nazionale del Pd, Renzi ha parlato solo di rispetto con l’Europa dell’impegno di non valicare il tetto di deficit del 3% di PIL. Il che significa rimangiarsi l’impegno sin qui garantito da Padoan: cioè l’azzeramento del deficit.
E’ questa la chiave di lettura della rivoluzione fiscale annunciata? Finanziarla in deficit? Contando su tre anni di deficit al 3% invece di azzerarlo, in effetti, l’equivalente di quanto annunciato da Renzi su Ires, IRAP e Irpef ci sta praticamente quasi tutto. Ma attenzione: anche l’idea di finanziare l’annuinciata rivoluzione fiscale in deficit restando sotto il 3% di PIl NON COPRE PERO’ AFFATTO anche le clausole fiscali di salvaguardia previste negli anni 2017-2018, che ai 16 miliardi previsti nel 2016 ne sommano altri 56 per un totale di 72 miliardi. Significherebbe cambiare radicalmente strada, rispetto a quella sin qui scandita dalle regole europee. Padoan se la sente, dopo il caso greco, di guidare un nuovo assalto, questa volta alla reinterpretazione e anzi alla sospensione del fiscal compact, che già è stato formalmente di molto diluito l’anno scorso in sede europea?
La risposta an questa domanda è centrale. Per essere davvero credibili, gli impegni di abbattimento dell’IRES, dell’IRAP e dell’IRPEF (e di estensione ai pensionati sotto i 26 mila euro annui del bonus 80 euro, Renzi ha detto anche questo), dovrebbero essere accompagnati dalla delineazione di tagli di spesa permanenti di equivalente ammontare, per evitare il finanziamento in deficit o che l’attenuazione di un’imposta sia accompagnata dall’aumento di altre in termini più che proporzionali, com’è sinora avvenuto negli ultimi vent’anni. Ma il governo deve dirlo ora, come intende procedere.
Personalmente, preferisco la strada difficile dei tagli di spesa. Quanto a individuarli, non ho cambiato idea rispetto all’esercizio previsionale dettagliatissimo di tagli per 5 punti percentuali di PIL in una legislatura, a copertura di altrettanti punti di PIL di minori entrate: proposi insieme agli amici di Fare il come e dove, e lo trovate qui. Ma intendiamoci: se il governo è convinto, come per molti versi potrebbe essere plausibile, che abbattimenti fiscali di queste proporzioni possono nel giro di 2-3 anni accrescere il PIl con effetti positivi permanenti anche di maggior gettito, e cioè di equilibrio di bilancio oltre che di crescita, allora deve argomentarlo con forza e chiarezza, perché dovrà convincerne l’Europa intera. Senza sotterfugi, che significherebbero solo che la promessa di Renzi è fatta per NON essere mantenuta.
Un’ultima osservazione. Renzi ha lasciato l’IRPEF per l’ultimo anno cioè al 2018, rispetto all’IMU – che è una risposta alla destra – nel 2016, e a IRES-IRAP che sarebbero da subito la giusta priorità per l’impresa, e che sono rimandate al 2017. Ma intendiamoci bene. Chi scrive è da 20 anni favorevole alla flat tax (trovate dioversi miei scritti negli anni cercandoli nel sito dell’IBL), anche se nel dettaglio non a quella con aliquota del 15% proposta oggi dalla Lega. Ma se per davvero dobbiamo prendere alla lettera Renzi che parla di un’IRPEF a 3 sole aliquote, allora non ho dubbi. Se l’ipotesi dovesse essere quella lanciata dal sottosegretario al MEF Enrico Zanetti, e cioè del 15% come aliquota come oggi per chi sta tra gli 8mila euro della no tax area e i 15mila euro lordi di reddito annuo, poi del 27% come aliquota unica tra chi sta sopra i 15 mila euro fino a 75 mila (per poi ritornare al 43% come oggi di aliquota per chi ha un reddito superiore ai 75 mila euro: io abbasserei di 2 punti anche questa) beh sarebbe comunque una rivoluzione assoluta. Si abbatterebbe quella falce iper-progressiva che oggi fa scattare l’aliquota del 38% per chiunque stia sopra i 28 mila euro e del 41% per chi supera i 55mila: cioè verrebbe meno la tagliola ammazza ceto medio che in questi anni ha fatto strage di redditi, consumi e crescita.
C’è da sperare dunque che Renzi faccia davvero sul serio. E che tutti lo prendano sul serio. Perché per quanto arduo sia ottenere questi obiettivi, chi dichiara di assumerli se lo fa solo a scopo elettorale non perde solo la faccia lui, ma getta l’Italia intera in un’ulteriore ondata di sfiducia che dopo 20 anni ci va risparmiata.

Oscar Giannino www.brunoleoni.it - 20-07-2015

LOGO


www.impresaoggi.com