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Aristotele. La Costituzione degli ateniesi.


... vidi il maestro di color che sanno seder tra filosofica famiglia. Tutti lo miran, tutti onor li fanno ...
Dante, Inferno .

Aristotele, nel brano finale dell’Etica Nicomachea, parlando dell'imminente stesura della Politica, scrive:
“Innanzitutto, dunque, tentiamo di esaminare se qualcosa è stato detto di valido, su qualche branca di questo soggetto, dai (nostri) predecessori; poi, sulla base delle costituzioni (da me) raccolte, (tentiamo di) considerare.....” Oltre ad Aristotele, molti altri autori antichi (in particolare Diogene Laerzio, Esichio e Arpocrazione) annoverano, tra le opere aristoteliche, la raccolta delle costituzioni delle città greche e tra queste occupa una posizione preminente la costituzione di Atene. Ciò nonostante, fino alla fine dell’Ottocento, il corpus Aristotelicum, che aveva preservato molte opere del filosofo, non comprendeva nemmeno una delle antiche costituzioni. Ciò spinse, ovviamente, a una intensa ricerca (basata, soprattutto, sulla nascente scienza papirologica) che diede ben presto frutti insperati. Nel 1880, infatti, F. Blass pubblicò i frammenti di un papiro giunto a Berlino nel 1879 e T. Bergk identificò i frammenti come parte dell’Athenaion Politeia. Pochi anni dopo, sul verso dei quattro rotoli, F. G. Kenyon nel 1890 scoprì il testo dell’Athenaion Politeia, quasi integro. Da allora il testo è stato ampiamente studiato e commentato.
Il testo si dilunga sulle varie costituzione approvate o imposte ad Atene, ma io ritengo utile analizzare le costituzioni dei personaggi che hanno lasciato una traccia significativa nella storia di Atene.

SOLONE (638-558 aC).
Per quanto criticato dai ricchi per l'annullamento dei titoli di credito e disprezzato dai più poveri che non avevano ottenuto la ripartizione delle terre, Solone riuscì a conseguire il sostegno di gran parte della cittadinanza che decise di affidargli tutte le materie istituzionali, magistrature, assemblee, tribunali affinché ne determinasse il censo ed il numero dei componenti, la modalità delle adunanze conservando o abrogando a suo parere le istituzioni esistenti e costituite.
In primo luogo, quindi, Solone abrogò le leggi di Dracone (noto per aver inserito nel mondo greco il primo codice penale della storia e la durezza e la severità delle sue leggi hanno dato origine ad espressioni in cui il termine draconiano viene utilizzato come aggettivo, come ad esempio leggi draconiane), invise per l'eccessiva durezza, salvo quelle in materia di omicidio.
Poi, si accinse a risolvere l'impasse politico, derivante dal fatto che l'intera vita pubblica era nelle mani delle contrapposte stirpi aristocratiche le quali, a loro volta, costituivano quattro tribù (Opleti, Argadei, Geleonti ed Egicorei) che eleggevano ciascuna cento membri del "Consiglio dei Quattrocento"; infine, a fianco dell'assemblea poneva l'organo esecutivo dell'Areopago (La principale funzione di tale assemblea era quella di occuparsi della custodia delle leggi contro ogni violazione e della giurisdizione sui delitti di sangue. Il suo orientamento fu del tutto conservatore e la sua composizione, formata da membri provenienti dall'aristocrazia eletti per anzianità o per principi ereditari, accentuava il suo indirizzo moderato e sanciva il suo ruolo decisivo nella custodia delle leggi, della pubblica moralità e dei culti cittadini) che, un tempo, era presieduto dal re.
Solone nell'intento di creare forme di mobilità sociale e di offrire i diritti politici a tutti i cittadini, sostituì alle quattro tribù gentilizie quattro nuove tribù in cui distribuì la cittadinanza in base al censo, e non più al nome, ricavato dalle rendite dei poderi posseduti:
Pentacosiomedimni: che ogni anno ricavavano più di 500 medimni di grano dai loro campi.
Cavalieri (o Triacosiomedimni): coloro che potevano mantenere un cavallo o ricavavano tra 500 e 300 medimni di grano.
Zeugiti: ricavavano tra 300 e 200 medimni di grano.
Teti: la maggioranza, i lavoranti dei campi, coloro che guadagnando meno di 200 medimni di grano, non esercitavano alcuna magistratura esecutiva ma potevano partecipare alle assemblee e ai tribunali.
Solone, disponendo l'equiparazione tra i medimni (unità di misura per il grano) e i metreti (unità di misura per i liquidi e principalmente olio e vino), avvantaggiò non poco i ceti medi ed i piccoli proprietari.
Infatti, poiché olio e vino necessitano di molto meno spazio rispetto alla coltivazione cerealicola, Solone permise anche ai meno abbienti (che possedevano quindi meno terre) di avere uguali diritti di coloro che ne possedevano di più, a condizione che coltivassero il loro piccolo appezzamento con olio e vino in maniera intensiva.
Se in un primo tempo la partecipazione dei teti ai tribunali apparve irrilevante, ben presto spiegò i suoi effetti quando Solone concesse ai cittadini il diritto di appello davanti ai tribunali anche nei confronti di un provvedimento emesso da una magistratura, espressione quindi delle classi più agiate. Peraltro, l'importanza di tali tribunali fu estesa ulteriormente con la concessione a qualunque cittadino del diritto di azione anche in nome e per conto di un altro soggetto, fatto che, certamente, aumentò il numero delle controversie (e quindi anche l'importanza dei tribunali) ma cercò anche di creare una coscienza generale.
Accanto alla riforma costituzionale, Solone promosse una copiosa legislazione che intervenne nei diversi aspetti della vita economica e sociale ateniese a cui egli stesso assegnò una validità di cento anni e che fu scritta su tavole di legno girevole disposte in intelaiature quadrate conservate al Pritaneo (era, nell'antica Atene, l'edificio pubblico dove in origine era ospitato il primo magistrato (pritano) vi era custodito il focolare sacro della città e potevano esservi accolti ospiti di particolare riguardo o cittadini benemeriti. Di esse, si ricorda la normativa che puniva con l'esilio chi, in caso di turbamenti politici, non avesse parteggiato per nessuna fazione, volendo in tale modo sensibilizzare il comune cittadino all'interesse verso la cosa pubblica e le norme in materia matrimoniale. In tale ambito, Solone sancì il diritto per la moglie di sposare, in caso di impotenza del marito, il suo parente più prossimo, l'abolizione della dote (salvo tre vesti e poche suppellettili), allo scopo di limitare la venialità delle unioni e dell'uso, per le donne, di graffiarsi, percuotersi e levare lamentazioni ad alta voce durante le cerimonie funebri. Tuttavia, accanto a tali norme, Solone dispose una normativa assai incoerente in materia di reati sessuali: da un lato, sancì il diritto per il marito di uccidere in flagrante l'amante della moglie, dall'altro punì lo stupro con una ammenda di cento dracme e, quanto al diritto di vendita di una figlia o sorella, fu limitato all'ipotesi che questa avesse commesso adulterio. Quanto alle norme successorie, Solone rese lecito il diritto per un cittadino, privo di figli, in salute e capace di intendere e di volere, di lasciare i propri averi anche agli amici più stretti. Inoltre, fu istituito il reato di diffamazione nei confronti delle persone defunte, e, per i viventi, nelle vicinanze dei templi e di ogni edificio pubblico, comminando ai trasgressori, una pena di cinque oboli (tre alla parte lesa e due allo stato). In materia economica, sancì il diritto del figlio, anche illegittimo, di non mantenere un padre che non gli avesse insegnato un mestiere onde dare maggiore dignità al lavoro, vietò l'esportazione di qualunque prodotto agricolo salvo l'olio (ponendo un'ammenda di cento dracme per i trasgressori) e disciplinò puntigliosamente gli intervalli per piantare alberi, scavare buche o impiantare alveari. Infine, riformò il diritto di cittadinanza sancendo che poteva essere concessa solo nei confronti di chi fosse stato esiliato permanentemente dalla sua patria o fosse giunto in Atene per esercitare un mestiere.

PISISTRATO (600-527 aC)
In veste di polemarco ("comandante della guerra" o "signore della guerra" era il più alto titolo militare in molte città dell'antica Grecia ), il giovane Pisistrato ) parenre di Solone per parte di madre) acquistò fama vincendo i megaresi contro i quali Atene era in guerra, sottraendogli così definitivamente l'isola di Salamina e il porto saronico di Nisea. Questi successi militari gli valsero un prestigio e un credito tali da renderlo un attore di primo piano della politica dell'epoca. Inizialmente, ottenne anche il sostegno del popolo, che poi, però, si trasformò in timore. Atene all'epoca era travagliata da una convulsa lotta politica, con partiti e fazioni capeggiate dalle famiglie aristocratiche. Tuttavia il quadro politico che si delineava era di una notevole complessità, superiore a quella delle altre città greche, non riducibile a semplificate contrapposizioni sociali. La polis era allora divisa tra la fazione legata alla zona costiera (i cosiddetti paralii, dal greco paralia, costa), capeggiati dall'alcmeonide Megacle, e la fazione legata all'entroterra (i cosiddetti pediaci, dal greco pedion, pianura), capeggiati da Licurgo di Atene. Pisistrato, forte dei crediti guadagnati, inutilmente ostacolato da Solone, si inserì efficacemente nella lotta politica mettendosi a capo della popolazione della zona montuosa (i cosiddetti diacrii, dal greco ákra, montagna). Per ottenere l'appoggio popolare, Pisistrato ricorse a uno stratagemma: si procurò delle ferite per mostrarle in pubblico quale prova di un'aggressione subita da parte dei propri rivali. Il popolo decretò per lui l'istituzione di una guardia del corpo di 300 mercenari con la quale Pisistrato occupò l'Acropoli, senza resistenza da parte degli opliti, nel 561/560 a.C., ottenendo il potere assoluto. La presa del potere provocò una compattazione del fronte dell'opposizione: un'alleanza tra Licurgo e Megacle sortì l'effetto di costringerlo all'esilio.
Pisistrato, in seguito, si alleò con Megacle e, approfittando del clima propizio, riuscì a ritornare ad Atene, facendosi precedere da una nuova simulazione: fece vestire una fanciulla di altissima statura (del demo di Peania o, secondo altri, una donna della Tracia di nome Fia) con gli abiti tradizionali della dea Atena per sfilare in processione per la città su un carro, a diffondere la voce che la dea stessa consigliava agli Ateniesi di richiamarlo in città. Con questo spregiudicato accordo con Megacle, Pisistrato scacciò Licurgo e, dopo aver sposato la figlia del suo alleato, fu da questi appoggiato quale tiranno di Atene.
Pisistrato aveva già una prole legittima dal primo matrimonio (oltre che una illegittima da una concubina Argiva) e non sembrava volerne sapere dalla nuova moglie perché, stando a Erodoto, non voleva figli dalla stirpe sacrilega degli Alcmeonidi (furono una potente famiglia aristocratica dell'antica Atene, che affermava di essere discendente del mitologico Alcmeone, nipote di Nestore: dalla Messenia i suoi componenti si sarebbero spostati in Attica al tempo dell'invasione dei Dori). Quando Megacle si spazientì delle sue inadempienze coniugali, che vanificavano i suoi disegni, ruppe l'alleanza e lo scacciò da Atene (556 a.C.). In questo frangente, entrambi gli attori politici avrebbero mostrato quindi di avere in mente un progetto politico di consolidamento del potere (o di ottenimento, nel caso di Megacle) da perseguire per via dinastica.
Nuovamente esiliato, il tiranno strinse amicizia con molti potentati greci e nel 545 a.C. sbarcò a Maratona (regione a lui fedele) con un esercito fornito da Eretria, Tebe e Nasso con altri mercenari che pagava con l'argento delle sue miniere in Tracia. Con un forte esercito sconfisse gli opliti ateniesi nei pressi del tempio di Atena Pallenide: con questo atto di forza riprese il potere sulla città.
Durante il suo dominio i cittadini furono certamente privati di molte libertà civili e morali, tra le quali quella di potere entrare in città (creando però i giudici nei vari demi), ma nonostante ciò il giudizio degli antichi su Pisistrato non è molto severo, poiché essi lo ritenevano un tiranno dotato di grande abilità e lungimiranza, vista anche la sua moderazione a differenza delle tirannidi contemporanee, come anche la riappacificazione con la famiglia degli Alcmeonidi e l'insediamento dei Filaidi nel Chersoneso tracico.
Adottò una riforma territoriale a scopi fiscali e militari, che suddivideva il territorio ateniese in 48 naucrarie, 12 per ciascuna delle 4 tribù gentilizie, le quali tra l'altro dovevano fornire i mezzi necessari alla costruzione e al mantenimento di una nave allo stato, tramite una tassazione del 5% delle entrate dell'associazione. Sotto il suo ultimo periodo di tirannide iniziò la prima coniazione di monete ad Atene, che erano in argento.
All'estero fu promotore di una politica espansionistica, affermando il dominio di Atene sulle isole dell'Egeo e sull'Ellesponto, mentre all'interno della penisola greca coltivò buone relazioni coi Tessali e Corinto, senza incrinare quelle con gli Argivi e i Beoti.
A lui sono attribuite diverse riforme e miglioramenti: incentivò infatti la piccola proprietà terriera a discapito dei latifondi, incrementò il commercio, favorendo così la crescita della classe mercantile, e favorì i ceti meno abbienti con l'esecuzione di un vasto piano di opere pubbliche, come la costruzione del tempio di Atena nell'acropoli. Inoltre, il suo governo segnò una tappa notevole nella storia edilizia della città e nello sviluppo dell'arte greca. Infatti è da ricordare la trascrizione su papiro dell'Iliade e dell'Odissea, che erano tramandate per via orale,, per cui probabilmente è grazie al tiranno ateniese che i due poemi sono giunti fino a noi. Inoltre vennero istituite nuove feste religiose: le Dionisie, in onore del dio Dioniso, e le Panatenee. Pisistrato morì nel 528/527 a.C. trasmettendo il potere al figlio Ippia accompagnato dal fratello Ipparco. Si inaugurava una dinastia tirannica che avrebbe segnato una nuova fase politica cui sarebbe toccato il ruolo di incubatrice per i fermenti che portarono poi alla svolta democratica. I figli, detti i Pisistratidi, furono tiranni e cattivi governanti. Il popolo si ribellò e introdusse la democrazia. La democrazia fu una svolta radicale per la città, come ci dice Erodoto: "E fu così che gli Ateniesi si trovarono improvvisamente tra le mani un grandissimo potere... Hanno dato una forte prova di ciò che si può raggiungere con l'uguaglianza e la libertà di parola."[

TEMISTOCLE (520?- 459 aC)
Il nuovo sistema politico di Atene aprì grandissime possibilità ad un uomo come Temistocle, che altrimenti non avrebbe avuto accesso al potere. Inoltre, le nuove istituzioni della democrazia richiedevano abilità che prima erano in pratica inutili. Temistocle dimostrò di essere un maestro del nuovo sistema: "sapeva combattere, sapeva farsi amicizie, sapeva inventare... e soprattutto sapeva come rendersi visibile." Temistocle si trasferì nel Ceramico, un quartiere di vasai; questo spostamento gli garantì la fama di "uomo della gente" e gli permise di interagire più facilmente con i cittadini ordinari. Cominciò a costruirsi una base di consenso tra questi cittadini che avevano da poco visto riconoscersi il potere politico: "corteggiò i poveri; e quelli, non abituati a essere amati, lo amarono a loro volta. Girando le taverne, i mercati, i banchetti e facendo propaganda dove nessuno aveva pensato di farla prima di lui, assicurandosi di non dimenticare il nome di nemmeno uno di quelli che votavano, Temistocle aveva messo gli occhi su un tipo di elettorato radicalmente nuovo." Comunque, fu anche attento a non alienarsi la nobiltà ateniese. Fu il primo politico a prepararsi alla vita pubblica esercitando l'avvocatura. La sua abilità di avvocato e giudice, usata al servizio della gente comune, gli procurò una grande popolarità. Eletto arconte nel 493 a.C., fu l'artefice della potenza navale di Atene, la cui flotta diventerà la più grande e potente di tutta l'antica Grecia. Negli anni successivi alla battaglia di Maratona, dove il generale Milziade diede una sonora sonfitta ai persiani, e durante la seconda guerra persiana, Temistocle diventò il politico più influente di Atene. Continuò a sostenere la necessità di una grande forza navale e nel 483 a.C. persuase gli ateniesi a costruire una flotta di 200 triremi, che si sarebbe rivelata fondamentale nel successivo conflitto con la Persia. Nel 483 a.C. era stata scoperta, infatti, una nuova vena di argento nelle Miniere del Laurio, Temistocle propose di utilizzare l'argento per costruire una nuova flotta, mentre Aristide, il suo principale antagonista, suggerì di distribuirlo ai cittadini; Temistocle ebbe la meglio e Aristide fu ostracizzato. Comandò la flotta ateniese nelle battaglie di capo Artemisio e di Salamina. Contrastato nel suo programma di avvicinamento ad Argo e sospettato di atteggiamenti tirannici, fu ostracizzato circa nel 472 a.C. dagli avversari politici, più propensi ad appoggiare Cimone, sostenitore dell'alleanza con Sparta. Prese allora dimora ad Argo da dove cercò, insieme a Pausania, di sollevare nel Peloponneso un moto democratico contro Sparta per procurare ad Atene il dominio dell'Ellade. Scoperta la sua trama, gli spartani lo accusarono di aver tentato, insieme a Pausania, un'alleanza con la Persia; condannato a morte, fuggì dapprima in Magna Grecia; più tardi venne accolto dal re Artaserse I di Persia. Alla fine trovò dimora a Magnesia, dove morì in date e circostanze sconosciute, secondo molti suicida per non tener fede alle promesse fatte al re persiano. Sarà Pericle a riabilitare la sua memoria e a riconoscerlo come un eroe della causa ateniese. In accordo col giudizio di Plutarco, può essere considerato "l'uomo che più di tutti ha contribuito alla salvezza della Grecia" dalla minaccia persiana. La sua politica navale ebbe un impatto a lungo termine sulla storia di Atene, permettendo ai suoi successori la creazione dell'impero ateniese. La sua azione politica portò, gradualmente, all'esautoramento dell'Aeropago dalle funzioni di governo.

PERICLE (495-429 aC)
Figlio di Santippo, imparentato per parte di madre con gli Alcmeonidi, iniziò la sua carriera politica nel partito democratico di Efialte, che, con l'ostracismo di Cimone (461) e il declino del partito conservatore e dell'Areopago, conquistò la direzione della politica ateniese. Ma essendo stato quasi subito assassinato Efialte, Pericle si trovò solo a guidare a un tempo il suo partito e la politica ateniese, ciò che fece per oltre trent'anni fondando il proprio potere sulla annuale, libera rielezione nel consiglio degli strateghi. In politica estera Pericle si propose come ultima mira il predominio ateniese sull'intera Grecia; il mezzo doveva essere dato dalla trasformazione della lega marittima delio-attica in impero. Il tesoro da Delo fu trasportato in Atene (454) e le ribellioni dei membri della lega furono punite con la massima severità (come per Samo nel 440). Nella penisola greca la lotta per il predominio condusse a guerre contro Egina, i beoti e gli spartani, e, dopo un grave insuccesso a Tanagra (457), gli ateniesi con la vittoria di Enofita stabilirono il loro predominio sulla Grecia centrale. Ma al di là del mare le cose non andarono egualmente bene: una spedizione in Egitto, per sostenere il ribelle Inaro contro la Persia, finì disastrosamente (458-452); pochi anni dopo (449) si concludeva la pace di Callia con la Persia, pace che, mentre segnava la fine della politica ateniese di espansione in Oriente, svuotava di contenuto la lega delio-attica costituita apposta per combattere i persiani. L'occupazione dell'Eubea ribellatasi condusse a un intervento spartano; non si venne però a uno scontro, anzi fu segnata una pace trentennale (446-445). Sicuro dalla parte di Sparta, Pericle si dedicò all'abbellimento di Atene (di questi anni è la costruzione del Partenone e dei Propilei), a spese del tesoro federale e superando con la sua autorità le proteste dell'opposizione per questo suo procedere: il massimo esponente di essa, Tucidide di Melesia (da non confondere con lo storico), fu ostracizzato. Con una spedizione nel Ponto Eusino (436), Pericle assicurò ad Atene il predominio sul mercato granario del Chersoneso Taurico (Crimea); inoltre fondò la colonia panellenica di Turî (444) e strinse trattati con Reggio e Leontini. Gli ultimi anni della sua vita furono amareggiati da una serie di processi intentati da un'opposizione eterogenea contro i suoi amici (Anassagora il filosofo e lo scultore Fidia), e contro Aspasia, la donna con cui Pericle viveva. È congettura infondata che Pericle, per vincere questa opposizione, abbia cercato un diversivo suscitando la guerra del Peloponneso. Certo è però che egli, prevedendola, volle affrettarla fidando soprattutto nelle risorse economiche di Atene. Questa volontà egli mostrò col decreto con cui fece escludere i megaresi dai mercati dell'Attica e dai porti dell'Impero, e con l'indurre l'assemblea ateniese a rifiutare ogni concessione agli ambasciatori spartani (432). Ma il piano di guerra adottato per volontà di Pericle (per cui gli Ateniesi si concentrarono in Atene abbandonando le campagne dell'Attica e bloccarono per mare gli avversarî) che presupponeva negli Ateniesi una sovrumana forza di resistenza, consumava a poco a poco le risorse finanziarie della città e accresceva il malcontento degli alleati. Inoltre la terribile pestilenza del 430 aggravò la situazione. Il malcontento contro Pericle portò alla sua caduta (430); richiamato al potere nel 429, morì di peste nello stesso anno. Fornito di versatile ingegno, di vivo senso d'arte, Pericle fu onesto e disinteressato amministratore. Riservato, schivo di applausi, non cercò il favore del popolo che egli dominava soprattutto con la sua eloquenza, di cui non ci sono però pervenute testimonianze dirette. In qualità di politico, egli attuò in Atene la libertà democratica come in nessun altro luogo dell'antichità, impedendo il pericolo di disgregamento dell'autorità statale. La sua politica di lavori pubblici creò opere di difesa e di abbellimento, e occupò utilmente il popolo. Introdusse la paga per gli eliasti e promosse l'attuazione di una maggiore giustizia sociale coi sussidî statali agl'invalidi e agli orfani dei caduti in guerra. Ma, usando il tesoro federale a vantaggio dei lavoratori ateniesi, alienò da Atene l'animo degli alleati, e non seppe attutirne il malcontento e fonderli politicamente con gli ateniesi. Sicché egli ha la responsabilità di avere affrettato la dissoluzione della lega proprio quando si trasformava in impero. Per la salvezza della lega iniziò la guerra con Sparta, che privò i greci del frutto delle guerre persiane e segnò il principio della decadenza politica di Atene e della Grecia intera.

IL GOVERNO DEI QUATROCENTO (411 aC)
A partire dalla fine del 413 a.C., in seguito alla disastrosa spedizione ateniese in Sicilia, nella quale gran parte della flotta e dell'esercito ateniesi erano stati annientati, si erano aperte le condizioni per incolpare la fazione democratica degli insuccessi militari e per favorire quindi un colpo di Stato oligarchico; nel frattempo la lega delio-attica cominciò a sgretolarsi, visto che alcuni dei suoi membri più illustri (come l'Eubea, Lesbo, Chio ed Eritre) chiesero subito la protezione di spartani e persiani, che non vedevano l'ora di riprendere il controllo della costa dell'Asia Minore.
Una delle cause scatenanti del colpo di Stato che portò all'instaurazione del Consiglio dei Quattrocento fu il tentativo di reazione oligarchica alla rivoluzione democratica che c'era stata a Samo nell'estate del 412 a.C.. Gli oligarchi avevano infatti fatto assassinare il loro avversario Iperbolo ma i nuovi strateghi che erano stati eletti quell'anno, Trasibulo e Trasillo, appoggiati dagli equipaggi della flotta di stanza nell'isola, quasi tutti appartenenti alla fazione democratica, avevano immediatamente soffocato la reazione degli oligarchi, che quindi iniziarono a organizzarsi per un piano più strutturato per impadronirsi del potere sia in città che nell'isola.
Infine Alcibiade, che si trovava in esilio presso il satrapo achemenide Tissaferne per le accuse che gli erano state mosse per uno scandalo, tramava per tornare ad Atene e, secondo il racconto di Tucidide, convinse alcuni triearchi della flotta ateniese di stanza a Samo e alcuni politici, a convincere l'assemblea dei cittadini a rinunciare al governo democratico, con la promessa che sarebbe riuscito persuadere Tissaferne a garantirgli l'appoggio nella guerra contro Sparta se Atene avesse rinunciato al regime democratico. Nonostante Alcibiade non fosse riuscito a convincere il satrapo a garantirgli il suo appoggio, Pisandro e i suoi compagni, tra i quali Teramene, si recarono a Samo, dove si assicurarono l'appoggio della flotta e favorirono la formazione di un governo oligarchico sull'isola.
Mentre Pisandro metteva in atto il piano oligarchico a Samo, ad Atene i suoi compagni presero il potere attraverso l'intimidazione e la forza, uccidendo chi si opponeva al colpo di Stato e preparando il ritorno degli altri oligarchi che, una volta giunti ad Atene convocarono l'assemblea nel recinto di Poseidone a Colono invece che sulla Pnice come da tradizione, e annunciarono una serie di misure straordinarie, tra le quali la formale abolizione della democrazia e la sua sostituzione con un Consiglio composto da quattrocento ateniesi scelti da una lista più ampia di cinquemila cittadini e la promulgazione di una nuova costituzione di stampo oligarchico che avrebbe soppiantato le leggi in vigore.
Gli oligarchi imposero la nomina di venti probuli con poteri straordinari, in aggiunta ai dieci già in carica: il decreto di Pitodoro che allargava la magistratura straordinaria conferiva ai probuli il diritto di riformare la legislazione; con un emendamento al decreto, Clitofonte invitò i probuli a riconsiderare, nella revisione costituzionale, le leggi di Clistene, che venivano indicate come poco democratiche e vicine a quelle di Solone.
Nel corso della successiva assemblea generale si decise lo smantellamento del regime democratico, innanzi tutto con l'abolizione della graphé paranomon, l'accusa di illegalità che qualunque cittadino poteva presentare contro chiunque proponesse una legge: la procedura era intesa quale salvaguardia contro la discussione di leggi antidemocratiche. Da questo momento chiunque poteva senza pericolo presentare una legge che colpisse al cuore le strutture democratiche di Atene. In secondo luogo, venne decisa la gratuità delle magistrature e di tutte le cariche pubbliche, a eccezione dei nove arconti e dei pritani che si trovavano in quel momento in carica. Questo secondo provvedimento, annullando le indennità magistraturali istituite da Pericle al fine di permettere anche ai cittadini più poveri di ricoprire le più alte cariche dello Stato, riconsegnava la politica ateniese nelle mani dei ricchi. Di fronte all'assemblea di Colono i probuli stabilirono inoltre che a partire da quel momento tutte le risorse economiche dovevano essere impiegate per la guerra e che il godimento dei diritti politici nella città doveva essere limitato a cinquemila cittadini selezionati da un collegio di cento membri, scelti dieci per tribù, i cosiddetti katalogheis.
I cinquemila cittadini di pieno diritto scelsero tra loro cento anagrapheis con l'incarico di redigere due costituzioni, l'una provvisoria per il presente, l'altra definitiva per il futuro.
La costituzione per il futuro prevedeva l'istituzione di un Consiglio costituito dai cinquemila cittadini di pieno diritto, di età superiore ai 30 anni, divisi in quattro gruppi. Gli arconti avrebbero curato il sorteggio dei cittadini all'interno di ciascun gruppo e il sorteggio del gruppo che effettivamente avrebbe gestito il potere per un anno. Dal consiglio sarebbero stati eletti gli strateghi, i nove arconti, lo ieromnemone, i tassiarchi, gli ipparchi, i filarchi, i magistrati finanziari, mentre le altre magistrature sarebbero state sorteggiate.
La costituzione provvisoria prevedeva invece la costituzione di un Consiglio di quattrocento membri scelti fra i candidati presentati dai fileti, i magistrati a capo delle tribù territoriali, che aveva il compito di scegliere le magistrature principali. Sciolta l'assemblea di Colono, i Quattrocento, una volta eletti, si diressero nel bouleuterion e presero il posto dei buleuti in carica, decretando la fine anticipata del consiglio e l'instaurazione di quello nuovo, il 9 giugno del 411 a.C. Il governo dei Quattrocento durò solo per quattro mesi: innanzitutto il colpo di Stato a Samo fallì e l'esercito di stanza nell'isola giurò fedeltà alla democrazia. Nel frattempo, ad Atene, la fazione più moderata dei Quattrocento, guidata da Teramene ed Aristocrate, figlio di Scelia, spingevano per allargare il potere all'assemblea di cinquemila cittadini tra i quali erano stati scelti i Quattrocento. La goccia che fece traboccare il vaso fu quando la fazione radicale, guidata da Pisandro, Frinico ed Antifonte, iniziò a costruire una fortificazione sulla Eezioneia, il molo posto all'ingresso del Pireo, ammassando al suo interno grandi quantità di derrate alimentari. Teramene protestò contro la costruzione di tale opera, adducendo che era stata in realtà preparata per essere volontariamente consegnata agli spartani e ai loro alleati quando avessero attaccato il porto, per costituire una loro testa di ponte per l'invasione di Atene. Dopo l'assassinio in piazza di Frinico e la notizia di una flotta peloponnesiaca che si stava pericolosamente avvicinando al Pireo, la situazione precipitò. Aristocrate, il comandante del reggimento di opliti di stanza al Pireo, arrestò Alessicle, un generale fedele alla fazione radicale e Teramene, offertosi per guidare una spedizione al porto per liberare il generale, Teramene, ordinò invece ai suoi soldati di abbattere la fortificazione. Alcuni giorni dopo, la flotta nemica, arrivata davanti al Pireo e trovando la fortificazione dell'Eezioneia abbattuta e il porto ben difeso, ripiegò verso l'isola di Eubea, con l'intento di conquistarla. Gli Ateniesi inviarono una flotta, guidata da Timocare, per impedire ai peloponnesiaci di impadronirsi dell'isola e ne scaturì, presso Eretria, un battaglia, nella quale il navarca spartano Agesandrida, appoggiato dagli eubei, ebbe la meglio sulla flotta di Timocare.La sconfitta di Eretria e la perdita quasi completa dell'Eubea, che costituiva la riserva di grano per Atene, sollevò la popolazione e portò allo scioglimento del Consiglio dei Quattrocento. I Quattrocento furono sostituiti da un nuovo governo patrocinato da Teramene e sostenuto dai moderati, guidato da un'assemblea di cinquemila cittadini, scelti tra coloro che avevano abbastanza denaro da "sostenere la città coi cavalli sia cogli scudi", ovvero di essere arruolati almeno come opliti. Dopo la destituzione dei Quattrocento, Pisandro fuggì da Atene, mentre Antifonte, rimasto volontariamente in città, venne processato e condannato a morte. Secondo Tucidide il governo dei Cinquemila, equidistante sia dall'oligarchia che dalla demagogia populista, fu il migliore che Atene abbia avuto.

LA TIRANNIDE DEI TRENTA (404-400 aC)
Dopo la resa di Atene, che pose fine alla guerra del Peloponneso (aprile 404 a.C.), gli spartani imposero ai vinti, attraverso la mediazione del politico ateniese Teramene, condizioni molto dure di resa: abbattimento delle Lunghe Mura, riduzione drastica della flotta, amnistia per gli ateniesi in esilio, che avrebbero potuto quindi tornare in città, e subordinazione della città agli spartani per ogni decisione riguardante la politica estera. Inoltre, Atene dovette adottare la "costituzione dei padri", un esplicito richiamo all'oligarchia; questo dettaglio, però, è riportato solo da Aristotele, Diodoro Siculo, Giustino e Plutarco, che secondo lo storico Luciano Canfora attingono tutti da Teopompo, mentre Senofonte non ne fa cenno. Gli esuli della fazione oligarchica, infatti, appoggiati da Lisandro, l'ammiraglio spartano fautore della vittoria decisiva nella battaglia di Egospotami, approfittando dello stato di prostrazione economica in cui versava la città per la perdita dell'impero marittimo, dell'Eubea e del bestiame che vi era stato trasportato, per le fughe di schiavi, il decremento demografico, i saccheggi e la devastazione dei demi che erano avvenute durante la guerra, instaurarono un governo di matrice oligarchica guidato da trenta politici, i trenta tiranni. Secondo Lisia dieci dei trenta tiranni furono scelti dai cittadini fautori dell'oligarchia, dieci direttamente da Lisandro e dieci da Teramene, che incluse se stesso nel gruppo. La lista dei tiranni viene riportata da Senofonte. I primi atti dei Trenta furono la nomina del consiglio, degli arconti e dei tesorieri e la condanna dei sicofanti, misure che furono in genere apprezzate dai cittadini, come ci testimonia anche Lisia nell'orazione Contro Eratostene. Successivamente, i nuovi magistrati abrogarono le leggi di Efialte e in generale tutte le leggi dubbie che davano spazio di interpretazione ai tribunali, per evitare gli abusi di potere che erano avvenuti negli anni precedenti da parte dei giudici popolari. I Trenta vennero però presto in contrasto tra loro: Crizia, il leader del gruppo, allievo di Socrate e zio di Platone, intraprese una politica brutale di repressione degli avversari politici, nell'intento di instaurare un regime oligarchico a tutti gli effetti, mentre Teramene cercava di guadagnarsi il favore dei cittadini moderati cercando di conciliare le tradizioni democratiche con una forma di governo che includesse nel potere decisionale solo i cittadini ateniesi che avessero almeno il grado militare di oplita. Crizia prevenne Teramene scegliendo tremila ateniesi che furono associati al governo e fece confiscare le armi di tutti gli Ateniesi che non facevano parte di questa lista. Inoltre Crizia, temendo che il regime fosse rovesciato, chiese ed ottenne da Lisandro che gli oligarchi fossero protetti da una guarnigione spartana, guidata da Callibio. Successivamente, i Trenta misero a morte diversi cittadini, tra i quali Leone di Salamina, che avevano l'unica "colpa" di essere stati popolari durante il periodo democratico e decisero infine di arrestare e far uccidere altrettanti meteci, scelti tra i più facoltosi, al solo scopo di confiscare loro i beni. Teramene si oppose e Crizia lo eliminò costringendolo al suicidio. Dopo la morte di Teramene, la pressione del regime si fece sempre più aspra e sanguinaria verso i suoi oppositori e in generale sugli Ateniesi che non facevano parte della lista dei Tremila, provocando una vera e propria diaspora dei cittadini verso Tebe e Megara. Proprio da Tebe Trasibulo, ex stratego e trierarca della guerra del Peloponneso e collega di Teramene nelle battaglie di Cizico e delle Arginuse, reclutò un gruppo di circa settanta esuli e nell'inverno 404/403 a.C. fece una sortita a File, dove tenne a bada la guarnigione spartana, nonostante la grande inferiorità numerica, anche grazie ad un'improvvisa nevicata. Trasibulo, alla testa di un migliaio di esuli, tra i quali l'araldo Cleocrito, occupò poi il Pireo ed affrontò e vinse i Trenta e gli spartani in battaglia a Munichia, dove lo stesso Crizia trovò la morte. Deposti il giorno dopo la battaglia dai Tremila, i superstiti dei Trenta, ad eccezione di Eratostene e di Fidone, si ritirarono a Eleusi, mentre ad Atene furono eletti al loro posto dieci nuovi magistrati. Dopo altre scaramucce coi democratici, insediatisi nel Pireo, sia i Trenta da Eleusi sia i Dieci da Atene chiesero aiuti a Sparta contro i ribelli; intervenne per primo Lisandro, ma subito dopo il re di Sparta Pausania decise di intervenire personalmente per non accrescere ulteriormente il potere di Lisandro e, reclutato un esercito composto da spartani e altri alleati peloponnesiaci, marciò su Atene, accompagnato anche da tre dei cinque Efori. Il re si accampò nei pressi di Atene e, dopo aver vinto una battaglia contro le truppe di Trasibulo che avrebbe voluto anche evitare, mediò tra le parti (settembre 403), ottenendo la fine della guerra civile ed imponendo il ritorno di tutti gli ateniesi alle loro case, a eccezione dei Dieci, che sarebbero andati a raggiungere i Trenta ad Eleusi; dopodiché, Pausania tornò a Sparta. Con la pacificazione del 403 Eleusi fu dichiarata repubblica indipendente da Atene, come rifugio per tutti coloro che preferivano l'oligarchia alla democrazia. Dopo due anni, però, sotto l'arcontato di Xeneneto (401-400 a.C.), ad Atene si sparse la voce che quelli di Eleusi arruolassero mercenari: i capi degli oligarchi furono chiamati a colloquio dagli ateniesi e uccisi a tradimento. Così si concluse la guerra civile. Eratostene, uno dei due magistrati che era invece rimasto ad Atene, fu successivamente tratto in tribunale da Lisia, che lo accusò dell'uccisione del fratello Polemarco. Ad Atene viene ripristinata la democrazia ma permane nell'aria un forte clima di sospetti e di vendette. In questa fase di profonda incertezza politica trova la morte anche Socrate, nel 399 aC. Il filosofo fu accusato di corrompere i giovani: nella realtà Socrate era stato maestro di Crizia e di Alcibiade, due personaggi che nell'Atene della restaurazione democratica godevano di pessima fama. Crizia era stato il capo dei Trenta tiranni e Alcibiade, per sfuggire al processo che gli era stato intentato, aveva tradito Atene ed era passato a Sparta, combattendo contro la propria patria. Furono tali rapporti di educatore che ebbe con questi due personaggi a porre le basi dell'accusa di corrompere i giovani.

Eugenio Caruso - 22-07-2015

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