BERLUSCONI SCENDE IN CAMPO.


Occorre liberarsi dalla prigione degli afffari e della politica
GnomologioVaticano Epicureo


Copertina

Con questo articolo proseguo la pubblicazione di alcuni stralci del mio libro storico-economico L'estinzione dei dinosauri di stato. Il libro racconta i primi sessant'anni della Repubblica soffermandosi sulla nascita, maturità e declino di quelle grandi istituzioni (partiti, enti economici, sindacati) che hanno caratterizzato questo periodo della nostra storia. La bibliografia sarà riportata nell'ultimo articolo di questa serie di stralci. Il libro può essere acquistato in libreria, in tutte le librerie on-line, oppure on line presso la casa editrice Mind.
Per l'articolo precedente clicca QUI .


Silvio Berlusconi, verso la fine del 1993, dà segni di volersi occupare di politica e di fronte all’evaporazione dei suoi referenti tradizionali, Psi e DC, e al successo del Pds, il suo attivismo aumenta di giorno in giorno. In una lunga intervista a Mauro Anselmo, sulla Stampa del 23 novembre 1993, si lancia in una dura critica della nuova legge elettorale che definisce «pericolosa e scellerata» perché «farebbe fare al Paese un salto indietro nella storia». Silvio Berlusconi dichiara, infine, per la prima volta, l’intenzione di entrare nell’agone politico per sostenere in Italia un polo moderato liberal-democratico.
Alla fine del gennaio 1994 Berlusconi – visti fallire i suoi tentativi presso Martinazzoli e Segni di aggregare attorno alla DC il fronte dei moderati e la Lega, e confortato dai guru delle indagini demoscopiche e dalle teorie del professor Giuliano Urbani della Bocconi – annuncia che avrebbe bevuto «l’amaro calice» e che sarebbe «sceso in campo», alla testa di un nuovo soggetto politico: Forza Italia. Questo partito avrebbe dovuto raccogliere l’eredità dei conservatori rimasti senza punti di riferimento. Berlusconi, in un discorso televisivo di presentazione del suo programma, motiva la decisione affermando che le successive elezioni politiche avrebbero potuto essere vinte dalle sinistre.
Effettivamente alle elezioni amministrative di novembre la sinistra, guidata dal Pds, conquista Torino, Genova e Venezia e il successo elettorale dell’Msi è interpretato come il certificato di morte della DC (Vespa, 1999). Scalfari, sulla Repubblica, esalta «la grande alleanza stipulata tra la società civile e la sinistra riformatrice e riformista, tra la borghesia progressista e il lavoro dipendente produttivo», mentre sul Corriere Paolo Mieli parla di «effetto stabilizzante del voto».
La crisi che investe il Quirinale nel novembre 1993, con le confessioni da parte di alcuni funzionari del Sisde di aver versato mensilmente un appannaggio di cento milioni di lire a tutti i ministri dell’Interno a partire dal 1982, completa la strategia delle sinistre, che si apprestano a congedare Scalfaro, il quale potrebbe rappresentare un ostacolo.
La decisione di Berlusconi, nonostante le dimissioni da presidente della Fininvest, appare viziata da un pesante difetto d’origine. È evidente che il possesso di un impero multimediale gli concederà un vantaggio rispetto ai competitori. Va inoltre rimarcato che la televisione ha un potere pervasivo superiore a qualsiasi altro mezzo di informazione; non per nulla in molti Paesi esistono forti limiti alle concentrazioni del settore. E non si può negare che Forza Italia abbia le proprie radici organizzative nelle imprese di Berlusconi e le sue casse di risonanza nelle televisioni della Fininvest.
Detto questo, appaiono comunque isteriche le reazioni e l’orgia di insulti della sinistra quando appare chiaro che Berluscioni sta facendo sul serio. La Stampa, a proposito del discorso televisivo di Berlusconi, scrive: «I toni sono da tema scolastico da quarta elementare […]». Eugenio Scalfari, sulla Repubblica, si rivolge a Berlusconi come al «ragazzo coccodè» e raffronta il suo ingresso in politica con quello che faceva in teatro Wanda Osiris, coperta di lustrini e piumaggi. Tutte le testate del gruppo di De Benedetti parlano del «Cavaliere nero», L’Espresso dedica settimanalmente una decina di pagine al nemico di sempre, senza risparmiare nessuno dei suoi sostenitori; Sgarbi è definito «il pupazzo parlante della Fininvest», Funari, «il Pasquino di Cinecittà», Mentana «fa propaganda, mascherata da informazione», Mengacci e Medail «arano in lungo e in largo il latifondo qualunquista per seminare il verbo berlusconiano».
Giova ricordare come Paolo Panerai commenta Scalfari: «Il taglio sempre di parte e sempre arrogante dell’Espresso e di Repubblica esaltato certo dalla bravura di scrittore di Scalfari, fu sicuramente inquinante per la crescita anche in Italia di un’informazione trasparente, al solo servizio del lettore. Una brutta scuola per centinaia di giovani giornalisti, specialmente del settore economico, di cui Scalfari era allora di fatto il dominatore» (Panerai, 2010). Michele Santoro imposta la sua trasmissione, Il rosso e il nero, sull’indebitamento della Fininvest; Andrea Barbato osserva ironicamente che le graduatorie di popolarità danno Silvio prima di Cristo; secondo l’onorevole Occhetto, del discorso di apertura di Berlusconi si salverebbero solo «le parti comiche». Massimo Riva, sulla Repubblica scrive: «Deposto Craxi, è ora il suo fratello siamese, Silvio Berlusconi, a farsi rumorosamente avanti con il programma di una nuova alleanza fra politica e affari che, facendo esplicita leva sul controllo delle tv, minaccia campagne elettorali e battaglie politiche di inquietante stampo sudamericano». In tanto bailamme, la voce del presidente della Corte costituzionale, Francesco Casavola, ricorda che una disciplina della campagna elettorale, e quindi dell’uso dei media, è legittima e opportuna, ma che questa deve riguardare, innanzitutto, l’azienda pubblica che amministra un bene di tutti i cittadini. Dopo aver seguito il percorso politico di Berlusconi, al di là di alcuni errori dovuti alla poca conoscenza del sistema e di varie sbavature caratteriali, ho potuto farmi un’idea dei motivi del suo successo e del perché, dopo Mussolini, sia l’uomo politico più odiato e più amato dagli italiani. Consideriamo, ad esempio, due politici che hanno provocato non pochi problemi a Berlusconi: Fini e Casini. Se osserviamo con una certa attenzione i loro comportamenti, ci accorgiamo di due aspetti che ritengo fondamentali. Primo: sono due buoni parlatori, ma non hanno mai proposto un’idea nuova e innovativa; secondo: la loro azione è sempre stata indirizzata all’acquisizione di un potere “politico” personale. Ad esempio, entrambi sono stati presidenti della Camera, considerato trampolino di lancio per posizioni di maggior rilievo. Hanno sempre cercato di interloquire con l’opposizione, non hanno mai sfidato le istituzioni: non sono né amati, né odiati. Berlusconi ha invece il comportamento dell’imprenditore e ha trasferito questo valore in politica; in particolare si distingue per due comportamenti opposti a quelli citati per Fini e Casini.
Primo: un imprenditore, per difendere la propria azienda o per farla diventare grande, deve avere sempre un’idea nuova e l’innovazione deve essere nel suo Dna; questo ha condotto Berlusconi a immettere nella ritualità secolare della politica l’irrituale, la sfida, lo scontro con la burocrazia e i poteri costituiti. Tale cambiamento non piace ai soloni dei media, alla burocrazia plantigrada dello Stato, ai poteri costituiti e inalienabili che preferiscono i rituali dei Fini e dei Casini allo sconvolgimento berlusconiano dei riti.
Secondo, Berlusconi, da imprenditore, ha ben preciso il concetto di squadra, pertanto sa che per vincere bisogna innanzitutto che vinca la squadra e che, se pone come obiettivo primario il proprio successo, perde la squadra e perde lui stesso. Questa caratteristica lo porta a volte a difendere collaboratori indifendibili, perché è lo spirito di squadra che lo guida. D’altra parte, da grande imprenditore, sa che spetta comunque a lui la responsabilità dell’ultima decisione e questo gli aliena, a volte, la fedeltà dei suoi. Quando, in occasione della amministrative del 2011, Berlusconi perde di vista questo principio e la squadra si presenta sgangherata e rissosa, ecco che arriva la sua prima vera, grande batosta politica, tanto che queste elezioni segnano, forse, l’inizio del suo declino.
Nel gennaio 1994, al primo congresso del Ppi, Martinazzoli si scontra con la realtà del suo partito. La balena bianca nel periodo del suo lungo splendore era stata capace di far convivere il diavolo e l’acqua santa, i liberisti con i programmatori, i riformisti con i conservatori, la sinistra con la destra. Ma ora la politica tende verso un sistema bipolare e la DC deve scegliere. Martinazzoli non è in grado di proporre la vecchia strategia centrista, né di qua né di là, per cercare di mantenere l’unità politica dei cattolici. La DC deve venire a patti con la realtà; con la fine delle contrapposizioni ideologiche, della missione storica, dell’egemonia del centro politico e con l’inizio dell’inesorabile separazione degli opposti. Pier Ferdinando Casini, Clemente Mastella, Ombretta Fumagalli Carulli, Francesco D’Onofrio costituiscono il Centro cristiano democratico (Ccd) e si alleano con Berlusconi. Dopo le dimissioni di Martinazzoli, il Ppi nomina segretario il filosofo Rocco Buttiglione, che s’impegna a non partecipare a Governi nei quali si trovino Rifondazione Comunista a sinistra, e Movimento Sociale a destra.

LOGO

14 settembre 2015

Eugenio Caruso da L'estinzione dei dinosauri di stato.



www.impresaoggi.com