L'Universo a grande scala. Parte II


Bisognerà affrontare le cose grandi con animo grande
Seneca Lettere morali a Lucilio

Per poter meglio affrontare questo articolo suggerisco di leggere la Parte I. Una galassia è un grande insieme di stelle, sistemi, ammassi ed associazioni stellari, gas e polveri (che formano il mezzo interstellare), legati dalla reciproca forza di gravità. Il nome deriva dal greco (galaxìas), che significa "latteo"; è una chiara allusione alla Via Lattea.
Le galassie sono oggetti dalle vastissime dimensioni; variano dalle più piccole, contenenti poche decine di milioni di stelle, alle galassie giganti, che hanno anche mille miliardi di stelle, orbitanti attorno a un comune centro di massa.
Le galassie sono state classificate secondo la loro forma apparente, ossia sulla base della loro morfologia visuale. Una tipologia molto diffusa è quella ellittica, che ha un profilo a ellisse. Le galassie spirali possiedono invece una forma discoidale con strutture spiraliformi che partono dal nucleo. Le galassie con forma irregolare o insolita sono dette galassie peculiari; la loro strana forma è solitamente il risultato degli effetti delle interazioni con le galassie vicine. Se tali interazioni sono particolarmente intense, a causa della grande vicinanza tra le strutture galattiche, può aver luogo la fusione delle due galassie, che risulta nella formazione di una galassia irregolare.
Nell'universo osservabile sono presenti probabilmente più di 100 miliardi di galassie; gran parte di esse ha un diametro compreso fra 1000 e 100.000 parsec e sono di solito separate da distanze dell'ordine di milioni di megaparsec. Lo spazio intergalattico è parzialmente colmato da un tenue gas, la cui densità è inferiore a un atomo al metro cubo. Nella maggior parte dei casi le galassie sono disposte nell'Universo organizzate secondo precise gerarchie associative, dalle più piccole associazioni, formate da alcune galassie, agli ammassi, che possono essere formati anche da migliaia di galassie. Tali strutture, a loro volta, si associano nei più imponenti superammassi. Queste grandi strutture sono di solito collegate da enormi filamenti, che circondano grandi vuoti.
La materia oscura sembra costituire circa il 90% della massa di gran parte delle galassie a spirale, mentre per le galassie ellittiche si ritiene che questa percentuale sia minore. I dati provenienti dalle osservazioni inducono a pensare che al centro di molte galassie, sebbene non di tutte, esistano dei buchi neri supermassicci; la presenza di questi oggetti spiegherebbe l'attività del nucleo delle galassie cosiddette attive. Tuttavia la loro presenza non implica necessariamente che la galassia che li ospiti sia attiva, dato che anche la Via Lattea sembrerebbe nascondere nel suo nucleo uno di questi buchi neri.
Gli ammassi di galassie sono gli oggetti più massicci, tra quelli identificati attualmente nell'universo, superati solo dai superammassi. Sono definiti come agglomerati di galassie, di numero e dimensione variabile, tenuti insieme dall'autogravità. La ricerca scientifica effettuata sulla struttura, sull'organizzazione e sull'evoluzione degli ammassi, è fondamentale per comprendere meglio l'origine, la composizione, l'organizzazione e il futuro dell'universo stesso.
Il primo ammasso di galassie fu scoperto, casualmente, da Charles Messier, il 15 aprile 1779, quando notò tre enormi chiazze vaporose, che pur somigliando alle comete, evidenziavano una caratteristica divergente da queste, come la mancanza di mobilità. Sempre nell'ottocento l'astronomo tedesco William Herschel, identificò l'ammasso della Vergine. Ma solo nel novecento gli studiosi, a partire da Fritz Zwicky approfondirono le conoscenze degli ammassi, iniziando a calcolare la velocità delle galassie al loro interno, e a interpretare le orbite di queste ultime, che sono paragonabili a quelle dei pianeti all'interno del sistema solare, esse girano, infatti, attorno a un centro di massa. L'astronomo statunitense George Ogden Abell, intorno al 1950 stilò la prima catalogazione moderna degli ammassi, grazie alle osservazioni svolte presso il Palomar Observatory in California. Nel 1970 Herbert Gursky e il suo gruppo di ricerca, rilevò la presenza, negli spazi intergalattici, di smisurate quantità di gas non osservabili nel visibile ma capaci, per l'altissimo calore di emettere raggi X. Giova ora fare ordine e classificare le grandi strutture dell'Universo.

galassia M101

La galassia M101, uno dei più begli esempi di galassia a spirale.


Gruppi di galassie
I gruppi di galassie sono i più piccoli aggregati di galassie. Hanno tipicamente le seguenti proprietà:
contengono meno di 50 galassie
hanno un diametro di circa 3 milioni di anni luce
la loro massa è approssimativamente 10^13 masse solari
la differenza di velocità tra le galassie è di circa 150 km/s.
Ammassi di galassie
Gli ammassi sono più grandi dei gruppi, anche se non c'è una netta di demarcazione tra i due. Quando sono osservati visivamente, gli ammassi sembrano essere insiemi di galassie tenuti assieme dalla mutua attrazione gravitazionale. Le loro velocità sono però troppo alte perché possano rimanere assieme, il che implica la presenza di una componente invisibile di massa oscura. Le osservazioni nei raggi X hanno rivelato la presenza di grandi quantità di gas intergalattico. Questo gas è molto caldo, decine di milioni di gradi, e quindi emette raggi X. La massa totale del gas è più grande di quella delle galassie, in genere di un fattore due. Anche questa massa non è sufficiente, però, per tenere assieme l'ammasso. Poiché questo gas è approssimativamente in equilibrio con il campo gravitazionale dell'ammasso, la sua distribuzione nell'ammasso rivela la forma del campo gravitazionale stesso, e quindi è possibile calcolare la distribuzione della massa nell'ammasso. Ne risulta che la massa totale è molto più alta di quella del gas o delle galassie. La componente mancante è la materia oscura. In un ammasso tipico, solo il 5% della massa totale è sotto forma di galassie, forse il 10% come gas intergalattico caldissimo che emette raggi X, e il resto è materia oscura.
Gli ammassi hanno in genere le seguenti proprietà:
contengono da 50 a 1000 galassie, gas caldo, che emette raggi X, e grandi quantità di materia oscura
la distribuzione di queste tre componenti all'interno dell'ammasso è più o meno la stessa
hanno una massa totale da 10^14 a 10^15 masse solari
hanno tipicamente un diametro di 25 milioni di anni luce
le velocità delle galassie possono variare fino a 1000 km/s
la distanza media tra ammassi è di circa 10 Mpc.
la temperatura di un ammasso tipico è di 75 milioni di gradi (arriva fino a 200 milioni di gradi).
gli ammassi di galassie non devono essere confusi con gli ammassi stellari come gli ammassi aperti, che sono strutture all'interno delle galassie, e gli ammassi globulari, che orbitano attorno alle galassie.
Negli ultimi anni, gli astronomi hanno preferito sostituire un modello di spiegazione che preveda ammassi dinamici, che "mangiano" e "assorbono" la materia circostante, al posto di quello tradizionale basato su una visione statica degli ammassi. Le ipotesi più accreditate prevedono che quando gruppi di galassie si uniscono a un ammasso, quest'ultimo accumula anche gas caldo, materia oscura e massa. È proprio la massa aggiuntiva che innesca il fenomeno del riscaldamento dei gas e delle accelerazioni delle galassie, grazie all'intensificazione delle forze gravitazionali.
La maggior parte dei fisici ritiene che tutte le strutture cosmiche si siano formate in questo modo e in futuro spetterà agli ammassi e ai superammassi fondersi in organizzazioni ancora più grandi, sempreché non vengano impediti dall'espansione dell'universo che potrebbe, a lungo andare, allontanare troppo gli ammassi tra loro, inducendo così scenari cosmologici nuovi.
I superammassi
I Superammassi sono grandi agglomerati di ammassi e gruppi di galassie e sono tra le più grandi strutture conosciute dell'Universo. La Via Lattea è situata nel Gruppo Locale e, con l'Ammasso della Vergine, altri ammassi e gruppi formano il Superammasso Laniakea, una superstruttura che si estende per oltre 500 milioni di anni luce (in confronto il Gruppo Locale ha un'ampiezza di 10 milioni di anni luce).
Il più grande ammasso dell'Universo locale è chiamato il Grande Attrattore la cui gravità è così forte che il Superammasso locale, tra cui la Via Lattea, si sta muovendo nella sua direzione alla velocità di diverse centinaia di chilometri al secondo; la sua massa e tra 4 e 6 10^15 masse solari. Tra le grandi strutture oltre il nostro universo locale è il Filamento di Perseo-Pegaso, che contiene il Superammasso di Perseo-Pesci e si estende per circa un miliardo di anni luce. Il Filamento di Perseo-Pegaso è stato scoperto da David Batuski e Jack Burns della New Mexico State University.

grande attrattore

Panoramica del cielo nell'infrarosso vicino. La posizione del grande attrattore è indicata dalla freccia blu in basso a dx con l'etichetta Norma and Great Attractor

Da tempo si indaga sul come siano disposti i superammassi nello spazio, approntando mappe accurate, anche tridimensionali, delle posizioni di milioni di galassie, calcolandone per ognuna la posizione e il redshift. L'esame delle mappe hanno fatto comprendere che i superammassi non seguono una distribuzione casuale, ma si dispongono lungo strutture allungante, i filamenti galattici. Questi circoscrivono enormi vuoti, strutture spesso sferiche dove sono presenti pochissime tenui galassie o nubi d'idrogeno, mentre la maggior parte delle galassie si trovano nei filamenti. Nel complesso l'aspetto è quello che ricorda una spugna, dove le cavità sono i vuoti e la struttura della spugna i filamenti e superammassi. I diametri dei superammassi variano tra 100 e 400 milioni di anni luce.
Lo studio dei superammassi dà indicazioni sugli eventi iniziali dell'Universo, quando sono state gettate le basi per la loro formazione. L'osservazione delle direzioni degli assi di rotazione delle galassie all'interno dei superammassi possono anche darci informazioni per comprendere i processi di formazione delle galassie nelle fasi precoci della storia dell'Universo.
Per descrivere la struttura dell'Universo a grande scala, il metodo più diretto consiste nell'osservazione della posizione delle galassie nello spazio. Con il tempo si è scoperto che la loro distribuzione non è omogenea.

Teoria della formazione delle strutture Per studiare la formazione delle galassie, degli ammasi e dei superammassi e valutare le ere della loro formazione va utilizzato il principio della massa di Jeans. Le nubi che hanno massa superiore a quella di Jeans, collassano, mentre quelle con massa inferiore mostrano una propagazione acustica che viaggia nel cosmo e che è stata rilevata.
Le stelle nascono vivono e muoiono. Prima di nascere, una stella si trova, per così dire, sotto forma di nube molecolare. Fino a che la massa di questa nube è minore di un certo valore non succede nulla, ma quando lo raggiunge e lo supera cambiano le cose. Questo valore si chiama, appunto, massa di Jeans. Le nubi molecolari sono immensi aggregati di gas e di polvere relativamente densi e freddi (la temperatura supera di qualche grado lo zero assoluto): fino a che la loro massa è minore della massa di Jeans la pressione del gas contrasta efficacemente la forza attrattiva di gravità e la nube è stabile, ma una massa eccessiva fa sì che la nube inizi a contrarsi, a collassare su sé stessa, cominciando a formare una stella, con un eventuale sistema planetario intorno. Il valore della massa di Jeans dipende dalla temperatura e dalla densità della nube molecolare ed è tanto più piccolo quanto più fredda o densa è la nube. Il collasso gravitazionale si sviluppa nella zona centrale della nube molecolare, dove la densità raggiunge i valori più elevati. La contrazione fa aumentare la densità e poiché in conseguenza di ciò il valore della massa di Jeans diminuisce, la nube molecolare può frammentarsi in più parti, ognuna delle quali evolve in modo indipendente dalle altre, eventualmente con una propria contrazione. Un’altra conseguenza dell’aumento di densità è l’innesco delle reazioni di fusione nucleare, che fa brillare la stella. Questo modello di nascita stellare è sostanzialmente ben conosciuto, mentre non sono del tutto chiare le cause che fanno iniziare il collasso della nube molecolare.

L' instabilità di Jeans è l'instabilità che è all'origine del collasso gravitazionale delle nubi interstellari di gas e della conseguente formazione delle stelle. Tale instabilità si instaura quando la pressione interna del gas non è in grado di contrastare il collasso gravitazionale cui va naturalmente incontro una nube ricca di materia.
Il primo tentativo di risolvere il problema della genesi delle galassie fu condotto nel 1902 da James Jeans, che studiò il collasso gravitazionale in un mezzo uniforme e infinito nel quale piccole perturbazioni di densità ($d \rho $) dessero origine ad onde di pressione (d p), ove
formula 10

Vs è la velocità del suono. Il risultato fu che il collasso è possibile per una massa (conosciuta come la Massa di Jeans, Mj) grande abbastanza da rendere il tempo di attraversamento dell'onda di pressione più grande del tempo di caduta libera. Quando il tempo di propagazione del suono risulta minore del tempo di caduta libera (Vs > Vc), il sistema raggiunge un equilibrio stabile; ma quando accade il contrario (Vs < Vc) la regione va incontro a un collasso gravitazionale. Le nubi che hanno massa superiore a quella di Jeans collassano, mentre le nubi con massa inferiore hanno una propagazione acustica; tale propagazione acustica esce dalla nube e si propaga nel cosmo.
Per una regione sferica con densità media $\rho$ e costante gravitazionale G, la massa calcolata a suo tempo da Jeans è:
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è immediato applicare il ragionamento di Jeans al problema della formazione galattica nell'Universo primordiale e calcolare la massa sferica minima capace di arrestare l'espansione e iniziare il collasso. A z=1.100, cioè subito dopo il disaccoppiamento, quando alla temperatura di circa 10^10 K i neutrini non sono più imbrigliati deal magma fotonico e barionico e possono liberarsi nello spazio
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dove $\Omega_{0}$ è la densità di massa attuale e ${\rm M_{\odot}}$ è la massa solare. $1\, {\rm M}_{\odot}=2\times10^{33}\, {\rm g}$.
A epoche precedenti il disaccoppiamento (z>1.100 o $t\leq10^6$ anni), la densità di energia del campo di radiazione è dominante e la velocità del suono è relativistica. Durante questo periodo, la massa barionica minima richiesta per il collasso sarebbe:
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Questa massa è così grande da essere paragonabile all'intero contenuto barionico di un qualsiasi volume causalmente connesso dello spazio nel periodo dominato dalla radiazione. Inoltre il tempo di scala necessario affinché tali fluttuazioni collassino è più lungo del tempo caratteristico di espansione dell'Universo. Le due richieste ci garantiscono che nessuna fluttuazione barionica possa collassare gravitazionalmente nei primi 10^6 anni dopo il Big Bang e quindi che la formazione delle galassie cominci realisticamente solo nell'era dominata dalla materia e quindi dopio i 10^6 anni dal Big Bang. Sebbene la massa di Jeans rappresenti la scala più piccola perché le perturbazioni collassino, le fluttuazioni su scala molto maggiore sono nei fatti soppresse, l'analisi di Jeans ipotizza che materia e radiazione siano strettamente accoppiate per dare origine a fluttuazioni di pressione localizzate, ma questa aspettativa non è realistica poiché la radiazione tenderebbe a fuoriuscire dalle regioni ad alta pressione a un tasso determinato dal libero cammino medio per lo scattering Thompson (lo scattering Thomson è uno scattering elastico di radiazione elettromagnetica da parte di una particella carica libera. Il campo elettromagnetico dell'onda incidente accelera la particella inducendo l'emissione di radiazione della stessa frequenza dell'onda incidente; in questo modo l'onda incidente viene diffusa). La massa scala caratteristica ${\rm M}_{\rm S}$ su cui si verifica questo fenomeno di ``fuoriuscita'' è data da:
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Questo calcolo fu eseguito per la prima volta da Silk e la quantità ${\rm M}_{\rm S}$ è conosciuta appunto come massa di Silk. Questa massa ``scala'' è significativamente più grande della massa barionica di Jeans al tempo del disaccoppiamento ed è più grande della massa di una galassia
($10^{11}\, {\rm M}_{\odot}$), dato che $\Omega_0h^2\leq 2$. Quindi le fluttuazioni su tutte le scale più grandi delle galassie sono smorzate in un Universo dominato dalla materia barionica.
Cerchiamo di utilizzare il criterio di Jeans per stimare il redshift al quale le nubi protogalattiche cominciano a collassare: una perturbazione più grande di ${\rm M}_{\rm J}$ arresterà la sua espansione, per quanto visto, e comincerà a collassare in un tempo caratteristico tc, dato da
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Per poter confrontare i tempi caratteristici introduciamo la relazione tra il redshift e il tempo di ``look-back'', $\Delta t$,

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dove $\Omega_{\rm M}$ e $\Omega_{\Lambda}$ sono i contributi alla densità di energia che vengono dalla materia e dalla costante cosmologica. La figura sottostante mostra $\Delta t$ in funzione di z per tre modelli cosmologici diversi che, a oggi, sembrano coprire tutte le alternative verosimili per $\Omega_{\rm M}$ e $\Omega_{\Lambda}$. Nonostante il continuo dibattito sul valore dei parametri cosmologici, dalla figura si evince come in una qualsiasi plausibile cosmologia l'osservazione di galassie a $z\simeq1-5$ ci porti a osservare epoche in cui l'Universo aveva circa il $50\%-10\%$ dell'età attuale.

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FIGURA Look-back time in funzione del redshift per i modelli cosmologici: $\Omega _{\rm M}=1.0, \Omega _{\Lambda }=0$ (linea spezzata); $\Omega _{\rm M}=0.2, \Omega _{\Lambda }=0$ (linea intera); $\Omega _{\rm M}=0.1, \Omega _{\Lambda }=0.9$ (linea punteggiata). Questi modelli sono stati calcolati con ${\rm H}_0=100h\,{\rm km}\,{\rm s}^{-1}$ Mpc-1.
Consideriamo ad esempio la nostra Via Lattea: la massa totale derivata da studi dinamici è di circa $5\times10^{11}\,{\rm M}_{\odot}$ e una stima della dimensione della nube protogalattica, derivata dalla distanza delle stelle più esterne nell'alone galattico, è di circa 100 kpc. Questo implica un densità di $3.6\times10^{-24}\,{\rm kg}\,{\rm m}^{-3}$ e un tempo di collasso di circa 10^9 anni, ottenuto usando l'equazione del tc, che corrisponde a un tempodi ``look-back'' di 7.2 Gyr (1 Gyr=10^6 anni) se $\Omega_{\rm M}=0.2$ e di 5.4 Gyr se $\Omega_{\rm M}=1.0$ (in entrambi i casi si è assunto $\Omega_{\Lambda}=0, h=1$). Dalla Figura si risale immediatamente dal tempo di ``look-back'' ai redshift di formazione, ottenendo rispettivamente $z_f\simeq 4-2$.
Se h=0.5, i redshift di formazione variano nell'intervallo $z_f\simeq 6-4$ per la stessa densità di massa. In conclusione, oggetti legati, della dimensione delle galassie, sono eventi molto improbabili a redshift maggiori di questi per la semplice ragione che l'età dell'Universo sarebbe inferiore rispetto al tempo di collasso in caduta libera.

0rig univ

Era di formazione delle galassie

RIASSUMENDO

L’universo mostra strutture di diversa estensione, quali stelle, ammassi stellari, galassie e ammassi di galassie. D’altra parte, la materia scaturita dal Big Bang era inizialmente distribuita omogeneamente nello spazio cosmico. In caso di distribuzione perfettamente uniforme, un gas non potrebbe dare luogo ad alcuna struttura giacché ciascun elemento di fluido sarebbe attratto gravitazionalmente dal gas circostante, in ugual misura e lungo ogni direzione, e, in definitiva, non si muoverebbe. È tuttavia possibile che il gas venga perturbato per qualche motivo; in questo caso in esso si propagano delle onde, similmente alle onde che si producono sulla superficie di uno stagno quando lo perturbiamo gettandovi un sasso. Le onde nel gas interstellare si comportano come le ordinarie onde sonore, creando regioni di compressione e di rarefazione di dimensioni paragonabili alla lunghezza d’onda. Queste regioni si alternano periodicamente, e il gas contenuto in ognuna di esse si comprime e si dilata variando la propria densità in modo oscillatorio.
Tuttavia, contrariamente alle ordinarie onde sonore, le onde che si propagano in un gas astrofisico possono avere lunghezze d’onda molto grandi; le relative regioni di oscillazione hanno volumi molto estesi e contengono quindi masse considerevoli di gas la cui forza di gravità non è trascurabile. Succede allora che, per lunghezze d’onda superiori a una determinata lunghezza critica, detta “lunghezza di Jeans”, la massa compressa “non ce la fa” a riespandersi per seguire l’oscillazione perché prevale la propria autogravità che favorisce la compressione; questa massa, pertanto, si “distacca” dal gas circostante dando luogo a una struttura autonoma. La massa minima necessaria per dare luogo a tale struttura è quella contenuta in un volume delle dimensioni lineari dell’ordine della lunghezza di Jeans, e viene detta pertanto “massa di Jeans”. La massa di Jeans Mj è tanto maggiore quanto maggiore è la temperatura T del gas e minore la sua densità d; più specificatamente la massa di Jeans è propèorzionale alla temperatura T elevata a 3/2 e inversamente proporzionale a alla densità d elevata a 1/2. Una spiegazione qualitativa di questa relazione è la seguente: se la temperatura del gas è alta, è necessaria una massa maggiore affinché la gravità prenda il sopravvento sull’energia termica che tende a farla riespandere; in caso di densità elevata, invece, la gravità è più “concentrata” ed è sufficiente una massa minore affinché possa prevalere. La massa di Jeans, dopo le correzioni apportate da Lifshitz è infatti pari a

[(2,5 kT)/(Gμ)]3/2×[3/(4πϱ)]1/2,

dove k è la costante di Boltzmann, T la temperatura, G la costante di gravitazione universale, μ la massa media di una particella e ϱ la densità della nube.
Vediamo ora come evolve una struttura che si è venuta a formare tramite il meccanismo di Jeans. Essa consiste essenzialmente di un nuvolone sferico, in quanto la propria gravità agisce in tutte le direzioni in ugual misura, e non ci sono direzioni particolari che giustifichino uno scostamento dalla simmetria sferica. La nube tende a porsi in equilibrio idrostatico in cui l’autogravità è bilanciata dalla pressione del gas che “spinge” verso l’esterno. Infatti, la gravità, nel tentativo di comprimere la nube, ne aumenta la temperatura e questo incremento di energia termica la fa riespandere fino al raggio di equilibrio. Questo equilibrio può però essere spezzato dalla presenza di perdite radiative che “smaltiscono” parte dell’energia termica della nube. È infatti noto che qualunque corpo caldo irraggia tanto più quanto maggiore è la sua temperatura. Se la nube è relativamente poco densa, i fotoni emessi dal gas, anche nelle zone centrali, sono in grado di fuoriuscire rapidamente senza realizzare troppi urti con gli atomi circostanti: in altre parole, la nube è trasparente. Allora l’incremento di energia termica dovuto alla compressione viene irraggiato rapidamente e il gas rimane più o meno a temperatura costante. Il collasso non è più contrastato, e la nube riduce sempre più le sue dimensioni, aumentando la propria densità. In queste condizioni, per quanto detto più sopra, il valore della massa di Jeans si riduce. Dunque, sezioni diverse nella nube soddisferanno indipendentemente il criterio di Jeans e cominciano a collassare localmente, producendo strutture più piccole all’interno della nube originale. In ogni sottostruttura il meccanismo può ripetersi, portando alla formazione di un grande numero di oggetti più piccoli. Si realizza, pertanto, una frammentazione gerarchica.
Questo procedimento a cascata si interrompe quando i frammenti, a causa della loro elevata densità, diventano opachi alla radiazione. I fotoni prodotti urtano continuamente con gli atomi circostanti e rimangono intrappolati a lungo all’interno del gas. In questo caso il calore generato dalla compressione viene perso molto lentamente e può contrastare efficacemente un ulteriore collasso, bloccando la frammentazione gerarchica. I frammenti finali si stabilizzano e possono dar luogo a stelle; gli ammassi globulari, oggetti galattici sferici composti da centinaia di migliaia di stelle, potrebbero essere proprio il risultato di una frammentazione gerarchica come quella descritta.

È naturale cercare di applicare il criterio di Jeans a livello cosmologico per studiare la formazione delle prime strutture. Subito dopo il Big Bang l’universo era composto da un gas rovente di idrogeno ed elio in rapida espansione e dalla radiazione cosmica di fondo che allora era molto più intensa di oggi. Dal momento che il volume dell’universo era molto più piccolo dell’attuale, il gas in esso contenuto aveva una densità alquanto alta e i fotoni della radiazione di fondo urtavano continuamente con gli elettroni che, a causa dell’elevata temperatura, non erano legati ai nuclei di idrogeno ed elio. In queste condizioni, il gas non era in grado di formare strutture neanche per perturbazioni con lunghezza d’onda maggiore di quella di Jeans. Infatti, a contrastare la gravità non c’era solo la pressione del gas, ma anche quella della radiazione che interagiva con gli elettroni e questi a loro volta interagivano con i nuclei atomici tramite la forza elettrostatica. Dopo circa 380.000 anni la temperatura si abbassò a sufficienza per permettere agli elettroni di combinarsi con i nuclei atomici. A questo punto il gas era composto per lo più da atomi neutri con una scarsa propensione a interagire con la radiazione. Si verificò dunque un “disaccoppiamento” tra fotoni e materia, dal momento che quest’ultima era diventata trasparente alla radiazione. Le perturbazioni con massa superiore a quella di Jeans furono allora libere di collassare dando luogo alle prime strutture.

Benché la descrizione esposta appaia ragionevole, essa in realtà non è soddisfacente. Si è infatti dimostrato che, a causa dell’espansione dell’universo, le perturbazioni si contraggono lentamente e non hanno tempo di produrre le strutture osservate oggi. Per risolvere questo problema è necessario considerare la cosiddetta “materia oscura”. La presenza di materia oscura è stata ipotizzata per spiegare l’alta velocità con cui le galassie si muovono all’interno degli ammassi di galassie. Se la gravità che tiene legate queste galassie le une alle altre fosse dovuta solo alla massa osservabile (cioè alle stelle in esse contenute), essa risulterebbe insufficiente e le galassie si dovrebbero allontanare l’una dall’altra dissolvendo così l’ammasso. Perché dunque l’ammasso possa sopravvivere così come noi lo vediamo è necessario ipotizzare la presenza di una materia non luminosa, la materia oscura appunto, una decina di volte più abbondante di quella luminosa, la cui gravità trattenga le galassie nell’ammasso. Analogamente, aloni di materia oscura devono avvolgere anche le singole galassie perché possano trattenere le stelle al loro interno.

La natura della materia oscura è ancora misteriosa; si ipotizza che sia composta da particelle subatomiche non ancora osservate ma previste dalle moderne teorie della materia. Una caratteristica precipua di queste particelle, essenziale per il nostro discorso, è quella di non interagire con la radiazione. Contrariamente a quel che succede per la materia ordinaria (detta materia “barionica”), le perturbazioni nella materia oscura possono svilupparsi e crescere anche “prima” del disaccoppiamento, in quanto l’impedimento dovuto alla radiazione è assente in questo caso. Avendo più tempo a disposizione, la materia oscura crea aloni ben sviluppati che attraggono rapidamente la materia barionica che darà luogo alle stelle che oggi osserviamo.

I “frammenti” di gas che cadono all’interno degli aloni di materia oscura hanno una massa pari alla massa di Jeans della materia barionica; dopo il disaccoppiamento questa massa è dell’ordine di 100,000 masse solari, circa un milionesimo di una galassia come la nostra. Dunque le galassie si formano tramite successive aggregazioni gravitazionali di questi “mattoni” iniziali in un processo detto merging.

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Eugenio Caruso - 12 febbraio-2016

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