1996. Scontro tra politici e magistrati


Il tuo spirito devi mutare, non il cielo sotto cui vivi.
Seneca, Lettere morali a Lucilio


Copertina

Con questo articolo proseguo la pubblicazione di alcuni stralci del mio libro storico-economico L'estinzione dei dinosauri di stato. Il libro racconta i primi sessant'anni della Repubblica soffermandosi sulla nascita, maturità e declino di quelle grandi istituzioni (partiti, enti economici, sindacati) che hanno caratterizzato questo periodo della nostra storia. La bibliografia sarà riportata nell'ultimo articolo di questa serie di stralci. Il libro può essere acquistato in libreria, in tutte le librerie on-line, oppure on line presso la casa editrice Mind.
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Il 15 settembre 1996 viene arrestato Lorenzo Necci, amministratore delegato delle Ferrovie dello Stato, in procinto di fare il grande salto in politica. Con lui finiscono in carcere finanzieri, magistrati, avvocati, imprenditori. Il banchiere Francesco Pacini Battaglia risulta il perno attorno al quale ruoterebbe una collaudata rete di “maneggioni” e un gruppo di pressione politica ed economica in grado di arrivare fin nelle stanze dei ministri. Grande è la sorpresa del mondo politico e dei media. Quattro anni dopo l’arresto di Mario Chiesa, mentre l’establishment sta cercando di formalizzare un percorso per uscire da Tangentopoli, con accordi palesi e sotterranei tra destra e sinistra, si scopre che la corruzione è ancora ben radicata nel Paese. Personaggi già inquisiti nell’ambito delle inchieste sulla P2 e su Tangentopoli possono orchestrare operazioni finanziarie con enti di Stato, influenzarne gli organigrammi, distribuire mazzette e pilotare appalti pubblici.
Lo scandalo Necci capita proprio nel momento in cui il sistema dei partiti sta convincendo l’opinione pubblica che Tangentopoli è una storia conclusa e che è arrivato il tempo di occuparsi del potere dei magistrati. Giuseppe De Rita scrive sul Tempo del 12 settembre 1996 che l’Italia è uscita da Tangentopoli con un apparato di potere fatto di pubblici ministeri, polizia, pentiti, apparato incontrollabile e incontrollato, una minaccia per lo Stato di diritto. Il Giornale titola il 18 settembre, dopo l’arresto di Necci: «I giudici padroni d’Italia». Tiziana Parenti, un ex magistrato del pool Mani pulite e successivamente parlamentare di Forza Italia, il 17 settembre, in una conferenza stampa, difende il magistrato Renato Squillante, arrestato, secondo lei, in seguito «a una macroscopica falsificazione della realtà processuale», ma viene smentita appena due giorni dopo, quando si scopre che l’ex magistrato disponeva di nove miliardi presso una banca di Bellinzona.
L’arte del trasformismo raggiunge il suo acme con il Pds. Il 20 settembre, Pietro Folena, responsabile del partito per la giustizia, scrive sull’Unità: «[…] quello che di meno questo Paese oggi sopporta è il ripetersi di ciò che sopportò tra il 1992 e il 1994-1995». Il 6 ottobre il senatore Cesare Salvi contesta i metodi usati dal pool di Milano, mentre l’ex senatore Colajanni rincara la dose paragonando Saverio Borrelli all’inquisitore delle purghe staliniste, Andrej Vyšinskij. Infine l’ex principe delle “toghe rosse”, Luciano Violante, colui che teorizzava la sentenza come strumento di lotta politica (come ricorda Marcello Maddalena, procuratore capo a Torino), attacca ora i pubblici ministeri «che cercano legittimazione, non nelle leggi, ma nel consenso popolare». Il rapporto tra Pds e magistrati inquirenti è rotto: quando la loro opera serviva per annientare il Psi, per distruggere il potere del già citato “caf” (regime Craxi-Adreotti-Forlani), per incriminare Berlusconi, qualunque comportamento della magistratura era accolto con apprezzamento, nel momento in cui il Paese è governato dalla sinistra, essa deve ritirarsi in buon ordine. D’Alema spinge il suo partito nella direzione di una politica riformista neoliberale ma, per essere credibile, deve trovare un accordo con il mondo imprenditoriale e con Berlusconi, e sa che la strada per raggiungere tale accordo passa anche attraverso iniziative volte a ridurre l’attivismo dell’autorità giudiziaria.
Il 26 novembre la Procura di Roma richiede il rinvio a giudizio di Prodi per concorso in abuso d’ufficio e per conflitti di interesse in occasione della cessione del gruppo alimentare Cirio alla Fisvi. L’operazione, a suo tempo, sollevò un turbinio di polemiche: Fabio Mussi, assieme ad altri deputati del Pds, presentò un’interrogazione parlamentare per protestare contro la scelta di «un acquirente che non dà garanzie sotto il profilo industriale e finanziario». Oggi, scontata la manifestazione di solidarietà di Berlusconi, impegnato in un’opera di delegittimazione della magistratura, non sorprende nemmeno quella dei pidiessini. In prima linea è Violante, che afferma la necessità di dover fermare questa «repubblica giudiziaria».
I mesi di novembre e dicembre 1996 sono caratterizzati dalla “caccia al magistrato”. Il Polo mette in campo l’artiglieria pesante: Vittorio Feltri, Giuliano Ferrara, Emilio Fede, Enrico Mentana sparano contro la magistratura; Berlusconi, a proposito delle Procure di Milano e Palermo, parla «[…] di ruolo illiberale e antidemocratico»; Achille Serra accusa Caselli e Borrelli di «protagonismo patologico»; Michele Saponara di «delirio di onnipotenza»; Tiziana Maiolo di «progetto politico che viene dal salotto buono di Mediobanca».
Gli attacchi del Polo sembrano scontati, considerando le inchieste contro Berlusconi, ma le critiche giungono anche dal Governo e dalla sinistra: Leo Valiani invoca l’amnistia per l’illecito finanziamento ai partiti; il senatore Pellegrino denuncia un «disegno strategico delle Procure per accrescere il loro potere».
Giova a questo punto sottolineare che, quando nel 2008 Berlusconi vince nuovamente le elezioni politiche e l’attenzione dei giudici si rivolge solo contro di lui, allora i suoi nemici politici, vecchi e nuovi, e la magistratura mostrano d’essere di nuovo un gruppo coeso il cui unico obiettivo è far fuori il “Caimano”.

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18 marzo 2016

Eugenio Caruso da L'estinzione dei dinosauri di stato.



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