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Tullio Levi Civita, il matematico che corresse Einstein


« Gli spaghetti e Levi-Civita »
Albert Einstein, rispondendo alla domanda su cosa gli piacesse di più dell'Italia.


PERSONALITA' SCIENTIFICHE

In questa sottosezione di Grandi Personaggi prendo in considerazione quegli scienziati che hanno contribuito allo sviluppo della conoscenza scientifica.

Tullio Levi Civita

civita

«Quando ho visto che Lei rivolge la sua obiezione contro la dimostrazione più importante della teoria, che mi è costata fiumi di sudore, mi sono spaventato non poco poiché so che Lei padroneggia queste cose matematiche molto meglio di me». È un allarmato Einstein quello che il 5 marzo 1915 così risponde a Tullio Levi-Civita, il matematico padovano che gli ha comunicato un errore nella dimostrazione di un teorema che lo stesso Einstein riconosce essere fondamentale per la teoria della relatività generale che sta elaborando. Nondimeno, «dopo un’attenta riflessione – continua fiducioso Einstein – ritengo tuttavia di poter mantenere in piedi la mia dimostrazione». Giova osservare che Einstein non aveva grande dimestichezza con il calcolo tensoriale introdotto da Ricci-Curbastro e Levi-Civita.
Di che si tratta? Dopo la pubblicazione nel 1905 del celebre articolo sulla teoria della relatività, ristretta ai soli moti relativi uniformi, da diversi anni Einstein ha cominciato a riflettere sul modo di estendere la sua teoria a qualunque moto generico. «L’idea decisiva», dirà in seguito, gli è stata suggerita dall’«analogia tra il problema matematico della teoria della relatività generale e la teoria gaussiana delle superfici». Lasciata Praga per Zurigo nel 1912, con l’aiuto di Marcel Grossmann, amico e collega al locale Politecnico, si familiarizza con la geometria differenziale di Gauss e Riemann e studia il calcolo tensoriale, o calcolo differenziale assoluto come si chiama all’epoca il calcolo elaborato da Ricci-Curbastro, maestro di Levi-Civita a Padova. »
Nel 1913 appare il primo frutto del lavoro comune di Einstein e Grossmann, un abbozzo (Entwurf) di una teoria della relatività generale e della gravitazione, in cui Grossmann fornisce l’apparato matematico, ossia le definizioni e gli elementi essenziali del calcolo differenziale assoluto, a sostegno delle idee fisiche di Einstein. I metodi e le applicazioni di quel calcolo erano stati presentati da Levi-Civita e Ricci-Curbastro in un articolo del 1901 che aveva fatto epoca. Poincaré ha scritto una volta che nelle scienze matematiche una buona notazione ha la stessa importanza filosofica di una buona classificazione nelle scienze naturali, ricordano Ricci e Levi-Civita in apertura del loro lavoro. «A maggior ragione, si può dire altrettanto dei metodi» che «hanno origine e ragion d’essere negli intimi rapporti che li legano alla nozione di varietà a n dimensioni che dobbiamo al genio di Gauss e di Riemann». »
Quell’articolo è un sistematico compendio di metodi, accompagnati dalle numerose applicazioni alla fisica matematica che Levi-Civita padroneggia in maniera magistrale. Professore di meccanica razionale a soli 24 anni, delle sue grandi qualità il matematico padovano ha dato prova in una serie di contributi nei campi più diversi – dalla teoria degli infinitesimi alla teoria degli invarianti, alla meccanica analitica al problema dei tre corpi – che, a neppure trent’anni, ne fanno uno dei più geniali e poliedrici matematici del tempo.
Sono queste le «cose matematiche» cui allude Einstein in quella sua prima lettera a Levi-Civita, che segna l’inizio di una fitta corrispondenza tra Padova e Berlino, dove nel frattempo si è stabilito il grande fisico. «Una corrispondenza così interessante non mi era ancora capitata» confessa Einstein al matematico italiano il 2 aprile. «Dovrebbe vedere con quale ansia aspetto sempre le sue lettere». E ne ha ben donde. Einstein cerca infatti ogni volta di controbattere con nuovi argomenti, e di mettere così la sua dimostrazione al riparo dalle reiterate critiche di Levi-Civita («mi accorgo dalla sua cartolina del 2 aprile che Lei insiste nella sua obiezione... cercherò di confutarla» o ancora il 21 aprile «Lei ritiene ancora che il Teorema non sia valido. Io spero però che la lettera che Le ho inviato ieri La convinca») finché il 5 maggio, alla vigilia dell’entrata in guerra dell’Italia, in una lettera che chiude quell’intenso carteggio Einstein è costretto a riconoscere che Levi-Civita ha ragione: «la mia prova è incompleta» e una proprietà essenziale è solo congetturata ma «non è dimostrata».
Inizia allora per Einstein il periodo di duro, solitario lavoro che nel giro di qualche mese lo porta a stabilire la forma corretta delle equazioni gravitazionali che egli presenta all’Accademia delle Scienze di Berlino in una nota del novembre 1915. «Le equazioni gravitazionali rappresentano un vero trionfo dei metodi del calcolo differenziale assoluto», riconosce allora Einstein. «La nuova relatività fu costruita un po’ a tentoni fra il 1913 e il 1915», dirà Levi-Civita anni dopo scrivendo al fisico Augusto Righi, che gli chiede lumi sulla teoria einsteiniana. «Come Ella ben sa, lo strumento analitico essenziale di questa teoria è il calcolo differenziale assoluto del Ricci». Levi-Civita tace sul proprio ruolo decisivo. Ma altrettanto decisivo, e stavolta pubblico, è un articolo scritto nel novembre 1916 destinato ad esercitare un’enorme influenza sugli sviluppi della teoria della relatività generale e della moderna geometria differenziale, nel quale egli definisce il significato di parallelismo e di «trasporto parallelo» in uno spazio a n dimensioni, mettendo in luce le intime connessioni tra parallelismo in una varietà e tensore di curvatura di Riemann.
Con quel lavoro si chiude il periodo padovano, la stagione più originale e feconda di Levi-Civita, ma non si esaurisce certo il suo interesse per la teoria della relatività generale oggetto di una quarantina di suoi scritti. Chiamato all’Università di Roma nel dicembre 1918, Levi-Civita è un’autorità riconosciuta a livello internazionale, che le leggi razziali del 1938 costringono al silenzio minandone in maniera fatale la salute e lo spirito, fino alla morte nel 1941.
A cent’anni di distanza dalla redazione di quel fondamentale lavoro sul trasporto parallelo l’Università di Padova ha deciso di onorare il suo antico studente e geniale maestro intitolando a Tullio Levi-Civita il Dipartimento di matematica con una cerimonia che si svolgerà la mattina del 25 novembre nell’Aula Magna del Palazzo del Bo.
(vedi http://www.math.unipd.it/it/news/?id=1929).

Umberto Bottazzini - da www.ilsole24ore.it - 20-11-2016

BIOGRAFIA

Tullio Levi-Civita nacque a Padova il 29 marzo 1873, da Giacomo e da Bice Lattis (o Lattes). La famiglia era benestante, ed era ben nota per le sue forti tradizioni liberali. Giacomo (1846-1922) era stato volontario tra le fila garibaldine e aveva svolto un ruolo importante nel Risorgimento, diventando poi avvocato, giurista e uomo politico; avrebbe desiderato che anche il figlio seguisse la carriera giuridica, ma questi aveva manifestato interesse verso le discipline fisico-matematiche fin dalla prima giovinezza, e quando espresse il desiderio di seguire la propria inclinazione non incontrò nel padre alcuna opposizione.
Perciò Tullio, compiuti gli studi classici al liceo Tito Livio, all’età di diciassette anni si iscrisse al corso di laurea in matematica dell’Università di Padova, laureandosi nel 1894. Furono Giuseppe Veronese (1854-1917) e Gregorio Ricci Curbastro (1853-1925) i docenti che ebbero maggiore influenza sulla futura carriera del loro brillante allievo.
Levi-Civita svolse il consueto periodo di perfezionamento a Bologna, dove insegnavano Salvatore Pincherle (1853-1936) e il suo quasi coetaneo Federigo Enriques, con il quale strinse rapporti di fraterna amicizia, e successivamente a Pavia, dove risultò vincitore di un concorso a professore interno della Scuola normale superiore, annessa a quella facoltà di Scienze, per l’anno accademico 1895-96.
A Pavia, attraverso Carlo Somigliana (1860-1955), strinse rapporti con Vito Volterra che – riconosciutone il valore – lo guidò per un buon tratto di una carriera che si annunciava strepitosa. Già nel dicembre del 1895 Volterra, nell’esprimere un parere critico sul lavoro di Levi-Civita Sul potenziale dei dischi piani, presentato ai «Rendiconti del Circolo matematico di Palermo», così concludeva:
"Le dico tutto ciò affinché il Levi Civita nel pubblicare la sua Nota sia al caso di prevenire le obiezioni e le critiche a cui potrebbe dare luogo. Il Levi Civita è un giovane di grande ingegno e di valore non comune, ed è una delle più belle speranze fra i giovani matematici italiani; è quindi più che per ogni altro doversi cercare ben che egli pubblichi cose profondamente pensate ed elaborate (lettera a Giovan Battista Guccia dell’11 dicembre 1895, conservata nell’Archivio del Circolo matematico di Palermo)."
D’altra parte, la corrispondenza di Levi-Civita con Volterra (pubblicata in Aspetti scientifici e umani nella corrispondenza di Tullio Levi-Civita (1873-1941), a cura di P. Nastasi, R. Tazzioli, «Quaderni PRISTEM», 2000, 12, pp. 9-197) conferma appieno il precedente giudizio, e anzi offre lo spunto per un’altra osservazione. Il lavoro che Levi-Civita aveva presentato a Palermo (e che era stato valutato da Volterra in modo critico) fu oggetto in alcune sue lettere di puntigliose precisazioni; egli tuttavia pensò di abbandonare quel tipo di ricerca. A questo punto, un Volterra preoccupato gli scrisse queste parole:

Già da vario tempo desideravo di scriverle, ma sempre ne fui distolto dalle occupazioni avute. Prima di tutto volevo dirle che mi sembra che Ella non dovrebbe abbandonare la ricerca che aveva presentato al Circolo di Palermo, e che la formula finale merita di essere conosciuta" (lettera del 29 febbraio 1896, in Aspetti scientifici […], cit., pp. 18-19). Questo apprezzamento di Volterra fu uno stimolo così forte da indurre Levi-Civita ad anticipare uno dei suoi migliori e più noti risultati nel campo della meccanica analitica, la memoria Sugli integrali algebrici delle equazioni dinamiche, presentata dallo stesso Volterra all’Accademia delle scienze di Torino (Atti della Reale Accademia delle scienze di Torino, 31° vol., fasc. 13, adunanza del 10 maggio 1896, pp. 816-23). In forma più completa il lavoro uscì subito dopo, nella principale rivista dei matematici italiani, con il titolo Sulle trasformazioni delle equazioni dinamiche («Annali di matematica pura e applicata», s. II, 1896, 1, pp. 255-300).
Gli anni del perfezionamento e della breve docenza pavese arricchirono dunque il curriculum di Levi-Civita (peraltro già autore di pubblicazioni matematiche durante gli studi universitari) di lavori che gli procurarono, in quello stesso 1896, la libera docenza in meccanica razionale, e lo segnalarono come valoroso ricercatore. Dopo il rientro a Padova, la morte di Ernesto Padova (1845-1896), già suo docente di meccanica, gli spianò la strada per la cattedra. In attesa del concorso, egli ottenne in via temporanea l’incarico della disciplina. Messi a concorso il posto vacante di meccanica razionale a Padova e quello di meccanica superiore a Torino, Levi-Civita li superò entrambi, e nel 1898, a soli venticinque anni, andò a ricoprire la cattedra del suo ex maestro.
La tenne per vent’anni, fino al 1918, quando decise di trasferirsi a Roma, dove insegnò per un altro ventennio, dal 1919 al 1938, anno in cui venne cacciato dalle infami leggi razziali del fascismo.
In realtà, già nel 1909 Guido Castelnuovo gli aveva offerto la cattedra di meccanica a Roma, rimasta vacante per la morte di Valentino Cerruti (1850-1909). Ma in quella occasione Levi-Civita aveva fatto prevalere la legge degli affetti su quella della professione. Eppure Castelnuovo gli aveva scritto:

"Si tratterebbe di cambiar Padova con Roma, di insegnare ad una scolaresca ove si trovano ogni anno giovani di primissimo ordine che delle Sue lezioni potrebbero far tesoro" (in Aspetti scientifici […], cit., p. 260).
Nel 1918 queste parole trovarono ascolto in Levi-Civita perché la sua situazione era totalmente diversa da quella di nove anni prima: c’era stato un grosso cambiamento personale (il matrimonio, nel 1914) e c’era stata (e in quel momento ancora perdurava) una guerra che aveva colpito fortemente la città di Padova, sede degli alti comandi militari e perciò obiettivo di bombardamenti che, nella primavera del 1918, avevano costretto Levi-Civita a risiedere temporaneamente a Roma, dandogli modo di apprezzare il contatto con i matematici di quella università. È possibile ipotizzare, nelle ragioni per il trasferimento a Roma, anche qualche divergenza con il padre a causa di un pacifismo radicale che, dopo la fine della guerra, porterà Levi-Civita in una momentanea rotta di collisione anche con Volterra, quando si tratterà della ristrutturazione degli organismi scientifici internazionali e dell’ostracismo verso i matematici e gli scienziati tedeschi.
La chiamata di Levi-Civita inaugurò una politica di ‘arrivi’ che avrebbe fatto di Roma la ‘capitale’ matematica d’Italia: per i matematici essa rappresentò in quegli anni, se non la ‘Mecca’ (primato che Gottinga detenne fino alla presa del potere da parte dei nazisti, nel 1933), almeno il prix de Rome, come scrisse il nederlandese Dirk Jan Struik nel 1925 da Gottinga, luogo dove, secondo lui, forse si studiava di più e meglio ma dove non c’era la ricchezza delle discussioni romane. D’altra parte è attestato che allora i responsabili per l’Europa dell’International education board consideravano Roma il terzo centro matematico europeo, dopo Parigi e Gottinga (cfr. Siegmund-Schultze 2001, passim). Ciò spiega perché un largo numero di studenti stranieri veniva a studiare a Roma.
Dunque fu la scuola l’impegno principale di Levi-Civita in questo secondo periodo della sua vita, che si caratterizzò anche per il fertile interscambio con il nascente gruppo di fisica teorica raccolto attorno a Enrico Fermi, sul quale i matematici esercitavano il loro patronage, e ancora per i numerosi contatti con tecnici e società di costruzioni su problemi di ingegneria pratica, specialmente in connessione con la costruzione di cavi sottomarini (Pirelli) e di vibrazione di ponti (che egli affidò al suo allievo Giulio Krall, 1901-1971). Né si possono omettere i contributi specifici da lui dati all’organizzazione scientifica dei congressi internazionali di meccanica applicata, che presero avvio nel difficile primo dopoguerra.
La ricerca, la scuola, l’attività professionale, i viaggi per i congressi o le conferenze in ogni angolo del mondo quale prezioso ambasciatore della scienza italiana – spesso malvisto dagli ambasciatori in feluca per la sua autonomia dal potere del tempo – erano tutto nella vita di Levi-Civita, e ciò spiega perché alla morte civile cui lo condannarono le leggi razziali seguì appena tre anni dopo la morte fisica, avvenuta a Roma il 29 dicembre 1941 (di crepacuore, letteralmente).
Abbiamo una traccia di questo stato d’animo – al di là delle testimonianze degli amici che gli stavano vicini – in una lettera al fisico svedese Carl Wilhelm Oseen che, per conto dello specifico comitato dell’Accademia svedese delle scienze, lo invitava a proporre nomi per il Nobel per la fisica dell’anno 1939. Levi-Civita rispose il 30 dicembre 1938 dicendo che avrebbe voluto proporre Fermi, ma avendo appreso che il fisico italiano aveva ricevuto il premio per il 1938, proponeva Max Born. E precisava:
"A causa della campagna antisemita che infuria qui, io non ho più contatti con il mondo accademico italiano per potermi informare in modo abbastanza completo come richiederebbe la sua lettera del settembre scorso. Potrei farlo rivolgendomi direttamente all’interessato; ma l’iniziativa è delicata e preferisco informarla in anticipo, restando naturalmente sottinteso che il suo silenzio non mi incoraggerà a dare seguito all’iniziativa" (lettera conservata negli archivi della Reale accademia svedese delle scienze).
Quel «non ho più contatti con il mondo accademico italiano» bolla d’infamia le leggi razziali emesse dal fascismo, e testimonia anche del crollo di una vita.
Fra le principali questioni di cui Levi-Civita si occupò fin dai primi anni della sua carriera, non si può ignorare il classico problema dei tre corpi, che fu per lungo tempo uno dei suoi principali campi di indagine e sul quale ritornerà ancora verso la fine della sua attività scientifica.
Sempre al periodo padovano risalgono i primi studi sull’idrodinamica, che Levi-Civita avrebbe proseguito a Roma e che avrebbero costituito un importante filone di ricerca per i suoi numerosi allievi.
Ma il suo contributo principale degli anni padovani è quello legato allo sviluppo del calcolo differenziale assoluto, oggi chiamato calcolo tensoriale. Questo tipo di calcolo era stato in realtà elaborato da Ricci Curbastro nel decennio 1885-95. Poi, come Levi-Civita raccontò in una lettera ad Arnold Sommerfeld del 30 marzo 1899, il matematico tedesco Felix Klein, nel corso di un suo soggiorno a Padova, gli chiese di scrivere un compendio organico del calcolo tensoriale. Egli accettò la proposta, e scrisse – insieme a Ricci Curbastro – il celebre articolo Méthodes de calcul différentiel absolu et leurs applications («Mathematische Annalen», 1900, 1-2, pp. 125-201), che è unanimemente considerato il manifesto dell’algebra tensoriale. Il contributo di Levi-Civita fu essenziale nelle applicazioni del metodo alla fisica matematica.
Solo per fare un esempio, consideriamo ancora il problema della trasformazione delle equazioni dinamiche di cui si è detto: egli lo risolse brillantemente mediante l’impiego dei metodi del calcolo tensoriale, «cosa che nessuno prima di lui aveva potuto fare» – come affermò il relatore, probabilmente Volterra, del concorso a cattedra del 1898 («Bollettino ufficiale del Ministero dell’Istruzione pubblica», 1898, I, 17, p. 718). Lo stesso relatore, che della commissione d’esame era anche il segretario, definì non a caso la memoria di Levi-Civita «geniale» e «il titolo di maggior merito presentato dal concorrente».
Al calcolo tensoriale è legato un altro dei contributi più noti di Levi-Civita, che chiude il periodo padovano, l’idea di ‘trasporto parallelo’ (Nozione di parallelismo in una varietà qualunque e conseguente specificazione geometrica della curvatura riemanniana, «Rendiconti del Circolo matematico di Palermo», 1917, pp. 173-205). Questa idea si rivelerà fondamentale sia per esprimere il concetto di parallelismo su una varietà riemanniana, che non era stato ancora definito, sia per determinare la corretta formulazione analitica della legge d’inerzia nella teoria della relatività.
Questo lavoro sul parallelismo ispirò le analoghe ricerche del francese Élie Cartan (1869-1951), che lo sottolineerà nella sua commemorazione di Levi-Civita:
"Era riservato a Levi-Civita di apportare al calcolo differenziale assoluto un ultimo perfezionamento con la scoperta, nel 1917, della nozione di trasporto parallelo. Rendendo più intuitive le nozioni fondamentali del calcolo differenziale assoluto, questa nozione ha fatto entrare una teoria, fino allora puramente analitica, nel dominio della Geometria. Ne sono derivate ripercussioni profonde sullo sviluppo stesso della Geometria, alla quale la scoperta di Levi-Civita ha dato un nuovo slancio […]. Una teoria generale nuova dei trasporti paralleli e delle connessioni, suscettibile di fornire ai fisici nuovi schemi geometrici, si è andata edificando […]. Con il suo ruolo di precursore in questa ampia fioritura della geometria differenziale, il nome del nostro consocio Levi-Civita si è assicurato un posto altrettanto eminente nella storia della Geometria, e nella storia dell’Analisi, della Meccanica e della Fisica matematica (Cartan 1942, p. 234).
È noto, d’altra parte, quanto profondo fu l’interesse di Levi-Civita per la relatività generale, e quanto notevoli furono i risultati contenuti nelle circa quaranta note che egli dedicò all’argomento. Ed è altrettanto risaputo che Albert Einstein trovò nel calcolo differenziale assoluto lo strumento algoritmico direttamente adeguato allo sviluppo matematico della relatività generale, in cui intervenivano come elementi essenziali le proprietà di curvatura della varietà riemanniana quadridimensionale spazio-tempo. Questi reciproci nessi furono sottolineati da Levi-Civita e da Ugo Amaldi nella voce Differenziale assoluto, Calcolo dell’Enciclopedia Italiana (12° vol., 1931):
"Per la sua stessa origine, il calcolo differenziale assoluto trova il suo naturale campo di applicazione nella geometria degli spazi riemanniani, qualunque ne sia il numero delle dimensioni. Ma esso risulta ugualmente applicabile anche in ogni altro ordine di questioni, in cui figuri, fra i dati essenziali, una forma quadratica invariante. Tali sono le questioni di meccanica analitica, in cui la forma quadratica fondamentale è costituita dalla forza viva. E, come già si accennò da principio, la potenza di questo algoritmo si è affermata in modo luminoso nella formulazione quantitativa della relatività generale dell’Einstein, nella quale ancora si presenta una forma quadratica fondamentale, come misura dell’intervallo fra due eventi infinitamente vicini, considerati non solo nello spazio, ma anche nel tempo" (p. 798).
Non meraviglia perciò l’abbondanza, a partire dal 1917, degli scritti di Levi-Civita sulla relatività, che ne coprono tutti gli aspetti, dai fondamenti matematici alla assiomatizzazione, dalla generalizzazione della teoria alla sua divulgazione.
Con le note del 1917-19 dedicate alla teoria della relatività siamo già nel periodo romano della vita di Levi-Civita, periodo nel quale diminuì di intensità la sua produzione scientifica e crebbe notevolmente la sua funzione magistrale, sia con la produzione di manuali di elevato spessore tecnico e culturale sia, e soprattutto, con la cura dedicata alla formazione di una scuola. Tuttavia, anche in merito a questo periodo vi sono alcuni settori della sua produzione scientifica, in parte nuovi, che meritano di essere segnalati. Il primo è certamente quello degli invarianti adiabatici, al quale egli si applicò anche in connessione ai suoi stretti contatti con i giovani fisici del gruppo di via Panisperna, e in primo luogo con Fermi. La nozione di invariante adiabatico era stata introdotta nella prima meccanica quantistica per giustificarne i postulati e renderne possibile l’applicazione a modelli atomici più complessi. I contributi di Levi-Civita al tema, non molti numericamente, miravano alla sistemazione del metodo e alla sua possibile applicazione alla meccanica celeste (che egli affiderà agli allievi) e, assieme al problema dei tre corpi, costituiscono uno dei suoi contributi più importanti alla meccanica analitica.
Un tema che non era per lui nuovo (perché di idrodinamica Levi-Civita si occupò lungo tutto il corso della sua carriera scientifica), ma che nel periodo romano diede luogo ad alcuni suoi interventi di grande spessore, è quello relativo alla teoria delle onde. Intendiamo riferirci alle conferenze sulle onde nei liquidi tenute nel 1921 all’Institut d’estudis catalans di Barcelona (poi raccolte in Questioni di meccanica classica e relativista, 1924) e soprattutto al celebre articolo Détermination rigoureuse des ondes permanentes d’ampleur finie («Mathematische Annalen», 1925, 1, pp. 264-314), dove viene dimostrata l’esistenza dell’onda irrotazionale periodica in un canale di profondità infinita. Merita di essere segnalata anche la sezione Schematizzazione matematica dei fenomeni ondosi nella voce Onde dell’Enciclopedia Italiana (25° vol., 1935), scritta con Amaldi, che rappresenta un’efficace divulgazione della problematica.
Un ultimo tema cui vogliamo accennare, nuovo, che sostanzialmente concluse il ventennio romano di Levi-Civita e rappresenta uno dei suoi contributi più importanti, è quello del problema degli n corpi in relatività generale. Si tratta di un argomento di cui, a partire dai primi anni Venti, si erano occupati lo stesso Einstein e poi molti altri, ottenendo risultati solo nel caso di due corpi. Sappiamo già che il problema degli n corpi, e in particolare quello dei tre corpi, era stato oggetto costante dell’interesse di Levi-Civita fin dall’inizio del Novecento. Nel periodo romano egli vi ritornò per riaffrontare la problematica in ambito relativistico, riuscendo a ottenere per la prima volta il sistema differenziale che regge il movimento dei centri di gravità di n corpi.
Gli è stato dedicato il cratere Levi-Civita sulla Luna e un asteroide, 12473 Levi-Civita

LOGO Eugenio Caruso - 20 novembre 2016


Tratto da

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www.impresaoggi.com