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Carlo V e il suo immenso impero


Dalla incoronazione di Aquisgrana (1520) alla incoronazione di Bologna (1530)
Il 20 ottobre 1517 il navigatore Ferdinando Magellano giunse a Siviglia, riuscendo a farsi ascoltare da Carlo V, il 22 marzo 1518; l'imperatore fu entusiasta del progetto di Magellano e sottoscrisse un contratto con il quale finanziò l'impresa dell'esploratore. Da quel momento è Carlo a far premura per i preparativi della partenza. Vuole essere informato dei progressi della spedizione e a ogni ostacolo che insorge Magellano non deve far altro che rivolgersi al suo re. Per Magellano Carlo fu quello che era stata sua nonna Isabella la Cattolica per Colombo. Magellano morì nel viaggio dove scoprì lo stretto che porterà il suo nome e al suo posto tornò Juan Sebastian del Cano l'8 settembre 1522 sulla Victoria.
Gli inglesi volevano una sua visita che avvenne il 27 maggio 1520 a Canterbury; la visita portò all'alleanza del 29 maggio e a un nuovo incontro l'11 giugno.
A soli vent'anni Carlo si trovò a dover affrontare un enorme problema: Martin Lutero. I due si incontrarono alla dieta di Worms dell'aprile 1521, il monaco era stato convocato qualche mese prima. Il 17 aprile Carlo V sedeva sul trono presenziando la dieta. Nell'ordine del giorno vi era il problema relativo al frate. Iniziò l'interrogatorio posto da Giovanni Eck, il giorno dopo per via del suo linguaggio "inappropriato", Lutero venne interrotto per due volte da Carlo V, e fu l'imperatore stesso a scrivere la dichiarazione resa il giorno dopo con la quale condannava Lutero ma al quale venne fornito un salvacondotto che gli concedeva il ritorno a Wittenberg. Dimostrando clemenza verso l'avversario che fosse soldato o teologo.
Contrariamente a quanto avveniva comunemente in quei tempi, Carlo contrasse un solo matrimonio, l'11 marzo 1526 con la cugina Isabella del Portogallo (1503 – 1539) dalla quale ebbe sei figli; Carlo e Isabella si amarono profondamente ed erano molto religiosi, ciò non impedì a Carlo di avere anche sette figli illegittimi. Carlo V aveva ereditato dalla nonna paterna anche il titolo di Duca di Borgogna che era stato appannaggio anche di suo padre Filippo. Come Duca di Borgogna era vassallo del Re di Francia, in quanto la Borgogna era territorio appartenente, ormai da tempo, alla corona francese. Inoltre i Duchi di Borgogna, suoi antenati, appartenevano a un ramo cadetto dei Valois, dinastia regnante in Francia proprio in quel momento. La Borgogna era un vasto territorio ubicato nel Nord-Est della Francia, al quale, in passato e per interessi comuni, si erano uniti altri territori come la Lorena, il Lussemburgo, la Franca Contea e le province olandesi e fiamminghe, facendo di queste terre le più ricche e prospere d'Europa. Esse erano situate, infatti, al centro delle linee commerciali europee ed erano il punto di approdo dei traffici d'oltremare da e verso l'Europa. Tant'è che la città di Anversa era diventata il più grande centro commerciale e finanziario d'Europa. Suo nonno l'Imperatore Massimiliano, alla morte della moglie Bianca, nel 1482, tentò di appropriarsi del Ducato per condurlo sotto il governo diretto degli Asburgo, cercando di sottrarlo alla corona di Francia. A tal fine intraprese un conflitto con i francesi protrattosi per oltre un decennio, dal quale uscì sconfitto. Fu quindi costretto, nel 1493, a sottoscrivere con Carlo VIII d'Angiò Re di Francia la Pace di Senlis, con la quale rinunciava definitivamente a ogni pretesa sul Ducato di Borgogna, mantenendo però la sovranità sui Paesi Bassi, l'Artois, e la Franca Contea. Questa rinuncia non fu mai veramente accettata da Massimiliano e il desiderio di rivalsa verso la Francia, si trasferì parimenti al nipote Carlo V, il quale, nel corso della sua vita, non rinunciò mai all'idea di appropriarsi della Borgogna.
Carlo, come Re di Spagna, era affiancato da un Consiglio di Stato che esercitava una notevole influenza sulle decisioni regie. Il Consiglio di Stato era composto di otto membri: un italiano, un savoiardo, due spagnoli e quattro fiamminghi. Fin dalla sua costituzione, nel Consiglio si formarono due schieramenti: uno faceva capo al Viceré di Napoli Carlo di Lannoy e l'altro al piemontese Mercurino Arborio di Gattinara che era anche il Gran Cancelliere del Re. Mercurino Arborio di Gattinara, nella sua veste di Gran Cancelliere (carica che mantenne ininterrottamente dal 1519 al 1530) e uomo di fiducia di Carlo, ebbe molta influenza sulle decisioni di quest'ultimo, anche se all'interno del Consiglio di Stato continuavano a sussistere quelle due fazioni abbastanza discordanti, soprattutto circa la conduzione della politica estera. Infatti, lo schieramento capeggiato da Lannoy era filo francese e anti italiano; quello capeggiato dal Mercurino Arborio di Gattinara era anti francese e filo italiano.
Nel corso del suo governo Carlo V raccolse anche molti successi, ma certamente la presenza di altre realtà contemporanee e conflittuali con l'Impero, come il Regno di Francia e l'Impero ottomano, insieme con le ambizioni dei principi tedeschi, costituirono l'impedimento più forte alla politica dell'Imperatore che tendeva alla realizzazione di un governo universale sotto la guida degli Asburgo. Egli, infatti, intendeva legare agli Asburgo, permanentemente e in forma ereditaria, il titolo imperiale, ancorché sotto forma elettiva, in conformità delle disposizioni contenute nella Bolla d'oro emanata nel 1356 dall'Imperatore Carlo IV di Lussemburgo, Re di Boemia. Il Re di Francia, Francesco I di Valois-Angoulême attraverso la sua posizione fortemente autonomistica, unitamente alle sue mire di espansione verso le Fiandre e i Paesi Bassi, oltre che verso l'Italia, si oppose sempre ai tentativi dell'Imperatore di ricondurre la Francia sotto il controllo dell'Impero. Questa opposizione egli la esercitò mediante numerosi e sanguinosi conflitti. Da ricordare, al proposito, è la battaglia di Pavia (1525) dalla quale Francesco I uscì sonoramente sconfitto, imprigionato e umiliato; ancora una volta Carlo aveva saputo scegliere due grandi generali, Carlo di Borbone e il marchese di Pescara.

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Francesco I di Valois il maggior oppositore di Carlo V - Tiziano 1538

Gattinara suggerì di dare un ultimo colpo fatale alla Francia, ma Carlo non raccolse la sfida e fu clemente con Francesco. Questo è un punto fondamentale nel giudizio su Carlo; se avesse accarezzato sogni di dominio mondiale se fosse stato un Alessandro Magno, un Cesare, un Gengis Khan, dopo Pavia, avrebbe messo in ginocchio e smembrata la Francia o fatto valere diritti dinastici essendo anche lui un Valois; ma Carlo non voleva umiliare lo stato gallico voleva solo garantirsi da ulteriori aggressioni e avere la Borgogna. Nessuna delle due aspirazioni si realizzerà. Il 14 gennaio 1526 fu firmato il trattato di Madrid che Francesco non aveva nessuna intenzione di onorare.
Anche l'Impero ottomano di Solimano il Magnifico, che, con le sue mire espansionistiche verso l'Europa centrale, costituì sempre una spina nel fianco dell'Impero. Infatti, Carlo V fu costretto a sostenere diversi conflitti anche contro i Turchi; spesso su due fronti contemporaneamente: a oriente contro gli ottomani e a occidente contro i francesi. Su entrambi i fronti Carlo uscì vittorioso, vittorioso, sì, ma dissanguato economicamente, soprattutto perché agli enormi costi delle campagne militari si aggiungevano i faraonici costi per il mantenimento della sua corte nella quale egli aveva introdotto il lusso sfrenato delle usanze borgognoni.
Per tutto il corso della sua vita, Carlo V dovette affrontare anche i problemi sollevati prima in Germania e, subito dopo, anche in altre parti del suo Impero, dalla neonata dottrina religiosa diffusa da Martin Lutero, in opposizione alla Chiesa cattolica. Tali problemi si manifestarono non soltanto nelle dispute dottrinali, ma sfociarono anche in conflitti aperti. Carlo, che sul piano religioso si autoproclamava il più strenuo difensore della Chiesa cattolica, non fu in grado né di sconfiggere la nuova dottrina, né, tanto meno, di limitarne la diffusione. Tant'è che due Diete, quella di Augusta del 1530 e quella di Ratisbona del 1541, si conclusero con un nulla di fatto, rinviando ogni decisione sulle dispute dottrinali a un futuro Concilio ecumenico.
Carlo poté accrescere i possedimenti oltreatlantici della corona di Spagna attraverso le conquiste operate da due tra i più abili conquistadores dell'epoca: Hernán Cortés e Francisco Pizarro. Ma il più grande desiderio di Carlo, quando si vide che nuove terre si aprivano alla conoscenza e alla conquista, era la conversione di questo Nuovo Mondo al Cristianesimo. Non gli interessava d'essere l'Ulisse dantesco, mandava oltre oceano dei guerrieri, ma non volena un'Iliade, ma una Crociata , una Gerusalemme liberata. Il primo pensiero di Carlo era la fede, poi i vantaggi economici per la Spagna e per l'Impero. L'imperatore stimava l'audacia di Cortés che sconfisse gli Aztechi e conquistò la Florida, Cuba, il Messico, il Guatemala, l'Honduras e lo Yucatan. Il conquistatore sapeva che all'imperatore era piaciuto tempo prima il nome da dare a quelle terre: la «Nuova Spagna del Mare Oceano» e divenne governatore nel 1522. Carlo V lo fece prima diventare marchese della vallata d'Oaxaca e poi grazie al suo interessamento gli fece sposare la figlia del duca di Bejar. Pizarro, da parte sua, sconfisse l'Impero Inca e conquistò il Perù e il Cile, cioè tutta la costa del Pacifico dell'America meridionale. Carlo nominò Cortes Governatore dei territori assoggettati nell'America del Nord, i quali andarono così a costituire la Nuova Spagna. Mentre Pizarro fu nominato governatore del Vicereame del Perù.
Assieme ai galeoni carichi d'oro arrivavano in Europa, però, anche le notizie sulle atrocità commesse dai conquistadores e dall'inquisizione; Carlo seppe valutare a pieno il valore delle conquiste, ma come cristiano, come uomo e cavaliere non approvò i massacri e i saccheggi e tenne lontani dalla corte Cortez e Pizarro. Carlo V sanzionò gli statuti e i diritti degli indigeni delle colonie spagnole e nel 1542 promulgò "Le nuove leggi per gli indiani". Queste leggi comprendevano clausole che costringevano i coloni a preoccuparsi del benessere dei sudditi di colore, e uccidere un indiano era da considerarsi omicidio da punire come tale.
Oltre agli scontri con Francesco e Solimano, all'indomani della sua incoronazione imperiale Carlo V dovette fronteggiare, negli anni 1520-1522, anche le rivolte in Castiglia e in Aragona, dovute essenzialmente al fatto che la Spagna non solo era nelle mani di un sovrano di origini tedesche, ma anche che quest'ultimo era stato eletto Imperatore del S.R.I., e, come tale, tendeva ad occuparsi maggiormente dei problemi legati all'Europa austro-germanica che non a quelli della Spagna. In Castiglia vi fu la rivolta dei comuneros (o comunidades castigliane) che aveva come obiettivo il raggiungimento di un maggior peso politico nell'Impero da parte della Castiglia stessa. In Aragona vi fu la rivolta della Germanìa contro la nobiltà. La "germanìa" era una confraternita che riuniva tutte le corporazioni cittadine. Carlo riuscì a sedare queste rivolte senza danno alcuno per il suo trono. Due anni dopo la sua incoronazione d'Aquisgrana, Carlo raggiunse un accordo segreto con il fratello Ferdinando, circa i diritti ereditari spettanti a ciascuno dei due. In base a tale accordo fu stabilito che Ferdinando e i suoi discendenti avrebbero avuto i territori austriaci e la corona imperiale, mentre ai discendenti di Carlo sarebbero andati la Borgogna, le Fiandre, la Spagna e i territori d'oltremare. Poco più che ventenne Carlo già si preoccupava della transizione generazionale del suo immenso impero. La successione prevedeva la divisione dell' impero in due aree; evidentemente Carlo V si era reso conto della difficoltà di mantenere sotto un unico comando un impero tanto vasto.
Dal 1521 al 1529, Carlo V combatté ben due lunghe e sanguinose guerre contro la Francia per il possesso del Ducato di Milano, necessario per un passaggio dalla Spagna all'Austria senza passare per il territorio Francese, e della Repubblica di Genova. Decisiva per la conclusione della prima fu la battaglia di Pavia di cui si è gia parlato. In entrambi i conflitti, dunque, Carlo uscì vittorioso: il primo conclusosi con la Pace di Madrid e il secondo con la Pace di Cambrai. Nel corso della seconda guerra tra i due sovrani, nel 1527, si ricorda l'invasione della città di Roma ad opera dei Lanzichenecchi al comando del generale Georg von Frundsberg. Le soldataglie germaniche, sfuggite al controllo dei loro comandanti e senza soldo da mesi, devastarono e saccheggiarono completamente la città, distruggendo tutto ciò che era possibile distruggere e costringendo il Papa ad asserragliarsi in Castel Sant'Angelo. Questa vicenda è tristemente nota come il "sacco di Roma". Questi fatti suscitarono moti di sdegno talmente aspri in tutto il mondo civile, da indurre Carlo V a prendere le distanze dai suoi mercenari e a condannarne fermamente l'operato, giustificandosi col fatto che essi avevano agito senza il controllo del loro comandante che era dovuto rientrare in Germania per motivi di salute.
Giova ricordare come andarono i fatti; la nobiltà romana mal sopportava un Papa Medici, quindi chiese al giovane imperatore di inviare delle truppe mercenarie per indurlo a rinunciare. Alcune famiglie romane finanziarono la spedizione. All'arrivo a Roma i Lanzi sono allo stremo, male armati e devastati dalla peste, che poi trasmisero in tutta Europa. Dopo un assedio reso vano dalla mancanza di bocche da fuoco, per una situazione fortuita, riescono a penetrare nella sponda nord del Tevere. Il Papa che non si era arreso al loro arrivo, grazie al sacrificio della guardia nobile, riesce a rifugiarsi a Castel Sant'Angelo. I Lanzi si gettano su Trastevere saccheggiandolo. I Lanzi dilagano, quindi, nella città. Si dice che, prima di saccheggiare i palazzi, controllavano se la famiglia avesse pagato il loro ingaggio. Il saccheggio fu feroce e sacrilego, reso più crudele dalla loro appartenenza alla religione luterana, tanto che lo stesso imperatore ne rimase addolorato. Forse per questo motivo la sua incoronazione avvenne a Bologna, temendo la reazione dei romani. A parziale compensazione delle vicende romane, Carlo V si impegnò a ristabilire a Firenze la signoria della famiglia Medici, di cui lo stesso Papa era membro, ma quella che doveva essere una veloce operazione delle truppe imperiali divenne un lungo assedio che si concluse con una sofferta vittoria. Al termine del conflitto con la Francia Carlo acquisì un potentissimo alleato il generale Andrea Doria, che disgustato dal comportamento dei francesi li abbandona e li caccia dalla costa ligure; Carlo nomina questo immenso generale ammiraglio della flotta imperiale, mostrando ancora una volta grande abilità nella scelta dei suoi collaboratori.
In ottemperanza ai patti sottoscritti a Cambrai, il 22 febbraio 1530, a Bologna, Clemente VII incoronò Carlo V, come Re d'Italia, con la Corona Ferrea dei Re longobardi; sarà l'ultima incoronazione imperiale fatta da un papa. Due giorni dopo, nella Chiesa di San Petronio, Carlo V fu incoronato anche Imperatore del S.R.I, avendo ricevuto dieci anni prima in Aquisgrana la corona di Re dei Romani. Questa volta, però, la consacrazione imperiale gli venne direttamente imposta dalle mani del Pontefice.
Nello stesso anno della sua incoronazione bolognese si ha la morte del Gran Cancelliere Mercurino di Gattinara, il consigliere più influente e ascoltato. Dopo la scomparsa del Gattinara, Carlo V non si lasciò più influenzare da nessun altro consigliere e le decisioni che egli prenderà d'ora in avanti, saranno il frutto quasi esclusivo dei suoi convincimenti. Il processo di maturazione del sovrano era compiuto.
Giova notare che fino a trent'anni Carlo non prese mai una decisione senza consultare uno dei suoi consiglieri. Questo comportamento mostra il carattere riflessivo e responsabile di Carlo che nella "babele" del suo impero aveva bisogno di consigli e informazioni. Ma con la morte di Gattinara Carlo si rese conto che i consiglieri che lo avevano sempre ben aiutato erano anche portati a seguire le loro inclinazioni. In particolare Chiévres lo indirizzava verso una politica che privilegiasse i Paesi Bassi, mentre Gattinara lo portava verso l'Italia. Questo è un insegnamento molto importante per manager e imprenditori; circondarsi di abili consulenti conoscendone però le "debolezze". Dopo Gattinara, Cobos e Antoine de Granvelle furono anch'essi importanti consiglieri, ma nessuno esercitò più su Carlo un'influenza decisiva. Carlo, invece, si servirà in modo "scientifico" della famiglia per controllare l'impero; il fratello Ferdinando governava il Reich tedesco, la zia Margherita e poi la sorella Maria i Paesi Bassi, la moglie Isabella la Spagna. Inoltre la sorella Eleonora aveva sposato il re del Portogallo e la sorella Isabella il re di Danimarca. Carlo era un gran lavoratore, era un uomo d'azione e di meditazione e anche un fermo decisionista, ma nello stesso tempo coltivava una sorta di rassegnazione fatalistica; con queste doti e con il peso di una grande sofferenza interiore si appresta a governare, solitario, l'impero.

Dall'incoronazione di Bologna (1530) alla spedizione di Algeri (1541).
L'anno 1530 costituisce per Carlo V una svolta significativa, per la sua persona e per il suo ruolo di Re e Imperatore. Infatti, come persona, si affranca dalla tutela di qualsivoglia consigliere e inizia a prendere tutte le sue decisioni autonomamente, sulla scorta dell'esperienza maturata al fianco del Gattinara. Come Sovrano, attraverso l'imposizione della corona imperiale per mano del Pontefice, egli si sente investito del primario compito di doversi dedicare completamente alla soluzione dei problemi che il luteranesimo aveva creato in Europa e in Germania in particolare, col preciso scopo di salvare l'unità della Chiesa Cristiana d'Occidente.
A tal fine, nel medesimo anno 1530, convocò la Dieta di Augusta, nella quale si confrontarono i luterani e i cattolici attraverso vari documenti. Di particolare rilievo fu la "Confessio Augustana", redatta per trovare una sistemazione organica e coerente alle premesse teologiche e ai concetti dottrinali compositi che rappresentavano i fondamenti della fede luterana, senza che vi fosse accenno al ruolo del papato nei confronti delle chiese riformate. Carlo V confermò l'Editto di Worms del 1521, cioè la scomunica per i luterani, minacciando la ricostituzione della proprietà ecclesiastica. Per tutta risposta i luterani, rappresentati dai cosiddetti "ordini riformati", reagirono dando vita, nell'anno 1531, alla Lega di Smalcalda. Tale lega, dotata di un esercito federale e di una cassa comune, fu detta anche "Lega dei Protestanti", ed era guidata dal Duca Filippo I d'Assia e dal Duca Giovanni Federico, elettore di Sassonia.
Va ricordato che i seguaci della dottrina di Lutero assunsero la denominazione di "protestanti" in quanto essi, riuniti in "ordini riformati", nel corso della seconda Dieta di Spira del 1529, protestarono contro la decisione dell'Imperatore di ripristinare l'Editto di Worms (leggi scomunica e ricostituzione dei beni ecclesiastici), editto che era stato sospeso nella precedente prima Dieta di Spira del 1526. La Dieta decretò allora che fino alla convocazione del Concilio ogni stato tedesco, rispondendo verso Dio e verso l'imperatore, decidesse autonomamente sull'ottemperanza all'editto di Worms. Passò così l'importante teorema che i principi potevano liberamente imporre la loro fede e le loro convinzioni nei propri domini. I luterani approfittarono di questo principio per impadronirsi delle proprietà monastiche dei propri stati avviando la grande rapina e il grande saccheggio dei beni ecclesiastici che dovevano rendere ricchissimi tanti signori in Germania e Inghilterra.
In quello stesso anno Carlo risolse un problema che da lungo tempo gli causava imbarazzi. Nel 1522 i Cavalieri dell'Ordine di San Giovanni di Gerusalemme persero, per mano degli ottomani, l'isola di Rodi, fino a quel momento loro dimora e da sette anni girovagavano per il Mar Mediterraneo in cerca di una nuova terra. La situazione non era facile perché i Cavalieri di San Giovanni non accettavano di essere sudditi di nessuno e ambivano a un luogo in cui essere sovrani in un Mediterraneo completamente occupato da altre potenze. Nell'1524 Carlo offrì ai Cavalieri l'isola di Malta che era sotto il suo diretto controllo. La proposta spiacque da principio agli Ospitalieri perché implicava una sottomissione formale all'Impero, però, dopo lunghe trattative, essi accettarono l'isola (a loro dire poco accogliente e non facile da difendere) ponendo la condizione di essere sovrani e non sudditi dell'imperatore e chiedendo che fosse loro assicurato l'approvvigionamento del necessario per vivere dalla Sicilia; i cavalieri presero possesso dell'isola nel 1530. La decisione di Carlo, più che riflettere un reale desiderio di venire in aiuto all'Ordine di San Giovanni, fu di carattere strategico: Malta, piccolissima isola nel centro del Mediterraneo, situata in una posizione di grande importanza strategica specialmente per le navi che vi transitavano e sostavano in gran numero, era oggetto degli attacchi e dei saccheggi dei pirati, perciò Carlo aveva bisogno di qualcuno che si occupasse a tempo pieno della sua difesa e i Cavalieri erano perfetti per questo.
Il decennio che si aprì all'indomani dell'incoronazione di Carlo V a Bologna nella basilica di San Petronio il 24 febbraio del 1530 e che si concluse nel 1540, fu denso di avvenimenti, che crearono all'Imperatore non pochi problemi. Infatti si riaprì il conflitto con la Francia; vi fu una recrudescenza delle incursioni dell'Impero ottomano verso l'Europa e si dovette registrare una notevole espansione della dottrina luterana. Carlo V, come estremo baluardo dell'integrità dell'Europa e della fede cattolica, dovette destreggiarsi su tutti e tre i fronti, contemporaneamente e con notevoli difficoltà.
All'inizio degli anni trenta, sia Carlo V che Francesco I cominciarono ad attuare la cosiddetta "politica matrimoniale" attraverso cui intendevano acquistarsi quel controllo territoriale sugli Stati d'Europa che non avevano potuto acquisire attraverso il ricorso alle armi. Carlo V, infatti, progettò il matrimonio della propria figlia naturale Margherita con il Duca di Firenze, nonché quello della nipote Cristina di Danimarca con il Duca di Milano. Francesco I, dal canto suo, diede in sposa la cognata Renata di Francia al Duca di Ferrara Ercole II d'Este. Durante il suo soggiorno a Mantova fu ospite di Federico II Gonzaga al quale consegnò, il 25 marzo 1530, le insegne di primo duca. Nell'occasione l'imperatore gli propose le nozze con la zia Giulia d'Aragona (1492-1542), figlia di Federico I di Napoli. Ma il capolavoro, in questo campo, fu compiuto dal papa Clemente VII, il quale organizzò il matrimonio tra sua nipote Caterina de' Medici con il figlio secondogenito di Francesco I, Enrico, il quale, a causa della morte prematura dell'erede al trono Francesco, sarebbe diventato a sua volta Re di Francia con il nome di Enrico II. Questo matrimonio spinse Francesco I ad essere più intraprendente e aggressivo nei confronti di Carlo V, tant'è che concluse un'alleanza con il Sultano di Costantinopoli spingendo quest'ultimo ad aprire un secondo fronte di conflitto contro l'Imperatore, nel Mediterraneo, a opera dell'ammiraglio turco-ottomano Khayr al-Din, detto Barbarossa, suddito del Sultano ottomano.
Questa mossa provocò la decisione di Carlo V di intraprendere una campagna militare contro i musulmani in Nordafrica, che si concluse, nel 1535, con la conquista di Tunisi e la sconfitta del Barbarossa, ma non la sua cattura, avendo quest'ultimo trovato rifugio nella città di Algeri. Di ritorno dalla spedizione di Tunisi, Carlo V decise di fermarsi in Italia. Egli passò per le città più importanti della Sicilia e il 25 novembre 1535 entrò in Napoli. Ascoltò le critiche della nobiltà napoletana contro il governo del viceré, la difesa dell'Eletto del popolo Andrea Stinca, ma, decise per la riconferma. Giunse a Roma nell'aprile del 1536, anche per conoscere, e cercare di farselo alleato, il nuovo Pontefice Paolo III (Alessandro Farnese), succeduto a Clemente VII che era scomparso nel 1534. Il nuovo Pontefice si dichiarò neutrale nella ultradecennale contesa tra la Francia e l'Impero. Francesco I, forte di questa neutralità, riprese le ostilità, dando inizio al terzo conflitto con l'Imperatore, che si concluse soltanto due anni dopo, nel 1538, con l'armistizio di Bomy e la Pace di Nizza, che non portarono a nessun risultato, lasciando inalterate le posizioni della Pace di Madrid e della Pace di Cambrai, che avevano concluso i due precedenti conflitti. Contemporaneamente a questi avvenimenti, Carlo V dovette fronteggiare, come si è già detto, anche la diffusione della dottrina luterana che aveva trovato il suo punto di massima nella formazione della Lega di Smalcalda nel 1531, alla quale cominciavano ad aderire sempre più numerosi i prìncipi germanici. L'Imperatore si impegnò nuovamente contro i Turchi in un conflitto che si concluse con molta sfortuna in una sconfitta, maturata nella battaglia navale di Prevesa del 27 settembre 1537, dove lo schieramento turco, guidato dal Barbarossa ebbe la meglio sulla flotta degli imperiali, composta da navi genovesi e veneziane. Carlo V dovette affrontare questo confronto in condizioni meteorologiche avverse perchè non aveva suffuciente danaro per mantenere le truppe per i mesi necessari perchè arrivasse la primavera. Questa sconfitta indusse Carlo V a riprendere i rapporti con gli Stati della Germania, di cui aveva comunque bisogno, sia da un punto di vista finanziario che militare. Il suo atteggiamento più conciliante verso i rappresentanti luterani, tenuto nelle diete di Worms (1540) e Ratisbona (1541), gli valsero l'appoggio di tutti i Prìncipi, oltre che l'alleanza di Filippo I d'Assia. Ciò portò alla realizzazione di un'altra spedizione contro i musulmani, sia per riguadagnare credibilità e sia perché l'eterno rivale Francesco I si era alleato con il Sultano. Questa volta l'obiettivo fu Algeri, base logistica del Barbarossa e punto di partenza di tutte le scorrerie delle navi corsare contro i porti della Spagna. Carlo V raccolse una forza d'invasione estremamente ragguardevole, affidata ai comandi di valorosi ed esperti condottieri quali Andrea Doria, Ferrante I Gonzaga e Hernán Cortés. Nonostante ciò la spedizione dell'ottobre 1541 fu un completo fallimento, in quanto le avverse condizioni del mare distrussero ben 150 navi cariche di armi, soldati e approvvigionamenti. Con quel che restava Carlo V non fu in grado di concludere vittoriosamente l'impresa e dovette rientrare in Spagna, ai primi di dicembre dello stesso anno, dando l'addio definitivo alla sua politica di controllo del Mediterraneo.


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