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Per la gestione dell'acqua occorre una visione globale

Non c'è niente di più facile che indirizzare giovani spiriti all'amore dell'onestà e della giustizia.
Seneca, Lettere a Lucilio



“Amministrare l ’acqua richiede la capacità di costruire e gestire modelli complessi, che devono rappresentare non solo la sfera dei processi fisici e biologici, ma anche quella sociale, economica, politica”
Questo scriveva nel 2005 il compianto Giovanni Viel, geologo, in un articolo nel quale confermava la necessità di un approccio globale e sistemico al tema della risorsa idrica, tenendo conto cioè di tutti i fattori che ne condizionavano i processi e il rapporto col territorio e con la vita dei cittadini.
Da qui la necessità di misurarsi con il sovrapporsi di eventi planetari come il cambiamento climatico, l’ accelerazione dell’impermeabilizzazione dei suoli e della cementificazione, la devastazione degli alvei dei fiumi costretti in ambiti sempre più angusti e vittime di uno sconsiderato prelievo di inerti, logiche di captazione per il sistema idropotabile che rispondono esclusivamente a criteri di efficienza tecnica ed economica del gestore, ma che ignorano gli effetti sulla qualità delle riserve idriche sotterranee e di superficie e l’accelerazione dei processi di subsidenza.
Gli effetti di questi fenomeni sono ripetute e devastanti alluvioni con enormi danni sociali ed economici, progressione del dissesto idrogeologico, vertiginoso aumento dei costi per opere di difesa (a valle) come le casse di espansione (secondo calcoli nell’articolo sopracitato i circa 2 milioni di metri cubi di capacità delle casse di espansione corrispondevano ai circa 2 milioni e mezzo di mc rubati alla capacità degli alvei dei fiumi bolognesi), le vasche di laminazione, gli impianti di sollevamento ecc.
Ai fallimenti evidenti dei modelli di governo del territorio si intrecciava dall’inizio degli anni 90 il discorso politico che spingeva alla privatizzazione della gestione dell’acqua. La spinta di questo processo era data – e lo è tutt’oggi – dalla necessità del capitale finanziario di trovare nuovi ambiti di valorizzazione del capitale, sempre più difficile da realizzare nei settori industriali in fase di consumi stagnanti e alta competizione internazionale, e evidentemente non c’è nulla di meglio che il settore dell’acqua, caratterizzato da consumi pressoché incomprimibili, di monopolio naturale e bollette pagate tutti i mesi da tutti.
Nel frattempo emergeva un movimento popolare che reagiva e contrastava i processi di privatizzazione della gestione dell’acqua. Sull’esempio di altri paesi si diffondevano vertenze territoriali contro questi processi, coagulandosi in un movimento nazionale che redigeva una proposta di legge di iniziativa popolare (400.000 firme) e due referendum abrogativi (1 milione e quattrocentomila firme ciascuno, che culminavano nel pronunciamento popolare del 12-13 giugno del 2011) con oltre 26 milioni di cittadini che rivendicavano la gestione pubblica e l’abrogazione della remunerazione del capitale investito dalla bolletta dell’acqua.
Come se nulla fosse, tutti i governi hanno continuato, ciechi e sordi al pronunciamento popolare, sulla strada della privatizzazione, i sistemi tariffari decisi dall’Aeegsi reintroducevano la remunerazione del capitale, le leggi varate dai governi sfavorivano le gestioni pubbliche a favore di quelle private, fino allo stravolgimento della legge di iniziativa popolare.
Le gestioni idriche si caratterizzano sempre di più per una preminenza del discorso economico, particolarmente focalizzato sui meccanismi finanziari per garantire i profitti e distribuire cospicui dividendi, vero fulcro attorno a cui vengono redatti i piani industriali.
Ma se il centro è rappresentato dalla redditività, in secondo piano scivolano i temi del risparmio idrico, della qualità del lavoro inteso come conoscenza a supporto del territorio, della salvaguardia dell’ambiente e della risorsa idrica, del carattere di diritto umano vitale dell’acqua.
Tutto questo contribuisce a determinare conseguenze che è agevole rintracciare nel corpo sociale e nel rapporto con la politica e le istituzioni. Il trasferimento di ricchezza dai ceti sociali meno ricchi ai più ricchi attraverso sistemi tariffari che gravano con una maggiore incidenza sui primi (con la logica del Full Recovery Cost ), il consolidarsi di un’asimmetria informativa fra i gestori del servizio idrico e i soggetti istituzionali, lo spostamento dei poteri e delle decisioni dalla pubblica amministrazione e dalla collettività dei cittadini ai manager delle imprese e agli azionisti.
I Comuni impoveriti dalle scelte di politica finanziaria e dalla distruzione della finanza pubblica cedono sovranità al mercato privandosi di leve fondamentali per il governo del territorio e delle dinamiche sociali.
Arretra contemporaneamente l’idea del movimento dell’acqua di introdurre meccanismi partecipativi dei cittadini per rivitalizzare una democrazia sempre più asfittica, proprio a partire dalla gestione e del governo della risorsa idrica, ormai appannaggio del mercato finanziario.
Crolla la coesione sociale e cresce la distanza dei cittadini dalla politica fenomeno che trova chiara conferma, per chi la vuole leggere, nell’esito del referendum costituzionale del 4 novembre 2016.
Del resto, quale credibilità può avere uno stato che trova in pochi giorni 20 miliardi di euro per salvare le banche private e non riesce a decidere investimenti pubblici per il servizio idrico per 2,7 miliardi all’anno (stima conservativa Aeegsi) o i 5 miliardi all’anno che servirebbero a migliorare significativamente la funzionalità degli acquedotti, a risparmiare la risorsa idrica e migliorarne la qualità sia per i cittadini, sia per l’ambiente e contemporaneamente avviare un ciclo di investimenti pubblici in grado di rilanciare l’occupazione, in opere utili alla comunità, diffuse sul territorio e con impatti positivi sull’ambiente.
Continuano invece gli spot sulle grandi opere o i grandi eventi, spesso devastanti per l’ambiente e il territorio.
L’alternativa che indichiamo è certamente complessa e non immediatamente realizzabile, considerando il carattere anche sovranazionale di questi processi; purtuttavia, è possibile cominciare, a patto di invertire le politiche, avviando processi di ripubblicizzazione e democratizzazione della gestione idrica, costruendo comunità capaci di discutere i bilanci idrici dei bacini fluviali e di creare soluzioni condivise fra i diversi interessi per l’uso dell’acqua contemperando anche le necessità ambientali.
Questo processo politico, richiede di mettere assieme tutte le competenze scientifiche e tecniche che pure ci sono, rivendicare il ruolo della politica e delle amministrazioni pubbliche nel governo del territorio e avviare processi di partecipazione democratica e alfabetizzazione sui beni comuni dei cittadini. È necessario un percorso di ascolto che permetta di selezionare le soluzioni più vantaggiose nel lungo periodo per le persone e l’ambiente in un’ottica, appunto, olistica.
Andrea Caselli, Corrado Oddi - Coordinatori Comitati Acqua Bene Comune Emilia-Romagna - Ecoscienza 6/2016

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IMPRESA OGGI Si può essere d'accordo con le motivazioni degli autori, ma a patto di garantire che le municipalizzate dell'acqua non siano "poltronifici" e che i loro costi di gestione siano confrontabili con quelli di una modesta impresa manifatturiera; anche questo significa avere una visione globale del problema.

09-03-2017

Tratto da

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www.impresaoggi.com