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L'intelligenza artificiale come potente strumento di competitività


1. Introduzione
2. Intelligenza Artificiale: il punto tecnologico
3. Intelligenza Artificiale: nuovo fattore di crescita?
4. Alcune questioni aperte
5. Conclusioni e raccomandazioni
6. Autori

1. INTRODUZIONE
1.1 Dalla fantascienza all’impresa, l’intelligenza artificiale è fra noi
La fabbrica del futuro avrà solo due operai: un uomo e un cane. Compito dell’essere umano è nutrire il cane, la cui funzione è tener l’uomo lontano dalla macchina.
Si deve a Warren Gameliel Bennis questa cruda immagine di quali potrebbero essere le conseguenze di un vasto impiego dell’Intelligenza Artificiale (IA) negli odierni sistemi produttivi. Parafrasando Alan Turing – fra i padri fondatori della moderna intelligenza artificiale – l’IA può infatti esser definita la scienza di far fare ai computer cose che richiedono intelligenza quando vengono fatte dagli esseri umani; o, più propriamente, come quel settore dell’informatica che si occupa di creare macchine intelligenti in grado di eseguire compiti e risolvere problemi nuovi, di adattarsi all’ambiente e comprenderlo, e di capire il linguaggio naturale. Un esempio, fra i tanti, dell’importanza dell’IA oggi ci viene offerto da Jeff Bezos, Fondatore, Presidente e Amministratore Delegato di Amazon.com, forse la più grande azienda di commercio elettronico al mondo.
Bezos, nella sua lettera agli azionisti di quest’anno4 ha insistito sulla necessità di conoscere e adottare “the important external trends”. A suo parere, oggi ad esempio, “we’re in the middle of an obvious one: machine learning and artificial intelligence”. Resta il fatto – secondo Besoz – che per le grandi organizzazioni possa esser difficile adottarli perché “too many organizations spend too much debating if something is going to be big. If you’ve spent that much time debating it, it’s probably too late”.
Il caso di Amazon, come si vedrà meglio più avanti, è esemplare. Azienda leader nel mondo nel campo della distribuzione, Amazon ha fatto dell’innovazione tecnologica – IA in primis per gestire la propria logistica, profilazione del cliente, ecc. – il proprio segno distintivo per garantire consegne capillari e qualità costante. Utilizzando la moderna tecnologia ICT, Amazon ha di fatto scardinato mercati e filiere consolidati ridisegnando un nuovo modello di accesso al consumo.
L´IA è dunque fra noi... ma non solo quando riceviamo un pacchetto da Amazon! A parte le rappresentazioni di fantasia più conosciute, come Hal 9000 – il supercomputer di bordo della nave spaziale Discovery nel film “2001: Odissea nello spazio” –, o C-3PO – un droide di aspetto antropomorfo nel film “Guerre stellari” – moltissime applicazioni dell’IA, meno note ma importanti, da tempo sono parte integrante della nostra vita. Veicoli a guida autonoma, robot, sistemi di riconoscimento del parlato e di traduzione automatica, pianificazione e logistica, giochi, filtri per la posta indesiderata, assistenti vocali di apparecchiature elettroniche sono aspetti concreti di utilizzo dell’IA. La diffusione dell’IA, che sta avvenendo progressivamente a seconda del settore industriale, è infatti inesorabile e ha benefici sui costi operativi variabili a seconda dell’applicazione. In un recente studio, il McKinsey Global Institute stima una riduzione dei costi operativi del 10-15% grazie all’automazione di un sistema di emergenza ospedaliero, del 25% nella manutenzione degli aerei, fino al 90% per la creazione automatizzata di mutui. A livello aggregato, il ciclo virtuoso “maggiore produttività da AI -> maggiore crescita economica -> maggiori risorse economiche (anche per controbilanciare gli effetti occupazionali)” sarebbe dimostrato da un aumento di produttività tale da permettere un fattore di crescita fra il +0.8 e l’1.4% annuo. Accenture, ancor più ottimisticamente, prevede un aumento del 40% della produttività che, entro il 2035, potrebbe tradursi, in Paesi come gli Stati Uniti d’America, in una crescita economica di due punti percentuali e in un aumento del PIL, per l’Italia, ad esempio, di più del 10%7.
Un’indagine condotta dal National Business Research Institute ha peraltro evidenziato che, nel 2016, il 38% delle imprese statunitensi utilizza già l’IA, quota destinata a crescere fino al 62% entro il 2018. Una ricerca di Forrester prevede un incremento del 300% degli investimenti in IA nel 2017 rispetto al precedente anno. Nel solo 2016 – secondo l’Harvard Business Review – la “machine intelligence” ha attratto investimenti di venture capital per 5 miliardi di dollari, anche perché, secondo IDC, l’IA sta rapidamente diventando parte fondamentale dell’infrastruttura IT aziendale. Non a caso aziende come Amazon, Apple, Baidu, Facebook, Google, IBM, Intel, Microsoft e Oracle sono fra le maggiormente coinvolte nel processo di sviluppo e diffusione dell’IA, mentre fra le prime 10 nell’elenco delle principali 500 società al mondo ne sono annoverate altre come Exxon Mobil, Ford Motor, General Motors e Walmart che pure fanno affidamento sull’IA. Numerosissime sono infatti le applicazioni dell’IA – dal customer care alla sanità, dal digital marketing alla Fabbrica 4.0 – per un mercato il cui valore si stima esploderà dagli attuali 3 miliardi di USD ai 47 attesi nel 2020.
Adottare l’IA è dunque una necessità, ormai, non già un’opzione. Farlo prima dei concorrenti significa cogliere opportunità di vantaggio competitivo. Non può essere l’unica misura adottata, come dimostra il caso di Priceline, servizio in rete per la ricerca di viaggi a tariffe scontate. Negli ultimi 10 anni Priceline ha avuto infatti un rendimento medio annuo del 42,1%, superiore a qualsiasi altra società presente nell’elenco di Fortune delle prime 500 al mondo, dimostrando come l’execution possa fare ancora la differenza a prescindere dalle tecnologie adottate. Ma certamente adottare l’IA prima dei concorrenti significa cogliere opportunità di vantaggio competitivo, soprattutto se fosse vero – come ha scritto Andrew Ng – che l’IA è la “new electricity”.
1.2 Two elephant(s) in the room
Il ruolo dell’intelligenza artificiale, vista la sua pervasività, è diventato così importante da essere oggi centrale nel dibattito pubblico in quasi tutto il mondo, oscillando fra due “elefanti nella stanza”: un problema occupazionale e uno etico. Due temi cruciali per le società di oggi, ma soprattutto per quelle di domani. Il primo – in apparenza più vicino al sentire comune perché, riguardando il lavoro, sembra influire maggiormente sulla vita quotidiana – è il saldo occupazionale negativo che il crescente massiccio impiego dell’intelligenza artificiale potrebbe comportare, almeno inizialmente. Il secondo – in apparenza più lontano dal sentire comune perché riguarda problemi per così dire etici – è la “dittatura” dell’IA, che gradualmente potrebbe sostituire l’uomo non solo nello svolgimento di attività fisiche, più o meno sofisticate, ma anche intellettuali.
Si tratta di due questioni tanto “topiche” quanto “annose”. “Topiche” perché la forza pervasiva dell’IA evoca la “distruzione creatrice” schumpeteriana, quel processo in cui forti innovazioni tecnologiche innescano un drastico processo selettivo, nel quale molte imprese spariscono, altre ne nascono, e altre si rafforzano; e con esse il lavoro, che viene “distrutto”, più o meno velocemente di quanto ne venga creato. Da qui la domanda che sale ormai incessante e a cui manca ancora una risposta condivisa: si perderanno solo posti di lavoro, o se ne creeranno invece di nuovi grazie alla nascita di nuove figure professionali che assorbiranno l’inevitabile surplus umano che l’introduzione dell’intelligenza artificiale genererà a breve nel settore dei servizi, come successo con le macchine prima in quello agricolo e poi in quello manifatturiero? In caso negativo, che fine faranno coloro che perdono prima il lavoro: come si manterranno, che faranno tutto il giorno? Aleggia il rischio di masse impegnate “la mattina (ad) andare a caccia, il pomeriggio (a) pescare, la sera (ad) allevare il bestiame, dopo pranzo (a) criticare, così come (gli) vien voglia; senza diventare né cacciatore, né pescatore, né pastore, né critico”, in un paradossale superamento della divisione del lavoro teorizzata da Karl Marx.
“Topiche” perché l’idea che attività tipicamente intellettuali come, ad esempio, la ricerca e la redazione dei precedenti per una memoria nei sistemi di common law possano essere sostituite da macchine – che operano secondo istruzioni impartite da altre macchine, che via via saranno in grado di forme di ragionamento logico autonomo e di auto organizzazione –, di fatto svuota l’essere umano di competenze e, forsanche, della ragion d’essere. “Topiche” perché ci pongono davanti domande come quanto reale sia il rischio che un eccessivo sviluppo delle biotecnologie e dell’IA insieme possa portare una dittatura sociale – come sembra temere Yuval Noah Harari –, con divisione dell'umanità in una piccola classe di “superumani” e una grande sottoclasse di persone “inutili”. O, ancora, ma l’elenco potrebbe esser molto lungo, perché pongono il dubbio se sia verosimile – come suggerisce Lamtharn Hantrakul – che la dittatura dell’IA possa essere anche “culturale”, perché la tecnologia non è culturalmente neutrale e così non lo sono gli algoritmi, espressione intrinseca del pensiero di chi li sviluppa.
“Annose” perché note da tempo, ma sino ad ora neglette. Come spesso accade, infatti, ce ne si accorge solo alla fine, quando il progresso tecnologico da una parte, e la riduzione dei costi di prodotti e servizi dall’altra stanno creando le condizioni perché l’IA diventi pervasiva, mentre era invece chiaro da tempo che il problema sarebbe emerso, trovandoci, com’era prevedibile, impreparati a gestirlo. I nuovi algoritmi sempre più sofisticati che vengono sviluppati per dare senso alla massa di dati (Big Data) che soprattutto l’IoT (Internet delle cose) rende disponibili e che sono utilizzati per dare istruzioni a “macchine”, robot ad esempio, sono giustificati dal fatto che oggi raccogliere grandi masse di dati e processarle in tempo reale, o quasi, stia diventando possibile, sia tecnologicamente, sia soprattutto economicamente. Le nuove macchine dalle grandi capacità di calcolo, le reti di sensori sempre più sofisticate e la connettività capillare oggi disponibili a prezzi abbordabili rispetto solo a tre/cinque anni fa spiegano gli enormi investimenti che la comunità finanziaria sta sostenendo nella spasmodica ricerca di algoritmi per l’elaborazione dei dati.
Il presente rapporto parte dalla constatazione che l’IA è già fra noi, per spiegare come la sua adozione non sia ormai più un’opzione bensì un’esigenza. Perché si tratta di agganciare un fenomeno in atto. Se ne si vogliono cogliere gli aspetti positivi di crescita economica occorre muoversi subito, prima dei concorrenti, per cogliere opportunità di vantaggio competitivo. Resta da capire, quindi, cosa fare, soprattutto in ottica italiana, per favorire la nascita di un ecosistema aperto all’intelligenza artificiale, evitando – sempre che sia ancora possibile – di cadere in un’eccessiva dipendenza dai first mover statunitensi e cinesi, e avendo ben presenti le questioni etiche sottese.

IMPRESA OGGI L'IA è già applicata in molte applicazioni di uso quotidiano, anche se a volte non lo sappiamo come: nei motori di ricerca, nei video giochi, nel gioco degli scacchi o giochi di carte vs computer, nelle macchine fotografiche, nei navigatori, nei servizi al cliente, nella domotica, nelle automobili.

www.aspeninstitute.it - 04-11-2017

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