Romolo Augusto, Odoacre e la fine dell'impero romano d'Occidente.


GRANDI PERSONAGGI STORICI - Ritengo che ripercorrere le vite dei maggiori personaggi della storia del pianeta, analizzando le loro virtù e i loro difetti, le loro vittorie e le loro sconfitte, i loro obiettivi, il rapporto con i più stretti collaboratori, la loro autorevolezza o empatia, possa essere un buon viatico per un imprenditore come per una qualsiasi persona.

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Romolo Augusto

Flavio Romolo Augusto, noto anche col diminutivo di Augustolo, cioè Piccolo Augusto (461 circa – dopo il 511), è considerato l'ultimo imperatore romano d'Occidente (31 ottobre 475 - 4 settembre 476), in quanto dopo la sua deposizione a opera del generale Odoacre non fu nominato alcun nuovo imperatore. Giuridicamente però non ottenne nessun riconoscimento dall'imperatore d'Oriente, cui spettava il diritto di nomina dell'imperatore d'Occidente. La sua deposizione segna convenzionalmente l'inizio del Medioevo. Possiamo dire che è passato allaa storia solo perchè è stato l'ultimo imperatore romano d'Occidente.
Le fonti storiche danno pochi dettagli sulla sua vita. Fu messo sul soglio imperiale dal padre Flavio Oreste, magister militum dell'esercito romano dopo la deposizione del precedente imperatore, Giulio Nepote. Poco più che un bambino, Romolo fu di fatto un fantoccio nelle mani del padre. Regnò solo per dieci mesi. Fu spedito da Odoacre in Campania, al Castellum Lucullanum, dopodiché scomparve dalle fonti.
Romolo era figlio del magister militum Flavio Oreste, un cittadino romano di origine barbara della Pannonia. La madre era Flavia Serena, figlia del comes del Norico Romolo, originario di Poetovio. Dal 474 era imperatore d'Occidente Giulio Nepote, nominato tale dagli imperatori d'Oriente Leone I e Zenone. Nel 475 Nepote rimosse il patrizio e magister militum dell'Occidente, il gallo-romano Ecdicio, per nominare al suo posto Oreste. Quest'ultimo, ottenuto il sostegno dell'esercito, si mosse da Roma ed entrò a Ravenna (28 agosto), obbligando Nepote, impossibilitato a resistere, a fuggire in Dalmazia, a Salona. Dopo circa due mesi, durante i quali aveva forse atteso un riconoscimento da parte dell'impero d'Oriente, il 31 ottobre dichiarò decaduto Nepote e nominò imperatore il figlio Romolo, che aveva 12 o 14 anni e che poteva assurgere al soglio imperiale in quanto la madre era di stirpe romana.
Romolo era un adolescente incapace di assumere le responsabilità che il potere comportava. Fu così Oreste a detenere effettivamente il potere in nome del figlio. A nome di Romolo, vennero coniate quantità di solidi d'oro a Roma, Milano e Ravenna, alcune persino ad Arles, in quanto la Gallia era una delle poche province ancora in mano romana. Il problema più urgente era gestire le truppe barbariche che erano poste a difesa dell'impero, nominalmente fedeli all'imperatore, ma effettivamente tenute a bada dai pagamenti versati continuamente attingendo alle casse dello stato. Nel 476 la situazione si fece più difficile, in quanto alcune truppe mercenarie barbariche composte da Eruli, Sciri e Turcilingi, chiesero di ottenere delle terre in Italia, che Oreste però non concesse. Questi popoli si rivoltarono sotto la guida del capo sciro Odoacre, eleggendolo re il 23 agosto: cinque giorni più tardi, il 28 agosto, Oreste fu catturato vicino a Piacenza e ucciso per volere di Odoacre. Quest'ultimo occupò poi Ravenna, dopo aver sconfitto e ucciso il fratello di Oreste, Paolo, e il 4 settembre 476 depose Romolo Augusto.
Verosimilmente dietro pressione di Odoacre, Romolo inviò una lettera all'imperatore Zenone (che aveva appena guadagnato nuovamente il regno dopo essere stato spodestato da Basilisco) in cui affermava che non c'era bisogno di due imperatori e che era opportuno affidare il comando dell'Italia a Odoacre.
Odoacre inviò a Costantinopoli le insegne imperiali: la sovranità sulle terre dell'Occidente passò quindi formalmente a Zenone, imperatore d'Oriente, che riconobbe Odoacre governatore d'Italia col titolo di patrizio. Comunque la fine ufficiale dell'impero non modificò, sull'immediato, i modi di vita della popolazione romana d'Italia. Le istituzioni come il Senato e il consolato proseguirono a riprova del fatto che ormai da tempo l'impero d'Occidente era solamente un nome privo di effettivo potere. È anche da rilevare che le regioni su cui si estendeva il potere, almeno formale, dell'Impero d'Occidente erano, nella fase finale dell'impero stesso, ridotte all'Italia, alla Provenza e a parte delle province del Norico, della Rezia, della Dalmazia, della Sicilia orientale e l'enclave in Gallia del Regno di Soissons.
La successiva vita di Romolo è misteriosa. L'Anonimo Valesiano afferma che Odoacre lo abbia risparmiato in virtù della sua giovane età, esiliandolo a Napoli nel Castellum Lucullanum, l'antica villa di Lucullo, attuale Castel dell'Ovo, e concedendogli un vitalizio di seimila solidi annui (la rendita di un senatore facoltoso). Giordane e Marcellino Comes affermano che Odoacre lo esiliò in Campania, ma non menzionano nessun vitalizio.
Nell'opera Storia del declino e della caduta dell'Impero romano, Edward Gibbon afferma che i discepoli di san Severino furono invitati nel 488 da una «dama napoletana» (forse la madre dell'ex-imperatore) a portare il corpo del santo nella villa, che fu trasformata in monastero prima del 500 per contenere i resti del santo.
Cassiodoro, segretario del re ostrogoto Teodorico il Grande, scrisse una lettera a un «Romolo» nel 507, confermando una pensione. Nel 1886 lo storico Thomas Hodgkin scrisse che «molto probabilmente» il Romolo in questione fosse proprio l'ultimo imperatore romano d'Occidente. Nulla però supporta tale affermazione. Romolo è largamente noto con il nome, datogli in antichità, di Romulus Augustulus (italianizzato in «Romolo Augustolo»); la terminazione in -ulus denota il diminutivo, quindi il nome significava «Romolo il piccolo Augusto». In effetti il nomignolo era doppiamente significativo, in quanto si riferiva sia alla giovane età dell'imperatore sia alla sua insignificanza politica, essendo il vero potere nelle mani del padre Oreste.
Tradizionalmente, Romolo Augusto è ritenuto essere l'ultimo imperatore romano d'Occidente: con un nome che fa riferimento al fondatore di Roma e dell'Impero romano sarebbe stato difficile resistere alla tentazione di trarre questa conclusione, e infatti già nel VI secolo, lo storico Marcellino Illirico considerava l'impero romano terminato nel 476.
Alcuni storici ritengono essere Giulio Nepote l'ultimo Imperatore d'Occidente, in quanto Odoacre, quando chiese all'Imperatore d'Oriente Zenone di essere riconosciuto come magister militum e patricius, ebbe come contropartita di riconoscere a sua volta come imperatore d'Occidente Giulio Nepote. Odoacre accettò di riconoscere Nepote e infatti fece anche battere delle monete con la sua effigie fino al 480, quando Nepote fu ucciso dal comes Ovida con la possibile complicità dell'ex-Imperatore d'Occidente Glicerio. Secondo alcune interpretazioni questa è la reale data della fine dell'Impero Romano d'Occidente. Questa tesi non è condivisa da tutti gli storici dato che Zenone non aveva la facoltà di eleggere un imperatore, potere detenuto, almeno in via formale, dal Senato romano e il Senato aveva riconosciuto come imperatore Romolo Augusto. Altri storici, addirittura, considerano il 486 l'anno di caduta dell'Impero d'Occidente, in quanto in quell'anno venne a cessare l'ultimo effettivo baluardo della romanità in Occidente, dal momento che il Dominio di Noviodunum Suessiorum nella Gallia settentrionale (il cosiddetto Regno di Soissons) fu annesso al regno dei Franchi.
Lo scrittore italiano Valerio Massimo Manfredi ha scritto un romanzo basato sulla figura di Romolo Augusto, intitolato L'ultima legione, dal quale è stato tratto l'omonimo film. Nell'opera le vicende sono ampiamente romanzate rispetto ai fatti storici e la figura del sovrano e di chi gli ruota attorno vengono a coincidere con quelle di re Uther Pendragon, di Re Artù e di altri personaggi del Ciclo bretone, legandole quindi ad alcune leggende medievali. Lo scrittore svizzero germanofono Friedrich Dürrenmatt ha scritto una commedia teatrale in quattro atti intitolata Romulus der Große («Romolo il Grande»), che si distanzia molto dalla verità storica. Egli stesso la definisce «Una commedia storica che non si attiene alla storia in quattro atti».

impero d'occ

In rosa l'impero romano d'Oriente, in blu quello d'occidente a destra l'enclave Gallia del regno di Soissins, nel 476 dC.

Odoacre
Di probabile discendenza scira, Odoacre era un comandante militare stanziato in Italia che guidò la rivolta di Eruli, Rugi e Sciri che il 4 settembre 476 portò alle deposizione dell'imperatore Romolo Augusto. Nel 480 Odoacre invase la Dalmazia e nel giro di due anni conquistò l'intera regione. Quando Illo, generale ribelle dell'Impero d'Oriente, chiese l'aiuto di Odoacre nella sua lotta per deporre Zenone, Odoacre invase le province occidentali bizantine. L'imperatore d'Oriente rispose incitando i Rugi, stanziati in un'area corrispondente alla moderna Austria, ad invadere la penisola italiana. Nell'inverno 487-488 Odoacre attraversò il Danubio e sconfisse i Rugi nel loro stesso territorio. Nel 488 il re ostrogoto Teodorico fu incaricato da Zenone di invadere l'Italia e deporre Odoacre. Gli Ostrogoti invasero la penisola nel 489 ed entro un anno posero sotto il loro controllo gran parte dell'Italia, costringendo Odoacre ad asserragliarsi nella capitale Ravenna. La città, dopo un lungo assedio, si arrese il 5 marzo 493; Teodorico invitò Odoacre a un banchetto per sancire la pace fra i due sovrani, ma lo uccise nel corso dello stesso.
Odoacre è il primo dominatore d'Italia di cui sia sopravvissuto fino ai giorni nostri il documento autografo di un atto di governo: si tratta di un atto ufficiale col quale Odoacre concedeva al proprio comes domesticorum romano, Pierius, alcune proprietà in Sicilia e nell'isola di Meleda.
Se si eccettua il fatto che non fosse considerato "romano", sappiamo relativamente poco sulle origini e la figura di Odoacre. Gli Annales Valesiani e Giovanni di Antiochia sostengono che il padre si chiamasse Edicone, da molti identificato con il principe sciro di nome Edicone annoverato da Prisco di Panion fra i generali di Attila, re degli Unni.
L'ipotesi che Odoacre appartenesse a una famiglia principesca contrasta tuttavia con la povertà materiale di Odoacre in gioventù, testimoniata da Eugippio, il biografo di San Severino contemporaneo di entrambi. Il giovane Odoacre è stato infatti descritto da Eugippio come un adolescente di alta statura che, coperto di misere pelli, si sarebbe recato dal santo eremita il quale lo avrebbe benedetto e invitato a recarsi in Italia.
Non è nota con certezza neanche la nazione di origine di Odoacre. La maggior parte degli storici lo ritiene sciro, a causa della probabile discendenza da Edicone; Procopio di Cesarea ed Eugippio lo dicevano «natione Rugus», nonostante la feroce lotta condotta da Odoacre contro i Rugi; altri lo chiamavano turcilingio, erulo o unno, mentre Teofane lo diceva di stirpe gotica, ma probabilmente senza validi motivi.
Gli storici Reynolds e Lopez esplorarono la possibilità che Odoacre non fosse di origine germanica in un articolo pubblicato dalla rivista American Historical Review nel 1946. Attraverso alcune solide argomentazioni, i due suggerirono che le sue origini fossero da ricercare altrove. Una delle basi della loro teoria era legata al nome "Odoacre", per il quale non è stata ancora trovata una convincente etimologia nelle lingue germaniche. Fu suggerita anche una possibile origine turca, ad esempio dal termine "Ot-toghar" ("nato dal fuoco" o "nato dal pascolo"), o la forma ridotta "Ot-ghar" ("pastore"). Altre fonti suggeriscono che il nome Odoacre derivi dal germanico "Audawakrs", ossia "guardiano del benessere" o "guardiano della ricchezza".
Alla metà del XX secolo l'origine unna di Odoacre era sostenuta da un certo numero di autorevoli ricercatori. Successivamente, nel 1983, durante un'analisi delle fonti primarie, si evidenziarono i diversi "silenzi" nelle testimonianze storiche a noi disponibili e si ritenne possibile che la madre fosse scira e il padre turingio, ma che di certo Odoacre non era di origine unna. Al di là di queste ipotesi, attualmente la maggior parte dei ricercatori propende per un'origine germanica.
Non sappiamo quando Odoacre iniziò il suo servizio nell'esercito romano. Nel 472, all'epoca della lotta finale fra l'imperatore Antemio e Ricimero, era già membro della guardia imperiale (domestici); più tardi (473/474) divenne comes domesticorum di Glicerio, l'imperatore eletto dal patricius burgundo Gundobado. Nel 474 la corte dell'impero romano d'oriente, al cui soglio era intanto asceso Zenone, scelse come imperatore d'occidente il magister militum della Dalmazia, Giulio Nepote. A questa nomina, come già visto, si ribellò il generale romano Flavio Oreste, il quale riuscì a prevalere su Giulio Nepote soprattutto grazie all'appoggio militare di Odoacre, capo di una milizia di mercenari eruli, sciri, rugi e turcilingi. Flavio Oreste non assunse tuttavia il potere imperiale, preferendo che il titolo di imperatore andasse al figlio tredicenne Romolo Augusto (ottobre 475) riservando a sé, col titolo di "patrizio", il potere effettivo.
Come capo delle tribù germaniche che costituivano le truppe imperiali, Odoacre aveva chiesto a Oreste, quale compenso del servizio, un terzo delle terre in Italia a titolo di hospitalitas. Il rifiuto di Oreste scatenò la reazione delle truppe mercenarie, che si rivolsero a Odoacre come loro guida. Oreste fu ucciso a Piacenza e suo fratello Paulus fuori Ravenna. I foederati germanici acclamarono quindi Odoacre come «rex Italiae» o «rex gentium». Nel 476 Odoacre avanzò su Ravenna e prese la città, costringendo il giovane Romolo Augusto ad abdicare (4 settembre). Secondo gli Annali Valesiani Odoacre, colpito dalla giovane età del deposto imperatore, non solo gli risparmiò la vita, ma gli riconobbe anche una pensione di 6.000 solidi e lo mandò in Campania a vivere con i suoi parenti.
Invece di nominare a sua volta un imperatore fantoccio, come avevano fatto prima di lui i generali germanici Ricimero e Gundobado, Odoacre decise di inviare le insegne imperiali (cioè diadema, scettro, toga ricamata in oro, spada e paludamentum porpora) all'imperatore d'Oriente Zenone, chiedendo per sé il solo titolo di patrizio, che tuttavia Zenone non concesse mai ufficialmente in quanto riteneva che fosse di competenza del deposto Giulio Nepote. L'impero romano d'occidente "cadde" quindi per un colpo di Stato militare di mercenari germanici; questa caduta, che per i moderni costituisce lo spartiacque fra la storia antica e quella medievale, non sembra abbia suscitato eccessivo interesse negli storici dell'epoca, probabilmente perché, essendo ancora in vita nel 476 Giulio Nepote, ufficialmente il legittimo imperatore d'occidente (morirà nel 480), la portata dell'evento venne sottostimata.
La posizione istituzionale di Odoacre non era ben chiara. Il suo potere era fondato sulla forza dei soldati, il cui appoggio, secondo Procopio, era stato ottenuto con la promessa della hospitalitas negata da Flavio Oreste. Il comportamento della corte orientale nei confronti di Odoacre fu ambiguo: alla richiesta del titolo di "patrizio" fatta da Odoacre, Zenone rispose che la concessione era competenza di Giulio Nepote, ma in una lettera privata a Odoacre lo stesso Zenone gli si rivolgeva chiamandolo proprio "patrizio" perché probabilmente gli era stato concesso dal Senato romano. L'invio delle insegne imperiali a Costantinopoli era tuttavia un messaggio chiaro: l'Occidente non aveva più bisogno di un imperatore separato, poiché "un monarca era sufficiente per governare il mondo". In risposta, Zenone accettò i doni osservando che "...i romani d'Occidente hanno ricevuto due uomini dall'Impero d'Oriente, cacciandone uno e uccidendo l'altro, Antemio". Zenone quindi riconobbe a Odoacre l'autorità legale per governare in Italia in qualità di magister militum: gli suggerì però di riaccogliere Giulio Nepote come imperatore dell'Occidente "se davvero desiderava agire secondo giustizia". Odoacre tuttavia non invitò mai Giulio Nepote a rientrare in Italia, e questi rimase in Dalmazia fino alla morte. Odoacre rispettò solamente le formalità richieste dal caso, sostenendo di agire su autorità di Giulio Nepote e coniando monete in suo nome. Dopo la morte di Nepote, Zenone assunse, a livello formale, il ruolo di unico imperatore d'Oriente e d'Occidente.
Lo status regale, l'appoggio dell'esercito, il rispetto mostrato da Odoacre per le istituzioni (l'impero di Costantinopoli, il Senato di Roma, e la Chiesa Cattolica) e, di converso, l'apparente mancanza di ostilità da parte di queste istituzioni, aumentarono il prestigio di Odoacre e gli permisero la collaborazione della classe dirigente latina. Il senato riguadagnò notevole prestigio e influenza a livello politico dopo che la creazione del Dominato aveva pressoché azzerato le sue capacità nel tardo impero. Per la prima volta dal III secolo furono emesse monete in rame con incisa nella parte posteriore la sigla SC (Senatus Consulto). Lo storico Jones rilevò che queste "belle, massicce" monete di rame avevano una qualità di gran lunga superiore al misero nummo emesso nel basso impero, tanto che ne vennero coniate di simili dai Vandali e Anastasio I le prese come modello per la riforma monetaria bizantina di fine V secolo.
I principali atti di Odoacre sono stati registrati anche nei Consularia Italica. Egli governò in maniera molto più attiva e decisa rispetto agli ultimi imperatori d'Occidente: represse ribellioni interne giustiziandone i capi, per es. Brachila nel 477 e Adarico, nell'anno successivo e ottenne importanti risultati anche in politica estera: già nel 476-477, attraverso il pagamento di un tributo, acquisì il controllo della Sicilia centro-orientale dai Vandali di Genserico (successivamente fu annessa con la forza anche la parte occidentale dell'isola); vista la palese inferiorità delle sue truppe, che secondo Paolo Diacono contavano ancora un certo numero di effettivi italici, delineò le Alpi come confine naturale rispetto al regno dei Visigoti nella Gallia meridionale; nel 481-482 occupò la Dalmazia dopo aver sconfitto e ucciso Ovida, l'assassino di Giulio Nepote; nel 487 mosse guerra contro i Rugi, catturando il loro re, Feleteo. I danni subiti dal Norico - teatro dei combattimenti - e il concreto pericolo di incursioni dei Bavari furono tali che i superstiti latini preferirono riparare in Italia sotto la scorta di Onulfo e Pierio. I rimanenti Rugi trovarono invece rifugio presso gli Ostrogoti. Il Norico fu quindi occupato dai Longobardi, che ne fecero la loro base di operazioni fino alla metà del VI secolo.
Pur professando fede ariana, i rapporti di Odoadre con la Chiesa cattolica furono particolarmente buoni. Odoacre mostrò grande stima per Epifanio di Pavia: in risposta a una petizione del vescovo, il re germanico riconobbe agli abitanti della Liguria e di Pavia cinque anni di esenzione fiscale. Grazie a questi provvedimenti Pavia poté riprendersi in tempi piuttosto brevi dagli effetti della scorreria compiuta da Odoacre durante la guerra con Oreste. Sempre in risposta a un appello di Epifanio, pose fine agli abusi del prefetto pretoriano della Liguria, Pelagio. La biografia di papa Felice III contenuta nel Liber Pontificalis riporta apertamente che il pontefice amministrò la Chiesa durante il regno di Odoacre e che non vi furono contrasti col re germanico.
Odoacre rimase al potere fino al 493. Tuttavia, già da diversi anni i successi ottenuti dal re germanico avevano iniziato a preoccupare l'imperatore Zenone, che sempre più vedeva in lui un rivale. Secondo Giovanni di Antiochia Odoacre scambiò diversi messaggi con il generale Illo, che dal 484 era entrato in aperta rivolta contro Zenone. I rapporti del re germanico con Costantinopoli ne furono irrimediabilmente danneggiati: nel 488 Zenone offrì a Teodorico, re degli ostrogoti, la possibilità di insediarsi in Italia se egli fosse riuscito a rimuovere Odoacre.
Teodorico aveva i suoi motivi per accettare questa offerta: "Teodorico possedeva sufficiente esperienza per comprendere (o almeno sospettare) che Zenone non avrebbe mai tollerato a lungo il suo potere indipendente.
Nel 489 Teodorico guidò gli Ostrogoti in Italia attraverso le Alpi Giulie. Il 28 agosto Odoacre gli diede battaglia presso l'Isonzo, ma fu sconfitto. Si ritirò quindi a Verona, raggiunta il 27 settembre, dove innalzò immediatamente un campo fortificato. Teodorico lo inseguì, sconfiggendolo una seconda volta tre giorni dopo. Odoacre si rifugiò allora a Ravenna; ma invece di inseguirlo, Teodorico procedette verso Mediolanum, dove la maggior parte dell'esercito di Odoacre - incluso il suo generale, Tufa - gli si arrese. Teodorico non aveva motivo di dubitare la lealtà di Tufa e inviò il suo nuovo generale a Ravenna con un manipolo dei suoi soldati migliori. Herwig Wolfram osserva: "ma Tufa cambiò sponda, il contingente gotico posto al suo comando fu distrutto e Teodorico subì la sua prima seria sconfitta sul suolo italiano".
Teodorico riparò a Ticinum (Pavia): Odoacre allora uscì da Ravenna e iniziò ad assediare il rivale. Intanto i Burgundi approfittavano dell'occasione per saccheggiare e devastare la Liguria: molti degli abitanti furono presi come prigionieri e tali rimasero fino a quando Teodorico non li riscattò tre anni dopo.
L'estate successiva, il re visigoto Alarico II dimostrò quello che Wolfram definisce "uno dei rari esempi di solidarietà gotica" inviando aiuti militari al re ostrogoto, costringendo Odoacre ad abbandonare l'assedio. Teodorico lasciò Pavia e l'11 agosto 490 i due eserciti si scontrarono presso l'Adda: anche questa volta furono gli Ostrogoti a prevalere e Odoacre fu costretto a ritirarsi nuovamente a Ravenna. I ruoli si invertirono e ora toccò a Teodorico assediare. Ravenna si dimostrò inespugnabile, circondata com'era da paludi ed estuari ed essendo costantemente rifornita da piccole imbarcazioni provenienti dall'entroterra (come successivamente indicato da Procopio). Inoltre, Tufa rimaneva attivo nella strategica valle dell'Adige, vicino a Trento, e ricevette rinforzi inaspettati quando si verificarono alcune diserzioni tra le file di Teodorico.
Quello stesso anno, i Vandali colsero anch'essi l'occasione per intervenire in Italia e invasero la Sicilia. Intanto Fredericus, re dei Rugi e alleato di Teodorico, rimasto a proteggere Pavia, iniziò ad opprimerne gli abitanti. Quando Teodorico intervenne di persona nel tardo agosto del 491, i suoi atti punitivi spinsero Fredericus a passare dalla parte di Tufa. Successivamente però i due entrarono in disaccordo e si combatterono in una battaglia nella quale entrambi persero la vita.
A questo punto Odoacre aveva ormai perso ogni speranza di vittoria. Una sortita su larga scala appena fuori Ravenna, nella notte tra il 9 e il 10 luglio 491, si rivelò un fallimento, con la morte del suo generale Livilia assieme ai migliori soldati eruli. Nella tarda estate del 492 gli Ostrogoti ultimarono l'assemblaggio di una flotta presso Rimini con la quale iniziare un blocco marittimo di Ravenna. Nonostante questo, la guerra si protrasse fino al 25 febbraio 493 quando Giovanni, vescovo di Ravenna, riuscì a negoziare un accordo tra le due parti: Odoacre e Teodorico avrebbero regnato insieme. Così, dopo un assedio durato tre anni, il 5 marzo Teodorico fece il suo ingresso nella città. Dieci giorni dopo, venendo meno ai patti presi, Teodorico uccise Odoacre con la sua stessa spada durante un banchetto.
Il re ostrogoto aveva già cospirato con alcuni suoi seguaci per uccidere Odoacre mentre i due banchettavano assieme in un palazzo chiamato Ad Laurentum; quando questa congiura fallì, Teodorico prese la sua spada e colpì Odoacre alla clavicola. Pare che, in risposta alla domanda del morente Odoacre, "Dov'è Dio?", il re ostrogoto abbia risposto: "Questo è quel che hai fatto ai miei amici".
Secondo una fonte, "quello stesso giorno, l'intero esercito di Odoacre, ovunque si trovasse, fu ucciso per ordine di Teodorico, così come i suoi familiari. Sunigilda, moglie di Odoacre, fu lapidata a morte; suo fratello Onoulfo venne ucciso da alcuni arcieri mentre tentava di rifugiarsi in una chiesa; Thela, figlio di Odoacre, fu esiliato in Gallia, ma quando questi tentò di rientrare in Italia, Teodorico lo fece uccidere.
Odoacre è il primo sovrano d'Italia del quale sia sopravvissuto fino ai giorni nostri un atto ufficiale. In esso Odoacre riconosce al proprio comes domesticorum romano Pierius diverse proprietà in Sicilia, per la precisione vicino a Siracusa, e sull'isola di Meleda in Dalmazia, del valore complessivo di 690 solidi. La donazione fu fatta il 18 marzo 488 e il documento, scritto su papiro, fu preparato poco più tardi. La sezione d'apertura risulta mancante e il testo è diviso in due parti: una si trova presso la Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele III a Napoli, mentre l'altra è alla Biblioteca Nazionale Austriaca di Vienna. Sopravvive il corpo principale del documento, incluse le firme dei testimoni e degli ufficiali.
L'amministrazione di Odoacre non fu certo quella tipica di un sovrano sovvertitore dell'ordine: cambiò solo parzialmente la posizione dei consociati, in particolare per quanto riguardava la gestione dell'esercito, composto ormai interamente da elementi germanici. Le truppe vennero mantenute tramite il pagamento di un salario su parte dell'erario, ma queste provvidero anche autonomamente e arbitrariamente alla realizzazione dei propri desideri materiali tramite la costituzione (da parte del prefetto del pretorio Pietro Marcellino Felice Liberio) di un istituto di esazione abusiva che andò molto diffondendosi in quel periodo: il salgamum, strumento tipico della mentalità germanica. Esso consisteva nella suddivisione delle villae dei ricchi latifondisti in tre parti: il proprietario aveva diritto di scelta per la parte di suo uso, i capi militari sceglievano quella che serviva per l'acquartieramento e l'ultima era destinata ai coloni che mantenevano Germani e Romani. In generale si ebbe un trasferimento e un accentramento di competenze tra i militari, lasciando ai latini la possibilità di mantenere l'esercizio delle cariche minori e la professione libera del cristianesimo.

Gli Eruli Gli Eruli sono stati una popolazione germanica della quale è ancora incerta l'origine; per alcuni studiosi le loro prime sedi erano nello Halland (Svezia), mentre secondo altri nella vicina isola danese di Sjælland se non nello Jutland stesso. Tra il II e il III secolo si spostarono, contemporaneamente ad altre popolazioni germaniche (Goti), nella regione compresa tra il fiume Dnepr e il mar d'Azov. Da queste basi, tra il 253 e il 269, Goti ed Eruli partirono per compiere varie incursioni e spedizioni di pirateria lungo le coste prima del mar Nero e poi dell'Asia minore, fino a colpire Atene (267). I primi contatti diretti tra Romani ed Eruli sono riferibili alle scorrerie operate da un'orda di Germani (composta, oltre che dagli Eruli, anche dai Goti e dai Gepidi) nei Balcani e alla decisiva battaglia vinta dai Romani guidati dall'imperatore Claudio II nel 268 nei pressi di Niš in Serbia (per questa ed altre vittorie nei due anni seguenti l'imperatore si guadagnò il titolo di "Gotico Massimo"). Anche l'allora cesare e futuro imperatore Galerio sconfisse gli Eruli, insieme ai Franchi e ai Batavi, tra il 293 e il 295. In seguito, gli Eruli sono citati tra le popolazioni che si unirono agli Unni guidati da Attila al cui seguito parteciparono alle scorrerie per tutta l'Europa. Morto Attila (453), nel 454 gli Eruli si distaccarono dagli Unni e costituirono un forte regno intorno a Brno (Moravia meridionale) e Vienna, sottomettendo le popolazioni vicine tra cui i Longobardi. Gli Eruli furono nuovamente in Italia al seguito di Odoacre: sconfissero l'ultimo imperatore romano d'Occidente e vennero a loro volta sconfitti dagli Ostrogoti di Teodorico. Nel 508, secondo la narrazione che ne fa Procopio, i Longobardi si affrancarono dalla sudditanza cui erano sottoposti sconfiggendo in un'epica battaglia gli Eruli guidati dal loro re Rodolfo, figlio adottivo di Teodorico. Dopo questa sconfitta gli Eruli scomparvero quasi completamente; infatti, i superstiti della battaglia subirono una diaspora, venendo in gran parte assorbiti dagli stessi Longobardi. Una parte di loro preferì trasferirsi in Illiria ottenendo la protezione di Bisanzio e un'altra parte, tra la quale si trovava la famiglia reale, migrò nell'odierna Svezia meridionale, probabilmente le loro terre native. Da questo momento in poi si perdono le tracce di questa popolazione che tanto terrore aveva portato tra le popolazioni dell'impero romano.

Eugenio Caruso - 20 gennaio 2018

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