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Segnali di crisi dagli Usa

Il mercato del lavoro statunitense, scottato dalla recessione immobiliare e dalla crisi dei mutui ipotecari, perde occupati per la prima volta in quattro anni. E il timore di contagio per l'intera economia affonda le Borse.

L'economia degli Stati Uniti ha perso 4.000 posti di lavoro in agosto 2007, la prima flessione dall'agosto 2003, smentendo le previsioni più pessimistiche che si attendevano almeno alcune decine di migliaia di nuovi occupati.
La crisi dei mutui subprime, che ha mandato in bancarotta numerose finanziarie negli Stati Uniti, ha investito in pieno Countrywide. (I subprime, o "B-Paper", "near-prime" o "second chance" sono quei prestiti che vengono concessi ad un soggetto che non può accedere ai tassi di interesse di mercato, in quanto ha avuto problemi pregressi nella sua storia di creditore. I prestiti subprime sono rischiosi sia per i creditori che per i debitori, vista la pericolosa combinazione di alti tassi di interesse, cattiva storia creditizia e situazioni finanziarie poco chiare, associate a coloro che hanno accesso a questo tipo di credito).

Il più grande erogatore di prestiti d'America, che nelle settimane scorse aveva annunciato possibili licenziamenti, ha quantificato il numero di esuberi: saranno 12mila i dipendenti licenziati, un quinto di tutta la forza lavoro (che conta 60mila addetti). La compagnia si attende un crollo del 25% nella concessione di mutui per il prossimo anno.

L'improvvisa debolezza dell'occupazione ha rafforzato le ipotesi su un taglio dei tassi d'interesse interbancari, da oltre un anno fermi al 5,25%, in occasione del prossimo vertice della Federal Reserve.
«L'economia è chiaramente in difficoltà - ha detto Ken Mayland di ClearView Economics - e i dati dimostrano la necessità di un allentamento dei tassi». Ma le incognite di politica monetaria non sono svanite: «Il dibattito è adesso tra una riduzione del costo del denaro di 25 o di 50 punti base», ha sottolineato Zach Pandl della Lehman Brothers.

Secondo l'economista Nouriel Roubini "Il consumo delle famiglie americane (70% della domanda aggregata) è in sofferenza. I consumatori non hanno risparmi, sono carichi di debiti. Finché i prezzi delle case crescevano (fino al 2006) era naturale per le famiglie usare il valore della casa come un Bancomat, accendendo crediti sulla base di immobili il cui valore aumentava. Ora che i prezzi scendono, si assiste a una contrazione del consumo, la cui crescita è rallentata da una media del 4% del primo trimestre 2007 a un debole 1,3 del secondo trimestre, e ciò prima dalla crisi estiva. I consumatori sono messi alle strette dal decremento del valore degli immobili, che porta a un effetto di ricchezza negativa, dall’impossibilità di attingere al patrimonio immobiliare, dalla stretta creditizia che implica costi più alti per il servizio del debito, dall’indebolimento del mercato del lavoro che riduce le possibilità di generare reddito".

Nuovi appelli a immediati e drastici stimoli per l'economia sono risuonati in Congresso. L'amministrazione Bush ha cercato di inviare messaggi tranquillizzanti: «Le probabilità di recessione - ha dichiarato il Segretario al Commercio Carlos Gutierrez - restano basse. Lo scenario più accreditato rimane il superamento di questa fase e la continuazione della crescita».

Anche Lakshman Achuthan, l'unico analista che predisse con precisione il rallentamento del ciclo nel 2001, sostiene "Sulla base delle informazioni disponibili, non vedo una recessione negli Usa. Molti economisti oggi parlano di recessione per fare pressione sulle banche centrali perchè ribassino i tassi".

Lo shock per il dato dell'occupazione di agosto non è, però, un segnale isolato. Ad alimentare i timori di un aggravarsi della crisi, che si traduca in brusche frenate nei profitti per le imprese e recessione, hanno contribuito le riduzioni dell'occupazione, rispetto alle previsioni, avvenute nei mesi precedenti. Il dipartimento del Lavoro ha calcolato che a luglio sono state create solo 68mila nuove buste paga invece delle 92mila previste e a giugno 69mila anziché 126mila. La media degli ultimi tre mesi è scesa a 44mila, una drastica frenata rispetto ai 150mila nuovi occupati tra gennaio e maggio.

In agosto, inoltre, il ventaglio di settori che ha eliminato occupati è stato ampio: dalle imprese manifatturiere ( 46mila posti persi), alle imprese delle costruzioni (22mila posti persi), fino alle imprese dei trasporti e al pubblico impiego.
Tra i pochi comparti che hanno creato posti di lavoro si sono distinti l'istruzione, l'assistenza sanitaria e il commercio al dettaglio. I servizi, grande motore occupazionale, hanno nell'insieme generato solo 60mila nuovi impieghi, l'incremento più modesto dall'ottobre 2005.

I salari orari sono saliti dello 0,3% a 17,50 dollari, pari a un rialzo del 3,9% nell'ultimo anno. Segno di contenute pressioni inflazionistiche, che non dovrebbero ostacolare la strada verso imminenti interventi di aiuto all'espansione da parte della Fed.

Un altro dato poco incoraggiante è l'andamento del Pil. Nel primo semestre 2007 la crescita economica degli Usa ha subito un rallentamento rispetto ai ritmi degli ultimi anni. Il Pil Usa è stimato essere, per il 2007, attorno al 2%. Un dato positivo, ma inferiore a quello delle altre principali aree economiche. L'Europa, in particolare, ha registrato nel primo trimestre dell'anno un tasso di sviluppo del 2,4%.

Per il momento la nostra impressione è che la crisi statunitense sia quasi esclusivamente finanziaria, legata al settore immobiliare e al problema dei mutui, anche se bisognerà, nei prossimi mesi, monitorare attentamente i dati macro economici usa; d'altra parte l'esperienza insegna che spesso, anche se non sempre, un ribasso dei listini annuncia una recessione.

La ripresa dell’economia europea non dovrebbe risentire dei segnali di debolezza provenienti da oltre atlantico. Peraltro, i dati macroeconomici recenti confermano il vigore della crescita; inoltre, la fiducia delle imprese e dei consumatori fanno ben sperare.


10 settembre 2007


Nella riunione del 18 settembre la FED ha abbassato il costo del danaro portando i tassi di interesse interbancari al 4,75 %; le borse mondiali hanno reagito con sensibili aumenti. L'euro si è ulteriormente rafforzato sul dollaro superando quota 1,4 e complicando la vita alle imprese europee che esportano negli Usa.

Revisione del 20 settembre 2007

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