Leopoldo Parodi Delfino, industriale, banchiere e politico


Io lavoro sempre con la convinzione che non esista, in fondo, nessun problema irrisolvibile.
Jung


INVENTORI E GRANDI IMPRENDITORI

In questa corposa sottosezione illustro la vita di quei capitani d'industria e/o inventori che hanno sostanzialmente contribuito al progresso industriale del mondo occidentale con particolare riguardo dell'Italia e del made in Italy. Anche con riferimento alle piccole e medie imprese che hanno contribuito al progresso del Paese.

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E - Thomas Edison - Erba -Esterle -
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H - Hewlett e Packard - Ulrico Hoepli -
I - Ferdinando Innocenti -
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T - Franco Tosi
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Z - Lino Zanussi

Leopoldo Parodi Delfino (Milano, 5 ottobre 1875 – Arcinazzo Romano, 3 novembre 1945) – Nacque da Carlo Giuseppe Delfino e Marina Parodi; dalla loro unione nacquero sei figli: Rachele, Leopoldo, Angelo, Enrico, Umberto e ultimo, nel 1887, Sebastiano. Le famiglie Parodi e Delfino, appartenenti all’alta borghesia di Ovada, piccolo centro dell’alessandrino in Piemonte, iniziarono a essere legate da vincoli di parentela agli inizi dell’Ottocento. Ma fu nella seconda metà del secolo – quando il ricco commerciante di vini Federico Leopoldo Parodi e consorte (figlia di un banchiere ligure) adottarono, per motivi di eredità, la nipote Marina e suo marito Carlo Giuseppe genitori di Leopoldo – che l’unità tra le due famiglie venne ufficialmente sancita. Il padre di Leopoldo gestiva una filanda a Cinisello Balsamo e una tenuta agricola a Reggio Emilia, possedeva inoltre ville, tenute, fornaci, terre e distillerie di liquori in Piemonte. Il senso della famiglia ma soprattutto l’attaccamento all’impresa furono i principi ispiratori dei coniugi Parodi Delfino nell’educazione impartita ai figli maschi, che dovevano essere all’altezza del compito e garantire al meglio la continuità aziendale. Da qui la scelta degli studi superiori per poi accedere all’università; tanto Leopoldo, quanto i fratelli risposero appieno alla volontà dei genitori, resa comunque possibile dalla disponibilità finanziaria, negli ultimi decenni dell’Ottocento, di una borghesia imprenditoriale molto ristretta. L’unico a laurearsi fuori Milano fu Leopoldo che, grazie alla conoscenza della lingua tedesca, poté scegliere di iscriversi, prima, ai corsi di chimica industriale al Politecnico federale di Zurigo e di perfezionarsi, poi, nelle università di Lipsia e Breslavia; una scelta, questa, che gli permise di intraprendere una solida e duratura carriera in campo industriale in Italia e all’estero.
Sulle orme del padre, Leopoldo iniziò l’attività nel 1902, a 23 anni, nel campo della distilleria, dando vita a la Società Fabbrica nazionale alcoli Leopoldo Parodi Delfino, con sede a Milano e stabilimento a Savona. Nel giro di pochi anni avviò altre attività di distilleria: nel 1904, in provincia di Ferrara, a Pontelagoscuro, fondò la Società anonima distilleria nazionale per l’alcol da melasso; nel 1905, a Milano, fondò la Società distillerie italiane che rilevò più di 20 stabilimenti in tutta Italia, e della quale Leopoldo fu presidente per quasi dieci anni. Nel 1907 il giovane imprenditore rilevò gli stabilimenti Vinicoli Florio di Marsala, dei quali assunse la carica di amministratore delegato e, due anni dopo, contribuì all’apertura delle Smalterie italiane, di cui rimase a lungo presidente.
Sempre nel 1907 sposò Lucie Henny, figlia di Taco Henny, avvocato di fama di Amsterdam, all’epoca governatore delle Indie Olandesi a Java, fissando la sua residenza prima a Milano poi a Roma. Dal matrimonio nacquero cinque figli, due maschi e tre femmine: Paolo, Carla, Gerardo, Elena e Marina. I due maschi, dopo un avvio di vita brillante tra studio e sport, morirono giovani in un incidente aereo nell’ottobre 1936; entrambi ingegneri, laureati come il padre al Politecnico di Zurigo, avrebbero avuto come futuro la successione nelle imprese familiari se la passione per il volo non avesse riservato loro un tragico destino. Al momento dell’incidente Paolo era già sposato con la baronessa Bonaccorsa Aliotti ed aveva due figli in tenera età, Riccardo e Scilla. Quanto alle figlie esse legarono, con i rispettivi matrimoni, il nome della famiglia all’aristocrazia europea. Marina divenne presto nota alle cronache mondane come Donna Mimosa, sposando a soli 19 anni, in Brasile, dove il padre Leopoldo aveva avviato alcuni investimenti in campo industriale, Baby Pignatari, un imprenditore che costruiva aerei e produceva acciaio ma anche noto playboy. Il matrimonio fu annullato dopo otto anni e anche Donna Mimosa, come le sorelle, scelse in seconde nozze un membro dell’aristocrazia, il principe Ferdinando Del Drago. Carla sposò giovanissima a Roma, nel 1937 il principe spagnolo Orleans Bourbon imparentando così la famiglia con una delle più importanti casate reali europee. Elena sposò il duca Francesco Serra di Cassano. Delle tre, la principessa Donna Mimosa, fu quella che legò di più la sua vita al ricordo della sua importante famiglia, scegliendo di vivere per lungo tempo nella splendida villa di Ischia, a Casamicciola, che il padre Leopoldo aveva voluto restaurare facendone un centro di cultura. Il figlio di Marina, Leopoldo, che portava il nome del nonno, morì a soli 42 anni.
Parodi Delfino racchiuse nella sua personalità il merito di essere stato, in un’epoca socialmente ed economicamente difficile per l’Italia, uno dei protagonisti del suo sviluppo, avendo rivestito cariche di politico, di banchiere e di industriale; e di essersi distinto – in campo industriale – in una fase del Paese, quella dei primi anni del Novecento, in cui le prime figure imprenditoriali erano per lo più prive di un background culturale e guidate dal solo spirito di iniziativa e dal rischio di impresa. Insieme a pochi altri, quali Pirelli, Crespi , Cantoni e Falck, Parodi Delfino apparteneva invece alla nuova tipologia di imprenditori, quella degli imprenditori-manager che avevano alle spalle famiglie importanti, appartenenti all’élite borghese già riconosciuta e che erano arrivati nell’ambiente industriale con una adeguata preparazione culturale, in molti casi corredata da studi compiuti all’estero.
La sua vera ascesa imprenditoriale iniziò nel 1912, allorché – insieme a Giovanni Bombrini (figlio di Carlo, fondatore della Banca Nazionale poi nel 1893 Banca d’Italia), già forte dell’esperienza in Ansaldo – diede vita alla grande impresa Bombrini Parodi Delfino (BPD), con sede a Colleferro (Roma), destinata a diventare uno dei colossi industriali della chimica italiana, con diversificazioni nel cemento, nel tessile e nella meccanica. Fu Giovanni Giolitti, allora presidente del Consiglio, a chiedere a Leopoldo di sostenere le sorti della nazione con le sue capacità scientifiche e imprenditoriali, già messe in luce alcuni anni prima, quando aveva rilevato e risanato la fabbrica del Marsala Florio. Furono le esigenze militari a spingere il governo italiano a favorire l’apertura di un sito industriale a Colleferro, per la produzione di polveri da sparo che, in caso di guerra, avrebbe reso l’Italia in grado di affrontarla. La scelta di puntare sul giovane Leopoldo derivò dal fatto che, oltre alle capacità e alla già maturata esperienza in campo chimico-industriale, l’imprenditore aveva solide finanze per sostenere l’investimento; essendo le finanze pubbliche in quegli anni troppo dissestate per affrontare un’operazione di tale portata, il governo italiano favorì l’iniziativa privata. Per il territorio si trattava di una grande opportunità di sviluppo, ma anche di un potenziale pericolo; molti anni dopo, nel 1938, una gravissima esplosione nel reparto del tritolo causò nello stabilimento chimico di Colleferro decine di morti e migliaia di feriti, con grande risalto della notizia sui giornali nazionali ed esteri. Fin dal 1912, anno della costituzione della società Leopoldo Parodi Delfino, nella veste di amministratore unico della società in nome collettivo, mise a frutto le proprie intuizioni innovative e la propria filosofia imprenditoriale attenta ai progressi scientifici e tecnologici; a tal fine compì un viaggio all’estero per dotare lo stabilimento di macchine non ancora esistenti in Italia, puntando quindi su un capitale strumentale sofisticato. Il suo modo di rapportarsi con la forza lavoro fu quello di considerarla parte integrante dell’azienda e come capitale umano da difendere e sostenere. Non a caso, si impegnò per creare un vero e proprio villaggio, dotato dei servizi primari necessari alle famiglie degli operai impiegati nella grande fabbrica e favorì un primo processo di integrazione nel piccolo comune di Colleferro, richiamando operai più specializzati dal Piemonte, dove era già attivo da tempo il polverificio di Avigliana (Torino). Quello di Colleferro, per volere del giovane imprenditore milanese, fu il primo modello in Italia di villaggio operaio autosufficiente voluto da un privato senza che fosse imposto per legge. Il 6 marzo 1913 Parodi Delfino venne insignito dell’onorificenza di Cavaliere dell’Ordine della Corona d’Italia. Alla morte di Bombrini, nel 1924, acquistò le quote azionarie della famiglia di questi, rimanendone così l’unico azionista. Negli anni della riconversione bellica, dal 1918 al 1921, sviluppò un’attività industriale incessante: presidente della Società italiana per la produzione della calce e delle cementi di Segni, destinata nel tempo a essere acquisita dal colosso industriale della Italcementi e vicepresidente della Soie de Chantillon, società del gruppo Snia per la produzione della seta artificiale, arrivando nel 1924, a seguito dell’aumento del capitale sociale, a detenere il 30% delle azioni. Fondò nello stesso periodo la Società mediterranea di elettricità e su invito dei ministeri, della Marina e degli Esteri, rilevò in Albania la Societè des mines di Selenitza per lo sfruttamento delle miniere bituminose che, grazie a lui, si affermò in breve tempo a livello internazionale nel campo dei bitumi asfaltici.
Nel 1919 assunse anche la conduzione della Società anonima italiana delle opere pubbliche e imprese industriali la quale, su commissione statale, cercò di portare a termine la costruzione dell’Acquedotto pugliese iniziata nel 1906, ma subito rallentata da controversie con l’amministrazione centrale dei Lavori pubblici; l’appalto era stato vinto da uno dei più grandi gruppi industriali italiani, l’Ansaldo dei Bombrini e dei Perrone in alleanza con il trust chimico-zuccheriero dei Parodi Delfino ma fu revocato, a causa della lentezza dei lavori, proprio nel 1919, con l’annullamento della concessione da parte del ministero dei Lavori pubblici e la conseguente nascita dell’Ente autonomo per l’acquedotto pugliese.
La forza imprenditoriale oramai acquisita e riconosciuta anche all’estero spinse Leopoldo Parodi Delfino a intrecciare gli interessi industriali con quelli finanziari. Non solo, ma, appena finita la guerra, contribuì anche alla ridefinizione delle linee di azione della Confindustria, da cui sarebbe scaturita la nuova politica industriale dell’Italia. Nel 1921 partecipò, in qualità di amministratore unico della BPD, alla creazione a Genova della Compagnia italiana dell’Equatore (CIDE) che aveva lo scopo di sfruttare in quel Paese ancora vergine, ma estremamente ricco di oro e petrolio, le risorse naturali. Il programma per una penetrazione italiana in Ecuador assegnò alla Compagnia il compito di istituire, secondo le leggi locali del Paese andino, sia una banca con facoltà di emissione (il Banco italiano di Guadajaquil di cui Leopoldo divenne presidente), che una serie di aziende che, coordinate tra loro, avrebbero dovuto operare negli ambiti delle attività agricole, commerciali, nella realizzazione di opere pubbliche e nello sfruttamento delle risorse naturali. L’imprenditore, a capo di trenta tecnici della società BPD, studiò e presentò al governo ecuadoregno il progetto di valorizzazione del territorio riguardante la creazione delle infrastrutture ma il progetto non riuscì ad andare in porto per l’ingerenza americana. Nel 1937 Parodi Delfino mise ancora a frutto in Italia le sue competenze tecniche per aprire nuovi impianti per la produzione di leganti idraulici a Vibo Valentia e a Castellammare di Stabia; il 21 aprile 1937, a riconoscimento della sua fertile attività imprenditoriale, in Italia e all’estero, fu nominato Cavaliere del lavoro.
Negli anni del fascismo, ebbe un forte legame con il potere politico; nel 1932 prese la tessera del Partito nazionale fascista (PNF), divenendo membro della Federazione nazionale fascista degli industriali chimici e nel 1939 fu nominato senatore del Regno; del resto «possiamo ritenere l’adesione al fascismo da parte di Leopoldo Parodi Delfino “fisiologica”: è un industriale in un settore di interesse strategico nazionale. Pensare che potesse non testimoniare una completa adesione, quasi un’incorporazione nella struttura economica e politica dello Stato, appare, anche agli occhi di un osservatore contemporaneo, assai difficile e poco credibile». Il titolo di senatore del Regno passò, per Leopoldo, attraverso l’iscrizione all’Unione nazionale poi Unione nazionale fascista del senato (UNFS) che nel 1932 «a seguito dell’approvazione del nuovo statuto del Partito Nazionale Fascista venne inclusa nel partito, rendendone obbligatoria l’iscrizione per tutti i senatori che ne facevano parte». All’interno del senato, ricoprì la carica di membro della Commissione finanze dal 23 gennaio del 1940 al 5 agosto del 1943. Il 7 agosto 1944 l’Alta Corte propose la decadenza di Parodi Delfino dalla carica di senatore con il gruppo di imputazione 6°, ossia quello rivolto ai «senatori ritenuti responsabili di aver mantenuto il fascismo e resa possibile la guerra sia con i loro voti sia con azioni individuali, tra cui la propaganda esercitata fuori e dentro il Senato» La difesa di Leopoldo Parodi Delfino di fronte all’Alta Corte fu tutta incentrata sull’attività industriale da lui svolta a partire dal 1902, sottolineando come nessuna delle sue imprese avesse tratto profitto dalla carica di senatore rivestita sotto il regime; pesavano però le numerose cariche rivestite in sua rappresentanza. In una delle lettere inviate al presidente dell’Alta Corte il 29 novembre del 1944, per salvaguardare tutto ciò che nel tempo aveva costruito, pose l’attenzione sulle «opere sociali attuate in tutti gli stabilimenti creati nei 40 anni della sua tenace operosità […] dando vita e sviluppo alle istituzioni dirette a elevare le condizioni di vita dei lavoratori». Leopoldo Parodi Delfino morì il 3 novembre 1945 nella sua villa di Arcinazzo, località nei pressi di Roma. Se la morte lo colpì «con una partita ancora aperta, quella del giudizio dell’Alta Corte in merito alle accuse di sostenitore del regime fascista», vero è che lasciava agli eredi una storia imprenditoriale di grandissimo impegno e responsabilità, per lo più dedicata all’azienda fondata, giovanissimo, nel 1912. Non è un caso che, a tre anni dalla morte, nel 1948, la cittadina di Colleferro sentisse il dovere di manifestare un segno di gratitudine a colui che l’aveva trasformata da zona arretrata a sito industriale, dedicandogli una lapide apposta sulla facciata del comune. Leopoldo, del resto, aveva legato per tutta la vita la propria storia imprenditoriale a quella della BPD, seguendone le varie trasformazioni negli anni difficili tra la prima e la seconda guerra mondiale; quando poi i bombardamenti distrussero molti degli impianti e lo stesso villaggio operaio, si adoperò sia per rimettere in piedi e ampliare la produzione, sia per tenere fede al suo progetto sociale. Il gruppo BPD, che nel tempo aveva inglobato la Cementi Segni, arrivando a contare 35.000 addetti nel 1945, perse la sua identità nel 1968, con il passaggio alla SNIA, assumendo il nome SNIA BPD. Gli eredi Parodi Delfino, dopo cinque anni dalla cessione del pacchetto azionario, nel 1973 uscirono in modo definitivo dalla società, dopo aver venduto la parte restante delle azioni.

Eugenio Caruso - 10 marzo 2018

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