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Cina e l'era di Xi Jinping

In Cina è finita l’era della “leadership collettiva”, che si è protratta stabilmente per oltre 40 anni, e ne comincia una completamente nuova: l’era Xi Jinping (che è già dal 2012 a capo del Partito e dal 2013 a capo dello Stato). L’inedita fase storica è formalmente inaugurata con le tradizionali “Due sessioni”, durante le quali sono state approvate due fondamentali modifiche della Costituzione che stravolgeranno la struttura del potere cinese. Rispettivamente il 3 e il 5 marzo si sono aperti i lavori a Pechino della Conferenza consultiva politica del popolo cinese e dell’Assemblea nazionale del popolo (che si chiude il 20 marzo). Quest’ultima è il “Parlamento” cinese, ed è famosa per approvare regolarmente tutte le proposte che arrivano dal Comitato centrale del partito comunista.
L’Assemblea ha completato il processo di ricambio della classe dirigente, avviato lo scorso ottobre durante il 19° Congresso con la nomina del nuovo Comitato permanente del Politburo. Una carica da vicepresidente per l’ex zar anticorruzione Wang Qishan, con delega al rapporto con gli Stati Uniti, e la nomina del nuovo governatore della Banca centrale, oltre che del vicepremier. Sono stati annunciati l’obiettivo di crescita per il 2018 (6,5%, come l’anno scorso) e l’ormai consueto incremento delle spese militari rispetto all’anno precedente (+8,1%).
Quest’anno, però, tutti i riflettori sono puntati sulle modifiche apportate per la quinta volta alla Costituzione del 1982, con un’aggiunta e una rimozione fondamentali. Da un lato, i delegati hanno approvato l’inserimento nel preambolo del “Pensiero di Xi Jinping sul socialismo con caratteristiche cinesi per una Nuova Era”, già entrato nella Carta fondamentale del Pcc durante l’ultimo Congresso.
È ormai una consuetudine che nel preambolo della Costituzione venga inserita una teoria riconducibile al leader di turno. Sono presenti attualmente il “marxismo-leninismo, il pensiero di Mao Zedong, la teoria di Deng Xiaoping, l'”importante teoria delle tre rappresentanze” (che afferma la necessità per il partito comunista di «rappresentare sempre i bisogni per lo sviluppo delle forze produttive più avanzate della Cina, l'orientamento della cultura cinese più avanzata e gli interessi fondamentali della stragrande maggioranza del popolo cinese») e il “concetto di sviluppo scientifico”. Queste ultime due sono state coniate da Jiang Zemin e Hu Jintao. Come si può vedere, non tutti i leader hanno l’onore di essere citati per nome, non tutti sono stati “premiati” mentre erano ancora in carica e soprattutto nessuno, dopo Mao, aveva mai potuto vantare la celebrazione del proprio “pensiero”. Ma con Xi, come detto, sta cominciando una nuova era.
Ancora più importante di ciò che viene ora aggiunto, è ciò che sarà eliminato: e cioè la formula che limita a due mandati quinquennali la carica di presidente della Repubblica popolare. Questo significa che, se lo vorrà, Xi potrà rimanere presidente a vita, diventando a tutti gli effetti un nuovo imperatore, proprio come lo fu il “Grande timoniere” Mao fino alla sua morte nel 1976. L’Assemblea nazionale ha deciso su queste modifiche l’11 marzo, senza che ci fossero dubbi sull’esito del voto.
Il limite di due mandati era stato inaugurato nel 1982 per volere di Deng Xiaoping, che cominciò la stagione della “leadership collettiva”. Da allora i presidenti non sono mai rimasti in carica più di dieci anni, lasciando diligentemente il posto al successore nel nome del bene supremo del partito comunista. Il partito e il Paese avevano sperimentato con i disastri del Grande balzo in avanti e della Rivoluzione culturale quanto sia pericoloso lasciare che una sola persona accentri tutto il potere nelle proprie mani.
L’accentramento è proprio quello che sta ora realizzando il presidente Xi, che detiene anche le cariche di Segretario Generale del partito e capo dell’esercito. Xi non ha conquistato il potere in un colpo solo, ma un passo alla volta. Prima ha accumulato un numero incredibile di cariche per avere il controllo esclusivo del partito. Poi ha lanciato un’inedita campagna anti-corruzione, una sorta di “Rivoluzione culturale 2.0”, per eliminare tutti i suoi nemici politici. In cinque anni sono stati puniti 1,34 milioni di «mosche da schiacciare», ovvero piccoli burocrati, e 280 alti funzionari a livello ministeriale o superiore, le cosiddette «tigri da stanare». E poiché la campagna anti-corruzione è stata la freccia più importante nella faretra di Xi per aprirsi la strada verso il potere assoluto, il presidente ha deciso di intensificarla: l’Assemblea nazionale ha approvato una misura che prevede la creazione di una nuova agenzia anti-corruzione (la Commissione di supervisione nazionale) con più fondi, più personale e più prigioni per gestire un numero di casi che sarà il triplo di quelli seguiti attualmente.
Dopo aver tolto di mezzo i suoi nemici e consolidato la sua popolarità (sono questi, nei fatti, gli obiettivi ultimi della campagna anti-corruzione), Xi ha preparato la sua ascesa dal punto di vista ideologico: prima si è fatto nominare «hexin» della leadership, cioè «nucleo centrale e cuore», poi «lingxiu», attribuzione che era propria di Mao ed evoca una grandezza di comando anche spirituale. Infine, rompendo in modo clamoroso con una tradizione ultradecennale, all’ultimo Congresso ha fatto inserire il «Pensiero di Xi Jinping» nella Costituzione comunista. Il Segretario diventa così senza dubbio più potente di Mao, perché questi negli anni Cinquanta e Sessanta era al timone di un Paese dalle enormi dimensioni e potenzialità ma povero, che sognava di raggiungere la potenza degli Stati Uniti ma era ben lontano dal farlo. Oggi invece Pechino è una superpotenza, la seconda economia del mondo, e siede a tutti i tavoli internazionali che contano.
Non è chiaro cosa vorrà fare il leader comunista di tanto potere al di là degli annunci ufficiali, e cioè impedire che la Cina faccia la fine dell’Unione Sovietica, raggiungere entro il 2020 il «sogno cinese» di una «società moderatamente prospera» ed entro il 2049 (centenario della fondazione della Repubblica popolare) trasformare il Paese in una «superpotenza mondiale». Nessuno ha dubbi però sui metodi che utilizzerà: repressione di ogni dissenso, violazione delle principali libertà della persona e controllo assoluto della popolazione. Da questo punto di vista, la nuova era di Xi Jinping assomiglia molto a quella vecchia di Mao.

Francesco Leone Grotti

www.aspeninstitute.it - 9 aprile - 2018

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www.impresaoggi.com