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Italia: vizi e virtù. Finanza e affari sporchi


In copertina: Annibale Carracci "il vizio e la virtù"

Italia: vizi e virtù
Eugenio Caruso
Impresa Oggi Ed.

copertina 3

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10. Finanza e "affari sporchi" .....
Negli anni settanta, Cefis è uno degli uomini più potenti d'Italia; assunta la guida dell'Eni, nel 1967, e conquistato il controllo della Montedison, Cefis riesce a creare un enorme impero clientelare; sovvenzionando i partiti politici ne compra l'appoggio e con l'acquisto di diversi giornali può influenzare l'opinione pubblica; la sua politica non si discosta da quella che fu di Mattei.
Scriveranno Scalfari e Turani, che Cefis esemplifica «la confisca del potere politico ed economico effettuata da alcuni uomini utilizzando il denaro dello stato per finalità che con lo stato niente hanno a che vedere». Con Cefis iniziano, sia la lunga guerra tra pubblico e privato per il controllo della chimica in Italia, che contribuirà a inquinare non poco l'economia e la politica del Paese, che la lotta per la conquista dei giornali. Il petroliere riuscirà a controllare in modo diretto o indiretto: Corriere della sera, Messaggero, Giornale nuovo, il Tempo, alcuni settimanali, radio e canali televisivi. Se l'operazione di scalata alla Montedison riesce, fallisce invece il tentativo del risanamento dell'azienda; Cuccia dovrà cercare allora altri condottieri per il gigante malato: Mario Schimberni, prima, e Raul Gardini, dopo.
Agli inizi degli anni settanta, il banchiere della mafia, Michele Sindona, tenta una scalata ai vertici del capitalismo italiano (Italcementi, Bastogi, Banca nazionale dell'Agricoltura), ma viene sconfitto dall'alleanza tra Cuccia, Agnelli, Cefis e La Malfa.
Già nel 1967 l'intelligence americana aveva messo in guardia i colleghi italiani, informandoli che Sindona era coinvolto nel traffico di stupefacenti e nel riciclaggio del danaro della mafia; ma il finanziere siciliano ha protettori potenti e il governo italiano non muove un dito. Solo quando una banca americana di Sindona crolla, la polizia americana mette in luce manovre illegali e il finanziere è messo in stato d'accusa, ma per diversi anni ancora, i potenti amici italiani gli evitano l'arresto.
Dopo lo stop alle sue iniziative, Sindona si trova a dover fronteggiare la marea montante dei debiti, Andreotti, suo garante politico, non è più in grado di difenderlo, magistrati italiani e statunitensi lo braccano. Simula il proprio rapimento, con l'aiuto della famiglia mafiosa dei Gambino, si rifugia in Sicilia, in casa di Rosario Spatola, fa uccidere l'avvocato Ambrosoli, liquidatore della sua Banca privata italiana, tenta di far assassinare Cuccia, finché viene imprigionato e condannato all'ergastolo.
Benché "sottoposto a ferreo controllo" muore in carcere bevendo una tazzina di caffè avvelenato . L'azione dell'avvocato milanese, Giorgio Ambrosoli, raccontata anche dal romanzo di Corrado Stajano Un eroe borghese, è il primo serio tentativo di fare luce sull'intreccio finanza, mafia e politica; ma Ambrosoli è lasciato solo a combattere una battaglia, che vedeva, come avversari, le stesse istituzioni. Dirà La Malfa «Mezza Italia si era mossa per salvare Sindona»; nessuno si muove per salvare Ambrosoli.
La storia di Sindona si intreccia con quella di tre altri personaggi: Roberto Calvi , il banchiere, che, nella prima metà degli anni settanta, coinvolge il Banco ambrosiano, da lui diretto, in una serie di operazioni finanziarie illecite come il riciclaggio del danaro della mafia, che portano l'istituto al dissesto, Gelli, maestro venerabile della loggia P2 e Marcinkus, il banchiere del Vaticano, che con l'Istituto per le opere religiose (Ior) aveva aiutato Calvi nell'esportazione illegale di danaro. Le autorità vaticane, pur accettando di risarcire i creditori del banco ambrosiano rivendicano l'immunità rispetto alle leggi italiane e si rifiutano di aiutare i magistrati italiani nelle indagini. Osserverà Eugenio Scalfari che ciascuno dei quattro portava alla consorteria una dote: Gelli, i servizi deviati, Sindona, la mafia, Marcinkus, la finanza cattolica, Calvi, i risparmi degli investitori. I magistrati milanesi, intanto, cercando le prove di collegamento tra Sindona, Calvi e Gelli, in una perquisizione nei domicili e uffici di Gelli si imbattono nell'elenco degli iscritti alla loggia massonica segreta P2.
10.1 Il riflusso di destra
All'inizio degli anni settanta, dopo quasi dieci anni di centro-sinistra, si riscontra in Italia un riflusso di destra. In Calabria, nel 1970, scoppia la "rivolta di Reggio"; nella notte tra il 7 e l'8 dicembre 1970 avviene il tentativo di colpo di stato di Valerio Borghese; nel 1971, l'Msi si collega alle marce della cosiddetta "maggioranza silenziosa", che hanno come epicentro Milano dove si fa luce un leader della Dc cittadina, Massimo De Carolis. Nelle elezioni regionali in Sicilia e amministrative a Roma e a Bari (13 giugno 1971) l'ondata di destra è violenta, specie a Roma e in Sicilia (dove l'Msi raggiunge il 16,3% dei voti). La Dc pendola tra blocco d'ordine e centro-sinistra, ma alla fine prevale la denuncia degli opposti estremismi e la conferma dell'accordo con i socialisti.
Nel dicembre del 1971, alla conclusione del mandato presidenziale di Giuseppe Saragat, la compagine governativa mostra, ancora, il livello di litigiosità. Saragat è il candidato di Psdi, Pri e Pli, Fanfani, della Dc e dei nostalgici del "blocco d'ordine" (ma anche Moro affila le sue armi) e De Martino è il candidato di Psi e Pci. Cefis, che è stato partigiano con Longo, cerca di convincere il segretario del Pci di votare per Fanfani, mentre Bernabei si fa promotore, tramite il senatore Dosi, della raccolta, negli ambienti milanesi, di un miliardo da dare alle segreterie di Pri, Psdi, Pli per ammorbidire la loro resistenza a Fanfani (Bernabei, 1999). Longo accetta, a patto che risulti chiaro un asse Dc-Pci nella nomina, ma i dorotei si oppongono con forza e l'accordo con il Pci sfuma. Nel frattempo i socialdemocratici tedeschi offrono 200 miliardi al Pci perché voti a favore di Saragat; con questo finanziamento il Pci avrebbe potuto affrancarsi da Mosca e dall'ala filosovietica di Cossutta che teneva i "legami" con il Pcus. Il Politburo si oppone all'ipotesi che il Pci prenda soldi dalla socialdemocrazia tedesca e anche le chance di ricandidatura di Saragat cadono (Bernabei, 1999). Dopo venti ballottaggi la Dc lancia un candidato di compromesso, sia pure del tipo "blocco d'ordine", Giovanni Leone, che viene eletto, al ventitreesimo ballottaggio, il 24 dicembre 1971, per solo 13 voti dal quorum, grazie all'Msi.
Dopo l'elezione di Leone, Colombo rassegna le dimissioni, a causa della sconfitta del centro sinistra nell'elezione del presidente; l'incarico viene affidato ad Andreotti, che, nelle sue evoluzioni politiche, si ripresenta come uomo di destra, in grado di recuperare i voti emigrati nell'Msi. Il 17 febbraio 1972, il monocolore Dc, con il primo Andreotti (17/2/72-26/6/72), non ottiene la fiducia; Leone, rinnova l'incarico ad Andreotti, scioglie anticipatamente le camere, cosicchè la Dc può presentarsi alle elezioni con un governo tutto democristiano, sotto la bandiera della lotta agli opposti estremismi.
Nel marzo '72, il XIII congresso del Pci, nomina Luigi Longo, debilitato da un ictus cerebrale, presidente del partito e ne affida la segreteria a Enrico Berlinguer. Racconta Folena, allora, uno dei giovani, che sentivano lontano il mondo sovietico e che credevano nella via italiana al socialismo, «Quegli anni li sentimmo come la cavalcata irresistibile di una strategia di rinnovamento, come uno sviluppo che sembrava già giunto al suo ultimo stadio» (Folena, 1997). Invece la storia avrebbe riservato amare sorprese: la lotta contro il terrorismo rosso, la lunga serie di insuccessi elettorali, la sensazione di invecchiare portandosi addosso la maledizione della sconfitta.
Alle elezioni del 7 maggio del 1972, la Dc, presentandosi come il partito della "centralità", mantiene un buon 38,7% dei voti, la sinistra subisce una sconfitta, mentre i vincitori sono a destra: l'Msi-Dn conquista infatti quasi il 9% dei voti. Il segretario dell'Msi-Dn, Giorgio Almirante, ha proposto all'elettorato un'accorta selezione di candidati: figure istituzionali, come il generale De Lorenzo e l'ammiraglio Birindelli e agitatori, legati all'ideologia fascista, come Rauti e Saccucci. Ma il disegno della grande destra fallisce poiché, nel 1977, Dc e P2 favoriscono la fondazione di Democrazia nazionale , nella quale confluisce metà del gruppo dirigente dell'Msi. «Il famoso progetto di rinascita democratica di Licio Gelli prevedeva appunto la scissione dell'Msi e la nascita di una destra affidabile» (Vespa, 1999).
Coerentemente con la voglia di destra, uscita dalle urne, il 26 giugno 1972, viene costituito il secondo gabinetto Andreotti (26/6/72-7/7/73 ), un governo di "centralità democratica", detto anche governo "Andreotti-Malagodi" (Dc, Pli e Psdi, appoggio esterno del Pri e Psi all'opposizione); la svolta a destra della Dc è solo tattica, serve a «tranquillizzare l'elettorato conservatore e togliergli la voglia di correre avventure nostalgiche» (Bernabei, 1999). Giova ricordare una serie di avvenimenti: De Martino, segretario del Psi spinge per un accordo con il Pci, le brigate rosse iniziano le loro azioni terroristiche con il sequestro Sossi, alla segreteria del Pci arriva Berlinguer che inizia a parlare di apertura ai cattolici, Marcora e Fanfani attaccano duramente la politica economica di Andreotti. Pertanto, dopo avere soddisfatto l'elettorato moderato, il pendolo della politica della Dc riprende a muoversi verso sinistra in cerca dell'accordo con lo Psi e della benevolenza del Pci. È anche necessario l'appoggio dei sindacati al fine di contrastare le spinte inflazionistiche sulla lira, che Andreotti è stato costretto a fare uscire dal serpente monetario europeo (13 febbraio 1973).
Se la strage di Piazza Fontana aveva aperto la stagione delle stragi, l’assassinio del commissario Calabresi, il 17 maggio 1972, apre la stagione delle esecuzioni mirate da parte di gruppi terroristici. D’altronde Lotta continua aveva condotto contro il Commissario finestra un forsennata campagna scrivendo «Il proletariato ha già emesso la sua sentenza: Calabresi è responsabile dell’assassinio di Pinelli e Calabresi dovrà pagarla cara». Solo nel 1988 un ex di Lotta continua, Leonardo Marino, confessa di aver partecipato all’agguato e indica i complici, Ovidio Bompressi, l’autore materiale del delitto, Adriano Sofri e Giorgio Pietrostefani, che furono condannati a 22 anni di carcere.
Nel maggio del 1973, Gianfranco Bertoli getta una bomba tra la folla che, alla questura di Milano, celebra l'anniversario dell'omicidio Calabresi, facendo 4 morti e 53 feriti; passeranno anni prima di scoprire che, probabilmente, oggetto dell'attentato non era la folla, ma Rumor. Dietro Bertoli, informatore del Sifar, prima e del Sid, poi, ci sarebbe stato Ordine Nuovo. Secondo il gruppo terroristico veneto e i suoi ispiratori, la strategia della tensione, con il suo carico di sangue avrebbe dovuto convincere Rumor a dichiarare lo stato di emergenza. L'attentato a Rumor sarebbe stato una sorta di rappresaglia contro l'uomo che, in un momento ritenuto favorevole, avrebbe impedito la realizzazione del piano orchestrato da Ordine Nuovo. Vincenzo Vinciguerra, reo confesso della strage di Peteano, ordinovista di rango, dichiarerà a Sergio Zavoli «Nell'estate del '71 vennero a Udine Carlo Maggi e Delfo Zorzi per propormi di eliminare Mariano Rumor. Rifiutai ….» (Zavoli, 1999). Bertoli confutò sempre questa versione dei fatti.
10.2 Il pendolo della politica
Il 5 giugno del '73, Fanfani, Moro e Rumor si mettono d'accordo, e, con il "patto di palazzo Giustiniani", sanciscono il rilancio del centro-sinistra e la nomina di Fanfani alla segreteria, per una "gestione forte" del partito, che consenta di muoversi lungo la linea pendolare dell'anticomunismo e dell'utilizzazione strumentale del Pci, come fattore di controllo delle tensioni sociali (Galli, 1993). Al XII Congresso, del 6-10 giugno, la relazione di Fanfani viene approvata all'unanimità. Il 7 luglio '73, si ritorna, quindi, con il quarto gabinetto Rumor, alla formula del '63 (Dc, Psi, Psdi e Pri; 7/7/73-14/3/74) e il centro-sinistra galleggia ancora stancamente con il quinto Rumor (tripartito Dc, Psi, Psdi; 14/3/74-23/11/74).
Il 12 maggio 1974, gli italiani votano no al referendum sull'abrogazione del divorzio (una severa sconfitta per Fanfani che si è battuto con forza a favore dell'abrogazione per catturare il consenso dei moderati), e, in giugno, la Dc viene sconfitta alle elezioni regionali sarde. Nel mese di maggio ’74, durante una manifestazione antifascista, avviene la strage della Loggia a Brescia, fa otto morti e centotré feriti, nell’agosto si consuma l’attentato all’Italicus, in giugno, due missini di Padova vengono uccisi dalle brigate rosse.
Fanfani, per cercare di superare le difficoltà, tenta di riportare la Dc su posizioni di blocco d'ordine; il socialdemocratico Tanassi gli fa da battistrada, chiedendo l'uscita dello Psi dal governo. Rumor è costretto a dimettersi e Leone affida l'incarico a Fanfani. Ma la Dc non se la sente di rompere nuovamente con i socialisti, boccia l'ipotesi di governo Fanfani e l'incarico viene affidato alle doti di mediazione di Moro. Questi, per sottrarsi alla scelta tra Psdi e Psi, vara il quarto gabinetto Moro, un bicolore Dc-Pri con l'appoggio esterno di Psi e Psdi (23/11/74-12/2/76). Scopo della Dc è guadagnare qualche mese nell'immobilismo, operazione nelal quale Moro è maestro, mentre Fanfani si prepara ad affrontare le elezioni regionali e provinciali della primavera '75, «scegliendo, questa volta, anziché il tema del divorzio, quello dell'ordine pubblico » (Galli, 1993), mentre i comunisti impostano la loro battaglia con lo slogan delle "mani pulite".
Il 15 giugno 1975, la Dc esce sconfitta dalle elezioni regionali, con il 35% dei voti, con il Pci che la tallona con il 33% (la sinistra, complessivamente, si assesta a soli tre punti sotto il 50%). I democristiani ora non sono più disposti a seguire Fanfani sul percorso del "blocco d'ordine" e gli fanno pagare l'intransigenza tenuta nella campagna antidivorzista e la sconfitta alle regionali. Cosicché, al consiglio nazionale del giugno '75, Moro, da grande prestidigitatore, estrae dal cilindro, il nome di Benigno Zaccagnini, il segretario che dovrebbe dare la certezza della volontà di rinnovamento della Dc ed «esprimere l'oscillazione della Dc verso il Pci» (Galli, 1993).
Zaccagnini viene salutato dai suoi sostenitori al canto di Bella Ciao, quasi a rappresentare una continuità con i valori della resistenza; peraltro alla presidenza viene nominato Fanfani per testimoniare, invece, la continuità di una linea politica che escluda collaborazioni con il Pci. Nel dicembre del '75, De Martino toglie l'appoggio al governo Moro e chiede la costituzione di un governo di emergenza che ottenga l'appoggio del Pci. La Dc rifiuta e vara il quinto governo Moro, un monocolore Dc (12/2/76-31/7/76).
Nel marzo '76 si apre, a Roma, il XIII congresso della Dc, che vede contrapposti due schieramenti quasi equivalenti come forze, quello della segreteria e il Daf (dorotei, andreottiani e fanfaniani), che presentano, per la segreteria, due candidature contrapposte, Zaccagnini, che viene riconfermato con il 51,6% dei voti e Forlani. A questo punto alla Dc si presentano due alternative, o avviare un dialogo con i comunisti, o andare alle elezioni anticipate. Prevale questa seconda ipotesi e la campagna elettorale del giugno 1976 viene condotta dalla Dc, puntando sul pericolo di vittoria delle sinistre. Il Pci non è già più di moda, industriali e grande stampa si sono spaventati del risultato ottenuto dai comunisti nel '75; per dare un segno tangibile della sintonia con la Dc, Confindustria offre la candidatura di Umberto Agnelli, dopo che il fratello Gianni ha rifiutato di presentarsi come candidato del Pri, nelle cui liste entra, invece, la sorella Susanna.

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Eugenio Caruso - 4 settembre 2018


Tratto da

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www.impresaoggi.com