Italia: vizi e virtù. Le politiche economiche negli anni settanta ottanta


In copertina: Annibale Carracci "il vizio e la virtù"

Italia: vizi e virtù
Eugenio Caruso
Impresa Oggi Ed.

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19. Le politiche economoche negli anni settanta ottanta
Come già viso, il quadro economico del Paese è sconvolto dalla crisi del periodo '73-'76; la dipendenza della nostra economia dagli idrocarburi rivela tutto il suo costo e la sua pericolosità. Si tenta una programmazione industriale, ma alle chiacchiere non seguono i fatti se non nel salvataggio di industrie e banche in crisi. Nella politica di salvataggio viene coinvolta principalmente la chimica di base (Montedison, Sir e Liquichimica finiscono all'Eni per strade diverse), l'Efim persegue autonome politiche espansive creando gravi squilibri economici e finanziari, i fondi di dotazione raggiungono, nel 1978, quasi il 25% dei trasferimenti complessivi alle imprese. L'intervento di sostegno alle imprese si caratterizza, quindi, per una forte componente "assistenziale" a società non più remunerative, in settori obsoleti. Le stime sui ritorni economici che sarebbero entrati nelle casse dello stato dalla nazionalizzazione del settore elettrico si rivelano utopistiche, anzi, anche l'Enel entra in una crisi finanziaria di tale gravità che impone, nel 1973, la costituzione di un fondo di dotazione. Il settore, in mano privata produceva "vergognosi" utili per gli azionisti, in mano pubblica produce "democratici" debiti a carico del Paese.
A seguito della prima crisi petrolifera tutti i maggiori paesi industrializzati avviano politiche di diversificazione delle fonti energetiche, per ridurre la dipendenza dall'estero; l'Italia che è il Paese con la massima dipendenza tra tutti quelli industrializzati, vara, come già detto, una serie di piani energetici, che prevedono ambiziosi programmi nucleari. Ma tutto resta solo sulla carta. Nel giugno 1979, l'Eni, sotto la presidenza del socialista Mazzanti, firma con Petromin, l'organismo pubblico che in Arabia saudita tratta le forniture di greggio, un contratto triennale. Petromin si impegna a fornire all'Eni 91 milioni di barili di petrolio in tre anni, al prezzo di diciotto dollari al barile. Nello scontro politico in atto tra andreottiani, sinistra Dc, craxiani e sinistra socialista, a qualcuno conviene far trapelare l'informazione che per quella fornitura è stata pattuita una tangente di un dollaro e venti centesimi al barile, in parte destinata ai mediatori sauditi, ma, in parte, finita nelle casse dei partiti italiani.
Le trattative con i paesi del medio oriente, e non solo, prevedono l'uso istituzionalizzato della tangente ai mediatori locali; quello che emerge nell'affare Petromin è che l'Eni gonfiava le tangenti per finanziare i partiti. Le strade per mettere le mani sui soldi degli italiani sono infinite.
Il solo centro di potere, del Paese, che spinge per un "ritorno al capitalismo puro" è Mediobanca che tenta di rimettere in linea di navigazione «le due uniche corazzate di cui disponeva il nostro asfittico sistema imprenditoriale: Fiat e Montedison» (Galli, 1996). I primi risultati Cuccia li ottiene a Torino; prima, in collaborazione con la Deutsche Bank, porta, nel 1976, agli Agnelli superindebitati 415 milioni di dollari di investitori libici, e, poi, suggerisce di affidare i pieni poteri della Fiat a Cesare Romiti cui viene affidato il compito di riportare ordine e produttività nelle fabbriche gestite tra lo strapotere del sindacato e l'inefficienza del management.
Nel 1981, Mediobanca conduce in porto l'operazione "privatizzazione della Montedison", contando sull'appoggio di Mario Schimberni, che ha mosso i primi passi in Bpd a fianco di Romiti, e al quale, dopo il fallimento di Cefis, è stato affidato, nella Montedison, lo stesso incarico di Romiti alla Fiat. L'operazione ha l'appoggio del ministro delle partecipazioni statali, Gianni De Michelis, amico di Schimberni. Un gruppo di privati (Agnelli, Carlo Bonomi, Marzotto, Orlando, Pirelli) acquista, da Montedison, Gemina (una scatola vuota riempita delle quote Iri ed Eni di Montedison), che, con meno del 20% del capitale, diventa il socio di riferimento. Nel 1984 viene annunciato il "sostanziale pareggio di bilancio" della Montedison; anche questa volta, però, l'impresa non vede un serio processo di risanamento, ma solo un inbellettamento (dovuto, sia a un'economia drogata dall'inflazione, sia a una capitalizzazione della borsa trainata dal boom thatcher-reaganiano); il trucco non viene scoperto subito, ma, alle prime difficoltà, risulterà una situazione industriale molto pesante.
Nel 1986 Raul Gardini, alla guida dell'impero dei Ferruzzi, si impossessa della Montedison, alla cui presidenza siede sempre Schimberni, e, da quel momento, iniziano, per il "corsaro di Ravenna", una serie di eventi negativi, che culmineranno con il fallimento di Enimont, la joint-venture pubblico-privato, lo scandalo delle tangenti e il disastro del gruppo Ferruzzi.
La vita della Montedison sarà ancora travagliata; la Ferfin, nell'estate del '93, si trova sull'orlo del crack. Nella finnaziaria dei Ferruzzi vengono a galla 31.500 miliardi di debiti consolidati, oltre a diversi ammanchi in società estere; in quel drammatico mese di giugno, nel pieno delle inchieste giudiziarie su tangentopoli, i Ferruzzi decidono di consegnare a Mediobanca le chiavi del gruppo ritenendo quella decisione come l'unica strada per il risanamento. La Ferfin viene affidata a Guido Rossi, presidente (sostituito poi da Lucchini) e a Enrico Bondi, amministratore delegato. Con la regia di Mediobanca viene elaborato un piano di ristrutturazione del debito che prevede: restituzione immediata del debito nei confronti dei creditori esteri, rinuncia da parte delle banche nazionali a parte dei crediti e degli interessi, conversione dei crediti residui in capitale, dismissioni di alcune attività che portano 10.000 miliardi in cassa. Da quel momento, istituti bancari e privati vicini a Mediobanca detengono il controllo della Ferfin. Nel luglio del '96, la Ferfin viene ribattezzata Compart; la Compart, nel novembre 2000, incorpora Montedison e cambia il proprio nome in quello della sua incorporata. Il nocciolo di controllo della Nuova Montedison sarà costituito, nel novembre 2000, da Mediobanca 13,5%, Banca di Roma 8%, San Paolo-Imi 6,7%, Gruppo Tassara 5,4%, Generali 4,7%, Italmobiliare 3%, Caltagirone 1,8%, Serfis 1,8%. Il 3 ottobre 1997 la Banca d'Italia e L'Antitrust (guidata da Amato) avviano un'indagine sul piano di risanamento del gruppo Ferruzzi; l'indagine mette in evidenza due semplici realtà. Uno, nel 1993, con la vendita delle attività del gruppo, Ferfin sarebbe stata in grado di pagare i propri debiti senza necessità di azzerare i capitali, due Mediobanca, che aveva ricevuto l'incarico del risanamento del gruppo, invece di muoversi in tale direzione, ha operato per sottrarre il gruppo al controllo dei Ferruzzi (Geronimo, 2002).
Nel decennio degli anni settanta, nei paesi più industrializzati i modelli keynesiani dell'economia entrano in crisi e si affermano le teorie liberiste dei Chicago-boys che ispireranno le politiche di Margaret Thatcher e Ronald Reagan. Nel 1974, il premio nobel per l'economia va a Friedrich Hayek, il profeta del liberismo, che afferma «Seguendo le tradizioni morali sorte spontaneamente e sottostanti all'ordine concorrenziale del mercato ... noi possiamo generare e raccogliere una quantità di conoscenza e di ricchezza più grande di quella che potrebbe essere ottenuta e utilizzata in un'economia diretta centralisticamente ... ». Il centralismo economico e i "dinosauri" di stato hanno invece grandi estimatori in Italia, dove nell'indifferenza di un'opinione pubblica rassegnata e drogata da media corrivi e correi si realizza un colossale spreco di risorse umane e materiali che non ha uguali nel mondo.
19.1 I dati macxroeconomici
La caratteristica principale macroeconomica degli anni settanta riguarda il processo inflazionistico. L'inflazione, tra gli anni quaranta e sessanta, era considerata un fenomeno episodico. Di ampie dimensioni, come nel '46-'47, oppure di dimensioni limitate, come nel '51 e nel '62-'63, ma episodi che svolgevano la funzione di redistribuire il reddito tra imprese e famiglie. Nel corso degli anni settanta, l'inflazione diventa un fenomeno con caratteristiche permanenti e strutturali; la formulazione di corrette aspettative di inflazione diventa lo strumento principale per un qualsiasi contratto. I comportamenti che differenziano l'economia italiana degli anni settanta dalle altre economie europee hanno le proprie radici nelle decisioni di politica economica e sociale prese a metà degli anni '60, con la riforma del sistema pensionistico e con il sostegno diffuso a imprese e lavoratori in difficoltà.
È un principio di governo imperniato sull'obiettivo di stabilizzare, in modo dirigistico, il livello dell'attività economica, sull'irrilevanza dell'equilibrio del bilancio dello stato, sulla subordinazione di tale bilancio a qualunque domanda di protezione proveniente dal sistema sociale o da quello economico, sulla politica di incentivazione dei consumi.
Nel marzo del 1979, con l'adesione dell'Italia al Sistema monetario europeo (Sme), viene posto il primo elemento embrionale per una nuova filosofia di governo dell'economia (Onofri, 2001). Il riassorbimento degli effetti del primo shock petrolifero aveva richiesto circa cinque anni e si era concluso nel '78 con un tasso di inflazione del 12%, molto più elevato di quello degli altri paesi europei. L'adesione allo Sme rappresenta, anche, l'ammissione politica che la salvezza per la nostra economia non può che venire dalle condizioni e dai vincoli stringenti che tale adesione ci impone.
Il lungo periodo, dal '78 al '92, che sarà necessario per debellare l'inflazione nel nostro Paese, mostra la viscosità del sistema politico al cambiamento. Una volta, infatti, che gli attori politici si rendono conto che il sistema degli incentivi è un ottimo strumento per risolvere qualsiasi tipo di difficoltà essi incorporano nel proprio dna la predisposizione alla soluzione dei problemi, prevalentemente, con strumenti inflazionistici.


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Eugenio Caruso - 26 novembre 2018



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