Un avatar per sconfiggere il tumore al cervrllo. Intervista ad Antonio Iavarone

L’immunoterapia può essere efficace nel trattamento di alcuni tumori al cervello. Questa è l’ultima scoperta del team della Columbia University guidato da Antonio Iavarone ed Anna Lasorella. I ricercatori che agli inizi del 2018 avevano identificato, grazie allo studio accurato di una fusione genica, il motore che fa crescere alcuni tipi di cancro, hanno appena identificato tumori su cui utilizzare molecole e cellule del sistema immunitario del paziente al posto di una tradizionale terapia farmacologica. Si tratta di una scoperta - spiega Iavarone al sito di Aspen - che può avere immediate ricadute terapeutiche, grazie alla creazione in laboratorio di un avatar realizzato con le cellule tumorali del paziente su cui testare la cura.

Quali sono i risultati del vostro ultimo studio?

Secondo le nostre ricerche, un tipo di tumore al cervello, che si manifesta in pazienti affetti da Neurofibromatosi di tipo 1 (NF1), potrebbe essere trattato con immunoterapia, una forma di trattamento che agisce stimolando il sistema immunitario del paziente e che finora si è dimostrata inefficace nel trattamento della maggior parte dei tumori cerebrali. Questa conclusione è stata raggiunta grazie ad analisi molecolari molto dettagliate effettuate sui tumori al cervello, insorti in bambini e adulti affetti da una delle sindromi genetiche più frequenti, la cosiddetta NF1, una malattia che predispone i soggetti affetti a sviluppare tumori del sistema nervoso periferico e del cervello. Le analisi ci hanno rivelato, all’interno di questo tipo di tumori, un’infiltrazione di cellule immunitarie, in particolare di linfociti. Così, anziché bersagliare il tumore con una terapia farmacologica, è possibile provare a rafforzare le cellule immunitarie presenti.

Quali tecnologie avete utilizzato per le vostre analisi?

La chiave di questa ricerca, come anche in quelle da noi condotte su altri tumori del cervello, è stata l’uso dell’intelligenza artificiale per identificare quelle che sono le caratteristiche più importanti della formazione e della crescita del cancro. Il nostro obiettivo è comprendere le caratteristiche principali dell’aggressività di ciascun tumore. Intendo con questo l’analisi personalizzata delle cellule tumorali di ciascun paziente, perché ogni paziente è un caso a sé e come tale va studiato. Per questo, in una ricerca come la nostra, è necessario analizzare una grande quantità di dati che abbiamo raccolto grazie a una rete di 25 istituzioni in tutto il mondo, fra cui anche l’Istituto Besta di Milano e l’Ospedale Bambin Gesù di Roma.

Questo metodo viene utilizzato anche dal punto di vista terapeutico?

Certamente, dal punto di vista terapeutico lo studio personalizzato del cancro è fondamentale perché quanto maggiore è la quantità di dati su ogni tumore e sul singolo paziente, maggiore è la possibilità di identificare una soluzione terapeutica mirata ed efficace. Insieme alla raccolta dei dati un altro elemento altrettanto importante è la creazione di quello che noi definiamo l’avatar del tumore. Dalle cellule tumorali estratte in sala operatoria generiamo una rappresentazione del tumore che facciamo crescere in laboratorio per testare le possibili soluzioni terapeutiche. Questi avatar tumorali sono strutture tridimensionali chiamate “organoidi” e mantengono le stesse alterazioni genetiche e molecolari presenti nel tumore vero e proprio del singolo paziente.  Questo strumento può offrire riscontri sulla terapia più efficace da eseguire in un tempo abbastanza breve, diciamo un paio di mesi. Tutto ciò, però, è possibile solo se i laboratori di ricerca si trovano sul territorio e sono accessibili ai pazienti.

Il network di 25 istituzioni con cui avete realizzato la vostra ricerca offre queste possibilità terapeutiche?

Al momento si tratta di una collaborazione basata sulla raccolta dei dati provenienti dalle biopsie: nell’ultima ricerca abbiamo studiato i tumori retrospettivamente, senza scopi terapeutici. Tuttavia torno frequentemente in Italia e uno dei miei obiettivi è far comprendere la necessità di creare sul territorio centri capaci di avere questo approccio integrato e personalizzato alla cura del cancro. A questo proposito è necessario conservare le cellule tumorali asportate nelle biopsie e analizzarle per sviluppare terapie mirate.

Nel nostro network esistono centri di grande eccellenza da cui altri possono prendere spunto: penso al Samsung Medical Center di Seoul, istituzione unica al mondo nella capacità di screening personalizzato dei tumori. L’obiettivo a più ampio raggio del nostro lavoro, del resto, rimane proprio quello di diffondere nel mondo i metodi e le tecnologie che utilizziamo alla Columbia e arrivare nel breve termine almeno alla creazione di un centro europeo capace di utilizzare dati e tecnologie per la cura personalizzata del cancro.

Come prosegue la vostra ricerca?

Tanto l’identificazione della fusione genica fra FGFR3 e TACC3 - oggetto dello studio pubblicato lo scorso anno su Nature - così come la più recente ricerca sui tumori al cervello dei pazienti con NF1 hanno in comune il metodo. In buona sostanza con l’analisi dei dati e la creazione di mappe genetiche e molecolari molto accurate dei tumori andiamo a indagare i diversi tipi di cancro, rivolgendo particolare attenzione a quelli del cervello che, per la difficoltà di intervenire chirurgicamente, sono al momento più difficili da trattare. In un caso l’indagine ci può portare ad identificare una fusione genica che innesca alcuni tipi di tumori, in un altro a scoprire alcuni tipi di cancro su cui si può intervenire con l’immunoterapia. La costante è la totale mancanza di una routine sostituita da un’attenzione personalizzata e dallo studio dei singoli casi; una pratica resa possibile proprio dalle tecnologie e dalle capacità computazionali dei nostri laboratori.


www.aspeninstitute.it 19 febbraio 2019

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