Evoluzione del concetto di capitale

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Se la nuova economia si sviluppa attraverso trasformazioni epocali dell’impresa, del cliente, del mercato, a maggior ragione si caratterizza per una drastica trasformazione del capitale, l’elemento fondante dell’economia capitalista. Infatti, nella nuova economia, è il capitale intellettuale l’asset più ambito; sono le idee, i concetti, le immagini le componenti essenziali del valore, non i beni materiali.
Le imprese stanno vendendo immobili, riducendo le scorte, noleggiando gli impianti produttivi, terziarizzando le attività, in una corsa verso l’impresa virtuale, verso forme organizzative più adatte a sostenere le sfide della nuova economia; questa infatti impone alle imprese, come sostengo da tempo, “una flessibilità che poggia sull’eccellenza di tre componenti: leadership, creatività e capacità di lanciarsi rapidamente su nuove opportunità di business”.
S’è detto che i paradigmi della vecchia economia iniziano a sgretolarsi; il XXI secolo vede infatti la proprietà, l’acquisto, lo scambio cedere il passo all’accesso temporaneo a beni o servizi e il mercato cedere il passo alle reti; la trasformazione dal capitalismo industriale e post-industriale al capitalismo della conoscenza sta già mettendo in discussione molti degli assunti economici validi fino a ieri.
I rapporti proprietari, gli scambi di mercato, l’accumulazione materiale vengono lentamente erosi per lasciare spazio a una società in cui la cultura, l’accesso, il tempo, i commons, la vita di ciascuno diventano le più importanti risorse economiche.
Giova notare che negli ultimi 20 anni molte imprese sono scomparse dalla classifica Top 500 Fortune proprio perché non hanno saputo operare questa trasformazione.

I commons sono spazi istituzionali, nei quali possiamo esercitare un tipo particolare di libertà imprenditoriale, e cioè la libertà dai limiti che accettiamo normalmente come precondizioni necessarie ai mercati convenzionali.

Nella nuova economia anche il denaro si sta smaterializzando, grazie alle carte di credito, alle banche on-line, alle borse telematiche; osserva Kurtzman, nel suo The death of money, che “l’equivalente del prodotto mondiale annuo passa, in un giorno, attraverso i network di New York” e che “la nuova moneta, priva di materia, è niente più che un insieme di codici binari ……. lanciato attraverso migliaia di chilometri di cavi, risucchiato nelle autostrade a fibre ottiche, rimbalzato verso satelliti e palleggiato da una stazione di collegamento all’altra”. Eppure, una volta, il denaro doveva essere solido e pesante; il termine capitale infatti ha come radice etimologica la parola caput, ossia capo di bestiame, uno strumento usato per effettuare scambi commerciali, così come il sale, il pepe, le pezze di tessuto, il cacao, il tabacco, le pellicce, i metalli. Rame, oro e argento hanno rappresentato la forma più diffusa e duratura di moneta, essendo questi usati per coniare, durante gran parte della storia del mondo occidentale.
Solo tra il XVI e il XVII secolo iniziano a circolare lettere di credito e banconote che segnano l’inizio del percorso verso la smaterializzazione del denaro, che avrà il suo definitivo momento di ufficializzazione quando, il 15 agosto 1971, Nixon pone fine all’intercambiabilità oro/ dollaro.
S’è detto che capitale deriva da caput; ebbene, considerando che il capitale intellettuale sta progressivamente sostituendo il capitale materiale, possiamo affermare che mai come oggi è valida l’origine etimologica della parola, dove i capi di bestiame sono stati sostituiti dalle teste dell’uomo. Nell’economia dei mercati le istituzioni che accumulavano capitale monetario detenevano il controllo dello scambio di beni tra venditori e compratori; nell’economia delle reti i soggetti che accumulano capitale intellettuale detengono il controllo dell’accesso a conoscenze, idee ed esperienze. Già oggi, il quinto più ricco della popolazione mondiale spende, per garantirsi l’accesso alla conoscenza, quasi quanto spende per acquistare manufatti e servizi di base.
Nel mondo dell’industria e del commercio i vecchi giganti dell’era industriale (General Electric, General Motors, Ford, Boeing) stanno cedendo la leadership ai nuovi giganti del capitalismo basato sulla conoscenza (Apple, Microsoft, Facebook, Google).
Molti economisti oramai teorizzano che, per un’impresa, il possedere beni di produzione non ripaga ed è anzi una palla al piede che impedisce di passare velocemente da una linea di business a un’altra, e che il capitale inteso come “stock di capacità” deve lasciare il passo al capitale just-in-time, che permette “l’accesso alla capacità” in base alle necessità del business in atto. Una regola suggerita agli imprenditori è: “Nel dubbio, fallo fare ad altri”; l’outsourcing permette infatti all’azienda sia di concentrarsi su quello che deve fare per realizzare profitti, sia di godere di un servizio impeccabile, realizzato da imprese superspecializzate e a costi ridotti.
Questa transizione dagli asset materiali a quelli immateriali è una spiegazione del fatto che piccole imprese con buone idee riescano in pochi anni a raggiungere fatturati di tutto rispetto.

Eugenio Caruso - 30 maggio 2019

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