Il governo D'Alema nel 1998 e i rivolgimenti politici in Europa


In copertina: Annibale Carracci "il vizio e la virtù"

Italia: vizi e virtù
Eugenio Caruso
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39. L'assetto politico dal 1994 al 1998

39.13 Il governo D'Alenma nel 1998 e i ribaltamenti politici in Europa

Il 1997 si apre all'insegna delle iniziative del segretario del Pds; D'Alema ottiene, il 5 febbraio, la nomina a presidente della Bicamerale per le riforme istituzionali, grazie all'accordo con il Polo, e successivamente, sempre nel mese di febbraio, a Roma, ottiene l'investitura definitiva dal congresso nazionale del partito, con una maggioranza dell'88%.
I due episodi rappresentano due tappe significative della politica del Paese. Il primo dovrebbe porre le basi per la riforma dello stato, il secondo segna un passo avanti nella direzione della trasformazione del Pds in un partito socialdemocratico. L'Italia, con la Grecia, è dichiarata inadempiente al parametro di Maastricht, riguardante il rapporto tra deficit e pil, per il 1997, e, per il momento, è esclusa dall'ammissione alla moneta unica. I giochi di prestidigitazione del governo Prodi non hanno ingannato i funzionari dell'Ue, che non accettano soluzioni tampone, pannicelli e una tantum, ma vogliono che il deficit di bilancio sia curato con interventi strutturali. Il presidente Scalfaro, che, con spirito patriottardo, si è sobbarcato l'onere della difesa della patria, contro i nemici interni ed esterni, si scaglia contro i «ragionieri di Bruxelles», che, a suo dire, non avrebbero compreso il valore dello sforzo italiano.
Svolta storica in Gran Bretagna nel 1997; dopo diciotto anni di dominio conservatore, che ha consentito di ricostruire la Gran Bretagna, con le regole del mercato, dell'efficienza e del contenimento del potere delle trade unions, i laburisti tornano al potere, conquistando ben 419 seggi su 659. Tony Blair, il leader del New Labour, ottiene una vittoria strepitosa su John Major che è costretto a dimettersi dalla presidenza del partito e dal partito stesso. I tories registrano la più grave sconfitta ai Comuni, dal 1906, portandovi solo 165 deputati e risultando praticamente cancellati in Scozia e Galles. Gli analisti politici italiani e stranieri commentano questo risultato, sottolineando come esso contenga un implicito tributo a Margaret Thatcher. La politica della lady di ferro ha infatti reso sterili i vecchi programmi della sinistra inglese, costretto Blair a prenderne atto e a fare proprie le idee del liberismo; anche il ridimensionamento del potere sindacale ha favorito la svolta liberista del partito. Quando, nel 1979, la Thatcher era diventata primo ministro, la Gran Bretagna era un Paese in decadenza, caratterizzato da disoccupazione, ristagno economico, rigidità del mercato del lavoro, deficit pubblico, anomalo potere delle trade unions. Io che per ragioni di lavoro sono stato spesso in Gran Bretagna negli anni ottanta e novanta ho potuto constatare di persona la trasformazione di un paese vecchio e attaccato ai ricordi della passata grandezza in un paese moderno e capace di sfidare il mondo. Dopo diciotto anni di governo conservatore, il Paese ha ridotto drasticamente la disoccupazione, rafforzato la moneta e abbattuto il debito pubblico, ma, quel che più conta è il Paese più dinamico della vecchia Europa. I labouristi non avrebbero potuto non tenere conto di questa realtà. Il confronto con la sinistra oggi al potere in Italia è disastroso, ma, osserva Angelo Panebianco sul Corriere, «… un Blair può esistere solo dopo una Thatcher, pertanto è velleitario chiedere alla nostra sinistra di essere un po' blairiana».
Domenica 11 maggio 1997 si sono avuti i ballottaggi per i sindaci di alcune città; a Milano, vince il candidato del Polo, Gabriele Albertini, a Torino si impone invece il candidato dell'Ulivo, Valentino Castellani. La Lega vince a Lecco e Pordenone. Considerando tutti i capoluoghi di provincia sembra che la sfida tra Polo e Ulivo sia terminata in parità. Il 21 maggio 1997, il Senato approva (il Polo si astiene e solo la Lega vota contro) la nuova legge sulla televisione. Essa rappresenta il punto di convergenza degli interessi dei monopoli, ai quali è assicurato lo status quo, e dei politici, cui è assicurata la confortante presenza nei salotti televisivi e la fugace apparizione nei telegiornali. Con questa legge non cambierà nulla; è stata disattesa la sentenza della corte costituzionale, che aveva stabilito che il possesso di tre reti ciascuno da parte di Rai e Mediaset era in contrasto con la pluralità dell'informazione e la regola della concorrenza, ma fondamentalmente è andata persa l'opportunità di avere una televisione un po' meno desolante. L'unica novità è la costituzione dell'Authority per le garanzie nelle telecomunicazioni. L'istituzione Authority piace tanto al sistema politico italiano, sia perché l’espressione inglese suona bene e ti fa sentire internazionalizzato, sia perchè essa rappresenta un'altra ghiotta occasione di occupazione di posti di potere.
Il primo giugno 1997, il popolo francese ha decretato la vittoria delle sinistre; socialisti e comunisti hanno la maggioranza assoluta all'assemblea nazionale e i socialisti, da soli, hanno sfiorato la maggioranza. Il leader socialista, Lionel Jospin, ha vinto con un programma vagamente dirigista, con la promessa di creare 700.000 posti di lavoro e di ridurre l'orario di lavoro da 39 a 35 ore e con l'indicazione che l'Europa di Maastricht dovrà essere anche un'Europa politica. La vittoria dei governi di sinistra, in Francia, come in Gran Bretagna e Italia, è il sintomo di un diffuso malessere che permea il continente europeo in un momento di forte impegno per il raggiungimento di obiettivi economico-finanziari, che la gente non comprende. L'affermazione di Jospen, secondo cui «il percorso verso l'Europa unita deve essere un processo anche politico», è, allo stesso tempo, il sintomo di questo malessere e un modo per esorcizzare le preoccupazioni sul futuro.
Al confronto di un'Europa timorosa di perdere il proprio benessere, di vedere intaccato il proprio stato sociale e con una disoccupazione altissima, gli Usa paiono irraggiungibili; essi, con la presidenza Clinton, stanno godendo dei benefici della politica reaganiana, e la loro economia attraversa un periodo di grande slancio. La disoccupazione è scesa sotto al 5% e i salari più bassi sono saliti più degli stipendi elevati, essendo forte la domanda di lavoratori da adibire a mansioni meno remunerative. Il reengineering dell'industria americana, la deregulation, la limitazione del potere dei sindacati, che sono costati sacrifici e dolori alla classe lavoratrice americana, hanno portato alla perdita, dall'inizio degli anni '80, di 43 milioni di posti di lavoro; nello stesso periodo, però, ne sono stati creati più di 70 milioni di nuovi. Negli ultimi nove anni il pil degli Usa è cresciuto del 17% in più di quanto sia cresciuto in Europa.
Il 22 luglio 1997, Di Pietro accetta l'invito di D'Alema di candidarsi con l'Ulivo nel superbloccato collegio senatoriale del Mugello, resosi vacante; la mossa di D'Alema sembra finalizzata all'obiettivo di togliere dalla scena politica la mina vagante dell'ex pm. La risposta dell'opposizione è la candidatura di Sandro Curzi, da parte di Rifondazione e Verdi e di Giuliano Ferrara, da parte del Polo. In conclusione il centro sinistra candida un ex magistrato che politicamente appare più un populista di destra che un sostenitore dei principi della sinistra, la sinistra candida un personaggio che pochi anni prima dirigeva Telekabul, il Polo una sorta di dandy della provocazione, prima protagonista tra le file della sinistra estrema, poi craxiano di ferro e poi berlusconiano. Questa situazione riflette lo stato delle cose del Paese; i partiti continuano a considerare gli elettori come strumenti dei propri interessi e delle proprie strategie o come oggetto delle proprie ironie. Come era “inevitabile” il nove novembre Di Pietro viene eletto sotto una valanga di voti.
Intanto l'Italia procede verso il raggiungimento dei parametri di Maastricht; nel giugno 1997 l'inflazione scende a un minimo storico, l'1,5% e il deficit di bilancio è vicino al 3% del Pil. D'Alema e Berlusconi sembra abbiano trovato un punto di incontro per la riforma dello stato sociale e ciò dovrebbe consentire di stabilizzare il livello di deficit. Quello che alcuni chiamano il partito trasversale di Maastricht, legato ai centri decisionali europei e statunitensi, sembra stia pilotando il Paese verso l'Europa dell'Euro. Il grande handicap resta il debito pubblico, che è attorno al 125% del pil e che frena lo sviluppo dell'economia; nel 1997 il pil vedrà infatti un incremento dell'1% soltanto e il livello di disoccupazione resterà fermo al 12,1%. La pressione fiscale, pari al 48,4% e il tasso ufficiale di sconto ancora al 6,25%, non dànno respiro alle aziende.
Con il 74,3 % dei voti favorevoli, il 13 settembre 1997, la Scozia ottiene, per referendum, di avere un proprio Parlamento; i labouristi hanno appoggiato la richiesta degli scozzesi, mentre i conservatori, che l'avevano osteggiata, escono ancora sconfitti. Il Parlamento scozzese opererà secondo il criterio della sussidiarietà: tutto quanto non riguarda politica estera, difesa e moneta, rientrerà nelle sue prerogative; molto di più di quanto la Bicamerale prevede per il federalismo all'italiana; successivamente anche il Galles approva, per referendum, la costituzione di un proprio Parlamento, anche se con minori poteri rispetto a quelli della Scozia. In Nord Italia la gente si chiede “Quello che è possibile per Scozia e Galles perché non lo è per Lombardia e Veneto? Mentre la Gran Bretagna si appresta ad affrontare le sfide della globalizzazione, concedendo ampie autonomie locali, il nostro Paese preferisce la strada della conservazione. Il 20 settembre 1997, i sindacati tengono due imponenti manifestazioni, a Milano e a Venezia, contro l'ipotesi secessionista della Lega; non sembra che esista una giustificazione razionale all'iniziativa sindacale se non proprio quella che deriva da ciò che la Lega contesta al sindacato: di essere cioè un dinosauro al servizio della sinistra politica.
I mesi di settembre e ottobre '97 sono caratterizzati dalle bizze di Rifondazione che non accetta la legge finanziaria preparata dal governo, al quale chiede una serie di impegni: non toccare le pensioni, portare, per legge, l'orario di lavoro a 35 ore, trasformare l'Iri in un'agenzia per l'occupazione del Sud. Il 9 ottobre, Prodi, constatato il "giudizio negativo" del Prc sulla finanziaria, rassegna le dimissioni. Il 14 ottobre, Scalfaro rinvia Prodi alle camere, grazie all'accordo, raggiunto tra Prc e Ulivo, su un'ipotesi di legge che ponga il traguardo delle 35 ore settimanali entro il 2001 Dopo la vittoria al Mugello, il centro sinistra incassa un successo ancora più significativo alle elezioni amministrative del 16 novembre 1997; Rutelli, Bassolino e Cacciari sono eletti sindaci a Roma, Napoli e Venezia, al primo turno con maggioranze schiaccianti; la destra vince in qualche piccolo capoluogo di provincia del Sud; la Lega si impone in piccoli comuni pedemontani del Nord. A Roma si presenta come candidato anche D'Alema. Il suo staff lo ha infatti convinto che deve uscire dalle vesti del «deputato di Gallipoli», che deve imparare a parlare invece che mordere, a sorridere invece che ghignare e nel percorso "rieducativo" inseriscono la prova di cimentarsi a Roma contro Rutelli e Fini, personaggi carismatici e sicuramente vincenti. Il lavoro fatto sul miglioramento dell'immagine dà i suoi frutti, anche se, come previsto, elettoralmente D'Alema viene superato da Rutelli e Fini.
Il mese di dicembre 1997 vede una sollevazione degli agricoltori; produttori di latte, coltivatori di riso e olive, per motivi diversi, vedono le proprie imprese minacciate da gravi crisi. I nodi di decenni di disinteresse verso i loro problemi e le scandalose concessioni a suo tempo fatte dal ministro dell'agricoltura Pandolfi alle lobby tedesca e francese vengono al pettine. La grossolanità con la quale personaggi come Scalfaro, il ministro dell'agricoltura Pinto e il primo ministro Prodi affrontano i problemi è manifesta anche ai non esperti. La stampa rivela la sua endemica incapacità di una visione che non sia faziosa o ignorante dei problemi, e i suoi grilli parlanti, come al solito, non sono in grado di apportare un minimo di ragionamento che consenta di chiarire quello che c'è da chiarire.
Da parte del ministero degli interni si tollera che i produttori di latte, in agitazione da più di un anno, siano manganellati e picchiati. L'unico vero telegiornale nazionale "Striscia la notizia" mostra i manganellatori in azione contro uomini e cose. Fuori dal coro è Arturo Guatelli che, sul Corriere della Sera, racconta la vera storia «Non scarichiamo le responsabilita' sulle spalle degli iniqui regolamenti di Bruxelles, non prendiamocela con l'avidità agricola della Francia o della Germania, non inventiamo nemici inesistenti: se gli allevatori italiani stanno assediando con i loro trattori la città di Milano, la colpa è tutta dei vari governi, tecnici e politici, che si sono succeduti dal 1984 in poi. Sono loro che hanno fatto opera di disinformazione sistematica, che hanno scelto la strada della diseducazione civica, che hanno messo in ginochio l'Italia agricola più efficiente, quella che produce latte ... Il sistema delle quote, che ha lo scopo di contenere la produzione europea di latte, risale al 1984. Quando fu negoziato a Bruxelles, ministro italiano dell'Agricoltura era Filippo Maria Pandolfi. Fu lui, scegliendo come anno di riferimento il 1983, ad accettare una quota annua di nove milioni di tonnellate. Lo fece basandosi su dati statistici forniti dall'Istat. Dati sbagliati per difetto, ma che il ministero dell'Agricoltura e le autorità di Bruxelles presero per buoni. Gli allevatori italiani e le loro rappresentanze sindacali, la Coldiretti e la Confagricoltura, capirono subito che era stato commesso un errore grossolano. Ma le loro proteste affogarono nel mare della più bieca demagogia ministeriale. Filippo Maria Pandolfi assicurò che le multe non sarebbero mai state applicate all'Italia, un Paese il cui fabbisogno superava di gran lunga la produzione. Arrivò persino a dire che c'era un "accordo tacito" per escludere l'Italia dall'applicazione di eventuali sanzioni dissuasive. Perchè la Coldiretti e la Confagricoltura finsero di credere alle sconsiderate promesse di Filippo Maria Pandolfi? Questo e' il punto di partenza di una brutta storia, un vero e proprio imbroglio politico - amministrativo. Una storia che ha messo l'Italia in condizione di perenne inferiorità quando a Bruxelles dovevano essere prese decisioni agricole. I nostri ministri, non tutti disinvolti come Filippo Maria Pandolfi, avevano sulla bocca una sola richiesta, l'aumento della quota latte. Gli altri settori, dall'olio d'oliva al grano duro, venivano puntualmente sacrificati sull'altare dell'irrisolvibile problema del latte. Nessuno voleva ritornare sulle decisioni del 1984 e l'Italia si isolava nel sottoscala di una battaglia disperata. Ma le insistenze italiane cadevano nel vuoto anche per un'altra ragione: i ministri dell'Agricoltura non sapevano offrire le garanzie necessarie per dare credibilita' alle cifre che ogni anno portavano a Bruxelles. … All'Unione europea, i governi italiani trasmettevano dati fasulli con l'illusione che il "falso di Stato" potesse trovare favorevole accoglienza.
Questa situazione di ridicola precarietà ha avuto il suo epilogo nel 1993 quando, in seguito a una indicazione politica del Consiglio europeo di Lisbona, venne aumentata del 10 per cento la quota latte italiana. La produzione autorizzata passava da 9 a 9,9 milioni di tonnellate. Ma questo aumento era sottoposto a una verifica annua. Se voleva produrre più latte, l'Italia doveva mostrare buona volontà amministrativa mettendosi alla pari degli altri Paesi dell'Unione europea. Questo vincolo vagamente amministrativo non fece altro che mettere piombo sulle ali dei vari ministri italiani dell'Agricoltura. I quali passavano il loro tempo a combattere in sede comunitaria contro i tentativi d'abolizione della quota supplementare, ottenuta nel 1993, dimenticandosi che l'agricoltura italiana non è costituita unicamente dai produttori di latte. Nessuno, tuttavia, ha mai pensato che fosse opportuno informare la pubblica opinione promuovendo un dibattito parlamentare.
Altra colpa grave, la redistribuzione dell'aumento di 900 mila tonnellate. A Bruxelles si è convinti che di quell'aumento si sia in buona parte appropriata la cosiddetta "lobby del Sud" rappresentata prima da Adriana Poli Bortone, poi da Walter Luchetti, due ministri di An improbabili, pasticcioni e competenti solo in teoria. In pratica, due ministri assolutamente inadeguati. … E arriviamo alle multe. Per gli esuberi di latte prodotti negli anni 1991-95 l'Italia avrebbe dovuto pagare circa 7.800 miliardi. Ha però ottenuto uno sconto del 50 per cento. I rimanenti 3.900 miliardi devono essere rimborsati in quattro anni, quasi 1.000 miliardi all'anno. Lo Stato se ne è fatto carico rinunciando ogni anno a circa 1.000 miliardi di benefici comunitari. In pratica, per pagare le multe dovute alla sua insipienza politico - amministrativa, l'Italia è costretta a penalizzare altri settori economici, non solamente agricoli. Adesso, il sistema dello Stato che si sostituisce agli allevatori non funziona più. La Corte di giustizia del Lussemburgo ha statuito che a pagare le multe siano i produttori di latte non in regola, l'intervento dello Stato è un'inammissibile "distorsione di concorrenza". Decisione inappellabile che mette il governo italiano con le spalle al muro e spinge gli allevatori sulla via del fallimento» (Guatelli, 1997).
Gli italiani più che per le quote latte sono interessati al rigurgito giustizialista, che questa volta ha colpito Andreotti e non per aver contribuito, da primo ministro, a ingigantire il già vertiginoso debito pubblico, ma per collusione con la mafia e per essere il mandante dell’omicidio Pecorelli. Il processo per mafia finisce con la sentenza della Corte di Cassazione che ha confermato la sentenza della corte d'appello di Palermo, il cui dispositivo, alla lettera, recita: «la Corte… dichiara non doversi procedere nei confronti (dell'imputato) in ordine al reato di associazione per delinquere a lui ascritto al capo A della rubrica, commesso fino alla primavera del 1980, per essere lo stesso reato estinto per prescrizione (sembra una mezza condanna nda); conferma, nel resto, la appellata sentenza». Per l’omicidio Pecorelli, nello stesso 2003 la Corte di Cassazione annulla la condanna a 24 anni inflitta a Giulio Andreotti e a Badalamenti dalla corte d’Assise d’appello di Perugia. Anche questi processi possiamo archiviarli tra le vicende rimaste con più dubbi che certezze.
Sostiene Raffaele Cantone, magistrato della Dda «Il processo Andreotti si è chiuso con un’assoluzione piena per quanto riguarda l’ultimo decennio della prima repubblica e con una prescrizione, letta come un riconoscimento di responsabilità per il periodo anteriore al 1980: un’altra Italia, un altro mondo, un’altra Cosa Nostra …» (Cantone 2010). Anche Giancarlo Caselli, Procuratotre generale a Palermo, in più occasioni affermerà, che quella “assoluzione”, in realtà, va letta come una condanna.
Al comitato centrale di Rifondazione Comunista del 3 e 4 ottobre 1998, si consuma la scissione tra cossuttiani e bertinottiani; questi annunciano la volontà di togliere il proprio consenso al governo. Cossutta, che è invece favorevole a mantenere in vita il governo Prodi, parla di «mutazione genetica del partito», annuncia la scissione e fonda il Partito dei comunisti italiani.
Nella notte dell'8 ottobre lo staff di Prodi si muove freneticamente per assicurare i numeri necessari; Parisi è convinto di farcela, ma, il 9 ottobre '98, per un solo voto di scarto, il governo Prodi è battuto in aula. Il 13 ottobre Scalfaro annuncia il reincarico a Prodi; l'accordo che va concretizzandosi dietro le quinte è che Prodi rinunci all'Ulivo e faccia riferimento a tutte le forze che hanno approvato il documento di programmazione economica (e quindi anche a Cossutta e all'Udr). Ma Cossiga non si fida di Prodi e per una questione formale fa annunciare da Mastella l'opposizione dell'Udr (Vespa, 1998). Il 15 ottobre, mentre sta recandosi da Scalfaro per rimettere l'incarico, Prodi legge su Repubblica il seguente titolo "Crisi. Tocca a D'Alema". Nella realtà, la prima reazione di D'Alema alle sollecitazioni di Marini e Cossiga è negativa; teme, infatti, di entrare in un'avventura dalle prospettive incerte: si tratta, pur sempre, della prima volta di un ex comunista. Scalfaro convoca D'Alema per il 16 ottobre, e su suggerimento di Cossiga, i due trovano l'accordo sulla formula prudente del preincarico esplorativo.
Il 21 ottobre 1998 D’Alema è primo ministro della coalizione Ulivo, Pdci, Udr, Indipendenti (21/10/98-22/12/99), anche se non cattura simpatie né tra la gente né nel Palazzo. Ci sarà anche un D’Alema due (22/12/99-25/4/2000) che sarà necessario per farvi entrare i democratici. La sua coalizione è fragile essendo costituita da un insieme casuale di anime, quella postcomunista, quella post democristiana, quella della Curia; la sua operatività è indebolita dall’attivismo dell’opposizione che ha iniziato la sua campagna elettorale per le amministrative del 1998 e, dopo l’accordo tra Berlusconi, Bossi e Fini, per le regionali del 2000. Gli attacchi a D’Alema, e al suo governo da parte dell’opposizione sono duri ma non quanto quelli di un vero signore, Nichi Vendola che, nella sua rubrica Il dito nell’occhio del quotidiano Liberazione, nel 1999, bolla D’Alema di «goffamente demagogico», «con una spocchia da statista neofita», «con la disinvoltura di un giocoliere», «livido come i neon del metrò», mentre il ministro Fassino «blatera scempiaggini cingolate e mortali», il sottosegretario Umberto Ranieri «parla come un caporalmaggiore della Nato», Antonio Di Pietro «ha una caratura mussoliniana,», Umberto Dini «noto venditore di tappeti», Armando Cossutta «l’ipocrisia eletta a scienza, a metodo, a progetto politico» e di Emma Bonino, commissario europeo agli aiuti umanitari in Bosnia «ama la guerra condita con le citazioni di Gandhi» (Pansa, 2011)

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Eugenio Caruso - 31 agosto 2019


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