Platone, il Cratilo. Dialogo sul linguaggio

Dopo aver commentato di PLATONE il Timeo, il Simposio, lo Ione, il Critone, l'Apologia di Socrate, il Fedone, l'Eutifrone, il Carmide, il Lachete, il Liside, l'Alcibiade Maggiore, l' Alcibiade minore, l'Ipparco, gli Amanti, il Teage, l'Eutidemo, il Protagora, il Gorgia, mi dedico ora al Cratilo.

COMMENTO

Il Cratilo è un dialogo nel quale è trattato il problema del linguaggio, o meglio, della correttezza dei nomi. Protagonisti del dialogo sono Socrate, Ermogene e Cratilo. La maggior parte degli studiosi moderni concorda sul fatto che venne scritto principalmente durante il cosiddetto periodo di mezzo di Platone.
Socrate incontra Ermogene e Cratilo, che stanno discutendo attorno al problema della correttezza dei nomi e viene messo al corrente da Ermogene delle teorie di cui sono sostenitori. Cratilo afferma infatti che i nomi sono per natura, ossia rispecchiano realmente la realtà; Ermogene crede invece che i nomi siano arbitrari, decisi dall'uso e dalla convenzione.
Socrate comincia a confutare la tesi di Ermogene, mostrando che i nomi non sono solo convenzioni, ma anzi rappresentano un qualcosa dell'oggetto a cui si riferiscono; contengono cioè una qualche caratteristica che li rende perfetti nell'adattarsi alla cosa descritta. Lo dimostra il fatto che esistono discorsi veri e discorsi falsi. Poiché il nome è parte del discorso, è evidente che i nomi utilizzati nel discorso vero devono essere corretti; quelli usati nel discorso falso non lo sono. Colui che ha deciso i nomi, il legislatore, uomo sapiente, ha infatti rivolto la sua attenzione all'idea del nome, adattandolo poi alle diverse necessità descrittive, adoperando sillabe e lettere differenti. Egli ha creato nomi solo corretti, basandosi proprio sulla natura delle cose.
Ha qui inizio una lunga sezione etimologica, che occupa gran parte del dialogo. Vengono presi in considerazione nomi di dèi come Tantalo e Zeus e viene parallelamente sviluppato un eguale ragionamento sui nomi delle qualità dell'uomo, come l'anima o il corpo. In seguito si passa ad analizzare la correttezza dei nomi degli astri, dei fenomeni naturali. Il ragionamento si dilunga sulle qualità morali dell'uomo.
Dopo questa lunga disquisizione Socrate spiega a Ermogene che i nomi fino ad adesso analizzati sono nomi composti. Questa loro caratteristica di essere composti li rende suscettibili di un'ulteriore indagine: quella degli elementi che lo compongono, come le vocali. Le vocali, o, più in generale, gli elementi che formano i nomi, devono infatti riprodurre l'essenza delle cose, giacché è a questa che si riferiscono. Inizia qui l'analisi di alcune lettere come rho e lambda.
Cratilo si oppone a questa tesi di Socrate: egli sostiene che il nome è sempre giusto, sempre vero, perché è della stessa natura delle cose che descrive. Il nome sbagliato non è un vero nome.
Socrate comincia a confutare la tesi di Cratilo. Non è possibile infatti dire che il nome e la cosa a cui si riferisce siano la stessa cosa. La parola "cavallo" e il cavallo vero e proprio hanno qualcosa in comune, così come un ritratto di un volto racchiude qualcosa del volto che riproduce: tuttavia non sono due cose uguali. Se si ammette questo fatto (e Cratilo, seppur poco convinto, lo fa) bisogna allora ammettere anche che esistono nomi errati e nomi giusti. Del resto un ritratto può nelle intenzioni riprodurre il volto di una certa persona e poi essere dissimile.
Cratilo contesta ancora a Socrate il problema della conoscenza tramite il linguaggio: se gli uomini conoscono e apprendono la natura delle cose attraverso i nomi, ossia attraverso il linguaggio, è evidente che non potrebbe esistere nessuna conoscenza se il linguaggio non fosse corretto, cioè se i nomi non fossero della stessa natura delle cose.
Socrate sostiene allora che il legislatore, che per primo adoperò i nomi, non è detto che avesse un'opinione giusta delle cose stesse; egli infatti non poté apprendere attraverso i nomi, perché ancora non erano stati inventati. È possibile allora che abbia fatto degli errori e ciò è dimostrato dal fatto che alcuni nomi non sono corretti. Esiste un modo migliore per conoscere: non attraverso i nomi, ma attraverso le cose stesse; solo le cose possono non essere contraddette, mentre i nomi si prestano a molteplici interpretazioni. La possibilità di una conoscenza vera e di una reale correttezza dei nomi risiede nella stabilità della natura delle cose. Poiché la natura è stabile, e rimane sempre uguale, allora è possibile denominarla con precisione.
Cratilo si mostra poco convinto e alla fine si allontana da Socrate insieme ad Ermogene.
Ermogene simboleggia la concezione sofistica del linguaggio: per i sofisti, a partire da Protagora, se “l'uomo è misura di tutte le cose”, ogni tipo di nome si adatta a seconda delle condizioni poste dall'uso. Il termine "cavallo" è puramente convenzionale; non c'è nulla in comune tra la parola cavallo e il cavallo, tuttavia l'uso comune ha permesso quest'accettazione e si reputa corretto dire che quell'animale è un cavallo. Tuttavia ugualmente bene andrebbe il termine "scoiattolo" o il termine "cicala" giacché non sussiste nessuna somiglianza tra nome e cosa nominata.
Cratilo simboleggia invece la concezione naturalistica del linguaggio: esiste un'assoluta identità tra nome e cosa nominata. Il nome è vero sempre, perché racchiude in sé la stessa natura che pervade la cosa nominata. Ogni nome è indizio di conoscenza, di una conoscenza meravigliosa, divina, quasi sacrale. Il nome è giusto perché i primi a nominare le cose furono gli dèi che, essendo perfetti, assegnarono nomi perfetti alle cose. Non esistono dunque nomi sbagliati; esistono nomi e non-nomi.
Platone fonda la sua concezione del linguaggio sull'ontologia; per Platone è immediatamente evidente che esista un'altra realtà al di fuori del nome; è la realtà stessa delle cose a cui i nomi si riferiscono. Bisogna infatti che esista una natura al di fuori del nome perché esista una reale nominabilità. Senza questa natura, senza quest'essenza, rimarrebbe inutile nominare, giacché non si dovrebbe indicare nulla con il nome, perché non ci sarebbe nulla da indicare.
Platone, quindi, comincia dal Cratilo a elaborare una teoria di idee immutabili: di un'essenza stabile nella natura, che rimanga uguale e inalterata nel tempo e che renda valida la nominabilità stessa.
Più volte Platone fa riferimento alla figura del legislatore e a quella del dialettico. La figura del legislatore è la figura di colui che per primo adoperò i nomi per riferirsi alle cose. Socrate/Platone utilizza il termine legislatore in senso molto ampio, intendendolo sia come uomo sia come divinità, secondo la concezione naturalistica di Cratilo. Tuttavia si è visto come Socrate alla fine dubiti della infallibilità del legislatore, poiché egli ha assegnato anche nomi errati. La figura del dialettico rappresenta invece la nuova concezione del linguaggio elaborata da Socrate. Secondo Cratilo non esiste altra conoscenza al di fuori del nome. Platone invece è convinto che la vera conoscenza sia al di là del nome, nell'essenza stessa delle cose. Se il legislatore è colui che crea i nomi sulla sua opinione riferendosi alla natura delle cose, il dialettico conosce la natura delle cose in maniera approfondita e, di conseguenza, sa quale nome attribuire ad ognuna di queste cose. Tale nome sarà per forza corretto.
Gérard Genette, nell'opera Mimologie. Viaggio in Cratilia (1976), parte dal discorso di Platone per argomentare l'idea di arbitrarietà del segno: secondo questa tesi, già sostenuta dal grande linguista Ferdinand de Saussure, il collegamento tra la lingua e gli oggetti non è naturale, ma culturalmente determinato. Le idee sviluppate nel Cratilo, benché talvolta datate, storicamente sono state un importante punto di riferimento nello sviluppo della linguistica. Sulla base del Cratilo, Gaetano Licata ha ricostruito, nel saggio Teoria platonica del linguaggio (2007, Il Melangolo), la concezione platonica della semantica, in base alla quale i nomi avrebbero un legame naturale col loro "nominatum".

TESTO

ERMOGENE: Vuoi dunque che mettiamo a parte di questo nostro discorso anche Socrate, qui presente? CRATILO: Se a te pare. ERMOGENE: Cratilo,(1) qui presente, sostiene che ciascun essere possiede la correttezza del nome che per natura gli conviene e che il nome non è quello col quale alcuni, come accordatisi a chiamarlo, lo chiamano, mettendo fuori una piccola parte della propria voce, ma che una correttezza riguardo i nomi esista per natura per Greci e barbari ed è la stessa per tutti. Io gli domando dunque se egli ha a nome Cratilo conforme verità ed egli ne conviene. «E che dire», gli chiedo, «per Socrate?» «Socrate», mi risponde. «Dunque anche per tutti gli altri uomini, il nome col quale chiamiamo ciascuno, questo è il nome che a ciascuno conviene?» «Ma non per te, di certo, il nome è Ermogene»,(2) ha risposto, «anche se tutti gli uomini ti chiamano così ». E benché io gli domandi e desideri sapere cosa mai dica, non si spiega per nulla, e si prende gioco di me, fingendo di pensare qualcosa entro se stesso, come se ben conoscesse in merito tali cose che, se volesse dire chiaramente, farebbe in modo che anch'io concordassi e dicessi quello che lui dice. Se tu dunque in qualche modo sei in grado di cogliere il responso di Cratilo, ti ascolterei volentieri. Anzi ancor con più gusto vorrei imparare da te che te ne pare sulla correttezza dei nomi, sempre che tu sia d'accordo. SOCRATE: O Ermogene, figlio di Ipponico, è un proverbio antico che è difficile capire le cose belle come stanno realmente. Ed anche questo sul nome non è certo un apprendimento da poco. Perché se io avessi ascoltato da Prodico quel suo saggio da cinquanta dracme, che per chi lo segue si trova ad essere completamente preparato su questo, e quanto lui dice, nulla potrebbe impedire che tu in breve conoscessi la verità sulla correttezza dei nomi. Ma io non ho ascoltato questo ciclo di lezioni, ma soltanto quello da una dracma.(3) E così non so come stia il vero a questo riguardo. Sono pronto però a farne ricerca assieme a te e a Cratilo. Che poi il tuo nome in realtà non sia Ermogene, come lui sostiene, io ho l'impressione che lui scherzi. Intende dire forse che tu, pure desiderando ricchezze, non riesci ad ottenerne neanche una volta. Ma, come dicevo poco fa, sapere queste cose è difficile: occorre che noi, ci mettiamo qui insieme a vagliarle se è come dici tu oppure come dice Cratilo. ERMOGENE: Ma io, o Socrate, pur avendone discusso molte volte con costui e con molti altri, non posso convincermi che esista altra correttezza di nome se non la convenzione e l'accordo comune. A me pare infatti che quando uno dà il nome a qualcosa, questo sia il nome giusto: e se poi ne mette al suo posto un altro, e non la chiama più con quello, per nulla l'ultimo nome è meno giusto del primo, come quando noi cambiamo nome ai nostri familiari,(4) non per nulla questo nome cambiato come secondo è meno giusto di quello che era stato dato prima. Infatti da natura non c'è cosa alcuna che abbia nome, ma soltanto per la regola e la consuetudine di coloro che si sono abituati a chiamare in una determinata maniera e così chiamano. E se poi la questione non sta in questi termini sono pronto a imparare e ad ascoltare non solo da Cratilo, ma anche da qualunque altro. SOCRATE: Forse tu dici bene, Ermogene; ma riflettiamo. Sostieni dunque che il nome con il quale uno chiama ciascuna cosa, questo è il vero nome per essa? ERMOGENE: A me pare così . SOCRATE: Ebbene? Se io pongo nome a uno qualunque degli esseri, ad esempio quello che noi ora chiamiamo uomo, se io a questo pongo il nome di cavallo, e a quello che ora è cavallo, do il nome di uomo, lo stesso essere dunque avrà in pubblico il nome di uomo e in privato quello di cavallo? E, a sua volta, l'altro, in privato, il nome di uomo e in pubblico di cavallo? Dici questo? ERMOGENE: A me pare di sì . SOCRATE: Suvvia, dunque, dimmi anche questo: c'è un qualcosa che tu chiami dire vero e dire falso? ERMOGENE: Ma sì . SOCRATE: E dunque ci può essere anche un discorso vero e un discorso falso.(5) ERMOGENE: Certo. SOCRATE: E dunque quello che dice gli esseri come sono è vero, e quello invece che li dice come non sono è falso. ERMOGENE: Sì . SOCRATE: E dunque è possibile questo: dire col discorso le cose che sono e quelle che non sono. ERMOGENE: Certamente. SOCRATE: E dunque il discorso, quello vero, è tutto vero, e le sue parti non vere9 ERMOGENE: No, ma anche le parti. SOCRATE: Sono forse vere le parti grandi, e le piccole no? Oppure tutte? ERMOGENE: Tutte, io penso. SOCRATE: Dunque, dici tu che qualche altra parte del discorso è più piccola del nome? ERMOGENE: No: questa è la più piccola. SOCRATE: Si dice dunque che anche questa è parte del discorso vero? ERMOGENE: Sì . SOCRATE: è vero come tu dici. ERMOGENE: Sì . SOCRATE: E la parte del discorso falso, non è falsa? ERMOGENE: Dico di sì . SOCRATE: è possibile dunque dire nome falso e nome vero, se anche è possibile del discorso? ERMOGENE: Come no? SOCRATE: E il nome dunque che ognuno dà a qualcosa, questo è il nome vero per ciascun oggetto? ERMOGENE: Sì . SOCRATE: E quanti nomi uno dice che appartengono a ciascun oggetto, tanti ne avrà, e proprio allora quando glieli attribuisce? ERMOGENE: Io non conosco, Socrate, altra correttezza di nome che questa, che a me sia possibile di attribuire a ciascun oggetto quel nome che io stesso ho posto, e a te quello che hai posto tu. Così anche nelle città vedo nomi che sono stati posti uno per volta per gli stessi oggetti e da Greci diversamente da altri Greci, e da Greci diversamente da stranieri. SOCRATE: Suvvia, Ermogene, riflettiamo se a te pare che anche per gli enti la questione stia così : che la sostanza delle cose sia propria particolarmente per ognuno, come sosteneva Protagora, dicendo che «di tutte le cose misura» è l'uomo, sicché quali a me esse sembrino, tali esse siano per me, e quali sembrino a te, tali esse siano per te. O sembra a te che esse di per se stesse abbiano una loro saldezza nella loro sostanza? ERMOGENE: Vi è già stata una volta, o Socrate, che io trovandomi in dubbio, fui attratto proprio là, alle cose che Protagora dice; ma non mi pare proprio che la questione stia così . SOCRATE: Cosa? A questo ti sei lasciato attrarre così da credere che non potesse esistere alcun uomo malvagio? ERMOGENE: No, per Zeus! Anzi molte volte ho provato che di uomini malvagi ce ne siano e come, piuttosto parecchi. SOCRATE: E non ti è parso che ce ne fossero anche del tutto buoni? ERMOGENE: Sì , ma molto pochi. SOCRATE: Ma credevi che ce ne fossero? ERMOGENE: Sì . SOCRATE: E come dunque poni questo problema? Forse così : che gli uomini del tutto buoni sono anche del tutto assennati, e quelli del tutto malvagi sono anche del tutto dissennati? ERMOGENE: A me pare così . SOCRATE: è possibile dunque, se Protagora diceva il vero e questa è la verità che quali le cose sembrino a ciascuno tali anche siano e che alcuni di noi siano assennati, altri invece stolti? ERMOGENE: Certamente no. SOCRATE: E anche questo, come io ritengo, a te sembrerà certamente che, siccome esistono assennatezza e dissennatezza, non è affatto possibile che Protagora (6) sostenga il vero: per nulla assolutamente, infatti, un uomo potrebbe essere più assennato di un altro, se quello che a ciascuno pare è per ciascuno il vero. ERMOGENE: è così . SOCRATE: E neppure, io penso, potrà sembrare a te, secondo Eutidemo (7) che tutte le cose per tutti siano insieme e sempre allo stesso modo: infatti neppure in questo modo gli uomini potrebbero essere in parte buoni, in parte malvagi, se tutti in egual modo fossero sempre partecipi della virtù e della malvagità. ERMOGENE: Tu dici il vero. SOCRATE: Dunque, se tutte le cose non sono per tutti insieme allo stesso modo e sempre, né per ciascuno ogni cosa di quelle esistenti si trova ad essere in un modo particolare, è chiaro che le cose stesse hanno in sé una sostanza certa, che non ci riguarda e che esse non si lasciano trascinare da noi su e giù secondo il nostro estro, ma che sono di per se stesse secondo la loro sostanza così come l'hanno ottenuto da natura. ERMOGENE: A me pare che sia così , o Socrate. SOCRATE: Dunque le cose stesse sarebbero così secondo natura, e le loro azioni non allo stesso modo? Oppure anche queste, le azioni, non sono un qualche aspetto di enti. ERMOGENE: Certamente anche queste. SOCRATE: Secondo la loro stessa natura poi si compiono le azioni e non secondo il nostro avviso. Come se noi ci mettiamo a tagliare un qualcosa, forse che si deve tagliare come vogliamo e con quello che vogliamo. Se invece vogliamo tagliarlo secondo la natura del tagliare e dell'essere tagliato e con quello che si è richiesto per natura, lo taglieremo e a noi ne verrà un qualcosa in più (8) e faremo bene questo passo, me se invece è contro natura, sbaglieremo e non ne ricaveremo nulla? ERMOGENE: A me pare così . SOCRATE: Dunque anche se ci mettiamo a bruciare qualcosa non si deve bruciarla secondo una maniera qualsiasi, ma soltanto secondo quella giusta? E questa è la maniera secondo la quale ciascun oggetto va bruciato secondo natura e bruci, e con quel mezzo che per natura è richiesto? ERMOGENE: è così . SOCRATE: E non è così anche per le altre cose? ERMOGENE: Ma certo. SOCRATE: E dunque il dire non è esso stesso un'azione? ERMOGENE: Sì . SOCRATE: Dunque dirà bene uno che dica nel modo che a lui sembra debba dirsi, oppure se egli dice nella maniera e per la via che la natura pretende che le cose si dicano e vengano dette e non quello che è necessario, allora ne ricaverà un qualcosa in più e dirà; se no sbaglierà e non verrà a capo di nulla? ERMOGENE: A me sembra così come tu dici. SOCRATE: E dunque il denominare è parte del dire: infatti assegnando denominazione in qualche modo si compiono i discorsi. ERMOGENE: Certo. SOCRATE: Dunque anche il denominare è un'azione, se anche il dire era un'azione che riguardava le cose? ERMOGENE: Sì . SOCRATE: E non ci è parso che le azioni non sussistano rispetto a noi, ma che abbiano di per se stesse una loro particolare natura? ERMOGENE: è così . SOCRATE: E dunque non occorre dare le denominazioni così nella maniera e per la via con cui la natura pretende che le cose siano denominate, e non nella maniera in cui vogliamo (9) se anche questo deve concordare con quello che si diceva prima, e così ricaveremo un qualcosa in più e assegneremo i nomi, diversamente no? ERMOGENE: Mi pare di sì . SOCRATE: Ebbene, ciò che occorre tagliare, con qualche cosa, diciamo, che occorre tagliarlo? ERMOGENE: Sì . SOCRATE: E ciò che bisogna tessere, con qualche cosa bisogna tesserlo? E quello che occorre forare, con qualche cosa occorre forarlo? ERMOGENE: Ma certo SOCRATE: E ciò che bisogna denominare, occorre denominano con qualche cosa? ERMOGENE: E così . SOCRATE: E quale è lo strumento che serve a forare? ERMOGENE: Il trapano. SOCRATE: E quale ancora quello con cui tessere? ERMOGENE: La spola. SOCRATE: E quale quello con cui dare denominazioni? ERMOGENE: Il nome. SOCRATE: Dici bene. Anche il nome dunque è uno strumento. (10) ERMOGENE: Certo. SOCRATE: Se io ora domandassi: «Che strumento è la spola?». Non quello con cui tessiamo? ERMOGENE: Sì . SOCRATE: E, tessendo, che cosa facciamo? Non distinguiamo forse la trama e gli stami confusi insieme? ERMOGENE: Sì . SOCRATE: E non avrai modo di dire così anche del trapano e degli altri strumenti? ERMOGENE: Certo. SOCRATE: E hai modo di dire lo stesso anche del nome? Quando diamo denominazioni con il nome, che è uno strumento, che cosa facciamo? ERMOGENE: Non so cosa rispondere. SOCRATE: Non insegniamo qualcosa gli uni agli altri e distinguiamo le cose come stanno? ERMOGENE: Certo. SOCRATE: Il nome dunque è un mezzo suscettibile di insegnare e di farci cogliere l'essenza come la spola a proposito del tessuto? ERMOGENE: Sì . SOCRATE: La spola è un mezzo per tessere? ERMOGENE: Come no? SOCRATE: Il tessitore si servirà bene della spola: e bene vuol dire da tessitore, così chi è atto a insegnare si servirà bene del nome e bene vuol dire da insegnante. ERMOGENE: Sì . SOCRATE: Il tessitore poi dell'opera di chi dovrà servirsi bene, quando fa uso della spola? ERMOGENE: Di quella del falegname. SOCRATE: Falegname poi è chiunque o chi possiede l'arte? ERMOGENE: Chi possiede l'arte. SOCRATE: E il perforatore dell'opera di chi dovrà servirsi bene quando fa uso del trapano? ERMOGENE: Di quella del fabbro. SOCRATE: Fabbro poi è chiunque o chi possiede l'arte? ERMOGENE: Chi possiede l'arte. SOCRATE: Bene. E il maestro dell'opera di chi dovrà servirsi bene quando fa uso del nome? ERMOGENE: Neppure questo ho modo di dire. SOCRATE: Neppure questo hai modo di dire, chi ci assegna i nomi di cui ci serviamo? ERMOGENE: Proprio no. SOCRATE: Non ti sembra che sia la legge (11) ad assegnarceli? ERMOGENE: Pare di sì . SOCRATE: Il maestro dunque quando si serve del nome dovrà fare uso dell'opera del legislatore. ERMOGENE: A me pare di sì . SOCRATE: E a te pare che legislatore sia chiunque o chi possiede l'arte? ERMOGENE: Chi possiede l'arte. SOCRATE: Dunque non è proprio di ogni uomo porre dei nomi, Ermogene, ma solo di chi è artefice di nomi. E questi è, come pare, il legislatore, che tra gli uomini è il più raro degli artefici. ERMOGENE: Così pare. SOCRATE: Orbene considera a cosa badando il legislatore pone i nomi: e rifletti da quanto si è detto in precedenza: a cosa badando il falegname fa la spola? Non forse a un qualcosa che per sua natura è tale da essere atto a tessere? ERMOGENE: Ma certamente. SOCRATE: Dunque? Se gli si spezza la spola mentre la costruisce, ne farà un'altra guardando a quella che gli si è spezzata, o piuttosto a quella idea guardando la quale costruiva quella che gli si è spezzata? ERMOGENE: A quell'idea: a me sembra così . SOCRATE: E non potremmo chiamare quell'idea ciò che è la spola in sé? ERMOGENE: A me pare di sì . SOCRATE: Ora poiché bisogna costruire spole per tessuti leggeri o pesanti, o di lino, o di lana o di qualunque altra specie, occorre pure che tutte abbiano l'idea della spola, (12) e che quale per natura risulta bellissima per ciascun lavoro, questa natura appunto bisogna conferire alla spola per ciascun lavoro. ERMOGENE: Sì . SOCRATE: E anche per gli altri strumenti è la stessa cosa: una volta che sia trovato lo strumento per natura adatto a ciascun lavoro occorre riportarlo su quel materiale del quale costruisce l'opera, non quale lo vuole lo stesso artefice ma quale si impone per natura. Un trapano infatti che per sua natura è adatto a ciascun lavoro, bisogna, come pare, saperlo fare in ferro. ERMOGENE: Ma certo. SOCRATE: E la spola per sua natura adatta a ciascun lavoro bisogna farla in legno. ERMOGENE: E così . SOCRATE: Ciascuna spola poi, per sua natura è adatta, come pare, per ogni tipo di tessuto, e così le altre spole. ERMOGENE: Sì . SOCRATE: E dunque, carissimo, anche il nome che per sua natura è adatto a ciascun oggetto bisogna che quel legislatore sappia imprimerlo nei suoni e nelle sillabe e guardando proprio a quello che è ii nome in sé, faccia e imponga tutti i nomi se vuole essere uno che autorevolmente pone i nomi. E anche se ciascun legislatore non lo pone nelle stesse sillabe, non bisogna in questo essere dubbiosi: infatti neppure ogni fabbro, pur facendo lo stesso strumento per lo stesso scopo, fa ricorso allo stesso ferro; ma tuttavia purché renda la stessa idea, sia pure in un ferro diverso, tuttavia lo strumento riesce bene lo stesso sia che lo costruisca qui sia tra i barbari. O non è così ? ERMOGENE: Ma certo. SOCRATE: Dunque tu farai la stessa considerazione del legislatore sia qui tra noi che tra i barbari, finché dia l'aspetto del nome adeguato a ciascun oggetto, sia pure con le sillabe che si vuole, non sarà per nulla peggiore il legislatore di qui che quello di qualunque altro luogo. ERMOGENE: Certamente. SOCRATE: Chi dunque dovrà sapere se in un qualunque legno è stata impressa l'idea adeguata della spola? Colui che l'ha costruita, il falegname, o chi dovrà farne uso, il tessitore? ERMOGENE: E più probabile, Socrate, chi dovrà farne uso. SOCRATE: E chi dunque dovrà fare uso dell'opera del costruttore di lire? Non è forse quello che sa ben dirigere colui che la costruisce e, una volta che sia costruita, sa riconoscere se è stata costruita bene o no? ERMOGENE: Certo. SOCRATE: Chi? ERMOGENE: Il citarista. SOCRATE: E chi si servirà dell'opera del costruttore di navi? ERMOGENE: Il nocchiero. SOCRATE: E chi bene potrebbe dirigere l'opera del legislatore e una volta che sia compiuta saprebbe ben giudicarne qui e tra i barbari? Non forse chi dovrà farne uso? ERMOGENE: Sì . SOCRATE: E dunque costui non è uno che sa ben interrogare? ERMOGENE: Certo. SOCRATE: Ed è anche lo stesso che sa ben rispondere? ERMOGENE: Sì . SOCRATE: Ma colui che sa interrogare e rispondere in che altro modo lo chiamerai tu se non dialettico? ERMOGENE: No; proprio in questo modo. SOCRATE: Opera del falegname dunque è costruire un timone sotto la direzione del nocchiero, se timone dovrà riuscire buono. ERMOGENE: è evidente. SOCRATE: è compito del legislatore dunque porre i nomi, avendo a guida un dialettico se vorrà porre bene i nomi. (13) ERMOGENE: è così . SOCRATE: C'è ben da supporre dunque, o Ermogene, che non sia cosa di poco conto l'apposizione del nome, come tu pensi, né di uomini da poco, né dei primi capitati, e dice bene Cratilo sostenendo che gli oggetti traggono i nomi da natura e che non tutti sono artefici di nomi, ma soltanto colui che guarda bene quello che è per natura il nome per ogni singolo oggetto e che è in grado di introdurne l'idea sia nelle lettere che nelle sillabe. ERMOGENE: Non so, o Socrate, come si debba confutare quello che tu dici; tuttavia non è facile esserne convinti così su due piedi, ma io penso che sarei meglio persuaso da parte tua, se tu mi mostrassi quella che sostieni essere per natura la giustezza del nome. SOCRATE: O mio beato Ermogene, io non posso proprio dirtene alcuna; ma tu hai dimenticato quanto dicevo poco fa che io non ne so nulla ma che intendo farne ricerca insieme a te. E ora mentre stiamo conducendo la ricerca, e a me e a te questo appare chiaro contrariamente ai punti precedenti che il nome ha per natura una sua correttezza e che non è da ogni uomo saper porre il nome a un qualsivoglia oggetto. O no? ERMOGENE: Ma certo. SOCRATE: Dunque, dopo di ciò, occorre cercare, se tu desideri saperlo, quale mai sia questa sua correttezza. ERMOGENE: Ma io desidero proprio di saperlo. SOCRATE: Fanne ricerca dunque. ERMOGENE: E come bisogna farla questa ricerca? SOCRATE: La maniera più diritta, amico, è che tu la conduca con quelli che se ne intendono, pagandoli con denaro e riconoscendo loro anche gratitudine. Questi sono i sofisti, ai quali tuo fratello Callia,(14) pagando molto denaro, ne ha tratto fama di essere saggio. E poiché tu non sei più in possesso dei beni paterni, devi insistere presso tuo fratello e pregarlo di insegnarti la giustezza che circa questi argomenti egli ha imparato da Protagora. ERMOGENE: Sarebbe ben fuori luogo la mia preghiera, o Socrate, se, mentre non accetto affatto la "verità" di Protagora, desiderassi poi accogliere come degne di un qualche valore le argomentazioni addotte con una tale verità. SOCRATE: Ma se neppure questo ti appaga, occorre imparare da Omero e dagli altri poeti. ERMOGENE: E cosa dice Omero, o Socrate, a proposito dei nomi e dove? SOCRATE: In molti passi, ma in modo più profondo e più bello in quelli in cui distingue i nomi che agli stessi oggetti attribuiscono gli uomini e gli dèi. Non ritieni forse che egli in questi luoghi dica qualcosa di grande e di meraviglioso sulla correttezza del nomi? è chiaro infatti che gli dèi quanto alla correttezza dei nomi fanno uso proprio di quelli che sono tali per natura. (15) O forse tu non lo credi? ERMOGENE: So bene anch'io che se li chiamano, li chiamano nella maniera giusta. Ma quali sono questi nomi dei quali tu parli? SOCRATE: Non sai dunque che del fiume nella Troade, quello che venne a combattimento con Efesto egli dice «che gli dèi chiamano Xantos, ma gli uomini Scamandro»? (16) ERMOGENE: Io sì . SOCRATE: Ebbene, non pensi tu che sia qualcosa di ragguardevole sapere perché mai vada correttamente chiamato Xanto anziché Scamandro? E, se vuoi, dell'uccello del quale dice che Calcide lo chiamano gli dèi, cimindide (17) gli uomini, (18) credi che sia da poco l'apprendere quanto sia più corretto chiamare calcide invece che cimindide lo stesso uccello? E così di Batiea e di Mirine (19) e molte altre cose di questo poeta e di altri? Ma forse è cosa più grande che da me e da te scoprire questi nomi. Mentre di Scamandrio e di Astianatte che sono i nomi che egli dice attribuiti al figlio di Ettore, è cosa più umana, come a me pare, e più facile scoprire quale mai sia la correttezza che egli dice. Tu conosci certamente i versi nei quali si trova quello che io dico. ERMOGENE: Ma certo. SOCRATE: Ora di questi due nomi quale pensi che Omero giudichi più corretto assegnare al fanciullo: Astianatte o Scamandrio? ERMOGENE: Non so che dire. SOCRATE: Ora considera in questo modo: se qualcuno ti domandasse: credi tu che attribuiscano i nomi più correttamente i più intelligenti o i meno intelligenti? ERMOGENE: Ovviamente i più intelligenti, risponderei. SOCRATE: E dunque nelle città ti sembrano più assennati gli uomini o le donne, per fare così un discorso in generale? ERMOGENE: Gli uomini.(20) SOCRATE: E sai dunque che Omero dice che il figlioletto di Ettore veniva chiamato Astianatte dagli uomini, Scamandrio invece è chiaro che veniva chiamato dalle donne, dal momento che gli uomini lo chiamavano Astianatte? ERMOGENE: Pare così . SOCRATE: Dunque anche Omero non riteneva più saggi i Troiani delle loro donne? ERMOGENE: Penso di si. SOCRATE: Dunque riteneva egli pure che al fanciullo fosse attribuito più giustamente il nome di Astianatte che di Scamandrio? ERMOGENE: è evidente. SOCRATE: Cerchiamo dunque di scoprire il perché: o non ce lo indica egli stesso nel modo migliore il perché? Dice infatti: Egli solo difendeva per essi la città e le grandi mura,(21) e per questo dunque, come pare, può andare bene chiamare Astianatte ('padrone', 're della città') il figlio del difensore, cioè padrone di quello che il padre di lui salvava, come dice Omero. ERMOGENE: A me pare così . SOCRATE: E come mai? Perché in verità io ancora non lo capisco: e tu Ermogene, lo capisci? ERMOGENE: Per Zeus, io no! SOCRATE: Ma, mio buon amico, anche ad Ettore il nome lo dette lo stesso Omero? ERMOGENE: Che vuol dire? SOCRATE: Che anche questo nome, come a me sembra, è un pressappoco come Astianatte e che questi nomi hanno somiglianza con quelli Greci: infatti anax e hektor significavano su per giù la stessa cosa e sono ambedue nomi regali, perché quello di cui uno è anax di questo certamente è anche hektor; è chiaro infatti che lo domina, lo ha in proprio possesso, lo 'ha'.(22) Oppure sembra a te che io non dica nulla, ma tragga in inganno anche me stesso pensando di appigliarmi come a una traccia del pensiero di Omero circa la correttezza dei nomi? ERMOGENE: No, per Zeus, tu certamente no, come a me pare; anzi a qualcosa tu ti afferri certamente. SOCRATE: è giusto, così a me pare, chiamare leone il nato da leone e cavallo il nato da cavallo; e non dico se come per un portento da un cavallo nasce qualche altra cosa che non sia cavallo, ma di quello che secondo natura è discendenza di quel genere: di questo parlo io. Perché se un cavallo contro natura genera un vitello che secondo natura è prole di una mucca, non bisogna chiamarlo puledro, ma vitello. E neppure io penso se da un uomo non nasce ciò che è prole di uomo, questo nato debba essere chiamato uomo. Oppure a te non pare così ? ERMOGENE: A me sì . SOCRATE: Tu dici bene: ora però bada che io non ti tragga in errore: infatti, secondo lo stesso ragionamento, anche un nato da re bisogna chiamarlo re; se poi il nome in alcune sillabe e in alcune altre significa la stessa cosa, non v'è alcun problema. Ma se si aggiunge poi o si toglie qualche lettera neppure questo non cambia nulla, purché la sostanza dell'oggetto risulti chiaramente prevalente nel nome. ERMOGENE: E come dici questo? SOCRATE: Nulla di complicato: ma come tu sai delle lettere noi diciamo i nomi, ma non le stesse lettere, eccetto quattro: l'e, l'y, l'o, l'ô;(23) alle altre vocali poi e alle consonanti, tu sai che noi le pronunciamo, aggiungendo altre lettere, quando diamo loro i nomi. Ma purché vi poniamo chiara la forza espressiva della lettera va bene chiamare la lettera con quel nome che ce la renda chiara. Ad esempio il beta tu vedi che pur con l'aggiunta dell'e, del t, dell'a, non ne ha avuto alcun danno, tanto da non manifestare chiaramente con il nome al completo la natura di quella lettera che voleva il legislatore; così egli seppe porre bene i nomi alle lettere. ERMOGENE: Mi pare che tu dica il vero. SOCRATE: Lo stesso discorso non val pure a proposito del re? Infatti da un re discenderà un re, da uno buono un buono, da uno bello un bello e così per ogni altra cosa: da ogni genere nascerà altra siffatta prole, a meno che non intervenga un prodigio: bisognerà perciò usare gli stessi nomi. è possibile ad ogni modo fare variazioni con le sillabe, al punto da sembrare all'incompetente che i nomi sono diversi tra di loro, mentre sono gli stessi. Così a noi i farmaci dei medici resi vari nei colori e negli odori sembrano diversi mentre sono gli stessi; al medico invece, proprio perché considera la potenza dei farmaci, sembrano gli stessi, e non si fa colpire da quel che viene aggiunto. Così , con ogni probabilità, chi si intende di nomi considera la loro forza espressiva e non si lascia colpire se viene aggiunta qualche lettera, o viene spostata, o viene tolta, o se anche in lettere completamente diverse sta la forza espressiva del nome. Come quanto dicevamo poco fa, Astianax e Hektor non presentano alcuna lettera eguale eccetto il tau, ma significa pure la stessa cosa. E Archepoli ('reggitore di città') quale lettera presenta in comune con quelli? Eppure significa la stessa cosa. E ve ne sono molti altri che non significano niente altro se non re. E altri ancora stratego come Agis e Polemarco e Eupolemo;(24) e altri sono nomi di medici quali Iatrocle e Achesimbroto.(25) E forse potremmo trovarne molti altri che suonano ben diversamente nelle sillabe e nelle lettere, ma che per la loro capacità espressiva fanno risuonare lo stesso concetto. Sembra così anche a te, o no? ERMOGENE: Sì , certamente. SOCRATE: E dunque agli esseri che sono generati secondo natura occorre attribuire gli stessi nomi? ERMOGENE: Certo. SOCRATE: Ma a quelli che sono generati contro natura, quelli che nascono sotto l'aspetto di un portento? Per esempio quando da un uomo buono e pio viene generato uno empio, non è come negli esempi precedenti? E se un cavallo genera prole di mucca, non si dovrebbe a questa attribuire il nome del generante, ma quello della specie cui appartiene? ERMOGENE: Certo. SOCRATE: E così a chi viene generato empio dal pio occorre dare il nome della propria specie. ERMOGENE: è così . SOCRATE: E dunque, a quanto pare, non si deve chiamare Teofilo ('caro agli dèi') né Mnesiteo ('memore degli dèi'), né con alcun altro nome simile, ma con quelli che significano il contrario di questi, se ai nomi si vuole conferire una loro correttezza. ERMOGENE: Non c'è alcun dubbio, Socrate. SOCRATE: Come anche il nome di Oreste ha ogni probabilità di esser stato apposto correttamente sia che glielo abbia attribuito il caso sia anche un poeta che voleva indicare con il nome quel che di ferino e di selvatico e anzi di 'montanaro' era proprio della sua indole. ERMOGENE: Pare così , Socrate. SOCRATE: E pare anche che suo padre abbia un nome in accordo con natura. ERMOGENE: Pare. SOCRATE: E certamente l'Agamennone (26) è uomo tale da sapere sopportare ogni fatica e affanno alle imprese che si proponeva e ponendo fine con la sua virtù ai suoi proponimenti. Del suo modo di sentire e della sua costanza prova ne è la sua moné ('permanenza') davanti a Troia. Che quest'uomo dunque fosse agastos ('ammirevole') per la sua epimone ('costanza') lo prova il nome di Agamennone. E forse anche il nome di Atreo (27) sta correttamente. Infatti l'uccisione di Crisippo da parte sua e le atrocità che egli compì contro Tieste sono tutte cose queste dannose, anzi atera, 'rovinose' rispetto alla virtù. Ma l'eponimia dello stesso nome un poco devia e quasi viene nascosta tanto da non rivelare a tutti la natura dell'uomo. Ma a chi ha dimestichezza con i nomi Atreo manifesta sufficientemente quel che vuol dire. Infatti o che venga avvicinato a ateires ('indistruttibile') o a atresfon ('intrepido') o a ateron ('rovinoso') in ogni modo il nome è apposto bene. A me pare anche che per Pelope (28) il nome calzi perfettamente bene: questo nome infatti significa 'colui che vede le cose vicine' ed è degno di questa denominazione. ERMOGENE: Come? SOCRATE: Si dice, ad esempio, su quest'uomo, che nell'uccisione di Mirtilo (29) non fu in grado di presagire né di prevedere tutte le cose che a distanza di tempo sarebbero cadute su tutta la stirpe, di quante sciagure l'avrebbe riempita vedendo soltanto il vicino e l'immediato, e questo è il pelas ('vicino') quando spasimava di ottenere a ogni costo le nozze con Ippodamia. Anche per Tantalo chiunque potrebbe ritenere che il nome è stato posto giustamente e secondo natura, se sono vere le cose che si dicono a suo riguardo. ERMOGENE: E quali sono queste cose? SOCRATE: Le sventure molte e terribili che lo colsero ancora in vita, delle quali l'ultima la rovina completa della propria patria, poi, da morto, nell'Ade, quella talanteia ('sospensione') della pietra sul suo capo che si intona così mirabilmente con il suo nome e in realtà pare proprio come se uno avesse voluto chiamarlo talantaton (30) ('infelicissimo'), velandone un po' il nome, lo chiamasse e dicesse, invece di quello, Tantalo; questo nome dunque anche a lui pare che glielo abbiano procurato i casi delle dicerie sul suo conto. E sembra anche che al padre di lui che viene detto Dia il nome sia stato apposto benissimo: ma non è facile capirlo. In realtà il nome Dia è quasi come una frase, e dividendolo in due parti alcuni se ne servono di una e altri ci serviamo dell'altra, e così alcuni lo chiamano Zena altri Dia. Ma queste due parti fuse insieme rivelano la natura del nome che è appunto quello che noi sosteniamo, che un nome deve essere in grado di fare. Infatti non esiste per noi né per tutti gli altri uno che sia maggiormente causa dello zen ('vivere') se non chi è padrone e re di tutte le cose. Accade dunque che a ragion veduta questo dio sia chiamato colui mediante il quale (di'hon) il vivere (zen) è proprio di tutti gli esseri viventi. Ma come ho detto il nome, che è uno solo, è stato diviso in due parti: Dia e Zena.(31) E che questo poi sia figlio di Crono (32) può sembrare insolente per uno che lo ascolti una prima volta, invece è ben ragionevole che Dia sia prole di una grande intelligenza: il nome infatti significa coron non fanciullo, ma quello che è puro di lui e insomma l'aspetto immacolato della mente. Questi poi (Crono) è figlio di Urano come vuole il mito: e sta bene che la contemplazione verso l'alto sia chiamata con questo nome urania (33) perché guarda le cose di lassù e appunto di là i meteorologi dicono che derivi la purezza della mente e che all'ouranos ('cielo') sia stato dato giustamente questo nome. E se io ricordassi la genealogia di Esiodo quali dèi ancora, andando a ritroso, egli dice progenitori di questi, non cesserei di dimostrare come ad essi siano stati posti giustamente i nomi, fino a che non avessi messo alla prova cosa farà questa sapienza, se verrà meno o no, che ora, all'improvviso, mi è caduta addosso e non so da dove. ERMOGENE: In verità, o Socrate, mi sembra che ti metta a dare vaticini così all'improvviso, come quelli che sono ispirati. SOCRATE: E io ho l'impressione, o Ermogene, che essa mi sia caduta addosso ad opera di Eutifrone di Prospalta.(34) Stamane infatti sono stato a lungo assieme a lui e gli ho prestato ascolto. Può darsi anche che egli, così ispirato come è, non solo mi abbia riempito le orecchie della sua divina sapienza, ma che me l'abbia attaccata anche nell'anima. Mi pare dunque che sia bene fare così : per oggi servircene e continuare le ricerche sui restanti problemi riguardanti i nomi, domani poi, se anche a voi sembrerà bene, rigettarla e purificarcene, trovando qualcuno che sia capace di purgarci da tali esperienze, sia esso un sacerdote o un sofista. ERMOGENE: Io sono d'accordo, perché volentieri ascolterei quello che resta da dire sui nomi. SOCRATE: Bisogna dunque fare così : da dove vuoi che cominciamo a indagare, poiché ci siamo mossi su una certa impronta, per venire a sapere se i nomi stessi ci attesteranno di non essere stati posti così a caso a uno a uno, ma di avere una loro giustezza? Ora i nomi che vengono usati per gli eroi e per gli uomini forse possono trarci in inganno: molti di essi infatti sono stati posti così per eponimia con quelli degli antenati, pur non confacendosi per alcuni, come dicevamo all'inizio; molti vengono posti come buon augurio come Eutichide (35) ('fortunato'), Sosias ('salvatore'), Teofilo ('caro agli dèi') e molti altri. Ma a me pare che noi dobbiamo tralasciare nomi di tale fatta, mentre mi pare verisimile che noi troveremo particolarmente nomi posti con giustezza nelle cose che si trovano sempre nella stessa condizione e sono così per natura. Conviene che qui particolarmente l'apposizione del nome sia stata realizzata con gran cura. E forse alcuni di essi furono posti da un potere più divino che umano. ERMOGENE: Mi pare che tu dica bene, o Socrate. SOCRATE: Non è giusto dunque cominciare dagli dèi, per comprendere perché mai furono chiamati giustamente con questo nome di theoi? ERMOGENE: Mi pare di sì . SOCRATE: Io dunque faccio questa supposizione: mi pare che i primi uomini che abitavano in Grecia considerassero dèi soltanto quelli che ora anche molti barbari stimano tali, e cioè il sole, la luna, la terra, gli astri e il cielo, e siccome li vedevano tutti andare sempre di corsa e correre, da questa loro natura del thein ('correre'), li chiamarono theous ('dèi'); in seguito poi, riconosciute le altre divinità, le chiamarono tutte con questo nome. Ti pare che quel che dico in qualche modo si avvicini al vero oppure in niente? ERMOGENE: Mi pare del tutto verisimile. SOCRATE: E cosa dobbiamo cercare ora, dopo questo? ERMOGENE: è chiaro: i daimones ('demoni'), gli heroes ('eroi'), e gli anthropoi ('uomini'). SOCRATE: E in verità, Ermogene, cosa pensi mai voglia dire il nome daimones? Considera se ti pare che io dica qualcosa di serio. ERMOGENE: Ebbene, dilla. SOCRATE: Lo sai tu quali dica Esiodo essere i daimones? ERMOGENE: Non l'ho presente. SOCRATE: E neppure perché dice che la prima stirpe degli uomini era d'oro? ERMOGENE: Questo lo so. SOCRATE: E dunque di essa dice: Ma dopo che tale stirpe la Moira nascose sottoterra, daimones sacri, sotterranei essi son chiamati buoni, protettori dai mali, custodi degli uomini mortali.(36) ERMOGENE: E che vuol dire? SOCRATE: Io credo che egli chiamasse quella stirpe dorata non perché generata dall'oro, ma perché buona e bella. E ne è prova per me che dice di noi che siamo una stirpe di ferro. ERMOGENE: Tu dici il vero. SOCRATE: E non pensi tu che anche oggi direbbe che appartiene a quella stirpe dorata se pure ancora ve n'è qualcuno dei buoni? ERMOGENE: è verisimile. SOCRATE: E che altro sono i buoni se non intelligenti? ERMOGENE: Intelligenti, certo. SOCRATE: A me dunque pare questo, che egli soprattutto li chiami daimones; poiché erano intelligenti e daemones ('savi')(37) li ha chiamati daimones. Anche nella nostra lingua antica ricorre in tal senso questo nome. Egli dice dunque bene e così gli altri poeti quanti dicono che un uomo realmente buono dopo la morte ottiene una grande sorte e onore e diviene daimon secondo l'eponimia della sua saggezza. Allo stesso modo ritengo anch'io che ogni uomo che sia buono sia appunto daimonios ('divino') da vivo e da morto e che sia chiamato giustamente demone. ERMOGENE: E anche a me pare, o Socrate; esprimerei il mio voto insieme a te. Ma heros ('l'eroe') che cos'è poi? SOCRATE: Questo non è molto difficile da capire: di poco infatti è modificato il loro nome, mostrando la propria origine da eros ('amore'). ERMOGENE: Come dici? SOCRATE: Non sai che gli heroes ('eroi') sono semidei? ERMOGENE: E con questo? SOCRATE: Tutti dunque sono nati o da un dio innamorato di una mortale, o da un mortale innamorato di una dea. Se dunque tu consideri questo secondo la lingua attica antica lo capirai meglio; ti dimostrerà infatti che dal nome di eros ('amore') da cui sono nati gli eroi, poco si è deviato in grazia del nome. E questo appunto che significa «eroi», o perché erano saggi e retori, e abilissimi e dialettici, essendo capaci di erotan ('interrogare'); infatti eirein significa 'dire'. Come dunque dicevamo, quelli che sono detti eroi nella lingua attica, accade che siano alcuni dei retori e degli individui espertissimi ad interrogare, tanto che stirpe di retori e di sofisti diventa la tribù "eroica". Ma questo non è difficile da intendere; piuttosto il nome di uomini, perché mai vengono chiamati anthropoi ('uomini'): sapresti dirlo tu? ERMOGENE: E da quale presupposto, o mio caro, potrei saperlo? Neppure se fossi capace di trovare qualcosa, non mi ci impegnerei perché penso che tu lo troverai meglio di me. SOCRATE: Tu dunque confidi nell'ispirazione di Eutifrone, come pare. ERMOGENE: è chiaro. SOCRATE: E ben a ragione ti rimetti a quella: come anche a me, ora, pare di averla pensata proprio con finezza, e corro il rischio, se non sto attento, di divenire oggi anche più sapiente del necessario. Presta pure attenzione a quel che dico. In primo luogo, infatti, a proposito dei nomi bisogna pensare nel modo seguente, che spesso aggiungiamo delle lettere, spesso ne togliamo, rispetto a ciò che vogliamo denominare e cambiamo gli accenti. Ad esempio Dii philos ('caro a Zeus') perché possa diventarci un nome anziché una frasetta, noi vi togliamo il secondo iota e pronunciamo grave anziché acuta la sillaba di mezzo.(38) Al contrario, in altri nomi inseriamo delle lettere, e delle sillabe con accento grave le pronunciamo con l'accento acuto. ERMOGENE: Dici la verità. SOCRATE: Uno di questi fenomeni è avvenuto anche per il nome anthropoi ('uomini'), come a me pare. è diventato nome da locuzione, dopo che è stata tolta una lettera: l'alpha ed essendo divenuta grave la parte finale. ERMOGENE: Come dici? SOCRATE: Così . Questo significa il nome anthropos ('uomo'), che mentre gli altri animali non considerano, non ponderano, non riflettono attentamente sulle cose che vedono, l'uomo invece come ha visto, cosa che diciamo anche opope ('ha visto'), si mette anche a ponderare e a riflettere bene su ciò che ha visto. Di qui giustamente soltanto l'uomo, tra gli animali, fu chiamato anthropos, cioè anathron ha opope ('che riflette su ciò che ha visto'). ERMOGENE: E dopo di questo posso domandarti ancora ciò che mi piacerebbe di sapere? SOCRATE: Ma certo. ERMOGENE: A mio parere è una cosa che viene di seguito a quelle dette: dell'uomo dunque noi diciamo in parte psyche ('anima')e in parte soma ('corpo'). SOCRATE: Come no? ERMOGENE: Tentiamo dunque di esaminare anche queste come le precedenti. SOCRATE: Tu dunque dici di esaminare la psyche come mai verisimilmente ebbe questo nome e poi dopo anche soma? ERMOGENE: Sì . SOCRATE: Per rispondere così alla svelta, io penso che quelli che attribuiscono all'anima il nome di psyche abbiano stimato un pressappoco che questa è la parte che quando è presente nel corpo è quella che è cagione di vita per lui ponendogli la capacità di respirare e l'anapsychon ('quello che ristora') e insieme, quando questa facoltà di ristoro viene meno, il corpo cade in rovina e muore. Per questa ragione mi pare che essi chiamarono psyche l'anima. E se vuoi, fermati un attimo; mi sembra di intravvedere una spiegazione più affidabile di questa per Eutifrone e il suo seguito. Essi infatti, a mio parere, potrebbero sottovalutare e considerare grossolana questa che è stata data. Rifletti dunque se, questa che segue, piaccia anche a te. ERMOGENE: Dilla pure. SOCRATE: La natura dunque di tutto il corpo, tanto da consentirgli di vivere e di andare in giro, cos'altro pensi tu che la tenga insieme (echein) e la sostenga (ochein) se non l'anima? ERMOGENE: Niente altro. SOCRATE: E dunque? Non credi tu con Anassagora che anche per la natura di tutte le altre cose non siano la mente e l'anima a dare loro ordine e a tenerle insieme? ERMOGENE: Io sì . SOCRATE: A questa potenza che tiene insieme e sostiene la natura physin ochei kai echei si addice bene questo nome e anche chiamarla phiseche; ma, abbellendola, si può anche dire: psyche. ERMOGENE: Ma certamente: questa derivazione mi pare fatta maggiormente ad arte rispetto all'altra. SOCRATE: Ed è così . Ma sembra ridicola se la chiamiamo col nome che le fu posto. ERMOGENE: Ma come possiamo dire per quello che viene dopo? SOCRATE: Dici il corpo? ERMOGENE: Sì . SOCRATE: In parecchie maniere, a mio parere. E, se poi si cambia un po', in molte. Alcuni infatti dicono che esso è il sema (la 'tomba') dell'anima, in quanto l'anima vi sta riposta in questa vita presente. E siccome l'anima segnala attraverso il corpo quel che vuole significare, anche per questa ragione è giusto chiamarlo sema. E mi pare che questo nome gliel'abbiano posto quelli del seguito di Orfeo, poiché l'anima paga lo scotto di quelle colpe che deve pagare e che abbia questo involucro, ad immagine d'un carcere, per essere salvata sozetai. Questo dunque sia per l'anima, fino a che non abbia pagato quel che deve, come appunto esso viene denominato, un soma, cioè un mezzo di salvezza e non occorre cambiarvi nulla, neppure una lettera. ERMOGENE: Su questi argomenti, o Socrate, mi pare che sia stato detto abbastanza. Sui nomi degli dèi, come poco fa tu dicevi, su quello di Zeus, potremmo esaminare alla stessa maniera se i loro nomi sono stati posti con una qualche giustezza? SOCRATE: Certo, per Zeus, o Ermogene, se noi avessimo senno, avremmo un modo, il più bello di tutti, poiché degli dèi nulla sappiamo, né di loro, né dei loro nomi con i quali chiamano se stessi: è chiaro infatti che essi si chiamano con nomi veri. Un secondo modo di correttezza poi, come noi abbiamo l'abitudine di invocarli nelle nostre preghiere, quali che siano i nomi e donde piaccia loro di essere chiamati, di chiamarli noi stessi con quei nomi, perché di essi niente altro sappiamo, perché mi sembra che ci si sia abituati bene. Ma se tu vuoi, facciamo questa indagine, premettendo prima agli dèi che su di essi non faremo affatto questa ricerca, giacché non riteniamo di essere in grado di farla, ma intorno agli uomini, per conoscere con quale opinione mai essi posero loro nomi. Questa infatti non è cosa empia. ERMOGENE: A me pare, Socrate, che tu parli proprio come è giusto. SOCRATE: Da quale altro nome se non da quello di Hestia, dobbiamo cominciare secondo la consuetudine? ERMOGENE: è proprio giusto. SOCRATE: E cosa si può dire dunque che abbia pensato colui che le diede il nome di Hestia? ERMOGENE: Non mi pare davvero, per Zeus, che anche questo sia facile. SOCRATE: Ci sono molte probabilità, mio buon Ermogene, che i primi che attribuirono i nomi non fossero gente di poco conto, ma meteorologi e cervelli fini. ERMOGENE: Perché? SOCRATE: A me pare che l'assegnazione dei nomi sia opera di uomini come questi; se uno poi considera anche nomi stranieri, non di meno scopre quello che ciascuno vuole dire. Ad esempio, anche a proposito del termine che noi chiamiamo ousia ('essenza', 'sostanza') ci sono anche di quelli che la chiamano essia e altri ancora osia. In primo luogo dunque dal secondo di questi nomi avviene secondo ragione che l'ousia ('essenza', sostanza') delle cose sia chiamata Hestia e che poi noi diciamo che è (estin) quello che ha parte dell'essenza delle cose, e secondo questo venga chiamata giustamente Hestia. Sembra infatti che anche noi anticamente chiamassimo essia l'ousia. E ancora pensando ai sacrifici si può considerare che valutassero a questo modo coloro che posero i nomi: è verisimile infatti che prima che a tutti gli dèi sacrificassero innanzitutto a Hestia coloro che denominarono essia l'ousia (l"essenza')(39) di tutte le cose. Ma quanti invece la denominarono osia, molto verosimilmente questi, secondo il pensiero di Eraclito, pensarono che tutte le cose esistenti sono in movimento e nulla resta fermo; dunque se causa e principio del loro essere in movimento è l'othoun ('spingere', 'mettere in moto') di qui sta bene chiamarla osia ('la forza che provoca il movimento'). E tutto ciò sia pur detto così da parte di gente che nulla sa. Ma dopo Hestia è giusto fare ricerche sui nomi di Rhea e di Kronos. Ma quello di Kronos è già stato esaminato da noi. Ma, probabilmente, io non dico nulla di sicuro. ERMOGENE: Perché, Socrate? SOCRATE: Ma, amico mio, ho in mente uno sciame di saggi pensieri. ERMOGENE: E quale mai è questo? SOCRATE: Assolutamente ridicolo a dirsi, ma con una certa credibilità, io penso. ERMOGENE: E quale è questa? SOCRATE: Mi pare di vedere Eraclito che pronuncia certe sue antiche massime di saggezza, addirittura del tempo di Crono e di Rea (40) delle quali anche Omero ha parlato. ERMOGENE: E a qual proposito dici questo? SOCRATE: Dice Eraclito «che tutto si muove e nulla sta fermo» e confrontando gli esseri alla corrente di un fiume, dice che «non potresti entrare due volte nello stesso fiume». ERMOGENE: è così . SOCRATE: E dunque? Credi tu che la pensasse diversamente da Eraclito chi pose a nome dei progenitori degli altri dèi Rea e Crono? O pensi tu che così per caso egli abbia posto i nomi di fiumi? (41) Come a sua volta Omero chiama «Oceano genesi degli dèi» e «madre Tethys».(42) E così anche Esiodo io penso. E anche Orfeo in un passo dice: Oceano dalla bella corrente, per primo iniziò il connubio egli che prese in moglie la sorella di Thetys, figlia della stessa madre.(43) Rifletti dunque come tutte queste testimonianze siano in accordo tra di loro e tendano tutte alle teorie di Eraclito. ERMOGENE: Mi pare che tu dica bene qualcosa, o Socrate. Però io non riesco a capire cosa vuoi dire il nome di Thetys. SOCRATE: Manca poco in verità che questo non lo dica lo stesso nome che è contraffatto da fonte: infatti il termine diattomenon ('quello che cola') e l'altro hethoumenon ('ciò che sgocciola') sono immagine di fonte. Da ambedue questi nomi è composto il nome di Thetys. ERMOGENE: Questa, o Socrate, è un'ipotesi proprio arguta. SOCRATE: E perché non dovrebbe? Ma cosa c'è dopo di questo? Di Zeus abbiamo già detto. ERMOGENE: Sì . SOCRATE: Diciamo allora dei suoi fratelli, di Poseidone e di Plutone e dell'altro nome con il quale il secondo viene chiamato. ERMOGENE: Molto bene. SOCRATE: Dunque questo nome di Poseidon, il primo che glielo assegnò, mi pare che glielo desse, perché, mentre camminava la natura del mare lo trattenne e non lo lasciò più andare avanti, ma divenne per lui come un desmos ton podon, un 'legame dei piedi'. Chiamò dunque il dio che domina questa potenza del mare Poseidon, come se fosse Posi desmos ('legame ai piedi'). E la e è stata aggiunta, forse, al fine di eleganza. Probabilmente invece non vuol dire questo, ma invece del sigma veniva detto un tempo con due lambda, come dio polla eidos ('che molte cose sa'). Ed è possibile inoltre che dal seiein (44) ('dallo scuotere') fosse chiamato ho seion ('lo scuotitore'). Dunque la pi e il delta sono aggiunte. Per quel che riguarda Plouton, questo nome gli fu attribuito dal ploutou dosis ('dono della ricchezza'), in quanto la ricchezza si ricava da sotto la terra; per quel che riguarda Haides, invece, mi pare che i più intendano che con questo nome si voglia dire l'aides (45) ('l'invisibile'), ma poi, temendo questo appellativo, lo chiamano Plutone. ERMOGENE: E a te cosa ne pare, Socrate? SOCRATE: A me pare che gli uomini per molte ragioni siano in errore riguardo la potenza di questo dio e lo temano benché egli non ne abbia colpa. E lo temono perché quando ciascuno di noi muore, se ne sta sempre là, e poiché la nostra anima, nuda del proprio corpo, giunge da lui, lo temono anche per questo. A me pare invece che tutto tenda alla stessa cosa, e il potere del dio e il suo nome. ERMOGENE: E come? SOCRATE: Ti dirò dunque quello che è il mio parere; dimmi però: per un essere vivente qualsiasi, il legame più sicuro perché resti fermo ovunque, qual è: necessità o desiderio? ERMOGENE: C'è molta differenza, Socrate: il desiderio. SOCRATE: E credi tu che molti non sfuggirebbero a questo dio se egli non legasse con il legame più forte quelli che vanno là? ERMOGENE: è chiaro. SOCRATE: Con un qualche desiderio dunque egli li lega, se li lega con il più forte dei legami, e con la necessità. ERMOGENE: Pare così . SOCRATE: E, a loro volta, i desideri sono molti? ERMOGENE: Sì . SOCRATE: E dunque li lega con il maggiore dei desideri,(46) se vuole trattenerli con il più grande dei legami. ERMOGENE: Sì . SOCRATE: E c'è dunque un desiderio maggiore quando uno, standosene insieme a un altro, pensa di divenire un uomo migliore per mezzo di quello? ERMOGENE: Assolutamente, in nessun modo può esserci, o Socrate. SOCRATE: Per questo diciamo, o Ermogene, che nessuno di quelli di là se ne vuole tornare qua, neppure le stesse Sirene, ma si sentono esse stesse ammaliate come anche tutti gli altri. Così belli, pare, sono i discorsi che Ade sa dire; e così da questo discorso ne viene che egli è un perfetto sofista e un grande benefattore di quelli che sono insieme a lui, egli che così tanti beni riesce a dispensare anche a quelli di qua.(47) E lui ne ha tanto numerosi, polla houto, dei beni che sovrastano là, e per questo si ebbe il nome di Plutone. E del resto il fatto che non voglia stare insieme agli uomini quando hanno ancora il corpo, ma lo stare insieme a loro soltanto allora, quando l'anima è pura da tutti i mali e tutte le passioni legate al corpo, non sembra a te che sia proprio di un filosofo e di chi ha bene considerato che soltanto così può tenerli, legandoli con il desiderio della virtù, mentre quando hanno ancora le passioni e le follie che si congiungono al corpo, neppure Crono potrebbe trattenerli con quei legami che si narrano su di lui? ERMOGENE: Mi pare proprio che tu dica bene, o Socrate. SOCRATE: E dunque, Ermogene, il nome Haides è così lontano da derivare da aides, 'l'invisibile', ma è ben più probabile che, dall'eidenai, dal 'sapere' lui ogni cosa bella, dal legislatore fu chiamato Haides. ERMOGENE: Bene. Ma di Demeter ed Hera e Apollon e di Athena ed Hephaistos e Ares come diciamo? SOCRATE: Demeter sembra che sia stata chiamata in questo modo per il dono del cibo come la didousa hos meter, 'che dà come una madre', ed Hera in quanto è erate ('amabile'), come dunque si dice anche di Zeus che, innamorato di lei la tiene con sé. Ma forse, occupandosi di cose celesti, il legislatore chiamò l'aer ('l'aere') Hera camuffando un po' il suo intendimento ponendo il principio alla fine (ponendo alla fine la prima lettera del nome). E tu puoi capirlo se ripeti spesso il nome di Hera.(48) Riguardo Pherrephatta (Persefone), molti hanno paura anche di questo nome e quello di Apollon, per inesperienza, come è verisimile, della correttezza dei nomi, e così scambiando alcune lettere volgono la mente a Phersephone ('portatrice di morte') e pare loro cosa terribile;(49) esso indica invece che la dea è sapiente. Infatti le cose pheromena, 'che sono portate', l'ephaptomenon ed epaphon, 'quello che sovrasta' e 'quello che tocca', e in definitiva che può seguire potrebbe essere sapienza.(50) Questa dea dunque per la saggezza e per il 'toccamento di quel che viene portato', dia ten epaphen tou pheromenou potrebbe essere chiamata correttamente Pherepapha, o qualcosa di simile; perciò con lei convive Ade, che è saggio e perché essa è tale; ora invece ne pervertono il nome facendo maggiore conto della gradevolezza di pronuncia che della verità, tanto da chiamarla Pherrephatta. La stessa cosa avviene anche per Apollon, come si diceva, molti infatti sono impauriti dal nome del dio come se significasse qualcosa di terribile; o non vi avevi fatto caso? ERMOGENE: Ma certamente; tu dici proprio la verità. SOCRATE: Questo nome invece, a mio parere, è stato posto splendidamente, proprio per la potenza del dio. ERMOGENE: E come? SOCRATE: Tenterò di dirti quello che è il mio parere: infatti non può esserci nome, che, pur essendo unico, si armonizzi di più alle quattro potenzialità del dio, così da comprenderle tutte e da mostrarne in qualche modo la sua attinenza alla musica, alla nautica, alla scienza medica e alla capacità di scagliare dardi. ERMOGENE: Parlane dunque: perché tu mi dici che questo nome è un po' fuori del comune. SOCRATE: Ma ben armonizzato perché il dio è musico; perché, anzitutto la purificazione e le purgazioni sia secondo la scienza medica sia secondo quella mantica, e le lustrazioni con i farmaci previsti dalla scienza medica e da quella mantica e le abluzioni che sono insite in queste e le aspersioni, tutte queste cose possono avere questo solo scopo, di rendere l'uomo puro nel corpo e nell'anima, o no? ERMOGENE: Ma certamente. SOCRATE: E dunque non deve essere questo il dio che lava (apolouon) e che scioglie (apolion) da siffatti mali? ERMOGENE: Senza dubbio. SOCRATE: E dunque per questi lavacri (apolouseis) e per questi scioglimenti (apoliseis), siccome egli è medico di codesti malanni dovrebbe essere chiamato correttamente Apolouon, 'colui che lava', quanto poi alla scienza nautica, al vero, al semplice haploun, che poi sono la stessa cosa, potrebbe essere chiamato correttamente Aploun: così infatti chiamano questo dio tutti i Tessali. E ancora siccome egli è sempre padrone dei lanci (aei bolon enkrates) per le sue capacità nel tirare, egli è Aei ballon ('che sempre colpisce').(51) Quanto all'arte musicale occorre tenere presente, come in akolouthon kai ten akoitin ('seguace e coniuge') che la alpha (a) spesso significa to omou ('insieme'), ed anche qui ten homou polesin ('il movimento insieme') sia per quel che riguarda il cielo, che chiamano poli, sia per quel che riguarda l'armonia nel canto che viene chiamata sinfonia, poiché tutte queste cose come dicono gli intenditori in fatto di musica e di astronomia, si muovono tutte insieme a una certa armonia. Questo dio infatti sovrintende all'armonia muovendo tutte queste cose così presso gli dèi, come presso gli uomini. Come dunque l'homokeleuthon ('compagno di via') abbiamo chiamato akolouthos ('seguace') e l'homokoitis ('che giace insieme') abbiamo chiamato akoitis ('compagna di letto')(52) cambiando invece dell'homo in alpha (a) così abbiamo chiamato Apollon quello che era Homopolon, aggiungendovi un altro lambda (l) poiché diveniva omonimo e quel nome sgradito (apolon 'che ucciderà', 'che darà morte'). Ed è proprio quello per cui anche ora alcuni, stando in sospetto per non considerare correttamente la forza espressiva del nome, hanno paura come se avesse il significato di 'strage', 'rovina'. E invece è stato posto molto bene, come si diceva poco fa, perché abbraccia tutte le possibilità del dio, che è schietto, che sempre colpisce, che purifica, che tutto muove. Alle Muse poi e in generale alla musica il legislatore pose questo nome, come è verisimile, del verbo mosthai ('investigare') e dalla ricerca e dalla filosofia. E Letho (Latona) dalla bontà della dea, perché essa è benevola (ethelemon) delle cose che uno può chiederle. Ma forse è come la chiamano gli stranieri: molti infatti la chiamano Letho, pare verisimile per l'assenza di durezza della sua indole ma anzi per l'affabilità e la dolcezza (leion) del carattere viene chiamata Letho da coloro che così la chiamano. Ad Artemide poi sembra che il nome sia stato posto per l'artemes ('l'integrità') per l'ornatezza e per il suo desiderio di verginità. E probabilmente chi le assegnò il nome volle chiamarla esperta di virtù (aretes histor) o forse anche che detesta l'aratura (ton araton misesasa) del maschio nella femmina: o per uno di questi motivi oppure per tutti questi insieme le pose questo nome colui che pose il nome alla dea. ERMOGENE: E che dire poi di Dionysos e di Aphrodite? SOCRATE: Sono grandi le domande che mi fai, o figlio di Ipponico. Ma il nome attribuito a questi due dèi fu dato sul serio e per scherzo: quello serio domandalo pure ad altri; ma nulla impedisce che si esamini quello scherzoso, perché anche gli dèi si dilettano dello scherzo. Dunque Dionysos nel suo significato scherzoso sarebbe 'colui che dà il vino', Didoinysos; il vino poi, poiché fa credere a parecchi di quelli che bevono di avere senno, mentre in realtà non ne hanno, potrebbe essere chiamato a buon diritto oionous ('che fa credere d'avere senno').(55) Per quanto riguarda Aphrodite non va bene contraddire Esiodo, ma ammettere con lui che fu chiamata Afrodite per aver tratto la propria nascita dall'aphros ('schiuma') del mare. ERMOGENE: Ma nemmeno di Athena, Socrate, tu che sei Ateniese, vorrai dimenticarti: e nemmeno di Hephaistos e di Ares. SOCRATE: E non sarebbe neppure giusto. ERMOGENE: No, certo. SOCRATE: Dunque, l'altro nome suo non è difficile dire per quale motivo le è stato dato. ERMOGENE: Quale? SOCRATE: Pallas: la chiamiamo anche così . ERMOGENE: Come no? SOCRATE: Se riteniamo che questo nome le sia stato posto dal suo danzare in armi, noi riterremmo una cosa giusta. Infatti noi chiamiamo pallein e pallesthai il sollevare in alto o se stessi o qualcos'altro o da terra o nelle mani, e orchein e orcheisthai il 'far danzare' e il 'danzare'. ERMOGENE: Certamente. SOCRATE: Per questa ragione dunque noi diciamo Pallas. ERMOGENE: E giustamente. Ma dell'altro nome cosa ne dici? SOCRATE: Quello di Athena? ERMOGENE: Sì . SOCRATE: Questo è più ostico, amico. Pare che anche gli antichi la pensassero a proposito di Athena come oggi i critici valenti di Omero. I più di essi, infatti, studiando il poeta dicono che egli in Athena volle personificare il nous e la dianoia, vale a dire la 'mente e il pensiero', e colui che le assegnò i nomi sembra che abbia pensato qualcosa di simile; anzi chiamandola con maggiore solennità theou noesis ('mente del dio') dice che essa è ha theonoa, 'la mente divina', usando alla maniera dei forestieri l'alpha invece dell'eta ed eliminando lo iota e il sigma. E nulla manca che egli volesse chiamarla Ethonoe essendo quella che ha il pensiero nell'indole, en thoi ethei noesis. Ma poi o lo stesso o altri in seguito, per farne più bello il nome, come essi credevano la chiamarono Athenaa. ERMOGENE: E di Ephaistos poi, cosa dici? SOCRATE: Mi chiedi dunque di quel nobile phaeos histor ('conoscitore di luce')? ERMOGENE: Sì , certo. SOCRATE: Ma non è chiaro a tutti che costui è Phaistos, 'il luminoso'? ERMOGENE: è forse così , se anche a te non pare altrimenti, come è pur probabile. SOCRATE: Ma perché a me non paia, chiedimi di Ares. ERMOGENE: Te ne chiedo. SOCRATE: Dunque, se tu vuoi, potrebbe essere chiamato Ares per l'arren e andreion per il suo tratto 'maschile e coraggioso';(54) se poi per il suo lato 'duro' (skleron) e 'inflessibile' (ametastrophon) che viene chiamato appunto arraton,(55) in ogni modo a un dio della guerra conviene essere chiamato Ares. ERMOGENE: Ma certo. SOCRATE: Ma ora, per gli dèi, stacchiamoci dagli dèi, perché io temo a parlare di essi. Ma, se tu vuoi, proponi pure il nome di alcuni altri, «affinché tu sappia chi sono i cavalli di Eutifrone».(56) ERMOGENE: Farò così , pure chiedendoti ancora una sola cosa su Hermes, perché Cratilo dice che io non sono Ermogene.(57) Tentiamo di vedere cosa anche significa questo nome, per sapere se costui dice qualcosa. SOCRATE: In realtà sembra pure che questo nome abbia una qualche attinenza con la parola, e l'essere hermeneus ('interprete'), nunzio, ladro, ingannatore nei discorsi e trafficante è questa tutta una attività che riguarda la potenza della parola. Quello che dicevamo anche prima, l'eirein e l'uso del 'parlare'. L'altra parte poi, come anche Omero spesso dice, adopera emesato ('escogitò') che vuol dire 'macchinare', mechanesasthai.(58) Servendosi dunque di queste due parti il legislatore ci presenta questo dio come ho mesamenos ('colui che escogitò') il parlare e la parola, il parlare infatti è eirein, e quasi ci ordina: «O uomini, colui che escogitò il parlare, è giusto che da voi venga chiamato Eiremes». Ora noi, abbellendo, come crediamo, il suo nome, lo chiamiamo Ermes. Ed anche Iris fu chiamata sempre da eirein, perché è messaggera degli dèi. ERMOGENE: Per Zeus! Mi pare davvero che Cratilo dica che io non sono Ermogene; non sono certo molto agile nel parlare. SOCRATE: E che Pan sia figlio a doppia natura di Ermes, ha verisimiglianza, amico mio. ERMOGENE: E come? SOCRATE: Tu sai che la parola significa 'ogni cosa', pan: e va in giro, ed è sempre in movimento, è vera ed è falsa. ERMOGENE: Certo. SOCRATE: E dunque la componente vera di essa, liscia e divina abita lassù, tra gli dèi, mentre quella menzognera, aspra e caprina sta quaggiù tra la moltitudine degli uomini. Qui infatti sono molti i miti e le menzogne, nella vita tragica.(59) ERMOGENE: Certo. SOCRATE: Giustamente dunque chi significa 'ogni cosa' (pan), ed 'è sempre in movimento' (aei polon), può essere Pan aipolos, figlio a doppia natura di Ermes, nella parte superiore liscio, in quella inferiore aspro e caprigno. E quindi Pan è la parola o il fratello della parola, se è figlio di Ermes; e non v'è alcuna meraviglia che il fratello somigli al fratello. Ma, come ti dicevo prima, o tu beato, allontaniamoci dagli dèi. ERMOGENE: Su questi, o Socrate, chiudiamo pure, se vuoi. Ma di questi altri cosa ti impedisce di trattare, come del sole, della luna, materia tragica. degli astri, della terra, dell'etere, del fuoco, dell'acqua, delle stagioni, dell'anno? SOCRATE: Tu me ne chiedi proprio parecchi; tuttavia, se a te riuscirà gradito, desidero farti contento. ERMOGENE: Sì , mi farai piacere. SOCRATE: Quale desideri dunque per primo? O, come dicevi poco fa, trattiamo del Sole, di Helios? ERMOGENE: Certo. SOCRATE: Sembra dunque più chiaro questo nome se ci si avvalesse della forma dorica: i Dori infatti lo chiamano halios. Halios dunque può derivare dal fatto che 'aduna', halizei, nello stesso luogo gli uomini non appena sorge, oppure anche perché sempre 'gira su se stesso andando' (aei heilei ion), intorno alla terra, o anche perché, sembra, tinge di vari colori le cose che derivano dalla terra. Del resto poikillein ('tingere di vari colori') e aiolein ('screziare') significano la stessa cosa. ERMOGENE: E cosa dici riguardo selene ('la luna')? SOCRATE: Pare che questo nome metta alle strette Anassagora.(60) ERMOGENE: Perché? SOCRATE: Sembra infatti che renda chiaro che è più antica l'affermazione che egli sosteneva invece come recente, che la luna prende la propria luce dal sole. ERMOGENE: Come? SOCRATE: Ma perché selas ('splendore') e phos ('luce') sono più o meno la stessa cosa. ERMOGENE: Sì . SOCRATE: Ora questa luce (phos) intorno alla luna è sempre nuova e vecchia se gli Anassagorei dicono il vero; il sole infatti andando in giro in cerchio sempre attorno ad essa la inonda sempre di luce nuova, mentre invece è vecchia quella del mese precedente. ERMOGENE: Certo. SOCRATE: E molti la chiamano Selenaia. ERMOGENE: Vero. SOCRATE: E siccome ha sempre 'uno splendore vecchio e nuovo' (selas neon kai henon aei), potrebbe essere chiamata con il più giusto dei nomi (Selaenoneoaeia), che poi, una volta composto, viene chiamata Selenaia. ERMOGENE: è proprio un nome da ditirambo questo, o Socrate. Ma cosa dici del mese (men) e degli astri (astra)? SOCRATE: Men o meis da meiousthai ('diminuire') potrebbe correttamente essere chiamato meies ('quello che diminuisce'), mentre gli astri derivano il proprio nome, pare, da astrape ('luminosità', 'lampo'); astrape poi, in quanto fa volgere lo sguardo, ta opa anastrephei, sarebbe con esattezza anastrope: ma poi, abbellita, viene chiamata astrape. ERMOGENE: E che dici del fuoco, pyr, e dell'acqua, hudor? SOCRATE: Quanto al fuoco sono in imbarazzo, e c'è rischio che la Musa di Eutifrone mi abbia abbandonato, oppure questo è un nome molto difficile. E bada bene a quale trovata mi volga per tutte le questioni per le quali mi trovo in imbarazzo. ERMOGENE: E quale? SOCRATE: Te lo dirò: rispondimi dunque. Potresti dirmi per qual maniera il fuoco si chiama pyr? ERMOGENE: Io no, per Zeus! SOCRATE: Osserva dunque quello che io suppongo su questo problema. Ritengo che i Greci e in particolare quelli che vivono sotto ai barbari, molti nomi li abbiano derivati proprio da essi. ERMOGENE: Ebbene? SOCRATE: Se uno dunque cerca secondo la lingua greca con quale criterio questi nomi sono stati attribuiti e non secondo quella dalla quale il nome è stato eventualmente posto, tu sai bene che può trovarsi alle strette. ERMOGENE: è naturale. SOCRATE: Bada dunque che anche questo nome, pyr, non sia barbarico. Infatti non è facile adattarlo alla lingua greca; è evidente invece che sono i Frigi a chiamarlo così facendo una piccola modifica, e così anche di acqua (hudor), e di cani (kynes) e di molti altri nomi. ERMOGENE: è così . SOCRATE: Non bisogna dunque fare su di loro violenza, anche quando si avesse qualcosa da dire in merito. In questo modo dunque io mi sbarazzo di pyr e di hudor. Ma aer ('l'aere') è stato chiamato così , o Ermogene, perché 'solleva', airei,(61) le cose da terra? Oppure perché 'scorre sempre', aei rhei? Oppure perché da esso, quando fluisce, sorge il vento? E infatti i poeti chiamano i venti aetai.(62) E forse vuoi dire aetorroun ('vento che scorre') come se si dicesse pneumatorroun ('soffio che scorre'). E dell'etere, aither, io la penso a questo modo, poiché 'corre sempre' (aei thei), fluendo intorno all'aere potrebbe essere chiamato giustamente aeitheer. E ghe ('terra') significa meglio quel che vuol dire, se si ricorre all'altro suo nome gaia. Infatti gaia potrebbe essere chiamata giustamente ghenneteira ('genitrice'), come dice Omero; e gheghennesthai ('essere generata'). E sia! Cosa ci aspettava dunque dopo questo? ERMOGENE: Horai, le stagioni, o Socrate, e eniautos, 'l'anno', e etos, 'anno' ancora. SOCRATE: Horai va pronunciato horai come in attico antico, se vuoi saperne il probabile significato: e sono dette horai da horizein, dal 'determinare' gli inverni e le estati, i venti e i frutti della terra. E poiché sono horizousai 'determinanti', possono chiamarsi correttamente horai. Eniautos ed etos sono probabilmente una sola cosa. Infatti quello che porta alla luce le cose che nascono e si sviluppano, ognuna a suo tempo e questo en hautoi exetazei ('ricerca in se stesso'), come nelle considerazioni fatte prima, il nome di Dios veniva diviso in due parti, e alcuni lo chiamavano Zena, altri Dia, così anche in questo caso alcuni perché en heautoi lo chiamano eniautos, altri etos poiché etazei. Ma l'intera locuzione è en heautoi etazei ('fa ricerca in se stesso'), e questo, pur essendo uno solo viene denominato in due modi, tanto che da una sola parola sono derivati due nomi: eniautos ed etos. ERMOGENE: Certo, Socrate, tu ti fai molto avanti! SOCRATE: Pare anche a me, ormai, di spingermi avanti in fatto di sapienza. ERMOGENE: Ma certo. SOCRATE: Presto potrai dirlo meglio.(63) ERMOGENE: Ma, dopo questo aspetto, volentieri io esaminerei con quale correttezza mai sono stati posti questi bei nomi che riguardano la virtù, quali ad esempio la phronesis ('il senno'), la synesis ('intelligenza'), la dikaiosyne ('la giustizia') e tutti gli altri di questo genere. SOCRATE: Tu richiami, amico, un genere di nomi non da poco: tuttavia, poiché ho messo indosso la pelle di leone,(64) non bisogna spaventarsi, ma fare ricerca, come conviene, su phronesis ('senno'), synesis ('intelligenza'), ma anche su gnome ('discernimento'), episteme ('scienza', 'conoscenza') e tutti quanti gli altri che tu chiami bei nomi. ERMOGENE: Certo e non bisogna tirarci indietro prima. SOCRATE: In realtà, per il cane, mi pare di non essere stato un indovino da poco pensando, cosa che avevo in mente anche poco fa, che quegli uomini antichi che imposero i nomi ebbero a provare quello che capita oggi alla maggior parte dei sapienti, che per il loro parecchio volgersi da ogni parte cercando ove stia la realtà, vengono colti da continui capogiri: e così a loro sembra che le cose girino e vengano portate in ogni senso. E non chiamano in causa di questa loro opinione la propria condizione interna, ma le cose stesse che credono che siano così fatte per disposizione naturale si ché nessuna di esse è salda e sicura e scorre e si muove ed è piena sempre di ogni movimento e generazione. Dico questo pensando a tutti i nomi or ora ricordati. ERMOGENE: Come mai questo, o Socrate? SOCRATE: Forse non hai posto mente a quello che si diceva ora: e cioè che i nomi sono stati attribuiti alle cose come se si muovessero, scorressero e divenissero tutte. ERMOGENE: No, non ci ho fatto assolutamente caso. SOCRATE: E in primo luogo, il nome che abbiamo detto per primo è proprio come se riguardasse cose di questo tipo. ERMOGENE: E quale? SOCRATE: Phronesis ('senno'); è infatti 'intendimento di movimento e di corrente', phoras kai rou noesis. Ma sarebbe possibile intenderlo anche come utilità di movimento, onesis phoras. Dunque riguarda sempre il pheresthai ('essere portato', 'muoversi'). E se vuoi, la gnome ('discernimento') significa sostanzialmente gones skepis ('indagine', 'studio di generazione): infatti noman ('studiare') e skopein ('investigare', 'ricercare') significano la stessa cosa. Del resto, se vuoi, lo stesso vocabolo noesis è neou esis ('tendenza al nuovo'), e il fatto che le cose esistenti siano nuove significa che sono generate in continuità. Chi dunque assegnò il nome di noesis, ha voluto significare che l'anima tende sempre al nuovo; infatti anticamente non veniva chiamata noesis, ma invece dell'eta bisognava pronunciare due epsilon: noeesis. Sophrosune ('saggezza'), poi, è salvezza di quello che abbiamo esaminato or ora, cioè della phronesis ('senno'). E episteme ('scienza', 'conoscenza') significa che l'anima, quella degna di considerazione, tiene dietro, hepetai, alle cose che sono in movimento e non le lascia indietro e nemmeno corre loro innanzi. Noi perciò introducendo una e bisogna che la chiamiamo epeisteme.(65) Synesis ('intelligenza ','comprensione') a sua volta parrebbe, grosso modo, equivalere a sylloghismos ('ragionamento', 'conclusione'); e dunque quando si dice synienai accade di dire proprio lo stesso che epistasthai ('comprendere'). Synienai infatti vuol dire che l'anima avanza insieme con le cose. Sophia ('saggezza'), poi, significa ephaptesthai phoras ('toccare il movimento'), ma è un termine alquanto oscuro e strano. Ma occorre pure ricordarsi che i poeti, assai spesso, quando si imbattono in qualcuna di quelle cose che cominciano ad avanzare rapidamente, dicono esythe ('balzò su').(66) Uno spartano, tra i più illustri, aveva nome Sous, vocabolo questo che gli Spartani chiamano il movimento rapido. Sophia dunque significa 'contatto con il movimento', phoras epaphe, come di cose che si muovono continuamente. Agathon, questo nome vuole essere attribuito a tutto ciò che di 'ammirevole', agasthon, è in tutta la natura, giacché tutte le cose camminano, ma in alcune è velocità, in altre lentezza. Non tutta la velocità infatti è agasthon, ma soltanto una parte di essa; dunque a questa parte del thoon del 'veloce'(67) che è agaston si attribuisce il nome di tagathon. Dikaiosune ('giustizia'): che questo nome sia stato attribuito per la 'comprensione del giusto', dikaiou sunesei, è facile capire: difficile invece cosa vuol dire 'giusto' in sé. Sembra infatti che fino a un certo punto ci sia accordo da parte di molti, ma poi ci siano contese. Quanti poi ritengono che il tutto sia in movimento, pensano che il più di esso sia tale da non avere alcun'altra essenza che non mutare sede, che però attraverso questo tutto vi è un qualcosa che scorre, con il quale si genera tutto ciò che è generato. E tutto questo è velocissimo e sottilissimo. Diversamente, infatti, non potrebbe andare attraverso tutto l'esistente, se non fosse sottilissimo, tanto che nulla può essergli di impedimento, e velocissimo tanto da fare uso delle altre cose, passando attraverso di esse, fu chiamato correttamente con questo nome di dikaion, dopo aver preso a sostegno la forza di un k per comodità di pronuncia. Fino a questo punto, cosa che dicevamo or ora, da parte di molti si riconosce che questo è to dikaion. Ma io, che sono così attaccato al giusto, o Ermogene, sono venuto a sapere per vie riservate che il dikaion ('giusto') è anche la causa 'per cui', di'ho, avviene, questa è appunto la causa, e qualcuno disse che stava bene di chiamarlo non di meno Dia.(68) E io poi, udite queste cose, continuo a interrogare piano piano costoro: «Cosa mai dunque è il giusto, o ottimo uomo, se questo sta così ?». E così do l'impressione di chiedere più a lungo del lecito e di saltare oltre il fosso. E dicono che io ne ho saputo a sufficienza, e mettono mano, volendo bene riempirmi, chi a sostenere una cosa e chi un'altra, e non vanno più d'accordo. E l'uno mi dice che questo è giusto, dikaion, il sole; egli solo, infatti, dirige le cose 'passando attraverso' di esse, diaion, e 'riscaldandole', kaon. E quando dico la stessa cosa a un altro, lieto per aver sentito qualcosa di bello, si mette a ridere di me udendomi e mi chiede se io penso che non esista niente di giusto tra gli uomini quando è tramontato il sole. E siccome insisto perché a sua volta lo dica lui, mi risponde che è il fuoco; ma questo non è facile da capire. Un altro ancora sostiene che non è il fuoco in sé, ma proprio il calore che si trova nel fuoco. Ma un altro ancora afferma di ridersela di tutte queste trovate e sostiene che il giusto è quel che dice Anassagora, cioè la mente; e dice che questa, indipendente com'è e non mescolata a nessun'altra cosa, le governa tutte passando attraverso di esse. A questo punto io, amico caro, mi trovo in molto maggior imbarazzo che prima di aver tentato di apprendere del giusto cosa mai esso sia. Ma, rispetto a quello per cui facevamo la nostra ricerca, pare che questo nome gli sia stato attribuito per queste ragioni. ERMOGENE: Mi pare, o Socrate, che queste cose tu le abbia sentite da un altro e non le esponga ora improvvisandole. SOCRATE: E cosa dici delle altre? ERMOGENE: No, assolutamente. SOCRATE: Ascolta dunque, perché forse potrei farti credere che anche le rimanenti le dico non avendole udite da altri. Ma dopo la giustizia di che cosa ci resta da parlare? Il coraggio, andreia, non l'abbiamo ancora esaminato, io credo. è chiaro infatti che l'adikia è di impedimento per l'ente 'che passa attraverso', diaion; andreia, invece, 'il coraggio', significa come se questo nome di coraggio gli fosse stato attribuito in battaglia; e battaglia è nell'ente, se questo scorre, niente altro se non la 'corrente contraria', enantia rhoe. Se dunque si elimina il delta dal nome di andreia, il nome anreia significa proprio questa opera. E pur sempre chiaro che non la corrente contraria a ogni corrente è coraggio, ma quella che contrasta alla corrente che si oppone al giusto: diversamente infatti non verrebbe lodato il coraggio. E così arren ('virilità') e aner ('uomo') si riferiscono a un qualcosa simile a questo, ano rhoe ('corrente verso l'alto'). Gyne ('donna'), poi, pare a me voglia significare 'generazione', gone, e thely ('femminile') pare che sia chiamato così da thele ('mammella'). E la thele, Ermogene, non ritieni che sia detta così perché 'fa fiorire', tethelenai,(69) come tutto quello che viene annaffiato? ERMOGENE: Mi pare di sì , o Socrate. SOCRATE: E anche lo stesso thallein ('fiorire') mi sembra che rapresenti la crescita dei giovani perché è rapida e improvvisa. Ed è proprio quello che il legislatore ha imitato con il nome componendolo con il thein ('correre') e hallesthai ('saltare'). Ma tu non ti rendi conto che io mi lascio trascinare fuori dal seminato non appena imbocco un tratto liscio. E sì che restano ancora molte questioni di quelle che sembrano impegnative. ERMOGENE: Dici il vero. SOCRATE: E una di queste è vedere anche techne ('arte') che cosa mai vuol dire. ERMOGENE: Ma certo. SOCRATE: E non significa dunque techne hexis nou ('condizione della mente'), per chi toglie il tau e vi aggiunge ou tra il ch e il n e tra il n e l'eta? ERMOGENE: Sì , ma in modo molto cavilloso, o Socrate. SOCRATE: Ma, te beato, non sai che i primi nomi sono stati seppelliti da parte di coloro che volevano solennizzarli, aggiungendovi o togliendovi delle lettere per una buona pronuncia e stravolgendoli da ogni parte e per abbellimenti e per il tempo? Giacché in katoptron ('specchio') non ti pare strano l'aver inserito un ro?(70) Ma compiono tali mutamenti quelli che non si preoccupano affatto della verità, ma compongono soltanto la bocca, tanto che aggiungendo molte novità sui primi nomi riescono col fare in modo che neppure uno degli uomini giunga a comprendere cosa mai voglia dire il nome; e così anche la Sfinge chiamano Sphinx anziché Phinx (71) e così per molti altri nomi. ERMOGENE: Avviene proprio così , Socrate. SOCRATE: Ma se si ammetterà di aggiungere o toglier tutto quello che si vuole dai nomi, grande sarà la facilità a chiunque riuscirà ad adattare ogni nome ad ogni cosa. ERMOGENE: Dici il vero. SOCRATE: è vero sì . Ma io penso che tu, da saggio sovrintendente, debba osservare il senso della misura e della verisimiglianza. ERMOGENE: Io lo vorrei. SOCRATE: E con te, Ermogene, lo voglio anch'io: ma sta attento, caro amico, a non fare troppe sottigliezze, che tu non abbia a snervare il mio coraggio,(72) perché raggiungerò la cima di quel che ho detto quando, dopo tekhne avremo ben considerato mekhane ('mezzo', 'macchina'). Mekhane infatti mi sembra essere il significato di anein epi poly ('andare avanti parecchio'). E infatti il mekos ('lunghezza' )significa un press'a poco il molto. Da queste due parole dunque, il mekos e l'anein è stato posto il nome di mekhane. Ma, come dicevo poco fa; bisogna giungere in cima delle cose enunciate; occorre ricercare cosa significano i nomi arete ('virtù') e kakia ('malvagità', 'vizio'). Di questi due l'uno non riesco ancora a sbroccarlo, l'altro invece mi appare chiaro: si accorda infatti con tutte le cose dette prima. E siccome le cose sono sempre in movimento (73) il kakos ion ('l'andante male') è la malvagità, il vizio. E quando questo 'andare male' verso le cose si trovi nell'anima, allora soprattutto assume la denominazione dell'intero, cioè di malvagità, vizio. Poi, che cosa sia mai questo 'male andare' a me par chiaro che si trovi anche in deilia ('viltà'), nome che noi non abbiamo ancora preso in considerazione, anzi abbiamo saltato, mentre si doveva esaminare dopo andreia ('coraggio'). Mi sembra poi che ne abbiamo saltato anche molte altre. E dunque la deilia desmos ('viltà') dell'anima a me pare essere un legame forte: perché lian ('troppo') è in qualche modo una forza. Dunque il legame più forte e più grande dell'anima sarebbe la deilia. Così anche l'aporia (74) ('mancanza, difetto') è un male e, come pare, lo è tutto ciò che è di impedimento all'andare, al farsi avanti. Sembra dunque che significhi questo il kakos ienai ('il male andare'), cioè il farsi avanti molto a stento e con impaccio, e quando l'anima ce l'ha, diventa ripiena di kakia ('vizio'). E se in tali condizioni dell'anima si dà il nome di kakia, il contrario di questo dovrebbe essere arete ('virtù'), che vuoi dire in primo luogo euporia ('facilità a procedere'), poi che la rhoe ('corrente') dell'anima buona è sempre sciolta, tanto che quando scorre senza impacci e senza impedimenti ha assunto questo nome, mentre sarebbe giusto chiamarlo aeireite ('che sempre scorre') - e forse vuol dire hairete ('scelta', 'eletta') in quanto è molto da 'scegliere' questa abitudine -, invece si è contratta ed è chiamata areté. Probabilmente tu dirai che io ancora meno il can per l'aia. Io sostengo invece che se quanto dicevo prima di kakia, andava bene, va bene anche questo nome di areté. ERMOGENE: Ma il nome kakon ('cattivo'), tramite il quale tu hai parlato di molti tra i nomi esaminati in precedenza, cosa vuol significare? SOCRATE: Una cosa strana, per Zeus, mi pare, e anche dura da imbroccare. Anche per questo ricorro a quella scappatoia. ERMOGENE: E qual è? SOCRATE: Quella di dire che anche questa è parola forestiera. ERMOGENE: E sembra che anche questa volta tu dica bene. Ma, se sei d'accordo, lasciamo andare questo e cerchiamo invece di vedere kalon ('bello') e aischron ('brutto') con quale ragionevolezza sono stati posti. SOCRATE: Cosa significhi aischron a me pare chiaro: concorda infatti con quanto si è detto in precedenza. A me pare infatti che chi attribuì i nomi se la prendesse del tutto contro ciò che è di impedimento e trattiene gli esseri dal flusso, e quindi toi aei ischonti ton rhoun, 'a quello che sempre trattiene la corrente' pose il nome di eaischoroun; ma ora, avendolo contratto, lo chiamano aischron, 'che arresta il divenire'. ERMOGENE: E di kalon cosa dire? SOCRATE: Questo è più difficile da capire. Eppure lo dice direttamente. Soltanto si è differenziato in armonia e nella lunghezza dell'omicron ('o piccolo'). ERMOGENE: Come mai? SOCRATE: Questo nome a me pare che sia quasi un soprannome del pensiero. ERMOGENE: Come dici? SOCRATE: Ebbene, quale pensi tu che sia la causa dell''essere chiamato', klethenai, per ciascun essere? Non è forse ciò che ha posto i nomi? ERMOGENE: Certamente, sì . SOCRATE: E tutto ciò non è dunque il pensiero degli dèi e degli uomini o l'una e l'altra cosa insieme? ERMOGENE: Sì . SOCRATE: Dunque ciò che ha dato nome alle cose (to kalesan) e ciò che dà loro il nome (to kaloun) non sono la stessa cosa, cioè il pensiero? ERMOGENE: Pare. SOCRATE: E dunque anche tutte le cose, quante ne hanno compiute il pensiero e la mente, queste sono da lodare e quelle no invece sono da vituperare? ERMOGENE: Certamente. SOCRATE: E dunque tutto ciò che si presta a curare compie una cura, e tutto ciò che si presta a costruire, compie costruzioni. O come la metti tu? ERMOGENE: Così , anch'io. SOCRATE: E dunque to kaloun ('ciò che dà il nome') compie kale ('cose belle')? (75) ERMOGENE: Bisogna che sia così . SOCRATE: è questo, come noi diciamo, pensiero? ERMOGENE: Ma certo. SOCRATE: E dunque a ragione il kalon è una sorta di soprannome del pensiero che compie cose di questo genere che noi abbiamo care quando diciamo che sono belle. ERMOGENE: Pare. SOCRATE: E quale ci resta ancora dei nomi di questa fatta? ERMOGENE: Quelli che si riferiscono al buono, al bello, al 'conveniente' (sympheron), all''utile' (lysiteloun), al vantaggioso (ophelimon), a quanto arreca guadagno (kerdaleon), e ai loro contrari. SOCRATE: Dunque, quanto a sympheron ('conveniente') può darsi che lo scopra anche da te conducendo la ricerca da quanto si è detto in precedenza. Sembra in qualche modo fratello della cognizione, perché non ha altro significato che 'mossa simultanea', hama phora, dell'anima insieme alle cose; e le cose che vengono determinate da questo movimento, come pare, vengono chiamate 'convenienti', sympheronta e symphora ('giovevoli') dall'essere in movimento tutte insieme in cerchio. E kerdaleon ('utile') deriva da kerdos ('utilità', 'guadagno'), per chi sostituisce un ny invece del delta a questo nome, rivela quel che vuol dire: infatti, secondo un'altra maniera rende il nome al bene. E poiché si frammischia a tutte le cose, passando attraverso di esse il legislatore gli affibbiò codesto nome che indica questa sua forza; ma frapponendo un delta al posto del ny pronunciò kerdos. ERMOGENE: E su lysiteloun ('utile') cosa dire? SOCRATE: Sembra, o Ermogene, che non come lo usano i bottegai quando emettono la ricevuta della spesa, non in questo modo a mio parere, è da intendere lysiteloun ('utile'), ma poiché l'essenza della realtà è velocissima non consente che i fenomeni si arrestino, né l'impulso si fermi e si arresti avendo conseguito il telos ('fine') ma poiché lo libera (lyei) sempre se una qualche fine (telos) si appresta a sopraggiungere e lo rende senza posa e sempre eterno, per questa ragione mi pare che il legislatore chiamò il bene lysiteloun ('utile').(76) In definitiva siccome 'libera la fine' (lyei to telos) dell'impulso lo chiamò lysiteloun. Ophelimon d'altra parte ('giovevole'), è un nome straniero: e anche Omero si servì spesso di ophellein ('giovare'). E questo è dare il nome del crescere e del fare. ERMOGENE: E come sta la questione per noi circa i nomi che significano il contrario di questi? SOCRATE: Per quanti sono in netta contrapposizione con essi, come a me sembra, non c'è alcun bisogno di prenderli in esame. ERMOGENE: E quali sono questi? SOCRATE: Asymphoron ('non conveniente'), anopheles ('non giovevole'), alysiteles ('non utile'), akerdes ('non fruttuoso'). ERMOGENE: Dici il vero. SOCRATE: Blaberon ('dannoso') e zemiodes ('svantaggioso'). ERMOGENE: Sì . SOCRATE: E blaberon vuol dire che 'danneggia la corrente' (blapton ton rhoun), blapton a sua volta, significa 'che vuol annodare', boulomenon haptein; del resto 'haptein ('connettere') e dein hanno lo stesso significato; e questo è sempre da rimproverare. 'Quello che vuole fermare la corrente', to boulomenon haptein rhoun, nella maniera più corretta sarebbe boulapteroun, ma, reso più bello, a mio parere, viene chiamato blaberon. ERMOGENE: Emanano da te in varia foggia, o Socrate, i nomi; e mi sembrava ora che tu imitassi con la bocca il preludio del suono del flauto dell'inno di Atena, quando pronunciavi questo nome: boulapteron. SOCRATE: Non ne sono io la causa, ma chi ha dato questo nome. ERMOGENE: Dici il vero; ma di zemiodes ('svantaggioso', 'dannoso') cosa si potrebbe dire? SOCRATE: Cosa mai vuol dire zemiodes? Rifletti, Ermogene, come io dica la verità dicendo che gli uomini, frapponendo o eliminando delle lettere, alterano gravemente il senso dei nomi, al punto che anche operando mutamenti di nessun conto, fanno sì che talvolta essi vengano a significare il contrario. Ad esempio nel caso di to deon ('ciò che è necessario'). Ho pensato a questo e me ne sono ricordato poco fa, proprio da quello che stavo per dirti, che questa lingua moderna che noi abbiamo ha stravolto a significare il contrario i termini deon e zemiodes, riuscendo a nascondere quel che ne era il senso, mentre la lingua dimostra con chiarezza quello che l'uno e l'altro nome vogliono dire. ERMOGENE: Come dici? SOCRATE: Te lo dirò: tu sai che i nostri antichi si avvalevano molto dello iota e del delta, soprattutto le donne, che, al di sopra di ogni altro, conservano l'antico modo di parlare. Ora invece mettono una eta invece di uno iota e il delta al posto di una zeta, come se si trattasse di tonalità splendide. ERMOGENE: Come mai? SOCRATE: Ad esempio i più antichi chiamavano 'il giorno' himera, altri poi hemera, e altri ora hêmera.(77) ERMOGENE: è così . SOCRATE: Dunque sai tu che fra questi solo il nome più antico rivela il proposito di chi lo ha posto? Siccome infatti per uomini contenti e himeirontes ('desiderosi') dall'oscurità sorgeva la luce, per questa ragione essi chiamarono imera il giorno. ERMOGENE: Pare proprio così . SOCRATE: Ora invece che viene fatto pomposamente risuonare tu non potresti neppure avvertire cosa vuol dire hemera. Ora invece siccome il giorno (hemera) rende mansueti (hemera)(78) le cose per questo pensano che sia stato denominato così . ERMOGENE: Sembra anche a me. SOCRATE: E sai tu che zugon ('il giogo') gli antichi lo chiamavano dyogon ('traino a due')?(79) ERMOGENE: Ma certo. SOCRATE: Bene, zugon non vuol dire niente, l'altro invece, a causa del legame dei due per il traino, agoghe è stato chiamato dyogon e a ragione, ora invece è chiamato zugon e così avviene in molti altri casi. ERMOGENE: Pare di sì . SOCRATE: Allo stesso modo dunque in deon, detto così in un primo tempo, significa il contrario rispetto a tutti i vocaboli che richiamano il bene; infatti essendo il deon idea di bene appare essere 'legame' (desmos) e ostacolo al movimento, come se fosse fratello di blaberon ('dannoso'). ERMOGENE: Certamente, Socrate. Pare proprio così . SOCRATE: Ma se si fa uso del termine antico, che è verisimile che sia stato posto più correttamente di quello d'ora, ma che sarà in consonanza con quelli di prima che riguardano il bene, alla sola condizione che rimetta lo iota al posto dell'eta come nell'antichità; infatti in questo modo vuol dire 'quel che passa attraverso', diion, ma non deon ('che lega'); è il bene che ('il legislatore') loda. E così non si trova in contraddizione con se stesso colui che pone i nomi, ma deon e ophelimon e lysiteloun e kerdaleon e agathon e sympheron e euporon sembrano la stessa cosa, significando con nomi diversi quello che dà ordine e passa dappertutto e dappertutto viene lodato. E così anche zemiodes ('svantaggioso') se, in conformità alla lingua antica, tu rimetti un delta invece della zeta, apparirà a te che demiodes fu così denominato per essergli posto il nome per to doun to ion ('quel che lega quel che va'). ERMOGENE: E che significato hanno hedone ('piacere'), lype ('dolore'), epitymia ('desiderio') e nomi di tal fatta, Socrate? SOCRATE: Non mi sembrano molto difficili, Ermogene. Infatti la hedone ('piacere'), - l'azione è rivolta all'onesis ('giovamento')(80) - è probabile abbia questo nome, ma vi è stato inserito un delta, cosicché viene chiamata edone anziché eone. E la lype ('dolore') forse è stata chiamata così dalla dialysis in conseguenza della 'dissoluzione' del corpo, che esso sopporta proprio in quella sofferenza (pathos). Ania poi ('afflizione') è ciò che è d'ostacolo all'andare. Mi sembra poi che alghedon ('sofferenza') sia un termine forestiero così chiamato da algheinon ('sofferente'). A sua volta odune ('dolore') pare venga chiamato così dalla intromissione del dolore. E akhthedon (81) riesce chiaro a chiunque che il nome è tratto dalla gravità del movimento. Quanto a chara ('gioia') sembra che sia stata chiamata così ('espansione'), diachysis, e 'della scioltezza del flusso' euporia tes rhoes dell'anima. E terpsis ('godimento') viene da terpnon ('godibile'). E terpnon è stato così denominato dalla herpsis dallo 'strisciare' attraverso l'anima che rassomiglia a un 'soffio' (pnoe).(82) Correttamente doveva essere detto herpnoun, ma col tempo si è cambiato in terpnon. Quanto a euphrosyne ('gaudio'), non c'è affatto bisogno che sia detto il perché: è chiaro a chiunque che prese questo nome dal 'portarsi bene' (eu sympheresthai) dell'anima insieme con le cose: sarebbe stato corretto ('dire') eupherosyne, tuttavia la chiamiamo euphrosyne. Neppure epithimia ('desiderio') è difficile. è chiaro infatti che questo nome fu assegnato a quella forza che 'va contro l'animo' (epi ton thymon iousa). Thymos poi ('animo') avrebbe questo nome dall''impeto' (thysis), e dal bollore dell'anima. Himeros ('struggimento d'amore') fu così denominato da quella sorta di 'corrente', rhous, che, al di sopra di ogni altra cosa trascina l'anima. E infatti siccome 'fluisce affrettandosi e slanciandosi' (hiemenos rhei kai ephiemenos) verso le cose e così trascina con forza l'anima per 'la brama della corrente' (hesis tes rhoes), da tutta questa forza dunque fu chiamato desiderio. Ed anche pothos a sua volta è così denominato significando che è 'desiderio' non di cosa presente, ma di un qualcosa 'che si trova in qualche modo altrove ed è lontano' (allothi pou on kai apon), ed è di qui che è stato denominato appunto pothos, allora quando è presente quello di cui qualcuno aveva brama, viene chiamato imeros ('desiderio'). Ed eros ('amore') poiché 'scorre dentro dall'esterno' (eisrei exothen), e questa corrente non è interiore a chi la ha, ma vi è condotta dentro attraverso gli occhi;(83) per queste ragioni dallo 'scorrere dentro' (esrein), anticamente fu chiamato esros allora si faceva uso dell'o breve (omicron) anziché dell'o lunga (omega). Ma cosa ancora dici tu che dobbiamo prendere in esame? ERMOGENE: E quanto a doxa ('opinione', 'parere') e altri nomi eguali che te ne pare? SOCRATE: Doxa fu così denominata 'dall'incalzare' (dioxis) che l'anima conduce inseguendo il sapere, come stiano gli avvenimenti o dal lancio dell'arco; e sembra proprio più da questo. E la oiesis ('convinzione') concorda con questo. Pare infatti che mostri l'oisis ('il portare') dell'anima verso ogni cosa, per conoscere quale è in realtà ciascuno degli esseri, come anche boule ('volontà') è vicina a un di presso a bole ('lancio') e boulesthai ('volere') è vicino per significato a ephiesthai, ('avere desiderio', 'brama') e a bouleuesthai ('prendere decisioni'). Tutti questi vocaboli che vengono di seguito a doxa sembrano rappresentazioni di bole ('lancio'), come a sua volta il contrario aboulia ('mancanza di volontà') sembra essere invece atychia ('mala sorte'), come di uno che non centrò e non 'raggiunse' (etychen), quello a cui mirava e che voleva e su cui prendeva deliberazioni e a cui aspirava con bramosia. ERMOGENE: Su questi punti, Socrate, mi pare che tu vada avanti molto alla svelta. SOCRATE: Infatti io corro, ormai, alla fine. Però voglio ancora venire al termine con ananke ('necessità'), che è di seguito a questi e con hekousion ('volontario'); hekousion dunque e 'ciò che si ritira' (to eikon) e che non recalcitra, ma, come dico, 'si ritrae davanti a ciò che va' (eikon toi ionti), e con questo nome si darebbe indicazione a ciò che accade secondo volontà. L'anankaion poi ('il necessario') è recalcitrante, essendo contrario alla volontà, può essere cosa che ha un nesso con l'errore e l'ignoranza, e viene avvicinato ad una marcia attraverso le gole delle montagne, in quanto esse malagevoli al passaggio, aspre, irte di vegetazione sono di impedimento all'andare. Probabilmente di qui fu detto anankaion, perché paragonato alla marcia attraverso una di queste gole. Ma finché perdura in noi la forza non lasciamola perdere: e anche tu non smettere, ma fa' pure delle domande. ERMOGENE: E io ti domanderò le cose più grandi e più belle come l'aletheia ('la verità'), lo pseudos ('la menzogna'), l'on ('ciò che è') e questo stesso vocabolo, onoma ('nome') del quale stiamo discutendo, perché si chiama in questo modo. SOCRATE: E maiesthai ('cercare'), come lo chiami tu? ERMOGENE: Io, cercare, appunto. SOCRATE: Somiglia dunque a un nome, onoma, contratto da una frase, che vuol dire che questo è un nome del quale avviene una ricerca. E tu puoi capirlo meglio in quello che diciamo l'onomaston, ('il nominabile'); qui infatti dice chiaramente che esso è on ou masma estin ('l'essere sul quale esiste indagine'). Aletheia, poi, ('la verità') è questo pure un nome che assomiglia agli altri quanto a essere formato insieme. Sembra infatti che il moto divino dell'essere sia espresso con questo termine di aletheia, come se si trattasse di una corsa divina. Lo pseudos ('falsità'), è contrario al movimento: ancora una volta infatti viene fatta riserva su quanto è trattenuto ed è costretto a starsene calmo, e viene accostato 'a quelli che dormono', katheudontes. Lo psi che vi è stato aggiunto, nasconde quel che intende significare il nome. D'altra parte on ('essere') e ousia ('essenza') sono in consonanza con la verità se recuperano lo iota. Infatti vuol dire ion ('quello che va'), e a sua volta to ouk on ('ciò che non è') vuol dire, come alcuni lo chiamano ouk ion, 'che non va'. ERMOGENE: Mi pare, Socrate, che tu abbia sottoposto al vaglio con molto acume questi nomi. Ma se uno ti domandasse questo ion ('che va'), e rheon ('che scorre'), e doun ('che congiunge, che lega'), quale correttezza hanno questi nomi? SOCRATE: Tu chiedi: «Cosa potremmo rispondergli?», o no? ERMOGENE: Proprio così . SOCRATE: Un elemento dunque ce lo siamo procurati poco fa, tanto da dare l'impressione di dire qualcosa, se rispondiamo. ERMOGENE: E qual è questo? SOCRATE: Sostenere, quanto a ciò che non conosciamo, che si tratta di un qualche termine forestiero. E probabilmente qualcuno di questi in realtà è tale; e ancora i primi fra i nomi, per la loro antichità, potrebbero essere inspiegabili; e siccome i nomi sono stati stravolti in ogni senso non è per nulla sorprendente se l'antica voce ormai in nulla differisce da quella attuale dei forestieri. ERMOGENE: Tu non dici nulla fuori luogo. SOCRATE: Infatti, dico cose verosimili. Questa non mi sembra però una discussione che consenta dei pretesti, ma occorre considerare bene questi punti con molto impegno. Pensiamoci su; se uno ci chiedesse sempre quelle parole dalle quali è stato tratto il nome, e poi ancora voglia conoscere da quali altre siano state tratte quelle, e non la smetta mai di fare così , non è forse necessario che chi risponde non finisca per interrompere di parlare? ERMOGENE: A me pare di sì . SOCRATE: Dunque, chi risponde, quando - ragionevolmente - dovrebbe cessare dal dare risposta? Forse non quando sia arrivato a quei nomi i quali sono come i principi dei nomi stessi e delle frasi? Perché se sono tali non è giusto che sembrino composti da altri nomi, se stanno realmente così . Ad esempio, or ora dicevamo che l'agathon ('il bene') è combinato da agaston ('che suscita meraviglia') e da thoon ('rapido, veloce') e parimenti potremmo sostenere che il thoon deriva da altri principi, e quelli da altri ancora. Ma se una buona volta prendiamo quello che non è combinato da alcuni altri nomi, giustamente potremmo dire che siamo ormai a un principio e che questo non dobbiamo più riferirlo ad altri nomi. ERMOGENE: A me pare che tu parli giustamente. SOCRATE: Ora dunque anche i nomi che adesso tu mi chiedi si trovano ad essere principi: occorre che in qualche altro modo ormai noi mettiamo sotto esame la loro correttezza, quale è mai? ERMOGENE: è verisimile. SOCRATE: Sì , è probabile, Ermogene; tutti i nomi infatti visti in precedenza sembrano ricondurre a questi. E se la questione sta proprio in questi termini, come a me pare che stia, suvvia, considera ancora insieme con me che io non dia i numeri dicendo quale deve essere la correttezza dei primi nomi. ERMOGENE: Parla soltanto, che, per quanto di forza è in me, io condurrò l'esame assieme a te. SOCRATE: Dunque che una sola sia la correttezza di ogni nome, del primo e dell'ultimo, e che nessuno di essi sia differente nel fatto di essere nome io penso che sembri così anche a te. ERMOGENE: Certamente. SOCRATE: Ma la correttezza dei nomi dei quali abbiamo fatto la disamina fin qui intendeva essere tale da poter rivelare quale è ciascuno degli enti. ERMOGENE: Come no? SOCRATE: E questa caratteristica devono averla non meno i primi che gli ultimi nomi, che sono realmente nomi. ERMOGENE: Ma certo. SOCRATE: Ma gli ultimi, come sembra, erano in grado di compiere questo, per mezzo di quelli precedenti. ERMOGENE: Pare così . SOCRATE: E sia. Ma i primi nomi, quelli ai quali ancora non ne sono congiunti altri, in quale modo per quanto è possibile al di sopra di tutti ci renderanno evidenti le cose, se pure devono essere nomi? (84) Rispondi a questo: se non avessimo né voce nè lingua e volessimo rendere chiare vicendevolmente le cose, non tenteremmo, come fanno ora i muti, di manifestarle con le mani, la testa, e con tutto il resto del corpo? ERMOGENE: E come sarebbe possibile in altro modo, o Socrate? SOCRATE: Se dunque, io penso, volessimo indicare quel che sta in alto ed è leggero, solleveremmo le mani verso il cielo, cercando di imitare la stessa natura della cosa; se invece ciò che sta in basso ed è pesante, le piegheremmo verso la terra. Se poi volessimo indicare un cavallo mentre corre o qualche altro animale, tu sai bene che renderemmo i nostri corpi e i nostri atti il più possibile simili ai loro. ERMOGENE: Mi sembra necessario che sia proprio come tu dici. SOCRATE: Così infatti, io penso, ci sarebbe una dimostrazione, allorché il corpo, come pare, si metta a imitare quel che vuole indicare. ERMOGENE: Sì . SOCRATE: E siccome vogliamo segnalare con la voce, con la lingua, con la bocca un qualcosa, soltanto allora ciò che ne viene sarà per noi la manifestazione di ciascuna cosa, quando, per mezzo di questi organi, avvenga l'imitazione circa qualunque oggetto. ERMOGENE: Mi pare necessario. SOCRATE: Nome dunque, come pare, imitazione con la voce di quella cosa che si imita; e chi compie l'imitazione dà nome con la voce a ciò che imita. ERMOGENE: A me pare di sì . SOCRATE: Ma a me, per Zeus, non sembra ancora che si dica bene. ERMOGENE: E perché? SOCRATE: Allora saremmo costretti ad ammettere che quelli che imitano le pecore, i galli e gli altri animali danno il nome alle bestie che imitano. ERMOGENE: Dici il vero. SOCRATE: Ti pare dunque che la cosa stia bene? ERMOGENE: A me no. Ma quale imitazione, o Socrate, sarebbe allora il nome? SOCRATE: In primo luogo, come a me pare, non allorché facciamo l'imitazione delle cose, così come le imitiamo con la musica, anche se, pure allora, noi le imitiamo con la voce; poi non mi sembra che noi apponiamo nomi, quando imitiamo anche noi quello che imita la musica. Dico questo: le cose hanno, ciascuna di per sé voce e forma, e molte anche il colore? ERMOGENE: Ma certamente. SOCRATE: Sembra dunque che non quando uno si mette a imitare queste cose e nemmeno riguardo queste imitazioni possa sussistere l'arte di dare nomi. Queste arti infatti sono la musica, la pittura, o no? ERMOGENE: Sì . SOCRATE: E cosa dunque? Non ti sembra che ciascuna cosa abbia una sua sostanza, come possiede pure il colore e tutto ciò che dicevamo poco fa? E in primo luogo lo stesso colore, la voce, non hanno ciascuno una loro essenza (85) e così tutte le altre cose che sono ritenute degne di questa denominazione dell'essere? ERMOGENE: A me pare di sì . SOCRATE: Dunque se qualcuno fosse in grado di imitare proprio questo di ciascuna cosa, cioè l'essenza, con le lettere e con le sillabe, non rivelerebbe quel che è ciascuna cosa? O no? ERMOGENE: Ma certamente. SOCRATE: E che cosa diresti di uno che ha la possibilità di fare questo, come anche quelli di prima quando uno l'hai chiamato musicista, l'altro pittore: e a costui quale nome daresti? ERMOGENE: Questo a me pare, Socrate, ciò che andiamo cercando da tempo: e questo potrebbe essere chi è capace a dare i nomi. SOCRATE: Dunque se questo è vero, pare ormai che si debba condurre l'esame intorno a quei nomi di cui mi domandavi, come rhoe ('corrente') e ienai ('andare') e schesis ('ritenzione'), se chi ha messo il nome con le lettere e con le sillabe giunge a possedere il loro essere tanto da imitarne la sostanza, oppure no? ERMOGENE: Ma certo. SOCRATE: Suvvia dunque, consideriamo se vi sono soltanto questi tra i primi nomi o anche molti altri. ERMOGENE: Io credo anche altri. SOCRATE: Ed è probabile. Ma quale può essere il modo della distinzione, da dove chi imita comincia a imitare? Siccome l'imitazione dell'essenza avviene per mezzo di sillabe e di lettere non è la cosa più corretta distinguere anzitutto i principi, come coloro che mettono mano ai ritmi, distinguono in primo luogo il valore dei principi, poi delle sillabe e giungono così a compiere l'esame sui ritmi e prima no? ERMOGENE: Sì . SOCRATE: Dunque anche noi dobbiamo distinguere in primo luogo le componenti vocaliche, quindi tra le altre, secondo le qualità, quelle afone e mute, così infatti le chiamano un press'a poco quelli che sono esperti in tale materia, e quelle che non sono ancora vocali, ma non sono neppure mute. E tra le stesse vocali quante differenti qualità hanno tra di loro? E quando avremo compiuto queste distinzioni, occorre distinguere ancora tutte le cose a cui apporre i nomi, se ve ne sono di quelle, come i principi a cui si possono fare risalire tutte, dalle quali è possibile esaminarle di per se stesse, e se in esse sono insite qualità come nei principi. Quando avremo esaminato tutti questi problemi, occorre sapere ricondurre ciascun principio a seconda della somiglianza, sia che si debba riportarne uno solo a una sola cosa, sia che bisogni mescolarne molti a uno solo, come i pittori che quando vogliono rendere un'immagine, qualche volta ricorrono alla sola porpora, qualche altra volta invece a qualunque altro colore, e accade anche che mescolandone molti, come quando si apprestano a raffigurare il colore della carne umana e qualcos'altro di simile, a seconda che, come penso io, ciascuna immagine sembri aver bisogno di ogni colore; così anche noi riporteremo i principi alle cose, uno solo a una sola cosa, là ove pare che si debba fare così , e molti insieme, facendo ciò che chiamano sillabe e poi ancora ponendo insieme sillabe da cui vengono composti i nomi e le parole. E poi di nuovo dai nomi e dalle parole noi metteremo insieme un qualcosa di grande, di bello e di completo, come là l'immagine con la pittura, qua invece un periodo con l'onomastica, con la retorica o quale che ne sia l'arte. O piuttosto non noi: ma io nel parlare mi sono lasciato andare: infatti furono gli antichi a mettere insieme i nomi nella foggia in cui ora sono composti. Occorre invece che noi, se sapremo vagliarli tutti quanti con perizia, facendo così delle distinzioni, consideriamo con attenzione, se tanto i primi nomi quanto gli ultimi sono stati posti secondo un buon criterio, oppure no. Ma il combinarli in altro modo, caro Ermogene, bada che non sia sciocco e fuori dalla strada giusta. ERMOGENE: Forse, per Zeus, o Socrate! SOCRATE: Ebbene? Hai fiducia tu di essere in grado di per te stesso di distinguere questi nomi in tale maniera? Io, per quel che mi riguarda, no. ERMOGENE: Io poi ne sono ben lontano. SOCRATE: Dobbiamo lasciare perdere dunque, o vuoi che noi, così come possiamo, anche se siamo in grado di vedere non un granché, facciamo una prova, premettendo però, come poco fa a proposito degli dèi, che noi, pur non conoscendo nulla del vero, tentavamo di rappresentarci le idee degli uomini dicendo che, se noi o qualsiasi altro dovesse distinguerli, così come occorreva distinguerli, ora secondo il detto in voga, occorrerà che ci diamo da fare secondo le nostre forze. Ti pare così , o cosa ne dici? ERMOGENE: A me pare assolutamente che vada bene così . SOCRATE: Ci appariranno ridicoli, a mio parere, o Ermogene, gli oggetti, una volta che ci siano ben chiari per averli imitati con le lettere e con le sillabe. Tuttavia è necessario. E non abbiamo nulla di meglio a cui riportarci circa la verità dei primi nomi, a meno che, come fanno i tragici quando non hanno modo di risolvere qualche difficoltà, fanno ricorso alle macchine (86) sollevando in alto degli dèi, non voglia anche tu che ci sottraiamo allo stesso modo, dicendo che i primi nomi li hanno posti gli dèi immortali e per questo vanno bene. E potrà essere per noi questo il miglior consiglio? Oppure quest'altro: che noi li abbiamo accolti da alcuni barbari, e i barbari sono più antichi? O perché, data la loro antichità, è impossibile sottoporli al vaglio, come anche i nomi forestieri? E tutti questi sarebbero espedienti, anche molto acuti, per chi non vuole dare conto dei primi nomi se sono stati posti correttamente. E sì che chi non conosce la correttezza dei primi nomi è impossibile che conosca quella degli ultimi che necessariamente vengono resi chiari da quelli di cui nessuno sa nulla. Ma è chiaro che, chi va dicendo di essere esperto di tali cose, deve mostrare di esserlo particolarmente sui primi nomi e nel modo più chiaro, o essere ben consapevole che sugli ultimi nomi non potrà dire che delle sciocchezze. Oppure a te sembra diversamente? ERMOGENE: In modo diverso, Socrate? Niente affatto. SOCRATE: Le impressioni dunque che mi sono venuto formando sui primi nomi mi sembrano del tutto avventate e anche comiche. Io dunque te ne metterò a parte, se lo vuoi. Tu poi, se da qualche parte hai qualcosa di meglio da portare avanti, tenta di metterne a parte anche me. ERMOGENE: Lo farò; ma tu, forza, parla! SOCRATE: In primo luogo mi pare che il rho sia come lo strumento di quella kinesis ('movimento'), di cui non abbiamo detto per quale ragione ha questo nome; ma è chiaro che vuole essere hesis ('tensione'): infatti anticamente non facevano uso della eta (e lunga) ma dell'epsilon (e breve). Il principio di questa parola è da kiein, vocabolo forestiero; esso significa 'andare'. Se uno dunque volesse trovarne il nome antico corrispondente alla nostra lingua attuale, dovrebbe chiamarla correttamente hesis. Ora invece da questa parola forestiera kiein con il cambiamento dell'eta e con la frapposizione del ni viene detta kinesis, mentre occorrerebbe chiamarla kieinesis o eisis. La stasis poi ('sosta') vuole essere la negazione dell'andare, per un fatto di abbellimento si è chiamata stasis. Il rho come principio, lo ripeto, parve essere un bello strumento di moto a colui che poneva i nomi per rappresentare il concetto di phora ('portare') e assai spesso dunque egli se ne è avvalso per questo fine. E in primo luogo nello stesso rhein ('scorrere') e in rhoe ('corrente') attraverso questa lettera egli imita la phora, e così anche in tromo ('tremito'), trechein ('correre') e ancora in vocaboli come questi: kronein ('percuotere'), thrauein ('rompere'), ereikein ('fendere'), thryptein ('tritare'), kermatizein ('spezzettare'), rhymbein ('far girare'): tutte queste parole per lo più raffigurano il movimento tramite il rho. Egli infatti notava, io penso, che la lingua, in questo frangente,(87) stava ferma il meno possibile, mentre si agitava al massimo. Per questo a me pare che egli si sia avvalso di questa a questo scopo; dello iota si è avvalso per tutto quello che è sottile, che al di sopra di tutte le altre può andare dappertutto. Per questi motivi l'ienai ('andare') e lo hiesthai ('lanciarsi', 'scagliarsi') li imita attraverso lo iota, come mediante il phi, lo psi, il sigma e lo zeta poiché queste lettere sono spiranti, egli le ha imitate tutte quante, chiamandole con queste, quali lo psychron ('il freddo'), lo zeon ('il bollente'), il seiesthai ('scuotersi', 'agitarsi') e in definitiva il seismon ('lo scotimento'). E quando imita qualcosa che è pieno d'aria, ovunque in questi casi, colui che ha posto i nomi pare servirsi per lo più di queste lettere. Al contrario la forza che al delta e al tau deriva dalla compressione e dall'applicazione della lingua pare che egli la considerasse utile all'imitazione del desmos ('legame') e della stasis ('sosta'). E accortosi che la lingua sdrucciola particolarmente nel lambda, per assimilarle le denominò le cose lisce (leia), e lo stesso olisthanein ('sdrucciolare') e liparon ('untuoso'), e kollodes ('vischioso') e tutte le altre cose di questo genere. E siccome quando la lingua scivola le fa resistenza la forza del gamma imitò il gliskhron ('vischioso'), il glyky ('dolce') e il gloiodes ('glutinoso'). E avvertendo poi nel ni l'interiorità della voce, chiamò endon ('interno') e entos ('dentro') come per dare immagine alle cose con le lettere. E ancora attribuì l'alpha alla grandezza e l'eta alla lunghezza, perché queste lettere sono grandi. E avendo bisogno di un segno o per ciò che è tondo (gongilon), lo mescolò moltissimo a questo nome. E così sembra che vada avanti il legislatore anche per gli altri nomi, facendo con delle lettere e delle sillabe un segno e un nome per ciascuna delle cose esistenti, e da questi, sempre con gli stessi nomi mette insieme tutti gli altri, facendone l'imitazione. Questa, Ermogene, a me pare che voglia essere la correttezza dei nomi, a meno che Cratilo, qui presente, non voglia dire qualche altra cosa. ERMOGENE: Davvero, Socrate, mi offre spesso molto filo da torcere, come dicevo all'inizio, dicendo che esiste sì una correttezza dei nomi, ma non rivelando mai chiaramente quale essa sia, tanto che io non posso sapere, se di proposito o casualmente, egli parla così oscuramente ogni volta di queste cose. Ora, Cratilo, dimmi, di fronte a Socrate, se a te piace quello che Socrate dice a proposito dei nomi, o se, in qualche altro modo, hai qualcosa da dire di meglio. E se l'hai, parla pure, affinché tu possa imparare da Socrate oppure sia tu a insegnare a noi, tutti e due. CRATILO: E che, Ermogene? Ti pare che sia facile imparare o insegnare così alla svelta una cosa qualunque, e tanto meno questa che sembra essere gravissima tra le più gravi? ERMOGENE: Per Zeus, a me no! Ma a me pare che sia detto bene il motto di Esiodo, che se anche uno aggiunge poco al poco è pur sempre utile.(88) Se dunque sei in grado di fare anche un po' di più, fallo, non tirarti indietro, ma fa' questo favore a Socrate, qui presente, ne sei obbligato, ed anche a me. SOCRATE: E del resto anch'io, o Cratilo, non persisterei troppo in nessuna delle cose che ho detto, ma, nel modo che a me sembrava opportuno, le ho vagliate con Ermogene; così , proprio per questo, fatti coraggio e se hai qualcosa di meglio dilla, che io sono pronto ad accettarla. E se tu in realtà hai qualcosa di più bello da dire rispetto a queste cose non me ne farei meraviglia. Mi pare infatti che tu stesso abbia fatto ricerche su tali questioni e ne abbia appreso anche da altri. Se dunque tu dirai qualcosa di più bello, segna pure anche me come uno dei tuoi discepoli sulla correttezza dei nomi. CRATILO: è vero, Socrate, io mi sono interessato, come tu dici, di questi problemi e forse potrei farti mio discepolo. Ma temo anche che sia tutto il contrario di questo, perché a me, non so come, viene da dirti il discorso di Achille, quello che nelle Preghiere (89) rivolge ad Aiace. Dice egli: Aiace, rampollo di Zeus, Telamonio, signore di popoli in tutto secondo il mio cuore hai saputo inviarmi parole. E a me, Socrate, pare che tu, opportunamente secondo il mio sentire, dia il vaticinio, sia perché tu sei ispirato da Eutifrone,(90) sia perché da tempo una Musa è entrata in te, di nascosto. SOCRATE: O buon Cratilo, mi sorprendo anch'io, da tempo, della mia sapienza e ne ho diffidenza. Mi pare dunque che occorra che io torni ad esaminare di nuovo quel che vado dicendo. Infatti il lasciarsi trarre in inganno da solo a solo è la cosa peggiore fra tutte. Poiché quando colui che sta per ingannarti non se ne sta lontano neanche un pochino, ma ti sta sempre al fianco, come potrebbe non essere una sciagura? Occorre perciò, come pare, tornare ancora sulle cose già dette in precedenza, e tentare, secondo il detto del famoso poeta, di vedere «avanti e indietro contemporaneamente».(91) Dunque, ora soprattutto, guardiamo quel che è stato detto. Noi diciamo dunque: la correttezza del nome è quella che riesce a dimostrare quale è la cosa. Possiamo sostenere che è stato detto a sufficienza? CRATILO: Certamente: a me par molto, Socrate. SOCRATE: E i nomi dunque si dicono al fine di insegnare? CRATILO: Certo. SOCRATE: Possiamo affermare dunque che questa è un'arte e che ci sono artefici di essa? CRATILO: Sicuro. SOCRATE: E quali? CRATILO: Quelli che tu ricordavi in principio: i legislatori. SOCRATE: E possiamo sostenere che quest'arte si incontra negli uomini come anche le altre, o no? Intendo dire questo: di pittori ce ne sono in qualche modo: quali peggiori e quali migliori. CRATILO: Certo. SOCRATE: Dunque i migliori rendono più belle le loro opere, i loro dipinti; gli altri invece le fanno più brutte? Allo stesso modo quelli che costruiscono le case: alcuni le fanno più belle, altri invece più brutte? CRATILO: Sì . SOCRATE: E dunque anche i legislatori, alcuni rendono più belle le loro opere, altri più brutte? CRATILO: Questo ancora non mi pare proprio. SOCRATE: E non ti pare, dunque, che le leggi alcune siano migliori, altre peggiori? CRATILO: No, certamente. SOCRATE: E neppure i nomi, probabilmente, a te pare che l'uno sia stato posto peggio e l'altro meglio? CRATILO: No, sicuramente. SOCRATE: Dunque tutti i nomi sono stati posti bene? CRATILO: Quanti almeno sono nomi. SOCRATE: Ebbene? Ciò che si diceva poco fa, a Ermogene, qui presente, possiamo dire che neppure sia stato posto questo nome se a lui non riguarda neppure un poco 'la stirpe di Ermes' (Hermou genesis), oppure è stato posto sì , ma non giustamente? CRATILO: Che non sia stato posto, Socrate, a me pare, ma sembra anche che gli sia attribuito e che questo sia il nome di un altro, del quale è anche la natura che il nome non rivela? SOCRATE: E non dice il falso neppure chi sostiene che costui è Ermogene? E infatti neppure questo potrebbe essere, il dire che costui è Ermogene, se non è. CRATILO: Come dici? SOCRATE: Che affermare il falso, dunque, non è assolutamente possibile, se questo vale il tuo discorso; sono in parecchi, o caro Cratilo, a sostenere questo, e ora e da tempo. CRATILO: E infatti, Socrate, uno, dicendo ciò che dice, come può non dire ciò che è? E non è dunque questo dire il falso, cioè dire quel che non è? SOCRATE: Questo è un discorso troppo fine e per me e per la mia età, o amico. Tuttavia rispondimi in questo: forse non ti sembra possibile dire il falso, ma sostenerlo sì ? CRATILO: A me non pare neppure il sostenerlo. SOCRATE: E neppure dire né rivolgere la parola in modo falso? Per esempio, se uno incontrandoti in terra straniera, stringendoti la mano ti dicesse: «Salve, o straniero Ateniese, figlio di Smicrione Ermogene», costui queste cose le direbbe, oppure le sosterrebbe, o le indirizzerebbe o le rivolgerebbe non a te, ma a questo Ermogene qui, o a nessuno? CRATILO: Costui, o Socrate, a parer mio, farebbe in questo modo degli strepiti e non altro. SOCRATE: Anche questa è bella: ma chi facesse di questi strepiti griderebbe il vero o il falso, oppure parte di vero e parte di falso? Perché anche questo potrebbe bastare. CRATILO: Direi che fa del chiasso costui, scuotendo invano se stesso come uno che agiti un recipiente di bronzo battendovi sopra. SOCRATE: Orsù, Cratilo, mettiamoci d'accordo in qualche modo: non diresti tu che altro è il nome altro quello di cui è nome? CRATILO: Sì . SOCRATE: Dunque sei d'accordo che il nome è una imitazione della cosa. CRATILO: Soprattutto di questo. SOCRATE: E dunque non sostieni che le pitture in qualche altro modo sono imitazioni di certi oggetti? CRATILO: Sì . SOCRATE: Orsù, dunque. Forse io non riesco ad afferrare quello che tu intendi dire, ed è facile che tu parli correttamente: è possibile spartire ambedue queste imitazioni, le pitture e quei nomi e attribuirle a quegli oggetti di cui sono imitazione, o no? CRATILO: è possibile. SOCRATE: Ora, per prima cosa, rifletti su questo: è possibile l'immagine di un uomo attribuirla a un uomo e quella di una donna a una donna e le altre così ? CRATILO: è possibile anche questo. SOCRATE: E dunque queste attribuzioni sono giuste tutte e due o soltanto l'una delle due? CRATILO: L'una delle due. SOCRATE: Quella, a mio parere, che conviene a ciascuna cosa e ne riproduce la somiglianza. CRATILO: A me pare così . SOCRATE: E dunque, per non polemizzare a parole, io e te che siamo amici, riconoscimi quello che dico. Codesta, o amico, io la chiamo attribuzione per l'una e l'altra di queste imitazioni, per le figure e per i nomi, giusto, e per i nomi poi, oltre al fatto di essere giusta, anche vera,(92 l'altra invece, l'attribuzione e il conferimento del dissimile non è corretta, ed è anche falsa quando sia inerente ai nomi. CRATILO: Attenzione però, Socrate, che questo, il non fare giuste attribuzioni, capiti nelle figure, ma non nei nomi, quando è necessario attribuire sempre in maniera corretta. SOCRATE: Come dici? In che cosa è differente questo da quello? Non può essere che uno, fattosi vicino a un altro uomo, gli dica: «Questa è la tua immagine» e gli mostri, se gli viene a tiro, l'immagine di lui, ma se gli capita, pure quella di una donna? Quanto a mostrare io voglio dire, proporre un qualcosa alla sensazione degli occhi. CRATILO: Certamente. SOCRATE: Ebbene? Non è dato ancora che questo, avvicinatosi allo stesso uomo, dica: «Questo è il tuo nome». Anche il nome è un'imitazione come la figura. Voglio dire questo: non sarebbe possibile a costui dirgli «Questo è il tuo nome», e dopo ciò proporre alla sensazione dell'udito, se gli capita, la imitazione di lui, dicendo che è un uomo, ma se gli capita pure, quella dell'elemento femminile del genere umano, dicendo che è una donna? Non ti pare che questo sia possibile e talvolta avvenga? CRATILO: Io voglio, Socrate, concordare con te: sia così . SOCRATE: E fai bene caro, se questo sta così ; e non occorre certo polemizzare su questo argomento. Ma se anche in questo caso è dato di fare una tale regola, l'una di queste noi vogliamo chiamarla dire il vero, l'altra invece dire il falso. E se la questione sta così è anche possibile non attribuire correttamente i nomi e non riportare a ciascun elemento i nomi che gli convengono, ma a volte quelli che non gli si addicono e sarebbe possibile che avvenisse lo stesso anche a proposito delle parole. E se è possibile porre in questo modo parole e nomi, è necessario anche per i discorsi. I discorsi infatti, come a me pare, non sono una composizione di quelli. O come dici tu, Cratilo? CRATILO: Così : mi sembra infatti che tu dica bene. SOCRATE: Dunque se ancora una volta confrontiamo i primi nomi alle lettere, può essere, come nelle pitture, attribuire tutti i colori e le forme che sono confacenti con esse, e non tutti poi, ma alcuni lasciarli indietro, altri invece aggiungerli, e parecchi di più e più grandi. O non è forse possibile? CRATILO: è possibile. SOCRATE: Dunque chi mette in opera bene tutte queste risorse rende belli i disegni e le immagini, chi invece ne aggiunge o ne porta via crea egli pure delle immagini, ma brutte. CRATILO: Sì . SOCRATE: Ma cosa dire di colui che mediante sillabe e lettere tenta di imitare la sostanza delle cose? E forse, secondo lo stesso criterio, se riporta tutto ciò che si addice, l'immagine, cioè il nome, sarà bella, ma se invece talvolta tralascerà o aggiungerà anche poco, sarà pure una immagine, ma non bella? Tanto che dei nomi ce ne saranno alcuni combinati bene, e altri male? (93) CRATILO: Forse sì . SOCRATE: E dunque forse vi sarà un buon artefice di nomi e uno cattivo? CRATILO: Sì . SOCRATE: Dunque costui non aveva il nome di legislatore? CRATILO: Sì . SOCRATE: E dunque forse, per Zeus, ci sarà, come nelle altre arti, un buon legislatore e uno cattivo, se si è d'accordo con noi su quelle cose di prima. CRATILO: è così . Ma vedi, Socrate, quando queste lettere come l'alpha e il beta e ciascuno dei principi, noi li attribuiamo ai nomi in conformità dell'arte grammatica, se poi togliamo, aggiungiamo o cambiamo un qualcosa, da noi non viene scritto il nome, o almeno non nella maniera corretta, ma non lo abbiamo scritto affatto, ma diventa subito un'altra cosa, solo che subisca uno di questi cambiamenti. SOCRATE: Attento che a condurre la ricerca così noi non abbiamo a condurla male, Cratilo. CRATILO: E come? SOCRATE: Forse quanto tu dici può avvenire in tutte le cose le quali necessariamente sussistono o non sussistono per un dato numero, come, ad esempio, nello stesso dieci o qualunque altro numero tu voglia, che se togli o aggiungi qualcosa, subito diventa un altro. Ma attento che la correttezza di un qualcosa di qualità e di tutta l'immagine non sia proprio questa, ma, al contrario, essa non debba riproporre del tutto quale è la cosa alla quale vuol rendere somiglianza, se deve essere un'immagine. Osserva dunque se io dico qualcosa. Potrebbero dunque essere due cose queste, poniamo, Cratilo e l'immagine di Cratilo, se un dio non solo rappresentasse il tuo colore e il tuo aspetto come i pittori, ma rendesse anche tutto quello che si trova nell'intimo, come il tuo e poi riproducesse le tue morbidezze e gli stessi colori e il movimento e l'anima e il pensiero vi iscrivesse all'interno come sono in te, e in una parola tutto quello che tu hai, questa e altre cose ponesse vicino a te? E tutto questo allora sarebbe Cratilo, o l'immagine di Cratilo, oppure due Cratili? CRATILO: A mio parere, Socrate, due Cratili. SOCRATE: Tu capisci dunque, amico, che occorre ricercare un'altra correttezza di immagine rispetto alle considerazioni che dicevamo poco fa, e non considerare necessario che se qualcosa manchi o sia in eccesso, questa non sia più immagine. O non ti rendi conto di quanto le immagini siano lontane dall'avere le stesse cose che hanno quelle di cui sono le immagini? (94) CRATILO: Io sì . SOCRATE: E sarebbe proprio ridicolo, Cratilo, quello che a causa dei nomi potrebbe toccare alle cose delle quali i nomi sono i nomi, se i nomi fossero in tutto simili a esse. Tutte le cose dunque assumerebbero un duplice aspetto, e nessuno avrebbe più la possibilità di dire di alcuna di esse, quale è la cosa stessa e quale il nome. CRATILO: Dici la verità. SOCRATE: Coraggio dunque, valent'uomo! E consenti che un nome si adatti a puntino e un altro no e non pretendere per forza che abbia tutte le lettere, perché sia esattamente tale e quale l'oggetto di cui è il nome, ma consenti pure che gli si aggiunga la lettera che non gli è confacente; e se una lettera, anche un nome in una frase; e se un nome, anche una frase in un discorso consenti che venga aggiunta, anche se non e confacente alle cose, e nondimeno venga nominata e detta la cosa, purché vi sia dentro l'impronta dell'oggetto sul quale verte il discorso, come nei nomi dei principi, se ricordi le cose che poco fa dicevamo io ed Ermogene. CRATILO: Me ne ricordo bene. SOCRATE: Bene, dunque. E quando questa impronta vi sia dentro, anche se il nome non possiede tutti quegli elementi che gli sono propri, l'oggetto verrà ben denominato se ha tutti gli elementi, male se ne ha pochi. Ammettiamo dunque che sia detto, o brav'uomo, per non dover pagare una pena come gli abitanti di Egina (95) che vanno in giro di notte tardi per la strada, e perché non sembri che anche noi, un presso a poco così , giungiamo alla verità più tardi del dovuto, oppure cerca un'altra correttezza del nome e non concedere che il nome sia una dimostrazione di un oggetto con lettere e sillabe. Se infatti dirai l'una e l'altra di queste cose, non potrai più essere d'accordo con te stesso. CRATILO: Ma a me, Socrate, sembra che tu parli adeguatamente, e così la penso. SOCRATE: Bene, dato che su tali questioni andiamo d'accordo, dopo questo punto, esaminiamo il seguente. Se sosteniamo che il nome deve essere posto bene occorre che egli abbia le lettere che gli sono confacenti? CRATILO: Sì . SOCRATE: E gli si adattano quelle uguali agli oggetti? CRATILO: Certamente. SOCRATE: Dunque i nomi che sono stati apposti bene sono apposti in questo modo. Ma se qualcuno non fu dato bene, la parte più cospicua di esso, forse, consterà di lettere che gli si addicono e che sono simili, se pur deve essere un'immagine, ma avrà pure un qualcosa che non gli conviene, a causa del quale il nome non è bello e non è neppure composto bene. Dobbiamo dire così , o in altro modo? CRATILO: Non penso, Socrate, che occorra farne una polemica; perché a me non soddisfa dire che è nome, ma che tuttavia non è posto bene.(96) SOCRATE: Forse non ti soddisfa questo: che il nome sia dimostrazione di un oggetto? CRATILO: A me questo sta bene. SOCRATE: Ma i primi nomi se devono essere dimostrazioni di certi oggetti, hai tu un modo più bello per cui diventino dimostrazioni, altro che il formarli quanto più è possibile tali e quali alle cose che essi devono dimostrare? O ti soddisfa di più il modo che sostiene Ermogene con molti altri, che i nomi sono convenzioni e hanno un senso per quelli che sono d'accordo e conoscono da prima gli oggetti, e che questa è la correttezza del nome, cioè l'accordo, e che non fa alcuna differenza se uno concorda come ora i nomi sono posti, oppure anche al contrario, di chiamare grande quel che ora è chiamato piccolo e piccolo quel che ora vien chiamato grande? Di questi due modi quale ti soddisfa? CRATILO: Ma, Socrate, fa differenza in modo assoluto tra il dimostrare ciò che uno intende dimostrare con la somiglianza e non con il modo che capita. SOCRATE: Dici bene: dunque se il nome deve essere simile all'oggetto è necessario che per natura siano simili agli oggetti i principi mediante i quali uno dovrà comporre i primi nomi? Intendo dire così : forse che qualcuno avrebbe mai composto un dipinto (ciò che dicevamo poco fa), simile a qualcuna delle cose che sono, se per natura non vi fossero stati colori mediante i quali vengono compiute le pitture, simili a quelli che l'arte pittorica imita? Oppure è impossibile? CRATILO: è impossibile. SOCRATE: Dunque allo stesso modo, non vi sarebbero mai nomi simili a nulla, se non vi fossero prima, con una certa somiglianza, quei principi mediante i quali si compongono i nomi, con quelle cose di cui i nomi sono imitazioni? E non sono i principi quelli da cui devono essere fatte le composizioni? CRATILO: Sì . SOCRATE: E dunque anche tu prendi parte, ormai, al discorso che facevo poco fa con Ermogene. Ti pare dunque che noi diciamo bene che il rho si addice a phora ('portare, essere portato'), a kinesis ('movimento') e a sklerotes ('durezza'), o non bene? CRATILO: A me par bene. SOCRATE: E il lambda al leion ('liscio'), al malakon ('glutinoso') e alle altre caratteristiche delle quali dicevamo or ora? CRATILO: Sì . SOCRATE: E sai tu che a quella stessa cosa noi diciamo 'sklerotes', gli Eretriesi invece skleroter? CRATILO: Certo. SOCRATE: Dunque il rho e il sigma si trovano a essere simili entrambi alla stessa cosa, ed esprimono la stessa cosa sebbene per loro il vocabolo termini col rho e per noi col sigma, oppure per noi o per loro non esprimono la stessa cosa? CRATILO: Esprimono la medesima cosa per entrambi. SOCRATE: Perché rho e sigma sono simili o perché non lo sono? CRATILO: Perché sono simili. SOCRATE: E sono simili sotto ogni aspetto? CRATILO: Forse, almeno, a significare la phora. SOCRATE: E anche il lambda che vi è frapposto? Non significa questo il contrario di sklerotes? CRATILO: Forse vi è stato frapposto non correttamente, come anche tu dicevi poco fa a Ermogene, sottraendo e aggiungendo lettere ove si doveva, e mi sembrava a ragione. E ora, forse, invece del lambda occorre dire rho. SOCRATE: Dici bene. Cosa dunque? Così come diciamo ora non ci capiamo tra di noi, quando uno dice skleron ('duro') e neppure tu intendi cosa dico ora io? CRATILO: Io sì , per l'abitudine, carissimo. SOCRATE: Parlando di abitudine (97) pensi di dire qualcosa di diverso da accordo? O quando parli di abitudine intendi qualche altra cosa rispetto a quel che dico io che quando pronuncio questo termine penso a quello e tu capisci che proprio a quello io penso? Non dici questo? CRATILO: Sì . SOCRATE: Dunque, se tu comprendi quando io pronuncio una parola, ti giunge da parte mia una segnalazione chiara? CRATILO: Sì . SOCRATE: Ma ti è chiara a causa del dissimile da quello che pensando io pronuncio, se è pur vero che il lambda è dissimile a quella che tu chiami la sklerotes. E se la cosa sta così , che altro significa se non che tu ti sei accordato con te stesso e la correttezza del nome per te è una convenzione, poiché esprimono chiaramente un significato sia le lettere simili quanto le dissimili, che hanno raggiunto parimenti abitudine e convenzione? Che se poi l'abitudine non è affatto convenzione, starebbe meglio dire che non la somiglianza è dimostrazione, ma l'abitudine, invece; è questa infatti, come pare, che significa per mezzo del simile e del dissimile. E siccome noi siamo d'accordo su questo, Cratilo - io porrò il tuo silenzio come assenso -, è necessario in qualche modo che convenzione e abitudine giovino in qualche modo alla dimostrazione di quello che diciamo pensando. Giacché, uomo eccellentissimo, se vuoi giungere al numero, da dove pensi che potresti avere nomi simili da riportare a ciascuno dei numeri, se tu non acconsenti che il tuo accordo e la convenzione abbiano la padronanza circa la correttezza dei nomi? Anche a me certo dà particolare soddisfazione che i nomi, per quanto è possibile, siano simili agli oggetti. Ma facciamo attenzione che questa trazione della somiglianza non sia veramente, secondo il detto di Ermogene, vischiosa, e che non sia poi necessario avvalersi di questa goffaggine, l'accordo, per la correttezza dei nomi?(98) Giacché probabilmente ci si esprimerebbe nella maniera migliore, qualora si parlasse con elementi o tutti o in massima parte simili, cioè convenienti agli oggetti, e nella maniera peggiore al contrario. Ma dopo queste cose dimmi ancora questo: quale importanza hanno per noi i nomi e cosa diciamo che essi compiono di bello? CRATILO: Insegnare: a me pare così , Socrate. E questo è molto semplice: chi conosce i nomi conosce anche gli oggetti. SOCRATE: Probabilmente, Cratilo, tu intendi questo: che quando uno conosce il nome qual è - ed è quale l'oggetto - egli saprà anche l'oggetto, poiché si trova a essere simile al nome, e una sola arte è questa di tutte le cose simili tra loro. In questo modo mi pare che tu voglia dire che chi conosce i nomi conoscerà anche gli oggetti. CRATILO: Dici cose molto vere. SOCRATE: Fermati un po': vediamo qual è mai questo modo di insegnare le cose che tu ora dici, e se ne esiste anche un altro, ma questo è il migliore, o se non ve ne è altro all'infuori di questo. In che modo la pensi tu? CRATILO: Così io la penso: che non ce n'è affatto un altro e questo è il solo e il migliore. SOCRATE: E ritieni che questa stessa sia la scoperta delle cose, cioè che colui che scopre i nomi ha scoperto anche quelle cose di cui essi sono i nomi? O che altro modo debba essere cercare e scoprire, e questo, invece, quello di imparare? CRATILO: Fra tutti particolarmente, e cercare e scoprire il modo è questo stesso secondo le stesse cose. SOCRATE: Dunque, Cratilo, riflettiamo: se uno cercando gli oggetti tiene dietro ai nomi, ricercando quale ognuno vuole essere, non pensi esista un rischio non piccolo di essere ingannati? CRATILO: Come? SOCRATE: è chiaro che colui che primo assegnò i nomi quali riteneva che fossero gli oggetti, tali, come noi sosteniamo, poneva anche i nomi. Non è così ? CRATILO: Sì . SOCRATE: Ma se colui non la pensava correttamente e poneva i nomi così come pensava, cosa pensi che potrà accadere a noi che gli teniamo dietro? Cos'altro se non essere ingannati? CRATILO: Ma non è così la questione, Socrate. è semmai necessario che chi pose i nomi li assegnasse perché conosceva le cose. Altrimenti, cosa che vado dicendo da tempo, non sarebbero nomi. E la prova più grande che non ha mancato il vero colui che ha posto i nomi sia questa per te: mai gli sarebbero riusciti tutti così in armonia tra di loro. O non la pensavi tu stesso così , sostenendo che i nomi erano stati combinati allo stesso modo e per lo stesso fine? SOCRATE: Ma questo, buon Cratilo, non è affatto una difesa. Se dunque chi poneva i nomi, fallito nel primo, forzava anche gli altri dietro a questo e li costringeva a essere in armonia con sé, non è strano, come accade talvolta delle forme geometriche, che avvenuto un primo piccolo e anche invisibile errore, le rimanenti che seguono, anche se sono molte, siano in consonanza tra di loro. Occorre dunque che sul principio di ogni cosa ogni uomo abbia molta considerazione e molta attenzione se sia stato posto correttamente o no; e quando questo sia stato vagliato a sufficienza, tutto il resto apparirà fare seguito proprio a questo. E io non mi meraviglierei certamente se anche i nomi si trovassero d'accordo tra di loro. E di nuovo dunque esaminiamo quelli che abbiamo passato in rassegna prima. Noi sosteniamo che i nomi ci rivelano la sostanza come se il tutto vada, si muova, scorra. E non pare anche a te che la significhino così ? CRATILO: Proprio così : e la significano in modo corretto. SOCRATE: Riprendendo dunque da questi nomi, anzitutto esaminiamo questo: l'episteme ('la scienza, conoscenza') come è ambiguo, e assomiglia più a quel che significa la histesin (99)('ferma') sugli oggetti la nostra anima più che essa venga portata in giro; ed è più corretto dire l'inizio di questa parola come ora, piuttosto che, frammettendovi un epsilon e dire hepeisteme e fare l'inserzione anziché nell'epsilon nello iota. Per il termine bebaion ('sicuro') che è un'imitazione di basis ('base') e di stasis ('stasi') ma non di phora ('movimento'). E poi historia ('ricerca') che significa un press'a poco che istesi ton rhoun ('ferma la corrente') e piston ('credibile') che significa del tutto histan ('che sta'). Poi la mneme ('la memoria') vale per ognuno che la mone è 'indugio' nell'anima e non phora ('movimento'). E se vuoi l'hamartia ('l'errore') e la symphora ('la disgrazia'), se qualcuno terrà dietro al nome appariranno essere la stessa cosa con la synesis ('comprensione') con l'episteme ('scienza') e con tutti gli altri nomi che riguardano cose serie. E ancora l'amathia ('l'ignoranza') e l'akolasia ('intemperanza') sembrano molto simili a questi. E l'amathia sembra essere il cammino di 'chi va insieme al dio' (hama theoi iontos) e l'akolasia sembra del tutto akolouthia tois pragmasin ('seguito alle cose'). E così quelli che noi stimiamo nomi per le cose peggiori, parrebbero molto simili a quelli per le cose migliori. E credo anche che uno, se si desse molto da fare, ne troverebbe molti altri, dai quali sarebbe spinto a ritenere che chi pose i nomi intendeva significare al contrario che le cose non vanno, né si muovono ma se ne stanno immobili. CRATILO: Però, Socrate, tu vedi che la maggior parte significavano a quel modo. SOCRATE: Cos'è questo, Cratilo? Dovremo contare i nomi come voti e in questo sarà la loro correttezza? Quello che la maggior parte dei nomi sembra significare, sarà questo il vero? CRATILO: Non sarebbe verisimile. SOCRATE: No, assolutamente, amico. Ma abbandoniamo a questo punto tali questioni e ritorniamo di nuovo là donde siamo arrivati qui. Poco fa, nelle tue precedenti argomentazioni, se te ne ricordi, sostenesti che era pur necessario che chi poneva i nomi conoscesse bene le cose a cui doveva dare i nomi: ti sembra ancora così , o no? CRATILO: Ancora. SOCRATE: E anche chi attribuisce i primi nomi dici che li attribuisce conoscendo? CRATILO: Sì , conoscendo. SOCRATE: Da quali nomi dunque aveva imparato o scoperto gli oggetti, se i primi nomi non erano stati ancora attribuiti, mentre noi sosteniamo che è impossibile imparare o scoprire gli oggetti se non per averne appreso i nomi o per averli scoperti quali essi sono? CRATILO: Mi pare, Socrate, che tu dica qualcosa di importante. SOCRATE: In qual modo dunque possiamo sostenere che essi sapendo attribuissero i nomi o fossero legislatori, prima che fosse stato assegnato qualunque nome ed essi ne fossero a conoscenza, se non è dato imparare gli oggetti se non attraverso i nomi? CRATILO: Io credo che sia il discorso più vero intorno a questi problemi, Socrate, che una potenza più grande rispetto a quella umana fu quella che assegnò i primi nomi agli oggetti, tanto che è necessario che essi siano posti correttamente. SOCRATE: E credi tu che chi pose i nomi, lo fece in contraddizione con se stesso, fosse egli un demone o un dio? Oppure ti sembra che poco fa non dicessimo nulla? CRATILO: Può anche essere, attento, che alcuni tra essi non fossero nomi. SOCRATE: E quali, o valent'uomo? Quelli che conducono alla quiete o quelli che portano al moto? Infatti, secondo quanto si è detto poco fa, non si giudicherà dal numero. CRATILO: Non sarebbe giusto, Socrate. SOCRATE: E dunque, se c'è contesa tra i nomi, e alcuni affermano di essere proprio loro simili alla verità, gli altri invece che lo sono essi, con quale modo giudicheremo o a cosa faremo ricorso? Di sicuro non ad altri nomi differenti da questi, perché non è possibile, ma è chiaro che bisogna fare ricerca verso qualche altra cosa all'infuori dei nomi, che ci dimostri, senza i nomi stessi, quali di questi sono veri, mostrandoci con chiarezza la verità delle cose. CRATILO: Pare proprio così . SOCRATE: è possibile dunque, Cratilo, come pare, imparare, senza l'apporto dei nomi, la realtà delle cose, se la questione sta in questo modo. CRATILO: Pare. SOCRATE: E attraverso quale altro mezzo pensi tu di potere apprenderli? Forse con un altro criterio che non sia questo, ma adatto e giustissimo, e cioè vagliarli tra loro se sono congeneri ed essi stessi mediante loro stessi?(100) Infatti ciò che è altro e diverso da quelli può avere il significato di altro e di diverso, ma non quelli. CRATILO: Mi sembra che tu dica il vero. SOCRATE: Piano, per Zeus! Non abbiamo già tante volte ammesso che i nomi posti bene sono rassomiglianti agli oggetti di cui sono nomi e sono l'immagine delle cose? CRATILO: Sì . SOCRATE: Se dunque è possibile conoscere gli oggetti attraverso i nomi, ma lo è anche attraverso loro stessi, (101) quale è l'apprendimento più bello e più chiaro? Imparare dall'immagine, e l'immagine in se stessa se è stata ben rappresentata, e la verità di cui è immagine, o imparare dalla verità sia la verità stessa e l'immagine sua se è stata compiuta a dovere? CRATILO: è necessario dalla verità, a mio parere. SOCRATE: In qual modo dunque occorre imparare e scoprire le cose reali, probabilmente, se la si conosce, è cosa più grande sia rispetto a me che a te. Ci si deve però accontentare di aver riconosciuto almeno questo: che non dai nomi ma molto di più da se stesse le cose vanno imparate e ricercate. CRATILO: Pare, o Socrate. SOCRATE: E dunque dobbiamo ancora vagliare questo punto, perché tutti questi nomi che tendono verso la stessa direzione non abbiano ad ingannarci, se in realtà coloro che li hanno attribuiti li abbiano assegnati con questa convinzione che tutte le cose andavano e scorrevano, e anche a me pare che essi ne fossero convinti, e se questo, per caso, non sta proprio così , ed essi stessi, precipitando come un turbine, ne sono sconvolti e trascinandosi dietro anche noi, ci buttano dentro. Fa' attenzione, o ineffabile Cratilo, a quello che spesso io vado sognando. Possiamo sostenere dunque che sono un qualcosa il bello in sé, il buono in sé e così anche ciascuna delle cose reali, o no? CRATILO: A me pare che sia così , Socrate. SOCRATE: Allora poniamo sotto esame quello stesso fatto in sé, non già se un volto è bello, o qualcosa di simile, son tutte queste cose che sembrano scorrere; ma possiamo affermare che il bello in sé non è sempre tale qual è? CRATILO: Necessariamente. SOCRATE: Allora dunque è possibile dire giustamente questo bello per sé, se sempre si sottrae, è anzitutto dire che esso è, poi che è tale, oppure è necessario dire che nel momento in cui parliamo egli diventa subito un altro e sfugge e non è più così ? CRATILO: Per forza. SOCRATE: Come potrebbe dunque essere qualcosa, ciò che mai si trova nella stessa condizione? Infatti se una volta mai sta fermo nello stesso modo, è chiaro che in quel tempo non passa avanti. E se sta sempre nella stessa condizione ed è lo stesso, come potrebbe cambiare o innovarsi non spostandosi affatto dalla propria idea? CRATILO: In nessun modo. SOCRATE: Ma allora non potrebbe essere conosciuto da nessuno. Infatti, avvicinandosi a lui chi volesse conoscerlo, diverrebbe altro e diverso, tanto che non potrebbe essere conosciuto quale è, come è. CRATILO: è come tu dici. SOCRATE: Ma neppure conviene sostenere che c'è conoscenza, Cratilo, se tutte le cose cambiano e nulla resta fermo. Se infatti questa stessa cosa, la conoscenza, non cambia dall'essere conoscenza, la conoscenza potrebbe restare ferma ed essere conoscenza; ma se l'idea stessa della conoscenza cambia, e insieme cambiasse in una idea diversa dalla conoscenza, non sarebbe conoscenza. Ma se cambia sempre, sempre non sarebbe conoscenza e secondo questo ragionamento non vi sarebbero più né quel che deve conoscere né quello che deve essere conosciuto. Ma se c'è sempre quel che conosce e quello che viene conosciuto, c'è anche il bello, il buono e c'è ciascuna delle cose reali; e non mi pare che tutte queste cose di cui ora parliamo siano simili né alla corrente, né al movimento. Ora se tali questioni stiano in questo modo o in quelio che dicono Eraclito (102) e i suoi seguaci e molti altri, non è facile da osservare, e non è neppure da uomo che abbia senno volgerlo a curare se stesso e la propria anima con dei nomi, e confidando in essi e in coloro che li hanno posti, sostenere fermamente, come uno che sa qualcosa e riprendere se stesso e le cose reali come non vi fosse nulla di sano, ma che tutte le cose come vasi di terracotta fluiscono, e pensare che come gli uomini che soffrono di catarro nella stessa situazione versino anche le cose e che il tutto sia preso dalla corrente e dal catarro. Forse, Cratilo, la questione sta così , o così non è. Bisogna dunque fare ricerca con coraggio e bene e non accettare facilmente. Tu sei ancora giovane e hai l'età che si presta, e dopo aver riflettuto, se tu trovi, metterne a parte anche me. CRATILO: Lo farò. Sappi però, o Socrate, che anche ora non sto senza meditare; ma quando ci penso e mi do da fare mi pare che la questione stia molto di più nella maniera che sostiene Eraclito. SOCRATE: Me lo insegnerai in altra occasione, amico, quando tu ritorni qui. Ma ora, come ti eri preparato a fare, va pure in campagna. Ti accompagnerà anche il nostro Ermogene. CRATILO: Sarà così , Socrate, ma anche tu tenta ancora di meditarla la questione.

VIDEO https://www.youtube.com/watch?v=UEy7HxcbxRM


NOTE (le note di cui viene omesso il significato tratta di parole greche, non riportabili con questo set di caratteri):
1) Per quanto non senza discussione si identifica il Cratilo protagonista del dialogo, che Platone ascoltò in gioventù, con il Cratilo di cui parla Aristotele nella Metafisica.
2) Ermogene era un assiduo auditore di Socrate, presente anche alla sua morte. A differenza del fratello Callia, assai ricco, egli era molto povero. Anche per questo Cratilo ha buon gioco a contestare la congruità del nome. Ermogene infati, significa 'stirpe di Ermes', che è dio dei traffici e dei ladri: insomma dio del guadagno.
3) è evidente l'ironia di Socrate contro questo sapere acquistato a pagamento.
4) Qui per familiari deve intendersi servi ai quali era possibile attribuire un nome e cambiarlo a proprio piacimento; si dice che Diodoro della scuola di Megara, filosofo nativo di Iaso in Caria, vissuto tra il quarto e il terzo secolo a.C., convinto assertore della origine convenzionale della denominazione chiamasse uno dei suoi servi alla men che significa 'ma', 'ma invero'.
5) Più volte nei dialoghi di Platone viene evocata la questione del discorso vero e del discorso falso. In Aristofane poi (Nuvole) il Discorso Giusto e il Discorso Ingiusto, quasi personificati, attribuiti a Socrate più che ai Sofisti, contribuiranno non poco a creare di Socrate un'immagine non vera. Ad Aristofane comunque non sfuggiva che il pensiero e l'atteggiamento morale di Socrate era di uno spessore diverso da quello dei Sofisti. Né Platone avrebbe altrimenti accolto Aristofane tra i personaggi del Fedro.
6) Il relativismo di Protagora qui viene combattuto con la contrapposizione di vero al falso che deve andare sopra e oltre il modo individuale di concepire e credere la verità.
7) Eutidemo, partendo dai presupposti della scuola eleatica, non faceva variabili il vero e il falso, ma li considerava come indifferenti in ciascuno.
8) Qui Socrate insiste su un realismo dell'utile, che può provenire da un valore.
9) Da noi può dipendere il fine che ci prefiggiamo nella denominazione, ma non il mezzo per raggiungerla.
10) A proposito del liguaggio, dunque, qui si pone in rilievo lo strumentalismo e non l'espressionismo o il finalismo come sarà in altre teorie molto più moderne, come, ad esempio, quella crociana.
11) è stato giustamente osservato in Platone, Cratilo a cura di C. Licciardi, Milano 1989, che qui la parola greca potrebbe più opportunamente essere resa con 'norma' anziché 'legge'.
12) Avere presenti le idee delle cose in sé e possederle realmente è come avere una forza propulsiva per poter realizzarle.
13) L'uso controlla la bontà dello strumento; il nocchiero dunque, che ne è esperto, sorveglierà il lavoro del falegname al fine di ottenere un ottimo timone: così il dialogare (di qui il dialettico) si chiarisce la bontà in questo caso del vocabolo, noetica, che è forma di 'conoscenza intellettuale' allo stato immediato, percettivo (Aristotele). A questo proposito, comunque, si veda il Politico ove il saggio è modello di governante.
14) Per callia (vedi nota 2) a differenza di Ermogene egli è ricchissimo. Fu ospite dei Sofisti, come appare anche nel dialogo intitolato a Protagora. Ermogene, invece, ricco di interessi filosofici, assisté alla morte di Socrate come appare dal Fedone.
15) è una sorta di trascendentismo quasi mistico del nome, quello che Platone attribuisce agli dèi. Non sfugge, tuttavia ai critici che Platone, il quale nella Repubblica assumerà una posizione di rigetto rispetto alla poesia, quando assume a conforto delle sue argomentazioni citazioni omeriche o da altri poeti, lo fa quasi costantemente con tono ironico. Qui comunque tale trascendentismo è sostenuto e giustificato con un sovrapposto trascenentismo metafisico?
16) Omero, Iliade libro 20, verso 74. Omero ricorda più volte lo Scamandro come figlio di Zeus e protettore della città: di qui Ettore appose al proprio figlio il nome di Scamandrio; il fanciullo tuttavia sempre in Omero, viene chiamato anche Astianatte ('signore della città'). Lo stesso fiume veniva chiamato anche Xanto ('fulvo') per le acque gialle e limacciose delle sue correnti.
17) è il nibbio.
18) Omero, Iliade libro 14, verso 291.
19) Mirine (Omero, Iliade libro 2, verso 813) significa 'colle'.
20) è ben nota la condizione di inferiorità in cui veniva tenuta la donna in Grecia: le donne che contavano erano soltanto le etere (come Aspasia, compagna, poi, segretamente sposa di Pericle) donne coltissime e bellissime, generose all'occorrenza delle loro grazie. Tale condizione si alleviò durante l'età ellenistica, quando l'uomo, impossibilitato a fare politica nell'agorà, si raccoglie nella propria casa, che abbellisce insieme alla sua donna.
21) Omero, Iliade, libro 22, verso 507 (soggetto è Ettore che difende i Troiani).
22) Qui Platone fa espresso riferimento a una sorta di etimologia omerica.
23) La denominazione completa di queste lettere (e-psilon, u-psilon, o-micron, o-mega) risale a parecchi secoli dopo Platone, all'età bizantina.
24) Agis, Agide: da 'condurre', ' guidare'; Polemarco: da 'guerra' e 'comandare'; Eupolemo: da 'adeguatamente' e ' abile in guerra'.
25) Iatrocle: da 'medico' e 'gloria'; Achesimbroto: da 'guarire', 'risanare' e 'uomo', 'mortale'.
26) Agamennone vien fatto derivare qui da Platone da 'ammirevole' e da 'indugio', 'resistenza'.
27) Atreo, fra le varie etimologie proposte forse la più accettabile è quella che collega questo nome con 'sventura', da cui anche 'accecamento', 'spinto alla rovina'. Atreo padre di Agamennone e Menelao, era figlio di Pelope e fratello di Crisippo, nel timore che il padre lo preferisse nei propri affetti, riuscì a scacciare Tieste, che aveva tentato di spodestarlo dal trono e ne aveva pure sedotto la moglie. Poi, fingendo con lui una riconciliazione, riavuto presso di sé il fratello, gli imbandì le carni dei figli. è la stirpe maledetta di Tantalo, che, insuperbito dalla consuetudine che aveva con gli dèi, aveva imbandito loro le carni del figlio di Pelope. Ma nessun nume si cibò di quelle carni, eccetto Demetra ancora frastornata e addolorata dalla scomparsa di Persefone. La maledizione di tanta tracotanza si tramanderà da padre in figlio e si concluderà soltanto nelle Eumenidi di Eschilo, quando il tribunale dell'Areopago assolverà Oreste dal matricidio consumato ai danni della madre Clitennestra, che a sua volta, con il suo drudo Egisto, aveva ucciso lo sposo Agamennone, colpevole di aver sacrificato la figlia Ifigenia. Su questo mito e sul suo significato si può confrontare la trilogia eschilea: Agamennone, Coefore, Eumenidi, e il Tieste di Seneca.
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29) Sopravvissuto dunque all'imbandigione che di lui aveva fatto agli dèi il padre Tantalo, Pelope fu amato da Poseidone, dio del mare; giunto in età di nozze si invaghì di Ippodamia che il padre di lei, Enomao, era disposto a cedere soltanto a chi lo avesse battuto nelle corse con la quadriga. Per ottenere la vittoria, Pelope si valse della complicità di Mirtilo, auriga di Enomao, che però fu ucciso perché aveva tentato di possedere Ippodamia. Su questo mito si veda l'Olimpica 1 di Pindaro.
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33) Urania dunque vien fatta risalire come etimologia 'che guarda', 'che contempla le cose di lassù'
34) Prospalta è uno dei demi (distretti di modesta estensione) attici. Eutifrone, protagonista del dialogo omonimo, è personaggio tutto pieno di sé e sussiegoso, che pretende di saper tutto intorno alla "santità" e al suo contrario. Ma, messo alle strette dall'ironia e dalla dialettica di Socrate troncherà il dialogo dandosi alla fuga.
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36) Moira è una divinità che corrisponde grosso modoal destino: contro di essa neppure gli dèi immortali possono nulla, nel senso che essi non possono sottrarre gli uomini alla loro sorte, cioè la morte. I versi riportati vengono da Esiodo, Le opere e i giorni; ma Platone li cita con una certa approssimazione.
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38) E' questa una prova evidente della sensibilità dei Greci alle differenze d'accento (ma l'introduzione delle relative notazioni nella grafia corrente avvenne molto più tardi).
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40) Crono e Rea sono i genitori di Zeus, padre degli dèi e degli uomini, quindi appartengono al tempo delle più remote origini. Secondo la Teogonia esiodea e altre fonti, sia pure in versioni diverse, Rea sottrasse a Crono l'ultimo dei suoi figli, Zeus, nel timore che il padre lo divorasse, come aveva fatto con gli altri figli, per non essere spodestato da lui.
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42) Omero, Iliade libro 14 verso 201.
43) Probabilmente frammento di un inno all'Oceano: Orphicorum Graecorum fragmenta, pagina 87, Kern.
44) Con questa derivazione del verbo 'scuotere', Poseidone ha spesso in Omero l'epiteto di 'scuotitore della terra'. Platone, accennando a questa aggiunta di lettere a scopo di eleganza, ammette che una sorta di estetismo si accompagna alla formazione del linguaggio.
45) Questa etimologia di Ade, è comunemente accettata.
46) Vien fatto di richiamare il celebre luogo dantesco: «Sì che la tema si volse in disio» (Inferno, libro 3, verso 126). L'analogia è sorprendentemente profonda: in questo passo della Commedia, per l'acquisizione certa di una volontà ineluttabile, la paura si trasforma in desiderio; il richiamo è tanto più suggestivo se si pensa che Dante non conosceva il greco e che difficilmente un'opera come questa di Platone, come tutte le altre di Platone, dovevano circolare ai suoi tempi, non certo in traduzione, ma neppure per epitomi o compendi.
47) Da ricordare che con il nome di Plutone il dio è dispensatore delle ricchezze che si trovano sottoterra anche per gli uomini che vivono sulla terra.
48) A parte lo spirito aspro, come si vede 'aer' è l'anagramma di 'era'
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56) Allusione scherzosa a un luogo omerico: Iliade, libri 5, verso 221.
57) Si vedano le battute inizili del dialogo e la nota 2.
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60) Anassagora di Clazomene (500? - 428 a.C.) filosofo, astronomo, matematico, visse a lungo in Atene, ove fu maestro di Pericle. Pose a base della sua realtà un numero infinito di "semi", particelle che avevano qualità e natura identiche a quelle derivate dalla loro mescolanza, chiamate "omeomerie". Per aver negato la divinità del sole e della luna fu processato e condannato come empio; secondo altri il processo fu causato dal suo essere filopersiano. Pericle comunque tramutò la pena capitale in esilio. Qui Socrate si limita a confutare la pretesa novità della teoria della luna che prendeva luce dal sole, che il filosofo di Clazomene attribuiva a se stesso.
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63) Se non si esclude una vena di compiaciuta autoironia è un Socrate ben diverso, questo, da quello abituale che sempre afferma che egli «sa di non sapere!»
64) Si accetta comunemente che qui ci sia richiamo ad Eracle che vestì la pelle di leone dopo la sua vittoria sul leone di Nemea.
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72) Omero, Iliade, libro 5 verso 265.
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75) Si può rilevare qui, come in tanti altri casi, che il nesso tra i due vocaboli si limita soltanto a una totale coincidenza di consonanti e vocali. Nulla di più: ma è ovviamente troppo poco per spiegare etimologicamente i termini.
76) Come si può osservare, alla base di qusto dialogo sulla etimologia dei vari nomi di dèi, di uomini, di cose astratte e concrete, Socrate, o, per meglio dire, Platone ha posto la dottrina eraclitea dell'eterno fluire.
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79) Parola altrimenti inattestata, certo inventata da Platone.
80) Il vantaggio è presentato come idea anteriore al piacere: il che è contrario agli sviluppi filosofici: (dall'edonismo all'utilitarismo) e alle intenzioni degli uomini (anche se non a quelle della natura!).
81) .....................
82) Non più impedimento, dunque, ma dissolvimento onde il piacere come unità, sintesi, accordo.
83) Si può scorgere qui una certa consonanza con la concezione stilnovistica: l'amore, nel cuore nobile in cui alberga, viene stimolato solo dall'immagine della donna.
84) Qui dunque la giustezza dei nomi non consiste più nella loro comprensione, ma nell'immagine che sanno dare alle cose.
85) è qui accennata una distinzione tra essenza e qualità; ma anche le qualità hanno una loro essenza.
86) Platone accenna al noto espediente teatrale del deus ex machina: un dio issato sulla scena per via di carrucole, veniva a risolvere una situazione molto aggrovigliata e senza soluzione. Fu un epilogo molto praticato nel teatro di Euripide: si ricorda per tutti il celebre finale della Medea.
87) ...................
88) Esiodo Le opere e i giorni.
89) Zenodoto di Efeso (340 - 265 circa a.C.) grammatico e primo bibliotecario del Museo in Alessandria, divise per la prima volta i poemi omerici in 24 libri ciascuno, indicando rispettivamente con le lettere maiuscole e minuscole dell'alfabeto greco i singoli libri. Fu il primo a dare un'edizione critica di Iliade e Odissea, espungendo con una lineetta fianco (obelo) i versi che riteneva spuri. Prima di tale suddivisione i due poemi erano distinti in rapsodie ('unità di canto') di cui una, le Preghiere appunto, è ricordata quie corrisponde a Iliade, libro 9, versi 644-645.
90) Ancora un richiamo a Eutifrone, come nella prima parte del dialogo. Tale personaggio, come si è visto, pretendeva di conoscere tutto sulla santità e il suo contrario: il suo nome dà il titolo al primo dialogo del corpus platonico.
91) «Il famoso poeta», o meglio, il poeta per antonomasia, è Omero, di cui qui viene riportato un emistichio (un mezzo verso) che si incontra talvolta nei poemi: per esempio Iliade, libro 1, verso 343; libro 3, verso 102.
92) Dopo aver rivelato, poco sopra, una falla, perché tra riferimento e imitazione può nascere errore nei nomi, qui si comincia a sottolineare che il giusto dei nomi è il vero.
93) La bellezza dunque ha parte preponderante nei nomi come nei dipinti, al di sopra della stessa verità; ma deve pure sempre proporsi come fedeltà. La bellezza quindi trova il suo pregio e il suo valore nella giustezza imitativa.
94) Evidentemente se fossero uguali non sarebbero più immagini.
95) Riferimento non chiaro, forse relativo a fatti che a noi sfuggono perché non conosciuti.
96) Cratilo vien messo gradualmente alle strette, ma non vuole cedere del tutto.
97) L'abitudine è qui assunta come valore di comprensione: l'abitudine comunque presuppone il rapporto.
98) Sarebbe proprio difficile creare nomi sulla base della sola somiglianza.
99) ....................
100) La conoscenza delle cose reali (gli enti) mediante i nomi presuppone la conoscenza diretta degli enti.
101) La conoscenza delle cose dunque può avvenire attraverso i nomi, ma anche attraverso le cose stesse.
102) Come si è visto, il richiamo a Eraclito e alla sua dottrina dell'eterno fluire è stata una costante del dialogo. Anche Cratilo di questa dottrina si rivela seguace ma in questa ultima parte del dialogo Socrate se ne stacca.

Eugenio Caruso 18-10-2019

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