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Il codice etico dell'impresa Usa

L’amministratore delegato di McDonald’s Steve Easterbrook è stato licenziato a causa di una relazione consensuale con una propria dipendente finendo però per violare le regole interne. In una nota ufficiale il board della più grande catena mondiale di fast food ha spiegato che l’ad uscente si è comportato con «scarso giudizio» dal momento che il codice etico proibisce di frequentare colleghi che abbiano un rapporto di lavoro — diretto o indiretto — con l’interessato.
Giova notare che Easterbrook aveva una relazione consensuale con la sua dipendente, ma la motivazione per il licenziamento è stata la seguente "per avere una relazione consensuale con la dipendente deve avere fatto azioni o avuto comportamenti volti a sedurre la donna e pertanto il licenziamento è giustificato da queste sue pratiche preliminari". Easterbrook, britannico di 52 anni, negli ultimi tempi era riuscito a migliorare i conti e la reputazione del colosso. In una e-mail interna il dirigente — salito al vertice il 1° marzo 2015 dopo essere stato Chief brand officer — ha ammesso la relazione e affermato che è stato un errore, senza se e senza ma.. «Considerati i valori della compagnia concordo con il consiglio che è il momento di farmi da parte». Secondo l’Associated Press il board ha deciso venerdì di allontanare l’amministratore delegato dopo un’indagine interna e i dettagli ufficiali di quella che per ora sembra una separazione consensuale saranno resi noti oggi quando l’impresa depositerà i documenti richiesti dagli organi federali americani in materia di trasparenza. McDonald’s ha aggiunto che non saranno forniti dati sulla relazione di Easterbrook.
Il consiglio di amministrazione ha sostituito Easterbrook con il 51enne Chris Kempczinski, attuale presidente di McDonald’s Usa, che ricoprirà il doppio incarico di ad e presidente. Easterbrook — divorziato e padre di tre figli — era stato apprezzato per gli interventi in un’impresa che negli ultimi anni aveva perso quote di mercato non soltanto negli Stati Uniti, ma anche nel resto del mondo. Dieci mesi dopo aver preso in mano le redini, McDonald’s aveva chiuso uno dei peggiori anni della sua storia. Nei mesi successivi le azioni sono quasi raddoppiate arrivando — come calcola Cnbc — a 193,94 dollari, segnando quindi un +96%. Tra le ragioni di questo aumento del valore gli analisti che seguono il fast food elencano il restyling — anche tecnologico — dei ristoranti, introducendo i chioschetti per ordinare direttamente attraverso un monitor con il menu digitale.
Ma le sfide non erano state superate. Una su tutte: convincere i consumatori più giovani a tornare nei suoi fast food. Per questo Easterbrook aveva insistito molto sugli investimenti in tecnologia, arrivando a raggiungere accordi commerciali con alcune delle più famose applicazioni per la distribuzione degli alimenti Uber Eats e DoorDash, oppure acquisendo società specializzate nell’intelligenza artificiale. Alla fine del 2018 McDonald’s conta 37.855 ristoranti (il 95% in franchising) in oltre cento Paesi e impiega circa 210 mila persone. L’anno scorso i ricavi hanno toccato i 21,03 miliardi di dollari, più del Pil della Bosnia ed Erzegovina. Il passaggio di consegne al vertice — ha aggiunto il consiglio di amministrazione nella nota — «non è legato in alcun modo ai risultati operativi e finanziari della compagnia».

La discussione sul rapporto tra capitale ed etica è stata avviata negli USA negli anni ’70 e le prime conclusioni furono che l’etica negli affari non poteva esistere, perché in antitesi con il profitto. Oggi, secondo il Center for Business Ethics di New York, l’85% delle maggiori imprese degli USA si è dotato di un codice etico aziendale, che definisce i rapporti con il sistema degli stakeholders e che indica i criteri generali sull’esercizio dell’autorità.
Anche il concetto di valore aggiunto globale inizia a entrare nel linguaggio economico; l’essenza di un’impresa è far sì che il valore aggiunto sia superiore ai costi generati all’interno; ma alcuni costi l’impresa li trasferisce all’esterno così come genera all’esterno benefici sociali, cosicché, nel computo del valore aggiunto globale, vanno considerati anch’essi. Pertanto, il valore di un’impresa si misura sia in termini di prodotti e servizi che essa fornisce ai clienti, sia in termini di ricchezza e di occupazione che l’impresa è in grado di creare.
Il successo è assicurato alle imprese non solo dalla legittimazione del mercato, ma anche dalla legittimazione sociale; l’impresa dovrà curare l’interesse degli investimenti, ma anche quello degli stakeholders (in particolar modo dei dipendenti) che a loro volta contribuiranno al successo dell’impresa. Anche i principi organizzativi della Qualità totale consigliano di concentrare l’attenzione appunto su dipendenti, fornitori e clienti, sottoposti, con la classica immagine della piramide rovesciata, al massimo livello d’attenzione.
Questo “valore” dell’impresa è una riscoperta, perché la troviamo già negli scritti di Benjamin Franklin, imprenditore nella Pennsylvania del XVIII secolo, quando parla del piacere e dell’orgoglio provati nell’aver dato lavoro a molte persone e nell’aver contribuito alla prosperità economica di Filadelfia, la sua città. I principi dell’etica nell'impresa sono stati ampiamente illustrati da due professori di Harward che hanno mostrato, sulla base di un gran numero di studi, che un’impresa può adattarsi all’ambiente solo se le sue tre clientele principali (clienti, investitori e dipendenti) sono realmente interessate a essa e se l’impresa risponde ai bisogni e alle priorità di ciascuna clientela.
Il vecchio rapporto basato sulla subordinazione o sulla semplice fornitura di un prodotto è abbandonato per fare posto al criterio del produrre insieme; pertanto la legittimazione dell’impresa non dipende più solo dalla risposta del mercato, ma anche da una molteplicità di soggetti interni ed esterni all’impresa che dovranno avere in comune anche una base di principi morali.
Ecco quindi che nel mondo dell’impresa si è affermato il principio che l’etica paga; non esiste cioè dissidio tra etica e profitto, anzi la prima configura oggi il necessario presupposto per il secondo. Questo tipo di impostazione risente dei principi dell’etica weberiana, ma sicuramente non nuoce a una gestione moderna e dinamica di ogni impresa. Anche nell’ambito dell’etica nell’impresa organizzazioni istituzionali hanno iniziato a emanare norme che vanno sotto il titolo “Responsabilità sociale d’impresa (Corporate Social Responsibility, CSR). In relazione al concetto di responsabilità sociale sono stati sviluppati modelli di gestione aziendale innovativi, legati al tema dell’etica. La Social Accountability International (SAI), organizzazione internazionale nata nel 1997, ha emanato la norma SA 8000 per assicurare nelle imprese condizioni di lavoro che rispettino la responsabilità sociale. Lo standard SA 8000 (Social Accountability 8000) è il più diffuso a livello mondiale per la responsabilità sociale di un’azienda ed è applicabile a imprese di qualsiasi settore, per valutare il rispetto da parte di esse dei requisiti minimi in termini di diritti umani e sociali. In particolare, lo standard prevede otto requisiti specifici collegati ai principali diritti umani: 1. escludere il lavoro minorile e il lavoro forzato; 2. riconoscere orari di lavoro non contrari alla legge; 3. corrispondere una retribuzione dignitosa per il lavoratore; 4. garantire la libertà di associazionismo sindacale; 5. garantire il diritto dei lavoratori di essere tutelati dalla contrattazione collettiva; 6. garantire la sicurezza sul luogo di lavoro; 7. garantire la salubrità del luogo di lavoro; 8. impedire qualsiasi discriminazione basata su sesso, razza, orientamento politico, sessuale, religioso. Nella fattispecie, la conformità ai predetti requisiti si concretizza nella certificazione rilasciata da un Organismo indipendente volta a dimostrare la conformità dell’azienda ai requisiti di responsabilità sociale della norma. Lo standard SA 8000 si caratterizza inoltre per la sua flessibilità. Infatti la sua versione attuale (http://www.sa-intl. org/) può essere applicata dovunque, dai Paesi in via di sviluppo ai Paesi industrializzati, nelle imprese di piccole e grandi dimensioni e negli enti del settore privato e pubblico. Al di là delle regolamentazioni occorre notare che i media sono molto reattivi quando scoprono che un’impresa non rispetta i suddetti criteri e la gente è pronta ad abbandonare il brand che si sia macchiato di irregolarità etiche, come è stato dimostrato nei casi di sfruttamento del lavoro minorile, di maltrattamento degli animali, di inquinamenti ambientali.
Dal 26 al 30 settembre 2005 si svolse a Bangkok la seconda riunione del gruppo ISO sulla Responsabilità sociale delle imprese (Working Group for Social Responsibility), nel corso della quale sono stati fatti progressi verso una nuova norma sulla responsabilità sociale: la ISO 26000. Uno dei principali successi del meeting di Bangkok è stato quello di stabilire una prima struttura del documento. Il gruppo ISO ha infatti raggiunto un accordo sull’organizzazione dei contenuti della norma, la cui pubblicazione definitiva è avvenuta a novembre del 2010. Perché la norma sia frutto del contributo di tutti gli interessati alla responsabilità sociale, il processo di definizione della ISO 26000 prevede la collaborazione dei rappresentanti di ben sei categorie di stakeholders: imprese, governi, lavoratori, consumatori, organizzazioni non governative e altri.

Io, personalmente, durante l'attività lavorativa ho avuto modo di accertarmi di quanto i principi etici fossero stati metabolizzati dall'impresa americana. La mia azienda era interessata all'acquisto di un'importante apparecchiatura per una centrale termoelettrica, avevamo contattato un'impresa leader statunitense e questa ci assicurò che avrebbe inviato due ingegneri per discutere l'eventuale acquisto e collaborare per la realizzazione del progetto. Alla data stabilita arrivarono i due ingegneri statunitensi con i quali collaborammo per circa una settimana. Prima di avviare la collaborazione i due ci dissero che il viaggio in europa era stato pagato da un'impresa tedesca (non un nostro concorrente), la quale aveva concesso una liberatoria per venire da noi. I due avrebbero potuto nasconderci questo particolare e alla nostra sorpresa ci dissero che questo comportamento era dovuto ai principi etici che la loro impresa aveva adottato.

Eugenio Caruso

08/11//2019

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www.impresaoggi.com