La privatizzazione di Telecom Italia. Maggio 1998.


In copertina: Annibale Carracci "il vizio e la virtù"


Italia: vizi e virtù
Eugenio Caruso
Impresa Oggi Ed.

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40. L'assetto politico dal 1998 al nuovo millennio

40.8 La privatizzazione di Telecom Italia
Nel gennaio '98 al vertice di Telecom arriva, come già visto, Gian Mario Rossignolo, che, grazie all'ampio mandato del consiglio di amministrazione, dovrebbe chiudere la crisi di leadership, apertasi con le dimissioni di Guido Rossi. A metà giugno, Lucio Izzo, l'economista che il ministro del tesoro Ciampi ha voluto nel consiglio di Telecom, in virtù della golden share, chiede al management le ragioni per le quali il preconsuntivo esponga un calo del 10% dell'utile netto, mentre nel prospetto illustrativo della privatizzazione era stato promesso un aumento, senza contare che le azioni Telecom, dalla quotazione iniziale, hanno subìto una lenta ma inesorabile discesa.
La ragione della crisi viene individuata nella demotivazione del personale, nell'assenza di chiare indicazioni strategiche e, sostanzialmente, nella mancanza del "manager giusto". A metà ottobre del 1998, l'Ifil, propone a Franco Bernabè di lasciare l'Eni, oramai ristrutturata, e di accettare la nomina ad amministratore delegato di Telecom. Il 23 ottobre Rossignolo viene esonerato e al suo posto nominato Bernardino Libonati, uomo del ministero del tesoro. Il 13 novembre, Bernabè scioglie le riserve e il titolo guadagna in un giorno più del 5%.
Il 15 dicembre 1998, l'assemblea dei soci convalida la nomina. Il primo obiettivo della strategia del nuovo amministratore delegato è rimotivare il personale, «il secondo obiettivo è stato quello di preparare l'impresa alla competizione. Il mercato si stava aprendo ma Telecom non sentiva ancora i morsi della competizione», il terzo preparare l'azienda ai nuovi scenari che vedono, in previsione, la telefonia mobile scalzare quella fissa (Roddolo, 2000). Bernabè avvia il rinnovamento creando strutture snelle e dinamiche, rifocalizzando le strategie sul core business e accelerando le dismissioni delle attività non strategiche. A differenza dell'Eni, Bernabè trova un management non ostile ma favorevole al cambiamento; dopo solo due mesi le azioni si apprezzano del 50%. All'inizio del '99, il ministro Ciampi annuncia l'intenzione del tesoro di vendere la quota di Telecom ancora in sue mani allo scopo di consolidare il nucleo di controllo.
Il 3 novembre 1998, la lussemburghese Bell, controllata da un gruppo di bresciani, riuniti attorno a Emilio Gnutti e Roberto Colaninno, annuncia di avere il controllo di Olivetti.
All'inizio del '99, iniziano a circolare voci di una possibile scalata di Telecom da parte di Olivetti. Questa è stata risanata ed è tornata con i bilanci in nero dopo la cura Colaninno, che ha chiuso la partita dei computer e aperto quella delle telecomunicazioni con Omnitel e Infostrada. La Consob interroga l'amministratore delegato della società di Ivrea e Colaninno, il 21 febbraio, annuncia la decisione di lanciare un'offerta pubblica di acquisto (Opa) sul 100% delle azioni ordinarie Telecom, un'operazione da 100.000 miliardi di lire offerti parte con azioni della controllata Tecnost e parte in contanti.
Colaninno aveva cercato e trovato l'appoggio di un gruppo di imprenditori bresciani, di alcuni banchieri della City e di Mediobanca. La notizia scuote il mondo finanziario ma viene vista con favore. Il presidente del consiglio, D'Alema, dichiara «Apprezzo il coraggio di un gruppo di imprenditori che vogliono acquistare Telecom, mentre prima lo stato aveva dovuto chiedere per piacere che qualcuno comprasse lo 0,6% di quello che poi si è rivelato un gioiello». A marzo, Bernabè e Colaninno illustrano le rispettive strategie contendendosi l'appoggio degli azionisti. A fine aprile Bernabè annuncia una fusione con Deutsche Telekom, operazione non vista con entusiasmo dal board di Telecom e osteggiata dai media e dagli analisti. La società telefonica tedesca è ancora pubblica, è gravata da pesanti debiti, è burocratizzata e soffre di elefantiasi. Bernabè non vuole perdere e contatta i mercati di mezzo mondo per trovare appoggi.
Alla resa dei conti gli azionisti si trovano, da una parte l'offerta di 117 miliardi dell'Olivetti, a 11,5 Euro per azione, dall'altra la fusione italo-tedesca. Il 21 maggio gli investitori premiano, seppure di misura, Colaninno; a sorpresa Franco Bernabè esce sconfitto. Si concretizza il maggior takeover mai realizzato in Europa. Contro l'ipotesi del nocciolo duro detenuto dai "soliti noti" e la fusione con il pachiderma tedesco il mercato ha preferito l'approccio dinamico e aggressivo di Colaninno. Con l'acquisto di Telecom, Olivetti vende Omnitel e Infostrada.
40.9La liquidazione dell'Iri
Il 30 giugno 2000, segna la data dell'ultima assemblea dell'Iri; ma altri precedenti di liquidazione dovrebbero mettere in stato di allerta. A otto anni dalla sua liquidazione, l'Efim è ancora vivo e vegeto, così come sopravvivono più di quattrocento enti inutili "dichiarati" liquidati, tanto che è stato creato il più inutile degli enti inutili l'Ispettorato generale per la liquidazione degli enti disciolti (più di trecento impiegati e trenta miliardi di costi). L'Iri non interromperà la tradizione e sarà ancora in vita per anni, magari con una diversa ragione sociale. Afferma Paolo Glisenti; «Quella del commissario liquidatore è diventata una delle professioni più stabili e meglio remunerate» (Glisenti, 2000).
D'altra parte, la vitalità degli enti inutili posti in liquidazione è impressionante se si pensa, a esempio, che l'Unione edilizia nazionale, messa in liquidazione nel 1923, è ancora in vita. Gli enormi costi legati alla liquidazione di enti dichiarati disciolti sono, ovviamente, a carico del contribuente, che, rallegrato dalla notizia della liquidazione di questo o quel soggetto pubblico, non sa che, proprio da quel momento, quel soggetto pubblico inizia una nuova vita non più da dinosauro ma da piccolo e invisibile parassita. Se il contenitore Iri è stato posto in liquidazione, il tesoro ha ereditato, tra le più importanti, la proprietà della Rai, il controllo di Finmeccanica, la Finmare, la Fincantieri, la Tirrenia, l'Alitalia. Queste nuove società si aggiungono alle già controllate Enel (31,2%), Eni (30,3%), Ferrovie (100%), Poste (100%), Anas (100%), Sace (100%), Azienda tabacchi (100%), Poligrafico (100%) e a una grande quantità di altre partecipazioni. Nel 2011 il tesoro si configura come una delle più ricche conglomerate del pianeta.

Eugenio Caruso - 9 dicembre 2019


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