Vizi e virtù dell'economia del Paese.


In copertina: Annibale Carracci "il vizio e la virtù"


Italia: vizi e virtù
Eugenio Caruso
Impresa Oggi Ed.

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40. L'assetto politico dal 1998 al nuovo millennio

40.13 Le privatizzazioni
Il libro verde, con il quale Amato, nel 1992, tracciava le linee della sua politica economica in tema di privatizzazioni, prevedeva la nascita di nuovi soggetti dall'aggregazione di piccoli e medi imprenditori attorno alle aziende pubbliche che sarebbero state privatizzate. Le intenzioni erano buone, ma il processo di privatizzazione è stato condotto, spesso, nella mancanza di strategie, con una serie di errori e sottovalutazioni.
Primo errore, si avviano le privatizzazioni con la maggior parte delle banche in mano pubblica, gestite con criteri di rigidità e di inefficienza e quindi inadatte a sostenere il processo di rifondazione dell'economia nazionale; inoltre le banche sono possedute dalle fondazioni che fungono da paravento per interessi che nulla hanno a che fare con l'interesse delle banche. Se le azioni delle banche pubbliche fossero andate al tesoro, la loro privatizzazione sarebbe stata relativamente facile, come mostra la cessione del controllo dell'Imi. Ma i banchieri pubblici, sotto la pressione della politica e dell'opinione pubblica che reclamavano le privatizzazioni, si fanno "furbi", e creano le fondazioni.
Sfruttando questa formula i presidenti delle banche di diritto pubblico riescono a evitare i fastidi derivanti da un "azionista vero" e a costruirsi una cassaforte nella quale mettere le azioni della loro banca, al sicuro da mani "pericolose". Se i banchieri conseguono l'obiettivo della difesa da possibili scalate, il sistema finanziario, al riparo dalla concorrenza che inevitabilmente crea efficienza, ne subisce le conseguenze negative: al Nord si cristallizza ulteriormente un sistema familistico, statico e provinciale, al Sud si arriva al tracollo del sistema creditizio (Bragantini, 1996).
L'inefficienza del sistema finanziario italiano degli anni novanta si manifesterà con il trasferimento di molte industrie nazionali in mano estera: la Innse alla Mannesmann, il Pignone alla Ge, la Sme alla Carrefour, la Bertolli all'Unilever, la Elsag all'Abb, la Siv alla Pilkington, gli acciai speciali della Ast alla Krupp, la Tubi ghisa ai francesi di Pont-à-Mousson. I gioielli del sistema bancario italiano, Comit e Credito Italiano vengono cedute a Mediobanca (mezza pubblica e mezza privata) per il cosiddetto piatto di lenticchie.
Fortunatamente la siderurgia di stato, un bubbone che nessun manager di stato era riuscito a sanare, trova acquirenti in grado di assorbirne anche i debiti. La privatizzazione dell'Ilva ha luogo tra il '92 e il '96. Lucchini acquista la A.F. di Piombino, i francesi di Pont-à-Mousson la Tubi ghisa, la Krupp acquista la Ast, Marzorati la Cogne acciai speciali, Riva l'Ilp, Rocca la Dalmine. La disponibilità dei privati a farsi carico di rami d'azienda strutturalmente deficitari e delle loro 25 mila unità lavorative apparve temeraria, la perdita netta di tutte le imprese ammontava a 1.450 milioni di euro nel '92, 2.745 nel '93, a 745 nel '94. Ma, dal '95 fino a tutto il 2000 quest'insieme di imprese presenta utili netti tra i 300 e i 600 milioni di euro all'anno.
È stata realizzata la privatizzazione parziale di Finmeccanica, che controlla una quarantina di società tra industrie aerospaziali, ferroviarie, energetiche, elettroniche e che, con la presidenza di Pier Francesco Guarguaglini ha ottenuto ricavi per 18,7 miliardi di euro e un utile netto di 557 milioni (bilancio 2010). La permanenza, in Finmeccanica, di una forte quota pubblica (32,45%) e l'introduzione della golden share sono state motivate dall'esigenza di tutelare interessi strategici nazionali; il virus del controllo pubblico su alcuni settori industriali è difficile da combattere, specialmente perché è un virus che subisce mutazioni più veloci degli interventi adottati per debellarlo; d'altra parte anche i francesi seguono loa stessa strategia.
Il processo di privatizzazione dell'Eni si è fermato, lo stato detiene, infatti, ancora il 30,3% delle azioni. D'altra parte l'autorità per l'energia e il gas ha deciso, il 19 maggio del 2000, l'apertura del mercato del gas alla concorrenza; nel 2001, in base alla direttiva europea per la liberalizzazione del mercato del gas, Snam, partecipata al 50,045% da Eni, scorpora le attività non legate al trasporto del gas e prende il nome di Snam Rete Gas, società che, nello stesso anno, entra in borsa e dal 2002 fa parte dell'indice SandP/Mib. Nel febbraio 2009, Snam Rete Gas S.p.A. acquista da Eni il 100% di Italgas S.p.A. per 3,07 miliardi di euro, e il 100% di Stoccaggi Gas Italia S.p.A., per 1,65 miliardi.
Nel 2006 Eni vende Saipem di cui mantiene il controllo con il 43% delle azioni (Saipem ingloba la Snamprogetti). Quando vedremo il tesoro cedere il controllo della società, sarà stato compiuto un passo decisivo verso la liberalizzazione di questo mercato. Con l'ingresso di Enel nella distribuzione del gas, l'Eni, coglie l'occasione per fare quadrato attorno a Italgas. Se Mincato, amministratore delegato dell’Eni dal 1998 al 2005, aveva lasciata aperta la porta a eventuali offerte di acquisto della società di distribuzione del metano, la minaccia dell'Enel trasforma Italgas in un asset irrinunciabile per Eni; nel 2009 Italgas entra nel gruppo Snam Rete Gas. Nel 2010 l’Eni, con la presidenza di Paolo Scaroni, fa 98,36 miliardi di fatturato e un utile netto di 6,32 miliardi.
Nel novembre '99, il tesoro vende il 31,74% delle azioni dell'Enel (incassando 31.045 miliardi di lire), e mantiene la golden share; gli ambienti economici paventano che, utilizzando la scatola Enel e la parolina magica multiutility, lo stato voglia far risorgere l'Iri. Infatti, Enel, oltre alle tradizionali attività in campo elettrico opera nella telefonia con Wind e Infostrada (vendute all’egiziano Naguib Sawiris, nel 2005), con l'acquisizione del controllo del gruppo Camuzzi (il 16 ottobre 2001) è il secondo operatore in Italia dopo Italgas. Ha acquistato acquedotti che le consentono di servire quasi cinque milioni di utenti, ha costituito Sfera per attività di formazione, Elettroambiente per il trattamento di rifiuti industriali e urbani, Enel.si per attività di servizio sugli impianti elettrici dei grandi utilizzatori e Enel.Hydro (nel 2004 la società è venduta ai francesi di Veolia) per la gestione di reti idriche. Possiede Sei, una delle prime società immobiliari e di servizi per le imprese in Europa, ha tentato l'ingresso in Telepiù, ha cercato di comprare Telemontecarlo, ha preso in considerazione di rilevare la Sisal.
Le acquisizioni sono state compensate dal sacrificio di liberarsi delle attività di gestione della trasmissione dell'energia elettrica confluite nella Grtn (di proprietà del tesoro al 100%), anche se le reti per la trasmissione dell'energia elettrica restano nella Terna (con il decreto Bersani, Terna viene messa sul mercato e, oggi, l’azionista di maggioranza relativa è la Cassa Depositi e Prestiti), e dal vincolo comunitario di mettere sul mercato centrali per 15.000 megawatt. Il duo, Testa-Tatò, invece di concentrarsi su una politica di modernizzazione del sistema elettrico e di rilancio della società sui mercati esteri, ha preferito, con l’appoggio dei vari governi, sul fronte elettrico, procedere a indiscriminate e violente riduzioni del personale e, sugli altri fronti, approfittare della situazione privilegiata di azienda di stato per entrare in settori non strategici e nei quali sarebbe opportuno che lo stato non intervenisse.
Nel settembre 2008, Enel costituisce Enel Green Power, la società del Gruppo dedicata allo sviluppo e alla gestione della produzione elettrica da fonti rinnovabili nel mondo, società che produce circa 4.500 MW con impianti idrici, eolici, geotermici, fotovoltaici e a biomasse in Europa e nelle Americhe. Nel 2007 Enel acquista il controllo della spagnola Endesa e nel 2009 ne detiene il 92,06% delle azioni. Nel 2010, con la presidenza di Fulvio Conti, che, diversamente dai suoi predecessori, si concentra sul core business dell’energia, l’Enel registra un fatturato di 73,4 miliardi con un utile netto di 4 miliardi di euro;. il tesoro è l'azionista di riferimento, con una quota diretta e indiretta del 31%.
Il periodo tra il 1992 e il 2000 è stato per le ferrovie dello stato uno tra i più difficili della sua storia date le profonde trasformazioni strutturali e organizzative attuate, trasformazioni che hanno implicato una forte riduzione del personale e la creazione di nuove divisioni e società controllate. Nel 1992 nasce Ferrovie dello Stato - Società di Trasporti e Servizi per azioni, anche in conseguenza delle direttive europee che prevedevano lo scorporo del settore gestione dal settore infrastrutture. Il processo di ristrutturazione porta, il 15 dicembre 2000, alla trasformazione dell'impresa in Ferrovie dello Stato Holding S.r.l.. All'interno di Ferrovie dello Stato S.p.A., il 7 giugno 2000, era stata costituita Trenitalia S.p.A a cui era affidato il trasporto di merci e di passeggeri; il 9 aprile 2001 viene costituita Rete Ferroviaria Italiana S.p.A. società che si occupa della rete e delle stazioni, allo scopo di seguire la direttiva europea che impone lo scorporo della gestione del trasporto da quella della rete. Il 13 luglio 2001 infine Ferrovie dello Stato Holding S.r.l. diventa Ferrovie dello Stato S.p.A. Nel 2000, le perdite sono 2.650 miliardi; d'altra parte, la politica corporativa, portata avanti dal sindacato per anni, fa sì che un ferroviere guadagni il 68% in più di un edile, il 62% in più di un addetto al commercio, il 45% in più di un dipendente dell'industria (Ippolito, 2000); tra il 1993 e il 2000 lo stato ha destinato alle Fs quasi centomila miliardi di lire per offrire agli italiani un servizio ben lontano dallo standard europeo.
La "cura da cavallo" imposta dalla gestione Cimoli porta, nel 2001, a un leggero attivo di bilancio. Nel 2010, con la presidenza di Mauro Moretti il fatturato è di 6.230 milioni di euro, l’utile netto è di 55 milioni e i dipendenti sono scesi a 55 mila unità. Nel 2006 Luca Cordero di Montezemolo, Diego Della Valle, Gianni Punzo e Giuseppe Sciarrone, fondano la Nuovo Trasporto Viaggiatori SpA con l’obiettivoo di fare concorrenza a Trenitalia sull’alta velocità; nel 2006 Giuseppe Arena fonda la compagnia ferroviaria Arenaways che avvia la propria attività nel 2010 su alcune tratte di Piemonte e Lombardia e il nord Europa, ma la sopravvivenza dell’azienda è in forse; le ferrovie tedesche e austriache stanno facendo correre i loro treni su alcune tratte del nord Italia. Si incominciano a verdere i primi effetti della liberalizzazione della rete.
Nel 1998 avviene la trasformazione delle poste italiane, un carrozzone vecchio e fatiscente considerato da tutti un pezzo di Paese irrecuperabile rispetto ai princìpi di efficienza e redditività; il disavanzo di bilancio era ormai endemico così come l'aumento dei costi del personale che nel 1986 assorbivano circa il 93% delle entrate correnti. L’unica certezza del carrozzone era che alla fine di ogni anno lo Stato interveniva finanziariamente per ripianare una situazione di deficit sempre più critica. Nel febbraio 1998, Carlo Azeglio Ciampi, ministro dell’economia del Prodi I, nomina Corrado Passera amministratore delegato della neonata Poste Italiane SpA. Il piano industriale di Corrado Passera dal 1998 al 2002 realizza un taglio del personale di 22.000 unità: Contestualmente vengono concessi, per quindici anni, i monopoli di tutta la corrispondenza il cui prezzo è inferiore alle seimilalire e ai trecentocinquanta grammi di peso, del recapito della corrispondenza nelle città, delle fatture commerciali, delle stampe indirizzate fino a diecimila indirizzi e soprattutto del servizio postel. Una così ricca riserva in cambio dell'effettuazione del servizio postale anche in zone poco remunerative. La ciliegina finale è la possibilità delle Poste di proporsi alla clientela come una vera e propria banca. Grazie alla ricca dote monopolistica e alla ferrea gestione Passera, Poste Spa passa dai 1.284 miliardi di perdita del 1999, ai 143 miliardi del 2001, a un utile netto consolidato di 22 milioni di euro nel 2002; l’Economist parlerà di “miracolo Passera”. Nel maggio del 2002 viene nominato amministratore delegato Massimo Sarmi, che punta su una strategia di modernizzazione basata sul potenziamento della rete di uffici postali e sulle nuove tecnologie. La strategia di sfruttare la presenza capillare sul territorio per promuovere un’offerta che integri i servizi tradizionali con quelli innovativi traccia un percorso che porterà Poste Italiane SpA a conseguire otto anni consecutivi di bilanci con risultati positivi sempre più alti. Massimo Sarmi viene riconfermato altre due volte (2005 e 2008) alla testa del gruppo: in questi anni Poste italiane ha identificato nuove aree di business (ad es. le telecomunicazioni con PosteMobile e nuovi servizi digitali come la Pec) oltre a potenziare i servizi erogati per conto della Pubblica Amministrazione. Poste Italiane SpA è presente sul territorio nazionale con circa 14.000 uffici e recapita ogni giorno 20 milioni di lettere; le transazioni finanziarie sono circa 20 milioni al giorno e 5,7 milioni i conti correnti. I clienti in possesso di Sim PosteMobile, con cui è possibile anche effettuare pagamenti, sono 1,3 milioni. Nel 2010, ancora con la presidenza di Massimo Sarmi, il bilancio di Poste Italiane vede un fatturato di 21,8 miliardi e un utile netto di 1,02 miliardi. In dieci anni il dinosauro del
Nel periodo delle grandi privatizzazioni che va dal 1992 al 2000, l'Alitalia continua a dominare il trasporto aereo nel Paese, con una quota di mercato superiore al 70%; nessuna delle grandi compagnie estere è riuscita a sfidarla sui voli interni; comunque, se l'Europa non abbandonerà la logica delle "compagnie di bandiera" i governi (non solo quello italiano) saranno costantemente costretti a iniettare danaro per mantenerle in vita; il bilancio Alitalia nel 2001 chiude ancora con una perdita di 907 milioni di euro. Nella stessa disastrosa situazione dell'Alitalia si trovano Swiss Air e Sabena. La situazione non è diversa nel settore del trasporto marittimo, dove il volume dei sussidi concessi dallo stato ostacola l'ingresso di qualunque nuovo concorrente.
Non va dimenticata l'industria delle scommesse. “Non è solo un gioco, ma una vera e propria industria”; così Gian Maria Fara, Presidente dell’Eurispes, presenta il Rapporto di ricerca in materia di lotterie, gratta e vinci, scommesse e affini. Una ricerca che mette in luce numeri da brivido, perchè il mercato complessivo dei giochi, in Italia, coinvolge 35 milioni di italiani e conta una spesa, negli ultimi 6 anni, pari a 194 miliardi di euro. Cifre che non lasciano spazio a equivoci: “Si può considerare come la seconda o la terza industria del Paese”, spiega il presidente dell’Eurispes. Andamento in crescita: nel 2010 la raccolta arriva al 3,7% del Pil con 58 miliardi di euro. In questo ruolo di biscazziere lo stato ha dato dimostrazione di grandi qualità imprenditoriali.
L'Ente tabacchi italiani ha continuato la sua vita grama per anni, portando nelle casse dello stato utili irrisori (a esempio, nel 1999, 7 miliardi di lire su un fatturato di 1.778 miliardi) finchè nel luglio 2003, con un'offerta di 2,32 miliardi di euro, la cordata formata da British american tobacco, Axiter, ed FB Group di Bernabè si assicura l'asta per l'Ente, dando un po' di ossigeno al governo Berlusconi bersagliato dalla crisi, che ha colpito l'economia mondiale.
L’Istituto poligrafico e zecca dello stato SpA vivacchia anche se passa dai 15 miliardi di lire di perdite, nel 1999, ai 44 milioni di euro di utili nel 2010.
Sulla Rai un colosso con ricavi per 3,21 miliardi di euro, che, nonostante il canone, produce utili per soli 45 milioni (bilancio 2010), è meglio non infierire, considerando che, con la scomparsa dell'Iri, non si sa nemmeno da chi essa debba dipendere.
Di converso, con la Telecom Italia, completamente libera dall'abbraccio pubblico, abbiamo assistito alla definitiva caduta del monopolio telefonico. L'acceso confronto sul mercato ha procurato sensibili benefici ai consumatori; Cheli, presidente dell'autorità delle comunicazioni, ha stimato in 10.000 miliardi di lire i risparmi ottenuti tra il 1999 e il 2002 dagli utenti dei servizi telefonici.. La spirale virtuosa della concorrenza ha dato i suoi frutti sul piano della riduzione dei prezzi, sul miglioramento della qualità dei servizi, sull'occupazione.
Una cordata capitanata dalla Edizione Holding, la finanziaria della famiglia Benetton, nell'ottobre '99, ottiene dall'Iri, per 5.000 miliardi di lire, il 30% della Società Autostrade Concessioni e Costruzioni S.p.A., con 3.120 chilometri di rete autostradale, società che è stata, poi, completamente privatizzata attraverso un'offerta pubblica di vendita delle rimanenti azioni (per un incasso di 8.500 miliardi). Nel 2002 la società diventa Autostrade per l’Italia SpA. Nel 1995 la stessa Edizione Holding, aveva acquistato dall’Iri la Autogrill SpA. Autostrade e Autogrill vengono vendute dall’Iri separatamente, ma il gruppo Benetton, alla guida delle cordate che hanno acquistate entrambe, comprende la straordinaria sinergia che può nascere dall'integrazione delle due società; nessuno dei grandi manager pubblici aveva pensato al maggior valore che lo stato avrebbe potuto ricavare dalla vendita delle due società già integrate. Il gruppo Benetton entra anche nel business delle Grandi stazioni. Oggi, Autogrill SpA è il primo operatore al mondo nei servizi di ristorazione e retail per chi viaggia. Presente in 42 Paesi con circa 67.000 dipendenti, gestisce più di 5.300 punti vendita in oltre 1.200 località e opera, prevalentemente tramite contratti di concessione, all’interno di aeroporti, autostrade e stazioni ferroviarie, con presenze anche nei centri commerciali, nelle fiere, nei musei e in altri siti culturali. La Società gestisce, direttamente o in licenza, un portafoglio di oltre 350 marchi. Autogrill, quotata alla Borsa di Milano, è sempre controllata dalla finanziaria della famiglia Benetton, con il 59,3% del capitale sociale.
Nel giugno del 2000, il 51,18% della società Aeroporti di Roma (AdR) è stato aggiudicato dall'Iri alla cordata Leonardo, guidata da Gemina di Cesare Romiti; i vincitori sono stati vincolati a promuovere un'opa sul flottante di azioni diffuse sul mercato. Nel 2010, sotto la presidenza di Fabrizio Palenzona, AdR SpA mostra un fatturato di 600 milioni di euro con un utile netto di 22 milioni; Gemina mantiene il controllo con il 95,8% delle azioni.
Bernabè, cui va dato atto del risanamento dell'Eni, affermerà «Lo stato non deve aver alcun tipo di ruolo nella gestione dell'economia, deve limitarsi a fissare le regole e a farle rispettare. Lo Stato deve anche sanzionare i comportamenti devianti. Purtroppo oggi, soprattutto su questi due ultimi aspetti, si registra una grande carenza. Nel senso che il sanzionamento dei comportamenti scorretti è lento e inefficace per colpa della crisi della giustizia… ma al contempo lo Stato continua a incaricarsi di molte cose delle quali non dovrebbe occuparsi». Da queste parole non si può non ricavare la certezza che chi ha conosciuto l'impresa pubblica dall'interno, non ha dubbi sulla necessità della sua estinzione. Dopo l'incipit del 1992, si perde tempo nella discussione sui massimi sistemi, mentre da parte dei commissari alla concorrenza, da Bruxelles arrivano rimproveri sempre più aspri per i ritardi; si perde tempo, ma le privatizzazione vanno fatte e, quindi, vengono gestite male, perché viziate dalla fretta.
Intanto, giova riaffermare che l'unica vera privatizzazione, quella della telefonia, ha permesso di rompere il monopolio; in quella fissa si è passati da un solo operatore a quasi ottanta, in quella mobile da due a quattro, gli occupati nel settore sono aumentati del 10% e le tariffe telefoniche sono scese di circa il 5% all'anno (Glisenti, 2000). La liberalizzazione dell'ultimo miglio, decisa a Bruxelles nell'ottobre del 2000, offre a ogni utente la possibilità di scegliere la compagnia telefonica preferita senza dover cambiare apparecchio o digitare altri prefissi al numero chiamato.

Eugenio Caruso - 21 gennaio 2020


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