Analisi degli strumenti necessari all'impresa per essere competitiva

Ognuno vede quel che tu sembri, pochi sentono quel che tu sei.

Niccolò Machiavelli



LOGO

1. Premessa

L’impresa, oggi, poggia la propria vitalità su un elemento fondamentale, il vantaggio competitivo. Concetto con il quale si sintetizzano i fattori che possono offrire un vantaggio nella competizione per la conquista, il mantenimento o l'ampliamento di una posizione di mercato.
L'idea di vantaggio competitivo ha cominciato ad attirare l'attenzione degli specialisti, quando ci si è accorti che alcune imprese riuscivano ad acquisire significative posizioni in segmenti specifici di mercato, grazie all'uso di strumenti di gestione, che altre imprese non riuscivano a sfruttare, almeno nella stessa misura.
Oggi, il vantaggio competitivo incorpora comportamenti strategici, rispetto ai  quali il vecchio universo di ispirazione classica appare lontano. Anche gli economisti classici parlavano di vantaggio competitivo, ma lo facevano individuando nel fattore lavoro l'elemento fondamentale che faceva la differenza. La specializzazione produttiva di ciascuna impresa era, quindi, il risultato della comparazione dei costi di produzione misurati  in termini di unità di lavoro. Già allora, tale schema rappresentava una pallida rappresentazione della realtà e, soprattutto, non prendeva in considerazione la capacità del mondo dell'impresa di mutare, al mutare delle condizioni dell'economia, della scienza, dei mercati.
L'economista statunitense Michael E. Porter è stato il primo ad affermare che il vantaggio competitivo è alla base del successo di un'azienda che operi in un mercato competitivo. 

2. Elementi per l'approccio al vantaggio competitivo

Per affrontare il tema del vantaggio competitivo, non si può fare a meno di descrivere e approfondire alcuni elementi e alcune funzioni aziendali che sono fondamentali per elaborare una valida strategia di competizione e che dovranno essere presi in considerazione per ottimizzare le catene del valore per ciascun business.

2.1 Il ciclo di vita del prodotto. 

 Il concetto di ciclo di vita di un prodotto viene elaborato da Levitt (Levitt, 1965) e si diffonde rapidamente. Esso si articola in quattro fasi: nascita, sviluppo, maturità, declino.

Il ciclo di vita, che fa riferimento ai cicli biologici, vale anche per un servizio, per una competenza, per un'impresa.

È interessante notare che il ciclo di vita di un prodotto:

  • era regolato dall'impresa quando essa era orientata alla produzione;
  • era diventato di pertinenza del mercato quando la customer satisfaction era il vangelo del sistema produttivo;
  • ora esso viene deciso dal complesso degli stakeholder.

 

Il ciclo di vita può essere valutato a priori da modelli probabilistici ove l'evoluzione del prodotto è il risultato dell'evoluzione convergente di un gran numero di variabili (Penati, 1994).

In genere è nella fase di maturità del prodotto che si pongono i maggiori interrogativi strategici: decidere cioè se investire nella protezione e nel rafforzamento delle posizioni di mercato, oppure se cercare nuove possibilità di sviluppo.
 
La storia industriale mostra che, generalmente, le aziende leader di un dato mercato sono quelle che incontrano maggiori difficoltà nell'affrontare le transizioni imposte dall'evoluzione del mercato; difficilmente questo accade per i produttori dei grandi beni di consumo come detersivi o prodotti alimentari le cui dimensioni sono oramai tali che difficilmente una sfida tecnologica li trova impreparati.
Spesso la sfida ad un leader viene da aziende che non operano nel settore; la crisi che colpì gli orologiai svizzeri, per parecchi anni, fu provocata dalla Timex, che abbatté i costi, ma, fondamentalmente, aggirò la rete di distribuzione convenzionale (gioiellieri e orologiai), vendendo nei grandi magazzini frequentati da clienti molto sensibili al prezzo.
La crisi dei produttori di calcolatori da tavolo fu provocata dalla Texas Instruments (inizialmente produttrice solo di dispositivi a stato solido) che, con il lancio dei calcolatori tascabili, provocò l'ecatombe dei concorrenti e, nel giro di pochi anni, divenne leader nel settore.
Quando, per applicazioni militari nel campo dei radar, vennero realizzati i generatori a microonde con frequenze superiori ai mille megahertz, nessuno avrebbe immaginato che da questa tecnologia sarebbero nati i forni a microonde che, a loro volta, avrebbero dato impulso al settore dei cibi precotti e congelati e un contributo decisivo alla diffusione dei fast-food, con conseguenze per il settore della ristorazione convenzionale.

La definizione del ciclo di vita del prodotto è fondamentale per arrivare alla descrizione del vantaggio competitivo poiché, l'entrata e l'uscita da un mercato devono essere studiati in funzione del raccordo ottimale tra azienda e mercato.

Entrare in un mercato nelle sue prime fasi e seguirlo fino alla sua maturità può rivelarsi un errore; la vita del prodotto è limitata, ma il mercato ha doti di longevità che consentono di sfruttare il momento migliore per il matrimoniotra l'offerta dell'impresa e il mercato.
Con il declino non è detto che il prodotto sia destinato alla scomparsa, ma può intervenire il meccanismo del riposizionamento, e non si può escludere che quello possa essere il momento migliore per entrare nel mercato. A esempio, quando la nascita delle musicassette ha estromesso dal mercato i dischi in vinile come produzione di massa, il vinile ha trovato un suo riposizionamento come prodotto di nicchia, per una categoria raffinata di clienti.

2.2 Il ciclo di vita dell'impresa

Il ciclo di vita di un'impresa è raffigurabile con una curva sigmoide del tipo di quella che descrive il ciclo di vita di un prodotto.
Anche per le imprese le fasi sono quattro, nascita, sviluppo, maturità, declino. Il ciclo di vita dell’impresa è stato analizzato dettagliatamente in un precedente articolo a cui si rimanda.

2.3 La transizione generazionale

Il passaggio generazionale da genitori a figli di una piccola impresa è sempre un momento di discontinuità che può rappresentare, sulla sigmoide del ciclo di vita dell'impresa, un punto di rilancio, come di declino.
Prima di affrontare, sia pure sinteticamente, l'argomento è necessario evidenziare il ruolo fiduciario che svolge l'imprenditore nell'economia di mercato. Se gli imprenditore hanno coscienza del fatto che non si è padroni  dell'uso, ma solo dei mezzi, e che questi devono essere gestiti nel modo ritenuto più adeguato per la creazione di ricchezza e quindi per un bene condivisibile, si possono ottenere risultati clamorosi nella gestione dell'impresa.
In primo luogo, infatti, si sposta il problema dal lato del soddisfacimento dei bisogni dell'imprenditore a quello del bene dell'azienda, la quale è la risultate di una continua armonizzazione e crescita del sistema degli stakeholder. In secondo luogo, la consapevolezza, da parte dell'imprenditore, di essere investito di una responsabilità fiduciaria di fronte al corpo sociale, crea una prospettiva di totale libertà alle generazioni che sono chiamate alla successione. Esiste un'ampia letteratura che mostra come, spesso, i figli non hanno intenzione di seguire le orme dei padri, in tal caso, per il bene dell'azienda, è meglio che non se ne occupino ed è bene che i genitori non influiscano sulle scelte dei figli.

2.4 La differenziazione

La differenziazione (Fiocca, 1994) è un elemento base della competizione. Infatti, il successo di un "prodotto" può essere dovuto alla sua capacità di essere o di apparire diverso rispetto al "prodotto" della concorrenza; di conseguenza, uno dei compiti più importanti dell'impresa deve essere quello di perseguire con creatività e originalità tutte le possibili strade della differenziazione.
La differenziazione può avvenire secondo due criteri (orizzontale e verticale). È verticale quella differenziazione che consente al cliente di apprezzare differenze oggettive e misurabili, è orizzontale quella apprezzabile solo con criteri soggettivi (la percezione che quel prodotto sia diverso dagli altri, obiettivo perseguibile nell'impresa marketing oriented).
È doveroso sottolineare che la differenziazione esiste solo se la riconosce il mercato; ad esempio, nel settore dei prodotti tecnologici, un'azienda può realizzare un prodotto particolarmente innovativo che si differenzia da quelli della concorrenza, ma se il potenziale acquirente non riesce a vedere le differenze, per lui non esistono, e se non esistono per l'acquirente non esistono per il mercato.
A volte la differenziazione se cattura un mercato ne «disgusta un altro» (Davidow, 1986); ad esempio Steve Jobs, una personalità nel business del personal computer, creò un rapporto speciale con i giovani, con il mondo della grafica e con quello dell'arte, diventando una sorta di «eroe contro un mondo dominato dagli uomini in grigio». Ebbene gli «uomini in grigio» tennero lontano il marchio Apple dal mondo delle imprese.
Alcuni operatori sono soliti dire «tutti i prodotti sono uguali». Per mostrare l'erroneità di questa affermazione Levitt ha dato un'interessante definizione di cosa realmente sia un prodotto e di come esso abbia sempre una valenza di differenziazione.

Il prodotto, preso nella sua interezza e complessità, può essere diviso in quattro livelli; il prodotto generico, quello atteso, il prodotto aumentato, quello potenziale. Visivamente, si può descrivere un prodotto a partire da una serie di cerchi concentrici.
Il prodotto generico è «la cosa», il prodotto alimentare, il microprocessore, la macchina utensile, il viaggio nei Caraibi, l'automobile, l'immobile.
Il prodotto atteso indica l'aspettativa minima del cliente, ad esempio, nel caso di un prodotto alimentare l'aspettativa minima si identifica con la facilità di acquisto, la sicurezza della qualità, la pulizia dell'ambiente di vendita, la semplicità dell'imballaggio, la facilità del parcheggio; nel caso di una vacanza in un villaggio turistico l'aspettativa minima si identifica con l'assicurazione dei bagagli, l'assistenza in loco, corsi e attività sportive, attività di animazione, il baby club.  In genere si può affermare che quello generico non è un prodotto, ma un'idea, e che solo quello atteso diventa prodotto.
Con il prodotto aumentato le attese del cliente possono essere aumentate, in modo da metterlo in condizione di fruire meglio il prodotto: ad esempio un produttore di computer inserisce un software di auto diagnostica, un produttore di detersivi per lavatrici offre un dispositivo per una migliore diffusione del detersivo nella biancheria, un produttore di videoregistratori offre una cassetta per la pulizia delle testine, un tour operator offre vari plus quali il giornale la mattina, il caffè dopo pranzo, l'aperitivo, un'escursione non programmata.
 Le aggiunte spontanee e inattese dal cliente, con la creazione del prodotto aumentato, sono le forme di differenziazione più utilizzate dalla strategia competitiva.
Il prodotto potenziale consiste in tutto ciò che è potenzialmente adatto ad attirare e conservare i clienti, ma che non è stato ancora realizzato: è il potenziale di differenziazione che le aziende più avvedute hanno già pronto nel cassetto. 


LOGO

2.5 La segmentazione del mercato.

Nello sviluppo della strategia competitiva esiste uno snodo fondamentale che è rappresentato dalla segmentazione.
Con la segmentazione l'impresa individua il proprio mercato obiettivo.
Alla base della segmentazione, concetto teorizzato originariamente da W. Smith (Smith, 1956), sta il riconoscimento che «non esiste un mercato, ma una somma di segmenti di mercato, ciascuno caratterizzato da un insieme di clienti tra loro omogenei»; si intende, infatti, per segmento di mercato un gruppo di clienti che condividono, desideri, bisogni, comportamenti e modalità di acquisto.
La domanda è, per definizione, eterogenea, perché eterogenei sono i bisogni della clientela. L'impresa sarà in grado di soddisfare l'eterogeneità della domanda se sarà in grado di combinare, in modo opportuno, l'eterogeneità della domanda con la relativa rigidità della produzione.
La segmentazione, effettuata tenendo conto dell'eterogeneità della domanda, dovrà essere caratterizzata da una precisa delimitazione tra un segmento e l'altro, dalla sicura raggiungibilità del segmento da parte dell'offerta e dalla convenienza per l'impresa; infatti, vi dovrà essere una convenienza economica nell'approntare una politica di differenziazione verso ogni segmento.  Ad ogni segmento, dovrà essere indirizzato, infatti, uno specifico e originale marketing mix (1), con i relativi necessari investimenti.
Non esiste, peraltro, un unico modo per segmentare il mercato (Fiocca, 1994); ciascuna azienda dovrà utilizzare le variabili in modo diverso, funzionalmente alla propria identità.
 
Nel caso dei beni di consumo, le principali variabili per la segmentazione della clientela sono:

  • residenza geografica;
  • età;
  • sesso;
  • reddito;
  • classe sociale;
  • stile di vita;
  •  personalità;
  • comportamenti: le occasioni, i vantaggi desiderati, lo status del consumatore (consumatore, ex consumatore, potenziale consumatore), la frequenza dell'utilizzo del prodotto e/o servizio, la fedeltà, il grado di informazione, l'atteggiamento nei confronti del prodotto e/o servizio.

Nel caso di prodotti e servizi per l'industria, la segmentazione può essere effettuata utilizzando molte delle stesse variabili. Le aziende possono essere segmentate in base a:

  • criteri geografici,
  • vantaggi che si vogliono ottenere,
  • frequenza dei rapporti,
  • fedeltà,
  • grado di conoscenza che l'azienda ha del prodotto/servizio,
  • settore merceologico di appartenenza,
  • giro d'affari.

Scegliendo come obiettivo un segmento, se non addirittura una nicchia, piuttosto che l'intero mercato, il fornitore del settore industriale ha maggiori possibilità di personalizzare l'offerta e di offrire valore all'acquirente, stabilendo con lui un legame e una barriera all'ingresso di potenziali concorrenti.
La vera opportunità nel condurre una segmentazione del mercato sta nell'identificare le caratteristiche dominanti in una popolazione di acquirenti (segmento) e quindi nel creare un prodotto che soddisfi i bisogni che nascono da quelle caratteristiche.

2.6 IL posizionamento

Con il posizionamento l'impresa definisce la posizione che la propria offerta dovrà assumere rispetto alla domanda e rispetto alle caratteristiche dell'offerta della concorrenza, sul mercato obiettivo.
Un'interessante definizione di posizionamento l'ha data Regis McKenna «Posizionamento è la localizzazione psicologica nella mente del consumatore, relativamente alle caratteristiche di un prodotto o di un servizio, al confronto con la competizione»; il posizionamento sarebbe, in pratica, stabilito dalla percezione che ne ha il cliente.
Una volta scelto il segmento nel quale operare è, quindi, necessario che l'impresa posizioni la propria offerta in modo tale che i clienti obiettivo percepiscano i benefici che la stessa comporta. Per esempio Ikea ha posizionato la propria produzione di mobili e oggetti per la casa come i più robusti ed economici del mondo. Per rafforzare questo posizionamento, Ikea, opera attraverso la progettazione, le prove, la pubblicità, lo stile del servizio.

2.7 La customer satisfaction

È noto il ruolo che la customer satisfaction ha avuto sull'evoluzione del marketing (Caruso, 1999), ma è, comunque, opportuno sviluppare un certo approfondimento su questa componente che risulta sempre primaria per il successo dell'impresa in un mercato competitivo.
Il primo elemento da sottolineare è che l'attuazione di piani di customer satisfaction è stata spesso frenata dalla difficoltà di individuare adeguati criteri di misura del grado di soddisfazione del cliente.
 
Eppure l'obiettivo principale della gestione dell'impresa del 2000 sarà la zero customer defection (perdita di clienti zero).
Il cliente fedele, specie nella nuova accezione dell'impresa, è portatore di profitto ma anche di innovazione e di crescita, va quindi riconosciuto come un asset nella catena del valore da difendere e sviluppare.
Allo scopo di arrivare alla fidelizzazione del cliente, A. Fedel ha messo in evidenza l'importanza che può avere per un'azienda il reclamo (Fedel, 1998). Esso va visto, infatti, come uno strumento che consente di mettere in collegamento diretto impresa e cliente. Davanti al reclamo l'azienda deve attivare comportamenti che consentano di:

  • trasformare un cliente che reclama in un cliente per la vita;
  • diffondere tra il personale la consapevolezza dell'importanza della corretta gestione del reclamo;
  • costruire strumenti atti alla gestione del reclamo.

2.7.1 Il grado di criticità della customer satisfaction

Giova osservare che il grado di criticità della customer satisfaction è aggravato da alcune tendenze del rapporto tra domanda e offerta, in atto nelle economie avanzate.

  • La prima tendenza è quella del progressivo incremento della pressione concorrenziale che mina i processi di fidelizzazione del cliente.
  • La seconda tendenza è la dinamica evolutiva della domanda. Con il progredire dello sviluppo economico e culturale, le esigenze del consumatore diventano sempre più sofisticate, nascono bisogni complessi, specifici, differenziati, globalizzanti, che portano ad abbandonare il vecchio prodotto.
  • La domanda si sostanzia spesso nella terza tendenza, la formazione di grappoli di bisogni interconnessi ovvero nella tendenza a rivolgersi ad un unico fornitore.
  • Il terzo comportamento è ricollegabile, sia alla complessità della domanda, ma anche alla quarta tendenza, e cioè alla maggiore rilevanza delle componenti immateriali dell'offerta (marchio, competenze tecnologiche, di marketing, manageriali, ad esempio) e degli aspetti relazionali relativi al rapporto di scambio

2.7.2 La customer loyalty

Vale più un cliente fedele che un nuovo cliente; questa semplice affermazione, rappresentata dal motto zero customer defection, sta avendo un impatto notevole sul modo di pensare e di agire di molte aziende.

Numerose analisi dimostrano che i clienti fedeli costano meno da gestire, comprano più frequentemente, conoscono il fornitore e compensano o perdonano eventuali manchevolezze. Per contro, nuovi clienti sono difficili da acquisire, costano di più in termini, sia di acquisizione, che di gestione, tendono a essere meno fedeli nel tempo e comunque, avendo messo a confronto il servizio di aziende diverse, tendono a essere più esigenti.
Se ci si ferma all'affermazione non si va oltre quello che ad alcuni può, comunque, sembrare ovvio; inoltre, si tratta di un'affermazione non facilmente trasformabile in un'azione concreta.
Bisogna quindi andare oltre l'evidenza sperimentale che i migliori clienti sono quelli fedeli, per mettere in azione gli strumenti necessari ad aumentare la probabilità di mantenere i clienti fedeli, nel tempo; se si avrà successo con i clienti esistenti, è probabile che anche i nuovi clienti tendano a diventare fedeli.
Anche nel campo della customer loyalty la chiave di lettura è far sì che l'impresa sia capace di anticipare le esigenze dei  clienti; bisogna ovviamente che sia l'imprenditore a dare l'esempio, comportandosi in modo che diventi cultura aziendale il concetto che le preferenze di ogni singolo cliente non sono seccature, ma oggetto di attenzione.
Questo atteggiamento e' particolarmente importante nelle aziende di servizi perché l'insoddisfazione del cliente spesso non dà luogo a reclami (come invece avviene per le aziende manifatturiere), ma si manifesta semplicemente con l'abbandono della relazione e con l'innesco del passa parola negativo (Caruso, 2003).

2.8 Il ruolo strategico dell'azienda

Il ruolo strategico può essere quello di pioniere (o leadertecnologico), di sfidante, di imitatore, di marginale e i fattori di successo/criticità dell'azienda possono dipendere dal rapporto con l'ambiente esterno, dal rapporto tra gli stakeholder, dal posizionamento, dall'efficienza interna, dalla cultura aziendale.
Il ruolo di un'azienda va visto anche nel rapporto che l'impresa ha con l'innovazione tecnologica.
È interessante seguire il modello di Porter sull'introduzione e diffusione di una nuova tecnologia (Fiocca, 1994) come elemento in grado di assegnare un ruolo strategico a un'azienda.

  • In una prima fase, chiamata dello «shock tecnologico», l'innovazione viene introdotta da parte di un'impresa innovatrice che si assume il ruolo di leader tecnologico. All'inizio l'introduzione della nuova tecnologia può provocare all'azienda pioniere un aumento di problemi e l'insorgere di costi che nascono man mano che i problemi vengono affrontati e superati. Per tali motivi, a volte, l'introduzione della nuova tecnologia viene confinata in aree di sicura applicabilità e comunque non in grado di intaccare il processo produttivo nel suo complesso. Va sottolineato che ogni nuova iniziativa è quasi sempre messa in moto dai creativi, persone che, spesso, vivono il loro tempo come se fossero stranieri in patria.    
  • Nella seconda fase, quella della «propagazione tecnologica», l'innovazione si diffonde tra le aziende sfidanti più reattive le quali reagiscono prima che comincino a manifestarsi minacce concorrenziali da parte del leader tecnologico. Le aziende imitatrici più reattive, anche se non dispongono dei creativi del leader tecnologico, dovranno disporre di collaboratori in grado di capire immediatamente le potenzialità dell'innovazione presentatasi sul mercato.
  • Nella fase della «saturazione tecnologica» l'innovazione è oramai dominio di tutto il settore; ma non tutte le aziende dispongono di risorse materiali e immateriali per adottare quella particolare tecnologia cosicché molte sono costrette ad uscire dal settore o ad occuparvi una posizione marginale.

LOGO

2.9 La tattica competitiva

La tattica competitiva è il modo in cui un'azienda può sostenere un vantaggio competitivo, acquisito grazie all'adozione di una particolare strategia di base

La determinante fondamentale della redditività di un'azienda è l'attrattività del settore in cui essa opera. La tattica competitiva dell'azienda deve quindi nascere, in prima analisi, da una conoscenza approfondita delle regole della competizione che, a loro volta, determinano la maggiore o minore attrattività verso quel dato settore industriale.

La competizione nasce dal concorrere di cinque forze:

  • l'entrata di nuovi concorrenti,
  • la minaccia di prodotti sostitutivi,
  • il potere contrattuale dei clienti,
  • il potere contrattuale dei fornitori,
  • la rivalità tra i concorrenti presenti.

La presenza di queste cinque forze è l'elemento di analisi dal quale un'azienda può valutare la propria capacità di guadagnare in quel dato settore. La redditività di un settore potrebbe, infatti, non dipendere tanto dalla tipologia del prodotto o dal fatto che esso incorpori alta o bassa tecnologia, ma dalla struttura del settore stesso. Le cinque forze succitate determinano la redditività del settore perché influenzano prezzi, costi e investimenti.

Nello scenario della tattica competitiva, il confronto tra competitors può essere condotto con tre diversi tipi di "guerra" (Valdani, 1997):

  • la guerra di movimento;
  • la guerra di imitazione;
  • la guerra di posizione.

2.9.1 La guerra di movimento

I princìpi della guerra di movimento fondano il successo di un'impresa sulla capacità di anticipazione dei cambiamenti che si verificano nel mercato e sulla velocità di risposta ai bisogni della clientela, piuttosto che sulla semplice sottrazione di quote di mercato ai concorrenti.

2.9.2 La guerra di imitazione

L'innovazione costituisce l'arma di quelle aziende che conducono la loro strategia con la guerra di movimento, strategia che le porta alla creazione di nuovi mercati. Ma quella dell'innovazione non può essere considerata la scelta più vantaggiosa per tutte le imprese o in tutti i momenti.
In moltissimi casi è la politica delle imprese sfidanti/imitatrici che può risultare la tattica vincente.
La guerra di imitazione viene condotta disponendo di un'efficace finestra strategica che consenta di individuare, al suo nascere, l'esistenza di una novità sul mercato. Si tratta poi di acquisirne la tecnologia e di realizzare un prodotto che sia possibilmente migliore di quello del first mover, magari in termini di marketing. Spesso l'imitatore non dispone della creatività del pioniere, ma potrebbe essere più flessibile e saper sfruttare meglio, in termini di marketing, l'innovazione.
La guerra di imitazione è quella condotta, prevalentemente, dalle Pmi più avanzate.

2.9.3 La guerra di posizione

La predisposizione alla guerra di posizione riflette la natura di un mercato caratterizzato da conflitti ben definiti, da beni con cicli di vita consolidati, da clienti che esprimono bisogni chiari, da concorrenti ben identificati. La guerra di posizione rappresenta l'evoluzione naturale delle guerre di movimento e di imitazione.
La riduzione di redditività che spesso caratterizza le guerre di posizione obbliga le imprese al continuo miglioramento dei processi di produzione e a frequenti ristrutturazioni. Prevalgono le tattiche orientate al market sharing, al tentativo, cioè, di aumentare la propria quota di mercato facendo investimenti nel marketing mix.

2.10 Le regole dello scontro competitivo

È ovvio che la ricerca di un vantaggio sui concorrenti è condizione non solo per lo sviluppo dell'azienda, ma anche per la sua sopravvivenza. 
La scacchiera del possibile scontro competitivo può essere divisa in quattro quadranti  (Fiocca, 1994).

  • Si fa lo stesso gioco con vecchie regole su tutta la scacchiera.
  • Si fa lo stesso gioco ma circoscritto a una nicchia di mercato
  • Si fa un nuovo gioco circoscritto a una nicchia di mercato.
  • Si fa un nuovo gioco su tutta la scacchiera.

2.11 Il marketing

Il marketing è l'elemento che, nella sua operatività, inviluppa gli elementi analizzati nei precedenti paragrafi e che stabilisce i paradigmi fondamentali perché un'azienda acquisisca un vantaggio competitivo.
È opportuno, innanzitutto, cercare di dare una definizione di marketing. Il compito non è cosa facile; infatti ogni scuola di pensiero, ogni teorico, ogni professionista è affezionato ad una propria teoria che spesso è superata solo dalla velocità con cui la funzione marketing è andata trasformandosi. William Davidow (Davidow, 1986) afferma che «il marketing è una guerra civilizzata», infatti, la sua definizione della funzione marketing è «inventare prodotti completi e portarli in posizioni di comando su segmenti di mercato difendibili».
Davidow esprime una metafora, ma nella realtà, spesso, la terminologia e l'operatività degli addetti al marketing assomiglia a quella dei generali. Si parla infatti di: alzare una barriera difensiva, occupare il territorio del concorrente, abbandonare o attaccare un segmento, difendere una posizione strategica, trasformare una sconfitta in una vittoria ecc.
Comunque, al di là della metafora guerresca, le definizioni di marketing e i relativi modelli sono stati ampiamente descritti in un precedente articolo.

2.12 La gestione della qualità

Degli strumenti dell'azienda moderna un discorso a parte, sia pur sintetico, merita il cosiddetto Total Quality Management. La Qualità totale è, oggi, una filosofia trasversale a tutte le funzioni aziendali; essa è, infatti, la metodologia con la quale deve essere affrontata la vita in azienda.
Il concetto di Qualità ha subìto una grande evoluzione; nei primi anni '50, i giapponesi utilizzarono le teorie di Deming e soci per la ricostruzione della loro struttura industriale puntando, sostanzialmente, all'ottimizzazione dei processi di produzione. Particolare cura veniva rivolta ai controlli effettuati per ridurre il numero di difetti che si presentavano nell'arco del processo di produzione, dalla materia prima o dal semilavorato al prodotto finito.
In Italia, la Qualità diventa la parola d'ordine degli anni '80, quando le aziende si rendono conto che l'attenzione ai dettagli genera affidabilità e quindi vantaggio competitivo e iniziano a farsi certificare secondo le norme Iso 9000.
Mentre l'Occidente rincorreva i giapponesi nell'adottare i principi della Qualità, questi avevano posto gli obiettivi della Qualità più avanti, adottando il metodo di produzione just-in-time. Il metodo consiste in una procedura organizzativa in grado di consegnare il prodotto finito, prelevandolo direttamente dalla catena di montaggio, invece di mandarlo ad ampliare il livello delle scorte in attesa della vendita. L'industria automobilistica Toyota fu la prima a convincersi della validità di due principi: la Qualità resta un'arma competitiva molto potente, ma la possibilità di una consegna immediata di un prodotto ordinato quasi "su misura" può diventare fonte di notevole vantaggio competitivo.
La Qualità, subisce un'importante evoluzione e, oggi, abbraccia tutti gli aspetti operativi di un'impresa, si parla, infatti, di Qualità totale, ed essa non è più monopolio del sistema produttivo giapponese. Con l'evoluzione dei principi della Qualità, cambia anche il rapporto tra management e dipendenti: dall'organizzazione basata sul "controllo" del lavoro si è passati, oggi, al principio del "consenso". 
Il Total Quality Management (Tqm), è una disciplina che, oggi, abbraccia l'intera organizzazione, dalle relazioni tra gli stakeholder, alla produzione; essa ha comportato l'immissione nell'organizzazione aziendale di gerarchie flessibili, lavoro di squadra, auto-regolamentazione dei lavoratori, utilizzo di strumenti per quantificare il successo e per realizzare un continuo miglioramento dei compiti e dei processi. Il Tqm dovrebbe essere l'obiettivo finale d'ogni impresa, che dovrà essere però consapevole che il processo d'attuazione richiede tempo, impegno e risorse.
È necessario sottolineare la situazione di ritardo dell'Ue rispetto ad Usa e Giappone nell'applicazione della Qualità come strumento di competitività dell'apparato produttivo. D'altra parte, non si può dimenticare l'importanza che ha avuto l'introduzione della Qualità nello sviluppo dell'impresa europea, specialmente dal 1994, quando è stata effettuata una prima importante revisione delle norme Iso.

2.13 La generazione del valore

L'approccio "tradizionale" prevede l'ottimizzazione della catena del valore "impresa per impresa", in modo autogestito e indipendente. Ogni azienda si preoccupa di organizzare al meglio il proprio segmento di valore, partendo da un output, cosa si vuole vendere, e da un input, cosa si deve acquistare, ben definiti. L'ottimizzazione dell'insieme delle catene del valore delle aziende che concorrono alla realizzazione di un business, deriva dall'ottimizzazione autonoma di ogni anello della catena.
L'approccio "integrato" prevede una valutazione dell'intera catena, da parte di ciascuna azienda che partecipa al business. Ciò significa che input e output vengono analizzati con l'obiettivo di massimizzare il rapporto valore/costo, anche attraverso il reengineering del ruolo dell'impresa, cioè del segmento di business espletato, per meglio concentrasi su un core business a chiaro valore aggiunto.


LOGO

2.14 L'organizzazione aziendale e i relativi sistemi di management

L'approccio "tradizionale", di tipo efficientistico sugli obiettivi, privilegia una gerarchia basata sul presidio delle specializzazioni interne con responsabilità del tipo: commerciale, della produzione, della logistica, amministrativa, del personale, della ricerca, eccetera. Il modello prevede il controllo diretto della funzione, con conseguente numero di livelli gerarchici, proporzionale alle dimensioni dell'impresa.
Il sistema di management è, generalmente, di matrice tayloristica e per obiettivi; esso prevede una gestione incentrata sulle funzioni e sul presidio, chiaro e definito, dei loro confini. Ad ogni responsabile o direttore viene affidato il compito di conseguire un particolare obiettivo: ad esempio, aumentare le vendite, ridurre le scorte, migliorare la qualità del prodotto, ridurre i tempi del recupero crediti, mantenere costante il costo del personale. Esso si focalizza, prevalentemente, sui costi e sulle efficienze, dando luogo alla cosiddetta gestione per "centri di costo".
L'approccio "integrato", dando la priorità ai meccanismi di generazione del valore, dà più importanza al presidio dei processi: l'implicazione di questo secondo modello è dover ridisegnare l'organizzazione aziendale.
Il sistema di management, volendo enfatizzare l'importanza del presidio del valore, è orientato alla logica della gestione per obiettivi in corresponsabilità interfunzionali (2) (nel caso delle strutture per funzioni), oppure alla logica della gestione per processi (Merli, 1999), oppure alla logica di gestione per partnership (Kotler,1999).
È degna di essere citata la ricerca di due studiosi americani, Tom Peters e Robert Waterman, che hanno seguito, per anni, la sorte di moltissime aziende. Al termine della loro ricerca essi hanno potuto verificare che l'eccellenza, sul lungo periodo, non risultava dalla lettura dei bilanci; essa era il risultato di modelli organizzativi in grado di privilegiare una filosofia gestionale comune che poteva, a grandi linee, estrinsecarsi in otto fattori.

  • Orientamento all'azione.
  • Orientamento al cliente.
  • Autonomia e imprenditorialità diffuse.
  • Produttività attraverso le persone.
  • Cultura del fare e della creazione di valore.
  • Focus su un core business.
  • Organizzazione semplice e staff  leggero.
  • Sistematicità, associata a flessibilità.

2.14.1 La produzione snella

Le imprese hanno scoperto che l'organizzazione gerarchica, con molti livelli di coordinamento, ha un costo non più sopportabile nell'era dell'ipercompetizione. Concetti come lo span of control (cioè l'ampiezza del comando, per esempio, un capo può controllare al massimo 10 dipendenti), che sembravano fattori di gestione consolidati, sono entrati in crisi, e con essi un modo di organizzare le aziende.

La lean production (3) si è affermata nel mondo dell'impresa per una serie di ragioni:

  • Da qualche parte nel mondo c'è qualcuno che usa meno responsabili per unità di prodotto. Le tecniche di benchmarking hanno permesso di scoprirlo, se ne è dovuto prendere atto e agire in conseguenza.
  • Le aziende utilizzano personale più scolarizzato di quanto non facevano un tempo. Persone più competenti e mature sono in grado di autogestirsi, e, spesso, lo pretendono.
  • I programmi di reengineering hanno insegnato a progettare esplicitamente, e con un approccio "partendo da zero", tutto quanto riguarda un processo gestionale, inclusi i livelli di supervisione. Poiché questi, normalmente, non aggiungono valore per il cliente, sono stati ridotti al minimo.
  • L'esternalizzazione di alcune produzioni ha permesso di constatare che altri imprenditori sono in grado di gestire la produzione con minori livelli di controllo; ne sono state tratte le debite conclusioni e tali modelli di gestione sono stati applicati anche per il core business. Le stesse conclusioni sono apparse evidenti quando sono cambiati i proprietari di alcune aziende, con la trasformazione da proprietari burocratizzati e accentratori a imprenditori.
  • Le situazioni di crisi hanno obbligato le aziende a tagliare i costi in tutte le aree e soprattutto i costi di struttura; con una certa sorpresa si è scoperto che talvolta l'impresa funziona meglio.

2.14.2 Il reengineering

Quando si parla di reengineering è opportuno sgombrare il campo da incomprensioni e valutazioni errate; per lavoratori e sindacalisti, reengineering è sinonimo di licenziamenti, di cassa integrazione guadagni o di prepensionamenti. Spesso, purtroppo, essi hanno ragione perché questa è la realtà con la quale si sono scontrati; ma, questa realtà, se, talvolta, è giustificata da modifiche strutturali di un particolare settore produttivo, spesso è la risultante di incapacità gestionali e/o imprenditoriali.
Reengineering è, invece, un processo di riorganizzazione delle attività di un'impresa, volto, sia al miglioramento delle prestazioni in ogni ambito delle sue funzioni, sia alla valorizzazione delle capacità intellettive del personale.
Imprenditori e manager sono spesso insoddisfatti del modo in cui sono gestite certe attività, come la programmazione della produzione, l'introduzione di nuovi prodotti, i rapporti con i fornitori, i rapporti interaziendali; i costi possono essere troppo alti, i tempi di risposta elevati, la qualità insufficiente, le relazioni burocratizzate.
La risposta a questi problemi è sempre stata un programma di riduzione dei costi, di accelerazione dei tempi e di miglioramento della qualità: a un problema puntuale, una risposta puntuale.
Da alcuni anni ci si è reso conto che le risposte puntuali non innovano a sufficienza, a volte, creano nuovi problemi e non prevengono il riformarsi di incrostazioni. Pretendere che le persone lavorino di più e meglio in processi spezzettati e spesso arcaici è inutile; la risposta giusta è invece ripensare l'azienda per processi orizzontali e riprogettare i processi ponendosi precisi indici di performance.
Le persone lavorano di più e meglio se vedono il risultato finale di quello che fanno e se gli strumenti e i processi utilizzati sono aggiornati e razionali.
Tradizionalmente le aziende sono state organizzate per compiti: il lavoro di un impiegato inizia dai fogli di carta che arrivano sulla sua scrivania e finisce con quelli che passa ad altri impiegati, ma questo modo di concepire i compiti frammenta le responsabilità, allunga i tempi, non utilizza l'intelligenza disponibile e genera burocrazia.
Ci si può, invece, organizzare per processi, mettendo insieme tutte le persone che influenzano un risultato: il caso tipico è il ciclo: ordine - consegna - incasso. Le aziende che hanno riprogettato i propri processi hanno ottenuto miglioramenti durevoli di costo, performance e qualità.
Riprogettare i processi non è semplice perché l'impresa si scontra con una mentalità gerarchica, poiché, inevitabilmente, sposta o elimina i confini fra una funzione e l'altra, fa lavorare le persone in gruppi di lavoro, invece che all'interno delle tradizionali funzioni aziendali, sposta il potere decisionale ai livelli più bassi dell'organizzazione, abolisce la necessità di coordinamento; è quindi una rivoluzione aziendale che, come tale, viene osteggiata da chi ha potere.

2.14.3 L'empowerment

Come s'è già detto, le aziende stanno riscoprendo il valore delle persone, e, in particolare, il fatto che persone istruite, motivate e informate sanno prendere bene molte più decisioni di quanto non si pensi; naturalmente, così facendo viene messo in crisi il ruolo decisionale, di coordinamento e di controllo di tutti i livelli gerarchici superiori.
La delega delle decisioni il più vicino possibile all'operatività è chiamato "empowerment".

2.14.4 Il Benchmarking

Nel paragrafo 2.13.1 è stata fatta questa affermazione: da qualche parte c'è qualche impresa che fa meglio qualcosa e le tecniche di benchmarking ci possono aiutare a scoprirlo.
La ricerca di confronti con il mondo esterno può rivelarsi uno strumento molto importante, perché permette di comprendere quanto si dista dai concorrenti o dagli specialisti di una determinata funzione, ed, eventualmente, di condurre le azioni correttive atte al miglioramento del proprio vantaggio competitivo.
Aziende che hanno effettuato programmi di benchmarking riportano miglioramenti di redditività e, in un certo senso, anticipano il giudizio del mercato, perché comprendono, tempestivamente, e, analiticamente, dove sono migliori o peggiori dei concorrenti.

2.14.5 Disintegrazione verticale delle aziende

Prima dell'11 settembre 2001 le imprese avevano l'illusione che i problemi di gestione potevano essere affrontati con tranquillità e ches si sarebbero prentate nuove opportunità di business. Dopo l'11 settembre 2001 il sistema economico e imprenditoriale di tutto il pianeta ha dovuto riconoscere di essere vulnerabile. Con il 2003 l'economia mondiale ha avuto un risveglio, ma ha mostrato di non essere ancora del tutto impenetrabile agli imprevisti, quando, nel 2007. l'alto prezzo raggiunto dal petrolio e le crisi bancarie dovute al fenomeno dei mutui subprime ha dato un'altra scossa al sistema economico mondoale. Oggi, la crescita è rallentata, i consumi ristagnano e, in molti settori, c'è addirittura recessione Alcune aziende avevano anticipato una probabile crescita facendo investimenti e assumendo personale in eccesso rispetto al bisogno e ora si trovano con problemi di indebitamento e di redditività. Eppure, la legge d'oro dell'economia afferma che le imprese eccellenti approfittano dei periodi di crisi per investire nell'innovazione o per ristrutturarsi.
Un modo intelligente per superare un periodo negativo è, infatti, cogliere l'occasione per ristrutturare l'impresa; ad esempio si può pensare all'azienda come ad un insieme di centri di business e non come un insieme di funzioni e centri di costo. Il reparto produttivo, la rete commerciale, la funzione amministrativa, il sistema logistico, possono essere pensati tutti come centri di business; infatti esistono operatori che si concentrano unicamente su tali attività e che forniscono prodotti o servizi per terzi, con profitto.
L'azienda può essere ripensata come un aggregato di centri di business che si possono esternalizzare. Idealmente, l'imprenditore può costruire la propria impresa facendo fare il progetto dei prodotti ad una società di ingegneria, facendo produrre presso terzi, facendo accordi con specialisti per la vendita e l'assistenza. Ma anche la contabilità, la gestione di paghe e stipendi, il sistema informativo, la gestione degli uffici e del parco macchine possono essere forniti come servizi da parte di specialisti.
In alcuni casi l'imprenditore può addirittura vendere parti della propria azienda agli specialisti ottenendo in cambio, sia liquidità, che può investire per acquisire un concorrente o semplicemente per crearsi una riserva che gli consenta di superare la crisi senza dover aumentare l'indebitamento, sia un servizio migliore a minor costo.
L'impresa non è più, necessariamente, un aggregato di centri di costo che devono stare sotto lo stesso tetto; può essere una partnership di imprenditori diversi, che hanno in comune lo scopo di creare valore. Questo modo di concepire l'impresa è sempre esistito nella piccola e media impresa, che non avendo capitali o competenze sufficienti per fare tutto ha impostato il proprio modo di essere all'insegna della terziarizzazione.
Oggi il concetto si estende, per necessità, anche alla grande impresa, facilitato dal fatto che con l'informatica e le telecomunicazioni è diventato possibile fornire servizi alle imprese senza necessariamente stare sotto lo stesso tetto; anzi è molto più efficiente farlo da lontano, in quanto, così, si possono sfruttare sinergie fra business differenti.
La terziarizzazione dell'impresa offre anche l'opportunità di creare nuovi imprenditori; quello che prima era un reparto o una funzione aziendale può essere venduto ad uno specialista, che diventa imprenditore in quel particolare settore. Non è difficile creare una nuova impresa utilizzando parti di un'impresa esistente; bisogna volerlo e saperlo fare.

2.14.6 Evitare la trappola della complessità

Le imprese crescono, normalmente, per piccoli passi secondo uno sviluppo, detto incrementale; un impianto viene aggiunto a quelli esistenti, si lancia una nuova versione di un prodotto, si apre un nuovo mercato. Ogni decisione sembra appropriata, nel momento in cui la si prende; ogni euro di fatturato in più contribuisce a migliorare il margine lordo e, se anche fa aumentare i costi fissi, il bilancio complessivo sembra positivo.
Un altro modello di sviluppo, che potrebbe essere utile, ma che nasconde, però, grandi pericoli, è quello di sfruttare le marginalità. Si può vendere con sconti a clienti che non possono pagare il prezzo pieno, si può saturare la capacità produttiva con prodotti che non pagano gli ammortamenti, ma dànno un contributo ai costi fissi, si può utilizzare il personale eccedente per produzioni di minor pregio.
Di queste decisioni si vede l'effetto positivo immediato, ma si trascura spesso l'effetto indiretto successivo, che può essere negativo: i clienti "normali" pretendono lo stesso prezzo degli altri e si perde sulla politica del prezzo di equilibrio, alcuni impianti diventano dei colli di bottiglia e bisogna, quindi, investire per ampliarne la capacità produttiva, a scapito, probabilmente, degli oneri finanziari, il personale, impiegato in attività marginali, che esce per limiti di età, deve essere sostituito per poter far fronte agli impegni, perdendo l'occasione di tagliare i costi del personale.
Sia le decisioni di tipo incrementale, che quelle di tipo marginale portano ad avere molti prodotti, molti impianti, molti magazzini, molti clienti, tutti con forti interazioni e, quindi, ad una gestione con un maggior grado di complessità. D'altra parte, può essere arduo ripercorrere a ritroso la strada percorsa, perché l'eliminazione di qualche elemento comporta una perdita di margine, e non permette, contestualmente, di ridurre il costo complessivo del sistema. In breve, quando un'impresa ha imboccato la strada della crescita, potrebbe trovarsi a dover gestire una maggiore complessità, compito per il quale l'impresa potrebbe non essere preparata, inoltre la situazione nella quale, conseguentemente, viene a trovarsi l'impresa potrebbe non consentire un arretramento, se mai un ulteriore potenziamento.

È necessario un approccio di tipo discontinuo per scoprire come aumentare i profitti riducendo, al contempo, la complessità. Un modo pratico per analizzare un'azienda è di ripensare da zero come la si costruirebbe se si avessero tutti i gradi di libertà: quali impianti tenere aperti e quali chiudere, quali prodotti eliminare, quali clienti abbandonare. Successivamente si può immaginare come potrebbe essere la struttura necessaria per gestire solo la parte ritenuta utile del sistema aziendale e calcolare quali costi, ricavi e circolante si otterrebbero nella nuova configurazione; normalmente si constata che il profitto potrebbe essere molto più alto.

2.14.7 La logistica integrata

La distribuzione fisica dei prodotti è passata, in meno di dieci anni, da essere la cenerentola aziendale a essere un'attività primaria; è bastato chiamarla logistica integrata e ci si è accorti che.

  • Rappresenta un costo complessivo spesso maggiore di quello della produzione in senso stretto; in quanto nella logistica devono essere compresi i costi di trasporto e stoccaggio, finanziari, di svalorizzazione dei prodotti obsoleti o costruiti in eccesso rispetto alla domanda del mercato, di amministrazione e gestione degli ordini, di flessibilizzazione della produzione.
  • Può consentire enormi risparmi rispetto alle modalità di gestione tradizionale, purché venga trattata scientificamente e con investimenti specifici; l'investimento più importante è nelle risorse specialistiche, che devono essere di prim'ordine e non residuali, come, tradizionalmente, è stato nella maggior parte delle aziende.
  • Può essere un business, purché sistemi di gestione e impianti vengano condivisi fra più operatori.  La logistica integrata parte dal presupposto che, in mercati a rapida evoluzione, sia illusorio cercare di prevedere la domanda e sia invece molto più utile organizzarsi per rispondere tempestivamente a qualunque esigenza del cliente; ciò comporta una serie di cambiamenti nel sistema logistico aziendale.
  • Spostare il punto di personalizzazione degli ordini il più a valle possibile e nel momento più vicino possibile alla scelta del consumatore finale.
  • Progettare prodotti e cicli di produzione per una costruzione modulare.
  • Annullare i tempi morti lungo tutte le fasi del ciclo per mezzo di un utilizzo esteso dell'informatica e delle telecomunicazioni, e della conoscenza istantanea di tutte le variabili da parte di tutti gli stakeholder. La compressione dei tempi interessa sia i flussi fisici (dai produttori di componenti fino al consumatore finale) sia i flussi informativi (tutti gli operatori hanno istantaneamente le informazioni su vendite, ordini, giacenze, impegni di capacità e programmi di produzione e di approvvigionamento).
  • Impostare tutto il rapporto con i clienti su ordini piccoli e frequenti.
  • Utilizzare in modo esteso Internet anche per evitare che le manipolazioni dei dati, fatte da ciascun elemento della catena, abbiano un effetto di amplificazione delle variazioni del mercato.
  • Utilizzare una parte della capacità produttiva per prodotti standard e una parte per prodotti personalizzati secondo richieste specifiche del mercato.
  • Dare al cliente la possibilità di scegliere fra prodotti disponibili subito, prodotti approvvigionabili, con tempi certi, senza extra costi e prodotti disponibili a brevissimo tempo con extra costi.
  • Spostare la responsabilità della gestione delle scorte là ove è più efficace, indipendentemente dal rapporto storico fornitore-cliente.

2.14.8 Brand equity

Un aspetto che sembrerebbe di secondaria importanza nella gestione d'impresa è il "brand management"; a volte inconsapevolmente, un'impresa raggiunge l'eccellenza e diventa una brand company. L'entusiasmo di un nuovo business, le capacità della leadership, l'energizzazione diffusa, l'identità e l'immagine aziendale, la sensibilità nel trattare i clienti, la creatività, la qualità dei prodotti o dei servizi possono fare di un'impresa, anche se piccola o media, un'impresa di marca in un particolare settore, anche piccolo.

È noto che talvolta un'azienda vale più del patrimonio netto. Questo può accadere se, nell'azienda, vi sono asset che hanno un valore, ma che non generano flussi di cassa. Un asset in grado di provocare questo accadimento favorevole è proprio il marchio: se i prezzi riconosciuti dai clienti o le quantità vendute sono superiori a quanto sarebbe "normale", vuol dire che il marchio ha un effettivo valore (brand equity). A volte l'imprenditore si chiede a quanto potrebbe vendere il  marchio, per scoprire che l'impresa è interamente giustificata dal brand equity, e che la gestione corrente non aggiunge valore, anzi, eventualmente, tende a distruggerlo.

2.14.9 La globalizzazione

Quasi tutti i settori industriali hanno concorrenti situati ovunque nel mondo, almeno per una fase del business system (principalmente la produzione o l'acquisto di componenti).
Considerando che le condizioni operative sono disomogenee nei vari paesi, l'unica certezza che l'imprenditore di un particolare settore ha è che, probabilmente, restare ancorati al proprio mercato di origine ha buone probabilità di non essere più, nel tempo, la scelta vincente.
Ciò nonostante, la maggior parte degli imprenditori preferisce investire e competere in Italia o, al più, sul mercato europeo, in paesi, dei quali conosce le situazioni, nei quali può controllare l'operatività senza lunghi viaggi e con i quali esiste una lunga storia di eventi positivi.
Manager e imprenditori italiani cercano di convincersi che, dopo tutto, l'Italia e l'Europa sono ancora un buon posto per investire, perché la produttività è elevata, i mercati di sbocco sono vicini, il made in Italy è molto apprezzato, in Italia sono localizzate le basi operative di fornitori di macchine e impianti; tutti questi ragionamenti sono fatti per auto convincersi e per non dover affrontare le difficoltà dell'operare in un contesto globalizzato.

2.15 La fortuna imprenditoriale

Sembrerebbe fuori luogo o poco professionale parlare di fortuna laddove si stanno analizzando gli elementi base per affrontare l'argomento del vantaggio competitivo; eppure, molto spesso, parlando con gli imprenditori, viene fuori questa parolina magica.
Fortuna, è il nome della dea dell'Olimpo romano governante il destino degli uomini, spesso raffigurata bendata a indicare imparzialità. Quindi, sinonimo anche di sorte, generalmente benigna, sinonimo di caso favorevole, che si avvera senza seguire alcuna legge e per questo imprevedibile.
Di contro, l'impresa è l'istituzione che, attraverso svariate tecniche di gestione, cerca di programmare e pianificare il suo futuro. E tuttavia proprio l'impresa, nella sua attività quotidiana, è costantemente soggetta agli influssi della fortuna, generando essa stessa scenari imprevedibili, frutto del grande gioco del caso.
Un celebre economista statunitense, Frank H. Knight in un suo libro dal titolo Risk Incertainty and Profit, aveva individuato nell'incertezza una delle peculiarità nel cui ambito si muove l'impresa. «Quello in cui viviamo è un mondo di mutamenti ed un mondo di incertezze», e ancora, «L'impresa rappresenta la più alta forma di incertezza, che non è suscettibile né di misurazione né di eliminazione» (Knight, 1960). In questo quadro Knight richiama anche, esplicitamente, il fattore fortuna come elemento dominante.  «Se si considera il mondo quale esso è, un mondo dove tutti i disegni e tutti gli atti umani sono caratterizzati dall'incertezza, dobbiamo prevedere un altro elemento, la fortuna». L'imprenditore, con la sua attività costantemente rivolta a generare innovazione concorre ad accrescere l'incertezza nello scenario economico, come aveva teorizzato Schumpeter. Secondo l'economista austriaco, infatti, «Chiamiamo impresa l'introduzione di nuove combinazioni nello scenario economico, e chiamiamo imprenditori quei soggetti economici la cui funzione consiste nell'introdurle» ( Schumpeter, 1971).
L'incertezza, dunque, domina a monte lo scenario che caratterizzerà l'azione imprenditoriale, e se la fortuna sarà propizia quell'azione si connoterà con il successo. Ma quella stessa azione imprenditoriale genererà situazioni le cui manifestazioni concorreranno a determinare uno scenario fortunato qualora la mano invisibile del caso avrà voluto operare con benigna propensione. Quella mano invisibile che Adam Smith aveva evocato per spiegare la formazione del benessere nazionale come evento generato, casualmente, dall'azione inconscia dei singoli produttori.
In sostanza, l'imprenditore decide di intraprendere la produzione sotto la spinta di un ragionamento egoistico, cogliendo le opportunità che la fortuna gli sottopone. Così, lui stesso diventa dispensatore di fortuna, concorrendo a promuovere il bene pubblico mediante il perseguimento del suo tornaconto personale sollecitato da eventi, il più delle volte, imprevedibili, casuali, fortunati.
È interessante, anche dal punto di vista storico, rileggersi le frasi con le quali Smith introduce il concetto della "mano invisibile". «Ogni individuo si sforza, nella misura del possibile, di impiegare il suo capitale a sostegno dell'attività produttiva nazionale, e di dirigere quindi tale attività in modo che il suo prodotto possa avere il massimo valore, ogni individuo opera necessariamente per rendere il reddito della società il massimo possibile. In effetti egli non intende, in genere, perseguire l'interesse pubblico, né è consapevole della misura in cui lo sta perseguendo. Quando preferisce il sostegno dell'attività produttiva del suo paese, invece di quella straniera, egli mira solo alla propria sicurezza e, quando dirige tale attività in modo che il suo prodotto sia il migliore, egli mira solo al proprio guadagno ed è condotto da una mano invisibile, in questo come in molti altri casi, a perseguire un fine che non rientra nelle sue intenzioni. Né il fatto che tale fine non rientri sempre nelle sue intenzioni è sempre un danno per la società. Perseguendo il suo interesse, egli spesso persegue l'interesse della società in modo molto più efficace di quanto intende effettivamente perseguirlo» (Smith, 1995).
Nell'imprevedibilità degli scenari, fortuna, caso o sorte sovente decidono le azioni imprenditoriali con una connotazione diversa rispetto a quanto accade per volontà del destino, cioè, per fatalità.

Giova sottolineare che questa versione è una sintesi dell'articolo in pdf.

Bibliografia
Bobbio, N., De senectute e altri scritti autobiografici, Einaudi, 1996
Buell V. P., Manuale di marketing, FrancoAngeli, 1992
Caruso E., Gestire l'impresa del 2000, FrancoAngeli, 1999
Caruso E., L'impresa in un mercato che cambia, Tecniche Nuove, 2003
Davidow W.H., Marketing high technology, The Free Press, 1986.
Di Stefano P. M., Il marketing del terzo millennio, FrancoAngeli, 1997.
Grandinetti R., Reti di marketing, Etaslibri, 1993.
Fedel A., Grazie per il reclamo, FrancoAngeli, 1998.
Fiocca R., The best of marketing, Ed. Bridge, 1994.
Idili L., L. Siliprandi, Il marketing degli operatori turistici, FrancoAngeli, 1998.
Knight F.H., Rischio, Incertezza, Profitto, La nuova Italia, 1960
Kotler P., Il marketing secondo Kotler, Il Sole 24 Ore, 1999
Krugman P., Il ritorno dell'economia della depressione, Garzanti, 2001
Levitt T., Exploit the product life cycle, Harward Business Review, December, 1965.
Merli G., Nuovi paradigmi del management, Il Sole 24 Ore, 1999
Penati L., Marketing: piano, azione, verifica, FrancoAngeli, 1994
Novak M., L'etica cattolica e lo spirito del capitalismo, Edizioni Comunità, 1994.
Ottone P., Preghiera o bordello, Longanesi&C, 1996
Porter M. E., Competitive strategy, Free Press, McMillan Inc. 1980.
Schumpeter J., Teoria dello sviluppo economico, Sansoni, 1971
Smith A., La ricchezza delle nazioni, Newton Compton Editori, 1995
Smith W., Product differentiation and market segmentation as alternative marketing strategies, Journal of marketing, July 1956.
Thurow L.C., Il futuro del capitalismo, Mondadori, 1996.
Valdani E., Dalla concorrenza all'ipercompetizione, dall'evoluzione alla coevoluzione, Economia & Management, maggio 1997.

NOTE

(1) Si intende per marketing mix l'insieme delle politiche di marketing che coinvolgono: il prodotto/servizio, il prezzo, la promozione e la vendita.
(2) Secondo il cross-functional management della qualità totale giapponese.
(3) La lean production è stata introdotta dalla Toyota; è un sistema di produzione che impiega una modesta quantità di risorse aziendali, combina i vantaggi della produzione artigianale con quella di massa, consente di produrre un'ampia varietà di prodotti, impiega squadre di dipendenti multi-specializzati, è fortemente automatizzata, opera con un gran numero di sub-contractors, responsabilizza i lavoratori, che sono stimolati ad individuare eventuali anomalie nel processo di produzione. Alla squadra è affidato il compito della manutenzione di macchinari e impianti posti sotto la sua responsabilità.

Eugenio Caruso
14-01-2008

Tratto da E. Caruso, Come vincere le sfide della concorrenza, Tecniche Nuove, 2003

Questo articolo è una sintesi dell'articolo in formato pdf.



LOGO

www.impresaoggi.com