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La storia vera della nascita, della vita e della morte di una grande impresa


 

1.3 La quotidianità alla Dino

Una visione ampia e completa di come la Dino fosse gestita la ebbi dal momento in cui fui nominato direttore e iniziai a frequentarne il comitato che si riuniva ogni lunedì per discutere su problemi ordinari o straordinari dell'azienda. Degli anni precedenti ho alcuni ricordi che illustrano in maniera impeccabile come non andrebbe gestita un'azienda.

Inadeguatezza della direzione amministrativa.
Negli anni '70, chiudo un lungo lavoro effettuato per conto del Cnr; il prodotto è un ponderoso rapporto contenente i risultati di due anni di attività di ricerca che ho cercato di completare entro il mese di gennaio per accelerare il processo di incasso. La segretaria provvede, con urgenza, a far fotocopiare e fascicolare il rapporto e trasmetterlo all'ufficio competente. Nel mese di settembre mi si presenta un'addetta alle fatturazioni della direzione amministrativa, con una copia del mio rapporto in mano, per chiedermi informazioni sull'indirizzo della persona del Cnr al quale il rapporto andava inviato. Alle mie rimostranze sul ritardo spaventoso con il quale sarebbe stato inviato il documento scoprii che la ragazza non aveva la minima idea che quel ritardo significava un ritardo nell'incasso e quindi una perdita per la Dino. Da allora l'ufficio fatturazioni, retto dalla Falsetti, si guardò bene dal darmi qualsiasi informazione sui tempi di giacenza dei rapporti da trasmettere ai clienti.

Inadeguatezza della pianificazione strategica.
Da quando ero stato assunto, una costante delle indicazioni della direzione era che la Dino costava troppo alla controllante e che occorreva differenziare la committenza. Verso la fine degli anni settanta con un rappresentante tecnico di Brachio si decide che, all'interno di un vasto programma di ricerca sui materiali avanzati di interesse di Brachio poteva essere inserito, come attività di spin-off dell'attività principale, uno studio sui materiali per protesi femorali. Questo lavoro porta ad ottimi risultati di laboratorio, tanto che si decide di realizzare un brevetto sul modello di protesi proposto. Quando Castagnetti, allora vice-direttore generale addetto alla pianificazione strategica, noto per la sua angoscia esistenziale di non turbare in nessun modo lo stato di sonnolenza di Brachio, viene a conoscenza della cosa fa una piazzata indecorosa con il direttore generale affermando che Caruso buttava via i soldi di Brachio in ricerche inutili. Bastava un'occhiata alle riviste specializzate per capire che il settore dei materiali per applicazioni bio-mediche sarebbe esploso entro qualche anno. Il successo della Sorin (divenuta successivamente Sorin Biomedica) è sotto gli occhi di tutti; una piccola società, una volta impegnata in attività nucleari, approccia il filone bio-medicale e di quel filone ne fa un business vincente. Una decina d'anni dopo, il prodotto che il sottoscritto e i suoi collaboratori volevano brevettare era diventato, sul mercato, un modello avanzato di protesi.

Inadeguatezza della politica commerciale.
All'inizio degli anni ottanta un laboratorio del mio dipartimento aveva acquisito una grossa commessa per la realizzazione di un misuratore dello spessore di tubi all'uscita di un laminatoio continuo. Il prototipo viene realizzato in un paio di anni e brevettato in tutto il mondo; il sistema consiste in una sofisticata struttura meccanica, la cui costruzione compete al committente, e nel sensore vero e proprio realizzato dalla Dino. D'altra parte, trattandosi del primo esemplare esistente al mondo le caratteristiche di funzionamento non soddisfano in pieno i dati di progetto; le défaillance sono in parte dovute al non rispetto dei dati di progetto della struttura meccanica (di difficile realizzazione, considerando che andava montata all'uscita di un laminatoio) e in parte alla necessità di sottoporre il sensore a un prolungato periodo di tarature. Io e il cliente stabiliamo di considerare come prototipo di ricerca l'esemplare realizzato (facendoselo finanziare dal fondo per l'innovazione tecnologica del ministero dell'industria) e di procedere alla realizzazione del sistema definitivo, dopo un periodo di prove con il prototipo. Purtroppo, proprio al termine di questa fase, nel 1986, Dino è oggetto dell'ennesima ristrutturazione che prevede che  tutta la sensoristica faccia capo a un altro dipartimento. Prima di procedere al trasferimento delle attività, la direzione commerciale vuole analizzare tutto l'iter procedurale, dall'offerta allo stato dell'arte finale. Quando viene informato dell'accordo tra gentiluomini stretto tra Caruso e la committenza, accordo che permetteva alla Dino di incassare quanto previsto dall'offerta per il prototipo e di acquisire un nuovo ordine per un secondo esemplare, il direttore commerciale, che da poco aveva lasciato la sua attività tecnica, si impunta affermando che la committenza non aveva rispettato le condizioni poste dalla Dino per la struttura meccanica e quindi era inadempiente. Il direttore commerciale per il piacere di pavoneggiarsi, in un ruolo per il quale era inadatto, mette in una posizione difficile la controparte tecnica del cliente, che deve, quindi, rendere conto alla propria direzione della non rispondenza della struttura meccanica ai dati di progetto. Da quel momento, l'ottimo rapporto stabilito da me e dai miei collaboratori con il cliente si rompe. Dino non arriverà più alla realizzazione del prodotto finale. Castagnetti, sempre pronto alla critica distruttiva andava dicendo, più o meno sfottendo Viciani «Ma chi ha fatto Caruso dirigente!!». Qualche anno dopo usciva un sistema analogo da parte di una multinazionale. Giustamente il grande economista Lewitt mette in guardia dal collocare in posizione di responsabilità gestionali i ricercatori (a eccezione di Eugenio caruso).

Incapacità di governare il capitale intellettuale.
Gradoni era stato mio laureando e assunto dalla Dino, su sollecitazione di Crisafulli e mia, poiché mostrava doti di creatività non comuni. Pochi anni dopo lo si incontrava nei corridoi trascinando la sua lunga ombra con pacchi di tabulati tra le braccia, l'occhio spento e lo sguardo disperato. Nel 1980, Crisafulli, che ricopre un incarico di staff, mi chiama e mi fa questo discorso «Devi darci una mano per risolvere un problema. Gradoni si è rivelato un elemento poco valido e non conclude nulla. Se lo prendi tu non lo carichiamo sui costi del tuo budget per tre anni. So che sei bravo a rivalutare le persone». Gradoni viene a lavorare con me; comprendo che il suo valore in termini di creatività è notevole, ma che non bisogna assolutamente fargli sentire il peso della responsabilità. Nel giro di sei mesi riesce a fatturare le sue attività a 120.000 lire/ora e in pochi anni realizza diversi brevetti di prodotti industriali, tra i quali il sensore del precedente episodio. Quando, nel 1986, viene trasferito in un altro dipartimento nel giro di dodici mesi ritorna a costituire un problema per l'azienda.
Nel 1983, il solito Crisafulli mi chiama e mi dice «Nella sezione di Torci c'è un fisico, Piacentini, che non va d'accordo con il suo capo, a me non sembra male, ma sono diversi anni che non conclude nulla; se lo prendi, te lo diamo con l’autofinanziamento di un argomento di ricerca del quale tu puoi scegliere il tema». Accetto ed elaboro con Piacentini un tema di ricerca assolutamente innovativo. Comprendo che Piacentini è esattamente l'opposto di Gradoni, ha bisogno di essere responsabilizzato per sfogare la sua creatività e assecondo questa sua esigenza. Nel giro di qualche anno, il laboratorio di Piacentini diventa uno dei più accreditati nel mondo. Quando vengo nominato direttore e devo lasciare la ricerca vedrò, nel giro di tre-quattro anni, le teste più creative del mio gruppo lasciare la Dino per altre destinazioni (università, estero, industria privata).

Impotenza nel governare la produzione.
Come s'è già accennato, la direzione ricerca di Brachio aveva l'incarico di redigere con la Dino, all'inizio di ogni esercizio, un "ordine quadro" la cui entità economica veniva stabilita dal consiglio di amministrazione di Brachio. Questo documento doveva prevedere le attività che la Dino avrebbe dovuto svolgere durante l'anno in favore della controllante. L'ordine quadro era articolato in attività di servizio, attività di ricerca e di osservatorio tecnologico. Nella realtà dei fatti, esso maturava attraverso accordi tra i responsabili di unità operative della Dino e i "rappresentanti tecnici" di Brachio, era in pratica il risultato di accordi tra ricercatori. Quelli della Dino cercavano di ottenere cospicui finanziamenti per mostrare alla direzione la propria autosufficienza economica, quelli della Brachio finanziavano quelle attività che avrebbero avuto su di essi ricadute positive di carriera. All'inizio dell'anno si scatenava quindi una sorda competizione, da una parte, tra le unità operative della Dino, in quanto ciascuna cercava di ottenere un robusto paniere di contratti a discapito di altre unità e, dall'altra parte, tra i rappresentanti tecnici di Brachio per accrescere il numero e la quantità di contratti da gestire. Giova osservare che tra i tecnici delle due parti si instauravano spesso rapporti di amicizia, come, a volte, nascevano odi implacabili che, per lo più, portavano alla chiusura di qualche attività. Spesso i tecnici della Dino ricorrevano ai vari strumenti della peggiore adulazione, altre volte si stabiliva, tra le controparti, un rapporto di stima. Molte unità riuscivano a raggiungere gli obiettivi di budget solo grazie alle commesse previste dall'ordine quadro, altre non avevano la stessa fortuna e diventavano un "problema" per la società perché dovevano cercare di acquisire ordini all'esterno del captive market. Giova sottolineare che i rappresentanti tecnici di Brachio avevano acquisito una certa abilità nel suddividere i progetti di ricerca in tante commesse che venivano suddivise tra Dino, altre società controllate, cnr, università e gli stessi laboratori di ricerca della Brachio. Il risultato era che la Dino non aveva, quasi mai, una visione completa del progetto per il quale lavorava. Nell'immane bagarre che si scatenava all'inizio di ogni esercizio, la direzione non aveva nessuna possibilità di intervento se non la verifica ex-post di come era stata suddivisa la "torta". Pur avendo nelle proprie mani gli strumenti tecnici e politici per porre un limite allo strapotere dei tecnici, alla casualità delle ricerche formulate con allegati tecnici preparati in uno o due giorni, alla mancanza di progetti di ampio respiro, nulla fu mai tentato. Crisafulli, che era un grande esperto di motti e proverbi soleva affermare "Queta non movere". Da un certo anno in poi nacque la consuetudine di ricevere un'integrazione economica degli ordini quadro, verso settembre ottobre, cosicché l'entità del finanziamento da parte della controllante aveva un andamento in forte ascesa. Era infatti successo che i tecnici della Brachio avevano scoperto che potevano servirsi della Dino per attrezzare i propri laboratori. Il gioco era semplice, per superare le farraginose procedure del sistema di approvvigionamenti della Brachio, i responsabili tecnici facevano inserire tra gli argomenti dell'ordine quadro attività che, nella realtà, si configuravano come veri e propri acquisti, da parte della Dino, di apparecchiature e impianti di interesse della direzione ricerche della Brachio.

Mancanza di rispetto per i lavoratori
Alla fine degli anni ottanta ho l'occasione di conoscere e frequentare, Anastasia, una bella ragazza della direzione amministrativa, allora diretta, da Todini. Mi rendo conto che Anastasia esce volentieri con me, ma nello stesso tempo percepisco un impalpabile senso di imbarazzo. Per cinque-sei mesi non la vedo più e quando, finalmente, mi capita di rivederla la trovo dimagrita, quasi anoressica, stanca e avvilita. Con il tempo, cerco di approfondire la valenza della prima sensazione e le ragioni della sua trasformazione. Scopro che la ragazza odia, in generale, i capi, rimpiange un suo precedente periodo lavorativo in una piccola impresa e "incolpa" il padre di aver insistito per farla entrare alla Dino, un'impresa sicura, un'impresa di stato. La storia è familiare a molte donne lavoratrici, ma va comunque raccontata. Todini aveva l'abitudine del palpeggiamento di seni e sederi delle sue impiegate (questi atteggiamenti erano visibili e ostentati, non si sa di altro), le quali venivano beneficiate con passaggi di categoria e aumenti. Un giorno Anastasia era intenta alla fotocopiatrice quando sente una mano scivolarle nella scollatura e stringerle con forza un seno; Anastasia si volta di scatto e schiaffeggia Todini, apostrofandolo «Ma come si permette» e lui «Cosa c'è di male» e lei «C'è di male che lei è un porco». Todini freddo le rimanda «Me la pagherai». Nel frattempo alcuni colleghi escono dagli uffici e chiedono ad Anastasia cosa le fosse accaduto, e lei, «Quel porco mi ha messo le mani addosso». A questo punto gli amici della ragazza le fanno questa previsione «Hai firmato la tua condanna. Dovevi fare come le altre e stare zitta». Anastasia era troppo giovane e impreparata e si tiene l'accaduto per sé. Dopo un mese Anastasia ottiene, grazie alla frequenza di un corso serale, un diploma in ragioneria, che si aggiunge ad un proficiency in inglese. Secondo il contratto integrativo aziendale, l'ufficio personale informa Todini, che grazie al diploma ottenuto e alle mansioni svolte, Anastasia ha diritto ad un passaggio di categoria. Todini chiama Anastasia nel suo ufficio, la informa della proposta dell'ufficio personale e della sua ferma intenzione a non dare mai la sua autorizzazione al passaggio. «In questa direzione comando io e l'ufficio personale farà ciò che dirò io». Falsetti, la capetta di Anastasia, riceve, probabilmente, istruzioni precise da Todini, poiché inizia un'opera di distruzione psicologica nei confronti della collega. Anastasia si lascia andare, perde la voglia di lavorare e di impegnarsi; ma a questo punto interviene Alberti, detto "il confessionale della Dino", che convince Anastasia a rivolgersi all'avvocato del sindacato. La Dino è condannata dal pretore del lavoro a concedere a Anastasia il livello che le spetta. Quando ritrovo Anastasia, trasformata nel fisico e nel morale, stava appunto uscendo dal periodo del diploma e della sua vertenza con l'azienda. Quando Anastasia mi racconta la sua storia, mi rendo conto che la sua vita lavorativa alla Dino sarà veramente difficile: Artosi è un individuo estremamente vendicativo che non accetta che la Dino sia condotta davanti al pretore. Parlando una volta con Artosi di Anastasia potei constatare la sua rabbia e poi «Cosa vale un diploma preso a una scuola serale. Non vale nulla e noi nulla lo consideriamo». Anastasia era oramai marchiata, poteva fare il salto triplo carpiato, ma la sua scheda personale tramandava, da un capo all'altro, il suo atteggiamento anti aziendale. Dal giorno dello schiaffo inizia nei confronti di Anastasia il meccanismo del mobbing . Quando Todini viene sostituito da Mollini, soprannominato dalla palude aziendale "Pierino", Anastasia va da lui per avere un riconoscimento della propria professionalità e Mollini, seriamente, «Signorina Anastasia, ma lo sa che siamo in una situazione di crisi? Lei lamenta di non aver mai avuto un aumento o una gratifica, ma pensi a quelli che erano abituati a avere una barca e oggi non possono più permetterselo».
Il caso di Anastasia lo conosco bene perché mi è stato traccontato dalla protagonista, ma il gorgoglio della palude sosteneva che il fenomeno delle molestie sessuali era frequente, ma che era “colpa delle donne che accettavano per fare carriera”.

Incapacità a gestire il personale.
Entrando alla Dino si aveva la sensazione di entrare in un grande centro commerciale. In prossimità degli ingressi c'era il bar, aperto per quasi tutte e otto le ore lavorative, e mèta di pellegrinaggi di intere unità. Anni prima avevo avuto un diverbio con un mio capo perché costui, quattro volte al giorno andava a prendere il caffè e pretendeva di essere circondato da una folta corte. Chiamava pertanto tutte le segretarie, anche quella del mio dipartimento, che lasciava il lavoro per andare a prendere il caffè con il capo divisione. Io, e come me tanti altri, ci sentivamo a disagio quando un visitatore veniva a trovarci e doveva solcare quelle fiumane di lavoratori caffeinomani. Durante le due ore di chiusura del bar si poteva ricorrere alle macchinette automatiche, attorno alle quali si formavano gruppi di lavoratori che, esausti per l'eccesso di lavoro, si ritrovavano a discutere della partita o dello spettacolo televisivo. Ancora più traumatica era l'esperienza di un giro estemporaneo nei corridoi delle varie strutture operative o dei servizi. Uffici trasformati in salottini dove si discuteva animatamente di politica, dipendenti che leggevano un quotidiano o una rivista, radioline accese a tutto volume, lavoratori intenti al computer in giochi impegnativi, laboratori nei quali regnava disordine e confusione. Meno appariscente, ma nota a tutti era la consuetudine di fare affari all'interno dell'azienda; c'erano i mediatori immobiliari e altri che si accontentavano del piccolo commercio. A me erano stati proposti i seguenti articoli: preservativi, scarpe, maglieria intima, orologi, gioielli, ma sapevo che alla Dino si poteva comprare di tutto. Un altro comportamento indecoroso, che si riscontrava in azienda era l'utilizzo dell'intervallo di mensa; i quarantacinque minuti previsti da contratto, duravano, per la maggior parte dei dipendenti dai sessanta ai centoventi minuti, secondo la legge della relatività temporale. È probabile che dopo il pranzo l'attività degli ormoni androgeni subisse forti impennate; infatti molte coppie si dedicavano ad attività sessuali clandestine, ecclissandosi nei luoghi più impensabili, si raccontava: nei sotterranei, tra le poltrone della sala congressi, nei gabinetti, in uffici e laboratori che consentivano la privacy. Con la possibilità di connessione ad internet, un altro diversivo era nato per rompere la monotonia della giornata.
Tutto avveniva sotto la sguardo benevolo o tollerante della dirigenza ex sindacalista, abituata a trattare i lavoratori come merce di scambio per la propria carriera. Chi cercava di porre un freno a queste interpretazioni tribali del luogo di lavoro, se era un capo veniva considerato antidemocratico, se era un dipendente era sottoposto a discriminazione e mobbing.
Il lavoro lo si faceva veramente, solo quando si andava in missione presso gli impianti di Brachio, perché grazie ai generosi contratti integrativi aziendali, con la trasferta si poteva anche raddoppiare lo stipendio.
È ovvio che nello sfascio generalizzato c'erano anche molti che lavoravano seriamente però, se erano giovani e abbastanza smaliziati, dopo un po' lasciavano la Dino, se erano più anziani, e con poche prospettive di un lavoro all'esterno, si chiudevano in sé stessi e andavano avanti pensando alla pensione.


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