Anassagora, filosofo e scienziato

Anassàgora (in greco antico: Anaxagóras; Clazomene, 496 a.C. – Lampsaco, 428 a.C. circa) è stato un filosofo presocratico, annoverato tra i fisici pluralisti insieme con Empedocle e Democrito. Fu il primo filosofo a "importare" la filosofia nella penisola greca, più precisamente ad Atene (prima di lui la filosofia era diffusa solamente nelle colonie greche dell'Anatolia e della Magna Grecia). Nel 462 a.C. si stabilì nell'Atene governata da Pericle. Questa città era un importante centro culturale per l'epoca. Anassagora formulò nuove ipotesi, in cui giunse alla conclusione che esistono, sparse in tutto l'universo, sostanze semplici, in continuo movimento. Sono particelle piccolissime che si raggruppano e si separano dando origine alle cose e agli esseri. Il movimento continuo è impresso alle particelle da una sostanza leggera e sottile, diffusa in tutto l'universo. Anassagora formulò inoltre ipotesi anche sul moto dei corpi celesti. Per le sue affermazioni fu accusato di empietà.
Secondo Diogene Laerzio, Anassagora, nato nella 70ª Olimpiade (500-497 a.C.), era figlio di un certo Egesibulo o Eubulo, nobile e ricco cittadino di Clazomene, egli fu così magnanimo e disinteressato da lasciare l'eredità paterna ai familiari. Il suo esclusivo interesse era rivolto allo studio della natura, per il quale trascurò anche di partecipare agli affari politici, tanto da essere accusato di non avere a cuore i problemi della sua patria. Al che, egli avrebbe risposto, mostrando il cielo: «M'importa e molto della patria». Secondo il consolidato tòpos del filosofo tutto assorbito nei propri studi, altri aneddoti vengono riferiti da Diogene Laerzio a sostegno del suo disinteresse per la ricchezza e dell'indifferenza verso una patria specifica che non sia il mondo: alla vista dell'imponente sepolcro di Mausolo avrebbe commentato che «un sepolcro sfarzoso è l'immagine della ricchezza pietrificata», mentre a chi si lamentava di dover morire in terra straniera avrebbe risposto che «da qualsiasi luogo è uguale la discesa verso l'Ade». Ci ricorda il virgiliano "facilis descensus averno" ( Eneide VI, 126).
Di filosofia avrebbe cominciato a occuparsi intorno ai vent'anni, trovandosi già ad Atene, al tempo dell'arcontato di Callide (480) risiedendovi per trenta anni. Ad Atene divenne amico e maestro di Pericle, il quale era impegnato nel rinnovamento politico e culturale della città. Intorno alla metà del V secolo gli avversari politici di Pericle, per meglio combattere lo statista ateniese, cercarono di fare il vuoto intorno a lui, eliminando i suoi collaboratori con accuse infamanti: così, Anassagora, per le sue opinioni riguardo al Sole e alla Luna, ritenuti rispettivamente una massa incandescente e un globo roccioso, anziché delle divinità, fu accusato di empietà da un certo Cleone, (ogni Galileo ha avuto il suo Bellarmino) secondo quanto riferisce Sozione il Peripatetico nella sua Successione dei filosofi il quale sostiene che Anassagora, difeso da Pericle, sarebbe stato condannato al pagamento di una multa di cinque talenti e all'esilio. Secondo Satiro di Callati l'accusa di empietà fu portata da Tucidide di Melesia, anch'egli avversario di Pericle. Secondo questa versione, egli sarebbe stato condannato a morte in contumacia; invece Ermippo di Smirne scrive che fu rinchiuso in prigione e condannato a morte. Pericle, perorando la sua causa, ne avrebbe ottenuto la liberazione, ma Anassagora si sarebbe ucciso, non sopportando l'affronto subito. Un'altra tradizione, riportata da Geronimo Rodio sostiene invece che i giudici, vedendolo sfinito dalla malattia, lo liberarono per compassione. La tradizione più diffusa attesta comunque che Anassagora si ritirò nell'Ellesponto, a Lampsaco, dove sarebbe stato accolto con tutti gli onori dai governanti della città e dove morì, dopo aver ancora tenuto una scuola. Sulla sua tomba sarebbe stato posto l'epitaffio.
«Qui giace Anassagora che moltissimo s'accostò
al limite della verità intorno al mondo celeste»

Il suo pensiero è conservato in ventidue frammenti, appartenenti al primo libro di un suo scritto sulla natura, che riportano gli elementi generali della sua dottrina. Il pensiero di Anassagora presenta analogie con quello di Empedocle, secondo cui nulla nasce e nulla perisce, ma nascita e morte sono solo termini convenzionalmente utilizzati dagli esseri umani per identificare mescolanza e disgregazione delle parti dell'Essere. A differenza di Empedocle, Anassagora chiama queste parti semi originari. I semi sono caratterizzati dall'essere di numero infinito, identici tra loro e infinitamente divisibili; in seguito a questa definizione Aristotele li chiamerà anche omeomerie, cioè parti simili perché hanno gli stessi caratteri del tutto che entrano a costituire. L'oro, ad esempio, è costituito in prevalenza da semi d'oro, in esso però ci sono anche, in minor quantità, semi di tutte le altre sostanze. Perciò Anassagora dice "tutte le cose sono insieme" e "tutte le cose sono in ogni cosa". L'unione dei semi dà origine alla materia; essa si differenzia solo in base alla diversa qualità e quantità di semi presenti in essa. Ricordo che per Empedocle ""Origine, nascita e morte, sono "mescolanza" e "separazione" di alcune sostanze che sono eterne e indistruttibili. Empedocle individua in quattro "sostanze", non nate ed eternamente uguali, l'origine di ogni cosa: fuoco, aria, terra, acqua. ""
Dai semi Anassagora distingue una forza che li fa muovere e li ordina, e imprime loro l'energia necessaria alla trasformazione (o Divenire Continuo, simile al Ciclo Cosmico di Empedocle). Questa forza è un'intelligenza divina, il Nous, che governa i semi e non appartiene alla materia. Anassagora lo definisce intelletto. Il nous di Anassagora costituiva però un concetto molto più sofisticato dell'amore-odio di Empedocle; esso, difatti, non aveva più nulla di antropomorfico, come invece erano l'odio e l'amore del filosofo di Agrigento. Per averlo ammesso, egli fu lodato da Platone e da Aristotele. Essi riconobbero ad Anassagora il merito di aver introdotto nella spiegazione della natura un principio intelligente che risultava separato dalle cose, anche se gli rimproverarono il fatto di non aver tratto tutte le conseguenze derivanti da una tale ammissione. Anche in età moderna un grande filosofo come Hegel apprezzò il nous di Anassagora affermando che con Anassagora si schiude un tutt'altro regno poiché con lui comincia ad apparire un raggio di luce, seppur fioco.
Anassagora infatti concepì tale nous come un'intelligenza divina che muoveva e ordinava i semi secondo un disegno razionale. Tutte le trasformazioni, tutti i processi naturali erano governati e finalizzati da questa intelligenza cosmica che determinava l'armonia e la bellezza della natura. Tuttavia questo divenire cosmico presupponeva una fase precosmica in cui i semi, non ancora mossi e disciplinati dall'intelletto, formavano un miscuglio, ossia un caos originario: in esso i semi si trovavano in una condizione di confusione e di indistinzione, che non annullava però la loro intrinseca diversità qualitativa. Il pensiero ci riporta al big bang della fisica moderna.
Grazie all'azione intelligente del nous, si era passati dalla fase precosmica a quella cosmica, tanto che il filosofo affermò “insieme erano tutte le cose e l'intelletto le separò e le pose in ordine”. Il nous era stato quindi la vera causa del mondo e del divenire cosmico. A proposito della cosmologia di Anassagora, occorre fare menzione anche della sua teoria della pluralità dei mondi: i semi, unendosi e separandosi, formavano sistemi planetari simili al nostro, quindi esistevano altri corpi celesti analoghi al Sole, alla Luna e alla Terra. Platone e Aristotele tuttavia, rimproverarono ad Anassagora il fatto di aver concepito questa forza intelligente solo come forza meccanica, ossia come causa meccanica del divenire, e non come causa finale, ossia come finalità intelligibile, cioè non materiale, operante nella materia e in grado di orientarla nella formazione e strutturazione razionale degli enti (tanto per intenderci la causa finale era quella per cui il seme diventava pianta o organismo).
Naturalmente quella di Aristotele e Platone era una critica a posteriori, che rispecchiava il loro punto di vista, e comunque l'azione del nous, essendo intelligente, implicava necessariamente uno scopo e una finalità, anche se Anassagora non insistette su tale aspetto. Il nous quindi pose quei problemi di interpretazione che abbiamo incontrato già in Empedocle a proposito dell'amore e dell'odio: quale era la natura del nous? Come esso si rapportava ai semi? Nel tempo sono state date differenti interpretazioni: intanto il nous, pur operando sui semi e al loro interno, non coincideva con essi, ma era separato dalle cose e dal divenire. Il nous in sostanza era interno al mondo ma si distingueva comunque dai semi, non era costituito da essi. Abbiamo quindi anche in Anassagora la riproposizione di quel rapporto di immanenza (dentro) e trascendenza (fuori) che valeva per le due forze di Empedocle.
Circa la natura di questa mente divina sono state prospettate almeno due interpretazioni: una naturalistica e una spiritualistica. Secondo la prima ipotesi il nous, pur non coincidendo con i semi, costituiva comunque una sorta di essenza materiale, anche se si trattava di una materia pura, semplice e incorruttibile, di una specie di livello profondo e nascosto della materia, quindi in qualche modo diverso dalla materia degli enti naturali. La seconda ipotesi attribuisce invece al nous di Anassagora una natura immateriale. Il filosofo di Clazomene avrebbe cioè già intuito il concetto di essenza o forma ideale, che sarà elaborato da Platone e Aristotele.
Tuttavia risulta difficile, se non impossibile, stabilire quale di queste ipotesi sia quella più aderente al modo di pensare di Anassagora, in quanto egli non diede spiegazioni illuminanti su tale aspetto, che resta quindi irrisolto: comunque, interpretazioni a parte, sicuramente si può affermare che “in Anassagora il pensiero del divino (dell'arché) si affina, ma non riesce a sganciarsi dai presupposti naturalistici”. È stato osservato inoltre che la visione anassagorea della Mente divina che tutto muove e indirizza verso il bello e il buono abbia costituito una prima forma di "concezione ottimistica del mondo". Molto importante in Anassagora è anche il discorso della percezione sensibile che avviene per contrasto. Un oggetto può contenere per esempio sia semi di caldo che di freddo. Dipende poi dalla nostra condizione momentanea quale dei due sentiamo. Se siamo per esempio accaldati sentiremo i semi di freddo, al contrario sentiremo quelli di caldo se siamo stati esposti al freddo. Anassagora inoltre riteneva che la neve fosse nera, in quanto la neve deriva dall'acqua, che è nera, cioè priva di colore.
Ad Anassagora viene fatto risalire anche il principio morale della meléte thanàtou, ossia della "meditazione sulla morte", cosa di cui sembra che il filosofo fosse solito discutere insieme a Pericle. Il concetto del "prendersi cura della morte" avrà poi largo seguito nel pensiero filosofico. Alla figura di Anassagora, sotto questo profilo, si ispireranno gli Stoici, che ammirarono l'imperturbabilità di cui dette prova alla notizia della morte del figlio, allorché rispose lapidariamente: "Sapevo di averlo generato mortale". In epoca latina, sarà Cicerone a servirsi del principio della meléte thanàtou nelle Tuscolanae disputationes, riconducendolo però a Socrate: «Infatti la vita del filosofo, sempre secondo il medesimo [Socrate] è tutta una preparazione alla morte».
Gli interessi scientifici di Anassagora furono indiscutibili, tanto da meritargli l'appellativo di «fisicissimo», ad indicare la sua grande predisposizione verso lo studio della natura. Da più parti è stata sottolineata la sua eccezionale attitudine all'osservazione dei fatti d'esperienza, ciò che più colpisce in Anassagora è il rigore del metodo scientifico che, basandosi sull'esperienza e sull'osservazione diretta, induce a ipotesi non fantastiche, ma verosimili, razionalmente valide, e che servono al proseguimento dell'indagine della natura, alla ricerca di tecniche con cui operare e costruire.
Varie furono le teorie che, attribuite ad Anassagora, ne testimoniarono l'attitudine scientifica: studi riguardanti la geometria e la caduta di massi, previsioni di scosse telluriche e analisi del meccanismo fisiologico della nutrizione. Tra l'altro sembra che appartenga a lui la tesi che individuava nel cervello (e non nel cuore) il centro coordinatore della sensibilità (oltre che del pensiero), teoria che un'ampia tradizione storiografica attribuisce invece al pitagorico Alcmeone. Anassagora approfondì il problema della conoscenza, sviluppando delle idee piuttosto originali. Schematicamente furono tre i concetti essenziali della sua teoria gnoseologica:
1.l'esperienza e le sensazioni;
2.la memoria;
3.la tecnica.
Anassagora colse e sottolineò in particolare la centralità dell'esperienza, senza la quale nessuna conoscenza sarebbe stata possibile: l'esperienza, cioè il rapporto con il mondo, implicava naturalmente la sensibilità, ossia la capacità di subire modificazioni sotto l'influsso di oggetti esterni. Il contenuto delle sensazioni si depositava poi nella mente sotto forma di memoria, cioè quella facoltà che rendeva possibile la conservazione delle esperienze e delle conoscenze acquisite. L'accumulazione e l'organizzazione di tali conoscenze nella memoria generava la sapienza (sophia), da cui nasceva la tecnica, cioè la capacità di utilizzare le conoscenze per costruire oggetti e modificare la natura. La tecnica si basava soprattutto sulla manualità, tanto che Anassagora ritenne che fossero state proprio le mani gli organi che avevano dato all'uomo la superiorità sugli altri animali. Il filosofo inoltre approfondì anche il meccanismo fisiologico della conoscenza, pervenendo a una concezione opposta a quella di Empedocle: all'origine delle percezioni umane c'erano i contrasti tra elementi opposti (con il caldo si percepiva il freddo, con il dolce l'amaro eccetera), quindi si conosceva sulla base del dissimile, e non del simile.

LA TEORIA DEI SEMI
Omeomerie è il termine usato da Aristotele per indicare i cosiddetti semi di Anassagora, cioè a dire, le particelle che costituiscono l'universo e ogni sua cosa. Secondo Anassagora, vi sono infinite omeomerie di qualità diversa, che spiegano l'apparente paradosso della trasformazione delle cose (problema posto da Parmenide che Anassagora cerca di risolvere salvando i fenomeni, secondo una nota affermazione platonica). Essendo infatti ogni cosa data da una diversa composizione di semi, non esiste il divenire, né il molteplice (a livello macroscopico, perché le differenze fra semi sono da Anassagora presupposte, come sono per gli atomi di Democrito e gli elementi primordiali di Empedocle, grave problema dimostrativo delle tesi di chi cerca di salvare i fenomeni), poiché sono tutti elementi derivati dalla scomposizione e ricomposizione di semi, quindi nulla si crea e nulla si distrugge e nulla muta, se non la disposizione dei semi. Così a esempio, una mela che viene mangiata e poi diventa diverse parti di noi (carne, pelle, capelli) in realtà non subisce nessuna trasformazione assoluta, ma passa di cosa simile in cosa simile: ciò significa che, anche se in piccola parte, le omeomerie della carne, della pelle, dei capelli, devono già essere presenti nella mela. Ogni cosa quindi contiene le omeomerie di tutte le altre (tutto è in tutto), ma prevalgono (sulla base di un movimento continuo ordinato dal Nous) quelle dell'oggetto che viene a formarsi, ma se noi non fossimo relegati ad avere sensi fallaci, secondo Anassagora potremmo vedere che ogni cosa è formata da semi di tanti generi quante sono le diverse cose esistenti nel cosmo. Le omeomerie sono ordinate ad azione del Nous, intelligenza massima che governa ogni mutamento, che non è lasciato al caso come per Democrito e gli atomisti, ma è appunto regolato da questa entità superiore.

IL PLURALISMO
Il pluralismo nella filosofia antica è inteso, nella sua contrapposizione al monismo, come concezione filosofica concernente esclusivamente l'ontologia, in base alla quale l'Essere è costituito da una pluralità di elementi che lo fondano in quanto sostanze di esso, e non da un elemento unico. In genere, con l'espressione pluralismo riferita agli antichi filosofi pluralisti greci, si suole indicare una posizione ontologica nuova che cercò di conciliare in qualche maniera la realtà dell'Essere unico e immutabile con quella del divenire e della molteplicità. Questa concezione, in vario modo sostenuta dai primi filosofi naturalisti milesii, aveva poi trovato in Anassagora e in Leucippo una formulazione compiuta. Nel primo in senso tipologico (come semi per ogni tipo di enti), nel secondo in senso più qualitativo-quantitativo (come atomi di differente figura, ordine e posizione). Fieramente opposta all'atomismo è l'ontologia monistica eleatica con capofila Parmenide, poi confluita in diverse forme di metafisica monistica. Il monismo eleatico è un idealismo dell'essere unico e immutabile, che aveva invece svalutato il divenire e il molteplice considerandoli non-essere. Il problema dei pluralisti fu quindi quello di dimostrare, da un lato, e su basi naturalistiche in opposizione alla concezione eleatica ed idealista che vedeva la molteplicità materiale come "priva di essenza" e contingente, che divenire e molteplicità possedessero una loro realtà e verità e dall'altro che il "non essere" (nel senso parmenideo), era invece riconducibile a fondamenti primi assoluti e immateriali (spirituali), eterni ed immutabili. Una visione metafisica unitaria (dell'uno-tutto) e deterministica (fondata sulla necessità) secondo quella esigenza che era stata posta con l'Essere degli Eleati. Si trattava quindi di trovare un nuovo equilibrio tra mondo sensibile e mondo metafisico, riconoscendo al primo una sua realtà e verità ed affermando nello stesso tempo la necessità di trovare un fondamento stabile, unitario ed eterno al fluire incessante degli enti naturali.
La caratteristica dei filosofi pluralisti (Empedocle, Anassagora, Democrito) consistette nell'ammettere una molteplicità di elementi all'interno dello stesso archè: il principio primo in un certo senso era come se si scomponesse e si moltiplicasse in una pluralità di elementi primitivi ed originari, ognuno di per sé immutabile. L'archè (in greco che significa «principio», «origine»), rappresenta per gli antichi greci la forza primigenia che domina il mondo, da cui tutto proviene e a cui tutto tornerà. Si tratta di un concetto molto ampio che viene utilizzato dai primi filosofi sotto diverse prospettive. Questo non implicava però una frattura o divisione dell'arché, che rimaneva unico in quanto arché, poiché tutti i suoi componenti, pur distinguendosi, appartenevano qualitativamente alla medesima essenza originaria ed assoluta e formavano quindi un unico principio: tuttavia l'unità dell'arché si declinava e si differenziava al suo interno in una pluralità di forme ed elementi. Esistevano quindi per i pluralisti degli elementi originari immutabili, ciascuno dei quali simili all'essere parmenideo, dalla composizione dei quali, in una sorta di soluzione chimica, come sosteneva Empedocle, con gli elementi terra, acqua, aria e fuoco, ne venivano le differenze qualitative. Era la modifica della quantità a determinare le differenti qualità delle cose. Le quantità infatti sono certe mentre le qualità variano essendo percepite da una sensibilità che muta. In questo modo veniva infranta quell'unità indifferenziata ed indeterminata che era tipica degli arché dei filosofi precedenti, soprattutto dell'essere eleatico: iniziò con i pluralisti quel processo di progressiva determinazione e differenziazione del principio primo che condusse poi alla teoria platonica del mondo delle idee. Il problema dei filosofi pluralisti quindi non era più solo quello di ricercare semplicemente l'arché, ma era soprattutto quello di determinarlo, di indicarne ed individuarne forme e modalità intrinseche, facendolo uscire da quella sorta di indeterminatezza indistinta che lo aveva caratterizzato in precedenza. Infatti un arché troppo indeterminato ed indifferenziato, come l'essere eleatico, risultava essere non definibile, non pensabile e non dicibile: come si faceva a pensare e a dire qualcosa di completamente indeterminato?
La difficoltà però a cui andarono incontro i pluralisti consisteva nel fatto che questi molteplici esseri originari condividevano con la definizione dell'essere unico degli Eleati l'assenza di "non essere" e quindi l'immobilità. Che cosa da questa originaria situazione di immobilità determinava poi il mescolamento degli elementi primitivi? da dove veniva la forza, fosse l'amore e l'odio per Empedocle, o il Nous di Anassagora, che metteva in moto il meccanismo della composizione e della nascita delle cose? Il divenire cacciato dalla porta rientrava dalla finestra. Con l'idealismo platonico il pluralismo ontologico, che caratterizzava il mondo delle idee, appare superato con il famoso "parricidio di Parmenide" con il quale il filosofo ateniese approda così a un monismo, inficiato però da sfumature dualistiche dovute alla contrapposizione tra il mondo ideale e quello terreno. Solo nel IV secolo a.C. si ha con Epicuro un forte rilancio dell'ontologia pluralistica propria dell'atomismo, che egli aggiorna col noto principio della parenklisis: la deviazione degli atomi nel loro moto verticale e il conseguente urto tra essi e i loro rimbalzi.

VIDEO : https://www.youtube.com/watch?v=tA8yZAlBjNw

VIDEO Filosofi pluralisti: https://www.youtube.com/watch?v=CTVqI0LiMwA

Eugenio Caruso - 16 maggio 2020



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