Impresa, come evitare il declino

libro

PREMESSA

L'analisi di report editi in Usa e in Europa sulla vita delle imprese di successo (quelle, ad esempio, che figurano tra le prime 500 nella classifica stilata annualmente da Fortune) indica una vita media di 18 anni, come se il successo di un'impresa portasse con sé il germe del fallimento; sempre la stessa rivista aveva notato che dalla classifica delle prime 500 aziende, stilata nel 1970 un terzo non esisteva più, appena tredici anni dopo, eliminato da bancarotte, acquisizioni e fusioni. E’ interessante notare che la stessa rivista nel 2011 mostrò che le top 500 realizzavano da sole un terzo del pil mondiale, consolidando sempre più il loro controllo sulla vita commerciale del pianeta.
Al di là della classifica di Fortune la vita media delle imprese usa ed europee è di 12,5 anni e di 40 anni quella delle multinazionali; Arie de Geus dell'Organizational learning centre, presso l'Mit, in base a una ricerca sul periodo di vita delle imprese nel suo  The Living Company: Habits for Survival in a Turbulent Business Environment, sostiene che questi tassi di mortalità prematura sono esclusivamente da attribuirsi a scelte imprenditoriali o manageriali errate.
D'altra parte l'impresa è un'organizzazione che fisiologicamente può durare per secoli come dimostrano l’impresa alberghiera giapponese Nisiyama Onsen Keiunkan che sembra sia stata fondata nel 718 da un monaco buddista. Secondo l’Istituto Family Business dopo la giapponese troviamo la Pontificia Fonderia Marinelli, che nasce nell'anno mille, come la storica cantina vinicola francese Chateau de Goulaine. La Marinelli nasce,  ad Agnone (Isernia), come fonderia delle campane del papato. Le sue campane risuonano ormai in tutto il mondo. I dipendenti sono 20 e tra loro vi sono ancora cinque membri della famiglia Marinelli, con Pasquale direttore operativo. Abbiamo poi l’azienda vinicola Barone Ricasoli fondata nel 1141, Subito dopo, ecco un nome storico del vetro, la Barovier & Toso, di Murano: fondata nel 1295, l'impresa è giunta ormai alla ventesima generazione dei Barovier che, nel 1936, si fusero con i Toso; l’industria svedese di cellulosa Stora, fu fondata nel 1288 e, inizialmente, operò nel settore estrattivo.  Salendo nel tempo troviamo la più antica impresa alberghiera d’Europa la  Hotel Pilgrim Haus  nata in Germania nel 1304, la Moulin Richard de Bas la cartiera più antica del mondo, che ancora oggi produce materiale per le stampe più pregiate,  nasce in Francia nel 1326. Salendo ancora nel tempo si incontrano  due aziende fiorentine: la Torrini, impresa produttrice di gioielli fondata dal capostipite Jacopo nel 1369 e l’azienda Antinori, che produce vino a partire dal 1385. Troviamo, poi,  la Camuffo di Portogruaro (Venezia), impresa costruttrice di imbarcazioni nata nel 1438 nel porto veneziano di Khanià a Creta. Dalla fondazione, per mano di El Ham Muftì, ha venduto barche, tra gli altri, a Maometto II, alla Repubblica di Venezia e, perfino, a Napoleone,  o la banca italiana Monte dei Paschi nata nel 1472. Giova notare che tra le più antiche imprese del pianeta prevalgono quelle italiane; nel rinascimento, infatti, l’Italia era il centro mondiale di banche e commerci.
De Geus ha individuato alcune caratteristiche comuni alle imprese che hanno più di un secolo di vita.

  • Alta refrattarietà a intraprendere operazioni finanziarie a rischio, ma attitudine a mantenere alta la propria capitalizzazione.
  • Sensibilità e attenzione ai cambiamenti in atto nel mondo dell’innovazione.
  • Consapevolezza dell'identità aziendale, a tutti i livelli. Le imprese longeve sono pervase da un forte senso di appartenenza e da un'identità aziendale definita e condivisa.
  • Grande attenzione verso le nuove idee.
  • Predisposizione al cambiamento del proprio core business.

Le considerazioni fatte da de Geus valgono per le imprese medio-grandi; per le Pmi non esistono documenti significativi che descrivano le motivazioni della loro longevità o del loro declino.
L'esperienza personale mi porta a identificare, sostanzialmente, due ragioni della mancanza di longevità di una Pmi.

  • La crisi che nasce al momento del trapasso generazionale.
  • Il ritardo con il quale l'imprenditore si rende conto di segnali premonitori di una crisi. I segnali tangibili e misurabili non dànno segni di crisi, i bilanci sono soddisfacenti, la produttività è a livelli standard, non ci sono problemi con il personale, è, pertanto, facile che l'imprenditore, occupato a seguire la gestione ordinaria e, poco, a scrutare nel futuro, trascuri segnali intangibili di crisi.

Le fasi della vita di un’impresa

ciclo

..................N↑................H↑..............................↑A ....................................↑B

Fig. 1 Andamento del ciclo di vita di un'impresa che non riesce a evitare il declino.

Corre l'obbligo notare che nella mia carriera di scrittore sulla gestione d'impresa ho affrontato spesso l'artgomento concernente il ciclo di vita dell'impresa. Poichè si confronta spesso questo con il ciclo di vita biologico ho proposto svariate volte di sostituire il blando "declino" con la parole morte. I vari editori si sono sempre opposti ritenendo, scaramanticamente, che la sola parola morte avrebbe scoraggiato il potenziale lettore dal comprare il libro. Anche qui mi attengo alla prassi parlando di declino; in sostanza dopo un declino ci può sempre essere una ripresa.

Pertanto, le fasi della vita dell'impresa sono quattro, nascita, sviluppo, maturità e declino: l'asse dei tempi è puramente qualitativo; normalmente, il tratto dal punto N al punto H può avere la durata di uno-tre anni o meno, quello da H ad A è molto variabile è può essere dell’ordine de qualche anno, mentre quello tra A e B può essere di decine d'anni.
In generale, quando un'impresa si trova nel punto B della curva di fig. 1 e decide di cambiare, spesso ha raggiunto un punto di irreversibilità e la salvezza è ardua.
Ma perché le aziende decidono di adottare iniziative di rinnovamento solo quando si trovano nel succitato punto B e quindi nel momento meno propizio e di massima difficoltà?
Perché gli imprenditori hanno guidato l'impresa affidandone la verifica dello stato di salute solo agli indicatori economico-finanziari (cioè affidandosi al passato) e hanno trascurato quegli indicatori immisurabili o intangibili, ben noti alla leadership dell'impresa eccellente, e dei quali parleremo in dettaglio.
Se, viceversa, l'impresa decidesse di operare un cambiamento in prossimità del punto A, innescando un nuovo business, e quindi una nuova curva di crescita, disporrebbe di tempo, energie, entusiasmo e risorse per attivare un nuovo percorso di sviluppo prima che maturità e declino indeboliscano l'organizzazione.
La decisione di procedere in tal senso non è facile in quanto, generalmente, essa presuppone un cambiamento gestionale all'interno dell'impresa, ma è opportuno notare che la transizione su una nuova curva di crescita è la principale decisione strategica per un'impresa che voglia evitare il declino.
Nella storia delle imprese che, non si sono "sedute sugli allori", ma che hanno lanciato in continuazione nuove attività di business, tra le più citate nella letteratura economica è la Walt Disney. L'impresa inizia la propria attività nel campo dell'animazione e quando il management ha visto i primi segni di crisi del settore, ha colto, via via,  nuove opportunità la Walt Disney è oggi una multinazionale che si articola in sette divisioni: distribuzione ed editoria, cinematografia, radio e Tv, teatro, parchi tematici, attività immobiliari, vacanze e turismo.
Voglio, ora,  mostrare la dinamica del posizionamento delle grandi imprese secondo la rivista Fortune e la differenziazione tra le varie aree geografiche nell’arco di 14 anni.
 Nel 2000 le top ten, per fatturato, erano le seguenti, tutte imprese usa:
1. General Motors
2. Wal-Mart
3. Exxon Mobil
4. Ford Motor
5. General Electric
6. IBM
7. City Group
8. AT&T
9. Atria Group
10. Boeing.
Nel 2014 le top ten di Fortune Global 2014 sono diventate:
1. Wal-Mart (Usa)
2. R. Dutch Shell (O)
3. Sinopec Group (Ci)
4. China Nat. Petroleum (Ci)
5. Exxon Mobil (Usa)
6. BP (GB)
7. State Grid (Ci)
8. Volkswagen (Ge)
9. Toyota Motor (Gia)
10. Glencore. (Sv)
Due Usa, 4 asiatiche, 4 europee; giova notare che tra le top 500 prevalgono ancora, come numero, le imprese usa (128) seguite da quelle cinesi (95), tra qualche anno è previsto il sorpasso.

E’ interessante conoscere anche la classifica dall’11° al 22° posto allo scopo di trovare la prima impresa italiana.
11. Total (F)
12. Chevron /Usa)
13. Samsung (SCo)
14. Berkshire Hathaway (Usa)
15. Apple (Usa)
16. Axa (F)
17. Gazprom (Ru)
18. E.ON (G)
19. Phillips 66 (Usa)
20. Daimler (G)
21. G.M. (Usa)
22. Eni (I).
Ancora più interessante, al fine di valutare la velocità con la quale le imprese nascono e muoiono, è l’analisi della  prima classifica compilata da Fortune, nel 1955.  Allora le top ten furono le seguenti:
1. General Motors (oggi al 21° posto)
2. Exxon Mobil (oggi al 5° posto)
3. U.S. Steel (oggi al 166° posto)
4. General Electric (oggi al 27° posto)
5.  Esmark (soggetta ad acquisizione nel 1984)
6. Chrysler (soggetta ad acquisizione nel 2009)
7. Armour (soggetta ad acquisizione nel 1970)
8. Gulf Oil (soggetta ad acquisizione nel 2005)
9. Mobil (soggetta ad acquisizione nel 1999)
10. Dupont. (oggi all’86° posto).
Di quelle 500 gloriose imprese del 1955, l’89% non esiste più, eppure si parla di multinazionali con grandi immobilizzazioni e colossi bancari alle spalle.
Vedremo, nell’analizzare la storia dell’impresa, che, nel corso degli anni, le trasformazioni sono state notevoli e i modelli di produzione, vendita, gestione del personale, rapporto con il cliente, relazioni industriali, marketing, comunicazione, etica, sicurezza, difesa del territorio si sono susseguiti a ritmi notevoli. Non sorprende, pertanto, che molte imprese si siano fatte trovare impreparate ai nuovi modelli e siano andate incontro al declino.
Osservando la fig. 1, la curva cioè di un'impresa che non si preoccupi in tempo di rilanciarsi su un'altra curva di sviluppo, si possono fare le seguenti considerazioni.
Nel momento in cui un'impresa nasce si percepisce un alto livello di energia e di eccitazione e vi è un diffuso spirito di collaborazione e di integrazione tra gli individui. Ci si sente pionieri in un'avventura e questo genera gratificazione e appagamento sul lavoro. La flessibilità è massima.
Generalmente, in questa prima fase, non sono state ancora ben definite la vision, la mission, le strategie, eppure, lo spirito di identificazione nell'idea imprenditoriale è alto, tutti sono allineati con l'imprenditore nel conseguimento dei primi obiettivi e le motivazioni sono legate a questo traguardo.
L'ambiente è libero da pregiudizi, gelosie e preconcetti, tutti tendono a essere creativi e propositivi, le competenze non sono codificate, il livello di burocratizzazione è nullo, le gerarchie impercettibili. L'immagine dell'impresa verso il mondo esterno è in fase di costruzione, i rapporti con i clienti sono buoni, anche se spesso il prodotto offerto risente della politica del trial and error; arrivano, infatti, alcuni reclami ma l'organizzazione interna è fortemente orientata a recepirli, anzi a cercare di fidelizzare il cliente che reclama.
Nella fase dello sviluppo l'impresa conosce un momento di forte espansione. I clienti apprezzano i prodotti offerti, la reputazione dell'impresa fa sentire i collaboratori orgogliosi di lavorare per quella società, l'organico incomincia a crescere per soddisfare la domanda, si raggiunge il punto di breakeven. Il livello di energia e di eccitazione è ancora alto, c'è anche un diffuso senso di euforia per i risultati raggiunti.
L'impresa inizia a conoscere, però anche alcuni aspetti negativi.

  • Non è possibile, infatti, soddisfare le aspettative di tutti; alcuni pensano che l'impresa non riconosca pienamente gli sforzi e i sacrifici del periodo precedente e dànno le dimissioni, passando, magari, a un'impresa concorrente o mettendosi in proprio.
  • Si cominciano a osservare i primi schemi precostituiti per la soluzione dei problemi e si dà meno spazio a creatività e nuove proposte.
  • Si nota l'inizio di una certa formalizzazione nei rapporti interpersonali; vi è meno spontaneità.
  • La conoscenza inizia ad essere gerarchizzata.

A questo punto, una leadership, in grado di analizzare criticamente questi primi e deboli segnali, dovrebbe iniziare a valutare alternative di business per avviare una nuova fase di sviluppo. Giova osservare che la curva di fig. 1 ha un punto di flesso H, che rappresenta il momento in cui lo sviluppo passa da una fase di crescita molto energica e forse un po' caotica a una fase di sviluppo più pilotato.  E' interessante osservare questo punto perché un'impresa può facilmente morire nelle sue prime fasi di vita; essa, infatti, può andare incontro a quella che si chiama mortalità infantile.  In genere, se l'impresa riesce a superare il punto di flesso H, la leadership ritiene superate le difficoltà iniziali e intensifica gli investimenti e gli sforzi per progredire ulteriormente in una fase di sviluppo più ordinato e pianificato.
Durante la fase della maturità si acquisiscono i massimi risultati economico-finanziari. Il prodotto dell'impresa è, oramai, noto e affermato sul mercato, i clienti sono soddisfatti, l'impresa ha definito in dettaglio vision, mission e strategie di medio-lungo periodo.
Di converso i problemi emersi nella fase precedente si sono acuiti e ne sono nati altri.

  • Non si avvertono più l'energia e l'eccitazione delle fasi precedenti.
  • Alcuni collaboratori della fase pionieristica se ne sono andati e i nuovi assunti non hanno vissuto quel particolare momento “magico”.
  • L'impresa va bene ed è diffusa l'idea che debba andare bene ancora per molto.
  • Le motivazioni e le ragioni di soddisfazione per i dipendenti vanno scemando.
  • Creatività e spirito di iniziativa hanno lasciato il posto all'esecuzione formale di compiti definiti.
  • Si nota un calo di tensione nella ricerca di nuovi mercati, nuovi prodotti e soluzioni innovative.
  • L'organizzazione è più rigida e burocratica.
  • E' subentrato il principio della difesa dei propri piccoli centri di potere.
  • Arrivano molti reclami, ma lo spirito con il quale vengono accolti non è più quello della fase pionieristica.

Durante la fase del declino anche gli indicatori economico-finanziari dànno l'evidenza del cattivo stato di salute dell'azienda.
Gli elementi negativi sono sotto l'occhio di tutti.

  • Il livello di slancio e di energia è minimo.
  • In azienda prevale un senso di sfiducia.
  • Molti dei collaboratori migliori se ne sono andati.
  • Si vive alla giornata, la vision, la mission, le strategie aziendali sono state completamente abbandonate.
  • Il know-how dà segni di obsolescenza.
  • I conflitti di natura sindacale sono frequenti.
  • Il livello di fidelizzazione dei clienti si è indebolito.
  • L'imprenditore si affida a consulenti esterni per valutare possibili soluzioni alla crisi, ma i tentativi di riorganizzazione gettano l'azienda in una crisi definitiva e irreversibile.

L'analisi critica delle quattro fasi descritte mostra perché è opportuno rilanciare l'impresa in prossimità del punto A di fig. 1 e assolutamente no in prossimità del punto B.
Nell'intorno di A l'impresa trasuda energia, creatività, orgoglio, autostima e si trova ancora in uno stato di eccitazione che rende possibile lanciare un'altra sfida. Tra A e B l'impresa si è "seduta sugli allori" ed è molto più difficile smuoverla da abitudini consolidate e riti giornalieri e dal ristagno dei piccoli centri di potere. Questa condizione spiega perché, quando un'azienda si affida a consulenti esterni per una riorganizzazione, spesso, la prima azione proposta è il taglio di posizioni dirigenziali. Obiettivo di questo libro è proprio quello di fornire le principali informazione per evitare che l'impresa muoia.

Eugenio Caruso - 28 gennaio 2019

LOGO


www.impresaoggi.com