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Come organizzare l'impresa


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2. Il reengineering

Quando si parla di reengineering è opportuno sgombrare il campo da incomprensioni e valutazioni errate; per lavoratori e sindacalisti, reengineering è sinonimo di licenziamenti, di cassa integrazione guadagni o di prepensionamenti. Spesso, purtroppo, essi hanno ragione perché questa è la realtà con la quale si sono scontrati; ma, questa realtà, se, talvolta, è giustificata da modifiche strutturali di un particolare settore produttivo, spesso è la risultante di incapacità gestionali e/o imprenditoriali.
Reengineering è, invece, un processo di riorganizzazione delle attività di un'impresa, volto, sia al miglioramento delle prestazioni in ogni ambito delle sue funzioni, sia alla valorizzazione delle capacità intellettive del personale.
Imprenditori e manager sono spesso insoddisfatti del modo con cui sono gestite certe attività, come la programmazione della produzione, l'introduzione di nuovi prodotti, i rapporti con i fornitori, i rapporti interaziendali; i costi possono essere troppo alti, i tempi di risposta elevati, la qualità insufficiente, le relazioni burocratizzate.
La risposta a questi problemi è sempre stata un programma di riduzione dei costi, di accelerazione dei tempi e di miglioramento della qualità: a un problema puntuale, una risposta puntuale.
Da alcuni anni ci si è resi conto che le risposte puntuali non innovano a sufficienza, a volte, creano nuovi problemi e non prevengono il riformarsi di incrostazioni. Pretendere che le persone lavorino di più e meglio in processi spezzettati e spesso arcaici è inutile; la risposta giusta è invece ripensare l'azienda per processi orizzontali e riprogettare i processi ponendosi precisi indici di performance.
Le persone lavorano di più e meglio se vedono il risultato finale di quello che fanno e se gli strumenti e i processi utilizzati sono aggiornati e razionali.
Tradizionalmente le imprese sono state organizzate per compiti: il lavoro di un impiegato inizia dai fogli di carta che arrivano sulla sua scrivania e finisce con quelli che passa ad altri impiegati, ma questo modo di concepire i compiti frammenta le responsabilità, allunga i tempi, non utilizza l'intelligenza disponibile e genera burocrazia.
Ci si può, invece, organizzare per processi, mettendo insieme tutte le persone che influenzano un risultato: il caso tipico è il ciclo: ordine - consegna - incasso. Le imprese che hanno riprogettato i propri processi hanno ottenuto miglioramenti durevoli di costo, di performance e di qualità.
Riprogettare i processi non è semplice perché l'impresa si scontra con una mentalità gerarchica, poiché, inevitabilmente, sposta o elimina i confini fra una funzione e l'altra, fa lavorare le persone in gruppi di lavoro, invece che all'interno delle tradizionali funzioni aziendali, sposta il potere decisionale ai livelli più bassi dell'organizzazione, abolisce la necessità di coordinamento; è quindi una rivoluzione aziendale che, come tale, viene osteggiata da chi ha potere.

Bisogna quindi ripensare l'impresa:

  1. affidando le responsabilità ai process owner, invece che ai capi funzionali,
  2. dando valore ai risultati complessivi di un processo e non alle misure intermedie della quantità di lavoro svolta da ciascuno,
  3. integrando i partner esterni (fornitori, agenti, distributori) nei propri processi aziendali e viceversa.

Riprogettare i processi aziendali richiede, a priori, la volontà di ottenere miglioramenti notevoli nelle performance, dato che non si fa una rivoluzione per ottenere miglioramenti incrementali.
Il meccanismo operativo, per la transizione da una gestione per funzioni ad una per processi, passa attraverso quattro fasi.

  1. Definire quali sono i processi aziendali.
  2. Far comprendere a tutta l'organizzazione l'importanza dei processi orizzontali.
  3. Misurare i risultati attuali dei processi in termini di rilevanza per il cliente finale
  4. Riprogettare i principali processi, per ottenere i risultati desiderati.

Quando un team di progetto analizza come si opera nel modello per funzioni, scopre, immediatamente, che vi sono due tipi di attività; quelle che generano un valore effettivo per i clienti e quelle che servono per coordinare e controllare. Sembrerebbe facile abolire le seconde, ma se esistono qualche ragione c'è; bisogna invece riprogettare il processo in modo da minimizzare i trasferimenti da una persona a un'altra, addestrare le persone a svolgere compiti allargati e che possano richiedere competenze diverse, utilizzare le tecnologie informatiche e di telecomunicazioni al massimo del loro potenziale, delegare le responsabilità.

Tutto questo significa utilizzare un principio di base anti tayloristico; mentre con la gestione per funzioni si è cercato di far funzionare le imprese pensando che le persone siano stupide o inaffidabili e che quindi debbano svolgere compiti semplici ed essere coordinate e controllate con complicati processi gestionali, si scopre che le imprese funzionano meglio se alle persone (che stranamente si rivelano intelligenti) si dànno compiti complessi governati da processi semplici, ma progettati ad hoc.
 
Spesso un'attività di reengineering si conclude con un soddisfacente decremento dei costi o un miglioramento delle performance aziendali, e poi tutto funziona come prima. In questi casi non si è colta l'opportunità di ripensare da zero il funzionamento dell'impresa, di rivedere i rapporti con i partner esterni, di cambiare compiti e ruoli del personale. Fare, seriamente, del reengineering è un'impresa, veramente, ardua.

3. L'empowerment

Come detto, le imprese stanno riscoprendo il valore delle persone, e, in particolare, il fatto che persone istruite, motivate e informate sanno prendere bene molte più decisioni di quanto non si pensi; naturalmente, così facendo viene messo in crisi il ruolo decisionale, di coordinamento e di controllo di tutti i livelli gerarchici superiori.

La delega delle decisioni il più vicino possibile all'operatività è chiamato "empowerment".

L'empowerment comporta inevitabilmente che alle persone vengano date molte più informazioni, in modo che possano operare sulla base di dati precisi:

- il venditore deve sapere qual è il margine generato dal suo cliente, quanto costano gli stock necessari per servirlo, qual è, e quale potrebbe essere il programma di produzione, quali sono i programmi di marketing;
- il capo reparto deve sapere chi sono i suoi clienti (anzi, è bene che li conosca personalmente), quanto rendono le vendite, quali danni fanno i prodotti difettosi presso i clienti, quali sono i programmi produttivi di ciascun cliente importante.

Appena si incomincia a responsabilizzare le persone, in modo allargato, si scopre che queste possono avere molte idee valide su come migliorare la situazione, anche con interventi a monte o a valle della loro specifica responsabilità. Inoltre, si scopre che le persone così responsabilizzate incominciano a dialogare fra di loro, senza bisogno di stimoli o di coordinamento, per risolvere i problemi o cogliere le opportunità. Prima o poi si formano dei team informali dedicati ai processi fondamentali (da ordine a consegna, da vendita a incasso, da programma di acquisto a programma di produzione, a esempio) e l'impresa è praticamente obbligata ad avviare un piano di reengineering volto a realizzare un'organizzazione per processi.
Con la delega di responsabilità è naturale che debba essere sviluppato anche un sistema di incentivazioni individuali e collettive, basate sui risultati ottenuti, non sull'attivismo individuale; poco alla volta le persone, così responsabilizzate, acquisiscono modi di pensare e di agire  da "professional" e non da dipendenti, il che mette ulteriormente in crisi la gerarchia, che non riesce più ad esercitare il proprio potere.  
Saltano i vecchi concetti di "span of control", tutti comprendono che sono i clienti a pagare lo stipendio, il senso di appartenenza alla propria famiglia professionale e al proprio team di processo acquista più peso che la fedeltà al proprio capo.


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