Stato dell'arte delle privatizzazioni in Italia.

Un buon dirigente sa scegliere gli uomini adatti per fare ciò che è necessariol fare e non si intromette mentre lo fanno.

Theodore Roosevelt


Le privatizzazioni degli anni novanta

L’avvio delle privatizzazioni si fa, solitamente, risalire alla pubblicazione del Libro verde, con il quale Giuliano Amato, nel 1992, aveva tracciato le linee della sua politica economica in tema di privatizzazioni; essa prevedeva la nascita di nuovi soggetti dall'aggregazione di piccoli e medi imprenditori attorno alle imprese pubbliche che sarebbero state privatizzate negli anni a venire. Le intenzioni erano buone, ma il processo di privatizzazione è stato condotto, spesso, nella mancanza di strategie, con una serie di errori e sottovalutazioni.
Si avviano le privatizzazioni, infatti, con la maggior parte delle banche in mano pubblica, gestite con criteri di rigidità e di inefficienza e quindi inadatte a sostenere il processo di fondazione di un’economia destinata a veder diminuire drasticamente il peso dello stato imprenditore. Inoltre le banche sono possedute dalle fondazioni che fungono da paravento per interessi che nulla hanno a che fare con l'interesse delle banche. I banchieri pubblici, sotto la pressione della politica e dell'opinione pubblica che reclamavano le privatizzazioni, “si fanno furbi" (1), e creano le fondazioni. Sfruttando questa formula i presidenti delle banche di diritto pubblico riescono ad evitare i fastidi derivanti da un "azionista vero" e a costruirsi una cassaforte nella quale mettere le azioni della loro banca, al sicuro da mani "pericolose". Se i banchieri conseguono l'obiettivo della difesa da possibili scalate, il sistema finanziario, al riparo dalla concorrenza che inevitabilmente crea efficienza, ne subisce le conseguenze (2).
L'inefficienza del sistema finanziario italiano si manifesterà con il trasferimento di molte imprese nazionali in mano estera: Innse alla Mannesmann, Pignone alla Ge, Sme alla Carrefour, Bertolli all'Unilever, Elsag all'Abb, Siv alla Pilkington, Ast alla Krupp, Tubi ghisa alla  Pont-à-Mousson .
I gioielli del sistema bancario italiano, Comit e Credito Italiano vengono cedute a Mediobanca (mezza pubblica e mezza privata) per il cosiddetto piatto di lenticchie.
Fortunatamente la siderurgia di stato, un bubbone che nessun manager di stato era riuscito a sanare, trova acquirenti in grado di assorbirne anche i debiti. La privatizzazione dell'Ilva ha luogo tra il '92 e il '96. Lucchini acquista la A.F. di Piombino, i francesi di Pont-à-Mousson la Tubi ghisa, la Krupp acquista la Ast, Marzorati la Cogne acciai speciali, Riva l'Ilp, Rocca la Dalmine. La disponibilità dei privati a farsi carico di rami d'impresa strutturalmente deficitari e delle loro 25 mila unità lavorative apparve temeraria, la perdita netta di tutte le imprese ammontava a 1.450 milioni di Euro nel '92, 2.745 nel '93, a 745 nel '94. Ma, dal '95 fino a tutto il 2000 quest'insieme di imprese presenta utili netti tra i 300 e i 600 milioni di Euro all'anno. Solo dieci anni prima, quando la siderurgia era di stato, si diceva che il settore era strategico, che al management doveva essere concessa la massima autonomia e che occorrevano incentivi per mantenere in vita le imprese. Oggi la politica industriale della siderurgia italiana è fatta con la logica dei bilanci in nero e con il rafforzamento della competitività.
Negli anni ’90 è stata realizzata la privatizzazione parziale di Finmeccanica, che controlla imprese aerospaziali, ferroviarie, energetiche, elettroniche, per un incasso di 11.022 miliardi. Un miglioramento della struttura finanziaria di Finmeccanica è stato ottenuto con l'incorporazione di una quota rilevante della St-microelectronics. La permanenza, in Finmeccanica, di una forte quota pubblica e l'introduzione della golden share sono state motivate dall'esigenza di tutelare interessi strategici nazionali; il virus del controllo pubblico su alcuni settori industriali è difficile da combattere, specialmente perché è un virus che subisce mutazioni più veloci degli interventi adottati per debellarlo (3).
Il processo di privatizzazione dell'Eni è bloccato, lo stato detiene, infatti, ancora un’elevata percentuale delle azioni; inoltre, il presidente Gros-Pietro, affermando «Non siamo disposti a vederci espropriare i nostri asset (4) se non per ragioni di pubblica utilità», si batte contro l'imposizione di tetti al mercato del gas tentando di perpetuare il regime di monopolio. D'altra parte l'Autorità per l'energia e il gas decide, il 19 maggio del 2000, l'apertura del mercato del gas alla concorrenza.
Nel novembre '99, il tesoro cede il 31,74% delle azioni dell'Enel (incassando 31.045 miliardi), mantenendo la golden share; gli ambienti economici paventano che, utilizzando la scatola Enel e la parolina magica multiutility, lo stato voglia far risorgere l'Iri. Infatti, Enel, oltre alle tradizionali attività in campo elettrico (5) opera nella telefonia con Wind e con Infostrada, con l'acquisizione del controllo del gruppo Camuzzi è il secondo operatore del gas in Italia dopo Italgas. Ha acquistato acquedotti che le consentono di servire quasi cinque milioni di utenti, ha costituito Enel.it per la fornitura di servizi informatici e telematici, Sfera per attività di formazione, Elettroambiente per il trattamento di rifiuti industriali e urbani, Enel.Si per attività di servizio sugli impianti elettrici dei grandi utilizzatori e Enel.Hydro per la gestione di reti idriche. Possiede Sei, una delle prime società immobiliari e di servizi per le imprese in Europa. Le acquisizioni sono state compensate dal sacrificio di liberarsi delle attività di gestione della trasmissione dell'energia elettrica confluite nella Grtn ( successivamente trasformatasi in  GSE. In seguito al trasferimento del ramo d’azienda relativo a dispacciamento, trasmissione e sviluppo della rete a Terna S.p.A, avvenuto il 1° novembre 2005 per effetto del DPCM dell’11 maggio 2004, GSE si concentra sulla gestione, promozione e incentivazione delle fonti rinnovabili in Italia, attività in parte già svolte) e dal vincolo comunitario di mettere sul mercato centrali per 15.000 megawatt. Il duo, Testa-Tatò, invece di concentrarsi su una politica di modernizzazione del sistema elettrico (6) e di rilancio della società sui mercati esteri, ha preferito, con l'incondizionato appoggio dei vari governi, sul fronte elettrico, procedere a indiscriminate e violente riduzioni del personale e, sugli altri fronti, approfittare della situazione privilegiata di imprese di stato per entrare in settori non strategici e nei quali sarebbe opportuno che lo stato non intervenisse. Il 23 luglio 2001, Endesa, il primo produttore elettrico spagnolo, e Ams di Brescia si aggiudicano Elettrogen la prima delle Genco (7) messa sul mercato; 5.100 miliardi di cinque centrali per complessivi 5.439 MW.
Con l'ingresso di Enel nella distribuzione del gas, l'Eni, coglie l'occasione per fare quadrato attorno a Italgas. Se l'amministratore delegato, Mincato, aveva lasciata aperta la porta ad eventuali offerte di acquisto della società di distribuzione del metano, la minaccia dell'Enel trasforma Italgas in un asset irrinunciabile per Eni.

In perenne perdita si trovano le Ferrovie dello stato, che devono fare anche i conti con l'avvio della liberalizzazione. Infatti la proprietà della rete delle Fs è stata scorporata dal servizio di trasporto passeggeri e merci e sono state già concesse le prime concessioni. Nel 2000, le perdite sono 2.650 miliardi; d'altra parte, la politica corporativa, portata avanti per anni, fa sì che un ferroviere guadagni il 68% in più di un edile, il 62% in più di un addetto al commercio, il 45% in più di un dipendente dell'industria; negli ultimi sette anni lo stato ha destinato alle Fs quasi centomila miliardi di lire per offrire agli italiani un servizio che è ben lontano dallo standard europeo (8).
Alle Poste sono stati concessi, per quindici anni, i monopoli di tutta la corrispondenza il cui prezzo è inferiore alle seimila lire e ai trecentocinquanta grammi di peso, del recapito della corrispondenza nelle città, delle fatture commerciali, delle stampe indirizzate fino a diecimila indirizzi e soprattutto del servizio postel. Una così ricca riserva in cambio dell'effettuazione del servizio postale anche in zone poco remunerative. La ciliegina finale è la possibilità delle Poste di proporsi alla clientela come una vera e propria banca. Grazie alla ricca dote monopolistica e alla ferrea gestione Passera, Poste Spa passa dai 1.284 miliardi di perdita del 1999, ai 143 miliardi del 2001 (9), ad un utile netto consolidato di 22 milioni di euro nel 2002.
L'Alitalia continua a dominare il trasporto aereo nel Paese, con una quota di mercato superiore al 70%; nessuna delle grandi compagnie estere è riuscita a sfidarla sui voli interni; comunque, se l'Europa non abbandonerà la logica delle "compagnie di bandiera" i governi (non solo quello italiano) saranno costantemente costretti ad iniettare danaro per mantenerle in vita; il bilancio Alitalia 2001 chiude ancora con una perdita di 907 milioni di euro. Nella stessa disastrosa situazione dell'Alitalia si trovano Swiss Air e Sabena. La situazione non è diversa nel settore del trasporto marittimo, dove il volume dei sussidi concessi dallo stato ostacola l'ingresso di qualunque nuovo concorrente.
Non va dimenticata l'industria delle scommesse, che con trentacinquemila miliardi di fatturato, figura al quinto posto dopo Eni, Telecom, Fiat e Montedison; qualcuno afferma che se venisse data in gestione ai privati lo stato potrebbe guadagnare molto di più. L'Ente tabacchi continua la sua vita grama, portando nelle casse dello stato, nel 1999, 7 miliardi di utili su un fatturato di 1.778 miliardi (10), il Poligrafico dello stato perde, nel 1999, 15 miliardi.
Sulla Rai un colosso con ricavi per 4.911 miliardi, che, nonostante il canone, produce utili per soli 142,7 miliardi, è meglio non infierire, considerando che, con la scomparsa dell'Iri, non si sa nemmeno da chi essa debba dipendere.
Di converso, con la Telecom Italia, completamente libera dall'abbraccio pubblico, abbiamo assistito alla definitiva caduta del monopolio telefonico. L'acceso confronto sul mercato ha procurato sensibili benefici ai consumatori; Cheli, presidente dell'autorità delle comunicazioni, ha stimato in 4.000 miliardi i risparmi ottenuti nel 1999 e ne ha previsti altri 6.500 miliardi entro il 2002. La spirale virtuosa della concorrenza ha dato i suoi frutti sul piano della riduzione dei prezzi, sul miglioramento della qualità dei servizi, sull'occupazione.
Seat Pagine Gialle viene privatizzata, nel 1997, per 3200 miliardi; nel 2000, Seat Pg dispone del motore di ricerca Virgilio, acquista la Thompson Directories, le pagine gialle al secondo posto in Gran Bretagna, Consolidata, società francese di marketing su Internet, i 1.200 punti di vendita Buffetti, e, infine, la fusione tra Seat Pg e Tin.It crea un'azienda da 100mila miliardi. Sempre nel 2000, Seat Pg compra, da Cecchi Gori, Telemontecarlo; la strategia di Colaninno non è far concorrenza a Rai e Mediaset, con due reti che fanno solo il 2,2% dello share, ma aggiudicarsi la possibilità di creare una Tv per Internet e sfruttare il potenziale di raccolta pubblicitaria tra i 640.000 inserzionisti di Seat Pg.
Alla fine del 2000 Telecom figura al primo posto per capitalizzazione di borsa con 138.000 miliardi, al secondo posto troviamo Tim, con 120.000 miliardi (al terzo Eni, con 108.000 miliardi, poi Enel con 102.000 miliardi e Generali con 100.000 miliardi).
Una cordata capitanata dalla Edizione Holding, la finanziaria della famiglia Benetton, nell'ottobre '99, ottiene dall'Iri, per 5.000 miliardi, il 30% della società Autostrade, con 3.120 chilometri di rete autostradale, società che è stata completamente privatizzata attraverso un'offerta pubblica di vendita delle rimanenti azioni (per un incasso di 8.500 miliardi); Autostrade detiene anche il controllo di Blu, il quarto gestore dei telefonini. Autostrade e Autogrill vengono vendute separatamente, ma il gruppo Benetton, alla guida delle cordate che hanno acquistate entrambe, comprende la straordinaria sinergia che può nascere dall'integrazione delle due società; nessuno dei grandi manager pubblici aveva pensato al maggior valore che lo stato avrebbe potuto ricavare dalla vendita delle due società già integrate. Il gruppo Benetton entra anche nel business delle Grandi stazioni.
Nel giugno del 2000, il 51,18% della società Aeroporti di Roma (AdR) è stato aggiudicato dall'Iri alla cordata Leonardo, guidata da Gemina di Cesare Romiti; i vincitori sono stati vincolati a promuovere un'Opa sul flottante di azioni diffuse sul mercato. La privatizzazione dell'Adr dovrebbe dar luogo ad una razionalizzazione alle attività aeroportuali del Paese.

Per giustificare gli errori e le omissioni commessi dai grandi esperti economici dei governi, professori universitari, consulenti, manager di stato, si adduce la giustificazione che essendo la privatizzazione guidata dal tesoro, questi abbia anteposto gli interessi della finanza pubblica a un progetto di natura industriale volto a conseguire migliori guadagni dalla vendita delle imprese pubbliche.
In parte, questo è vero, ma, anche in questo caso esiste una motivazione ben più forte; all'interno del mondo politico della sinistra, ma anche della destra non tutti sono d'accordo sulla privatizzazione delle imprese pubbliche e sulla trasformazione dello stato da imprenditore a regolatore. Per di più, il management delle partecipazioni statali, secondo il più classico dei comportamenti corporativi, fa di tutto per bloccare il processo. Inoltre si accusa il capitale privato di essere una casta chiusa che ostacola l'emergere di figure imprenditoriali nuove; questa accusa va respinta. Come sarebbero nati infatti i vari Colaninno, Benetton, Soru, Della Valle, Natuzzi, Del Vecchio, Caltagirone, Beggio, Gnutti, per citare i più famosi.
La grande paura, che delle privatizzazioni approfittassero i più grandi gruppi industriali del Paese è anche questa un'enorme sciocchezza. Se si analizzano le capitalizzazioni delle prime cinquecento società del mondo, quotate in borsa, la prima impresa italiana è al sessantacinquesimo posto; tra le prime cinquecento imprese mondiali, per fatturato, ne figurano solo cinque italiane, contro le cinquantuno inglesi, a esempio. E allora, se con le privatizzazioni fosse stato elaborato un serio progetto industriale, e qualche gruppo avesse acquisito maggiore forza, i numeri citati sopra, forse, sarebbero un po' più favorevoli al sistema Italia.
Dopo l'incipit del 1992, si perde tempo nella discussione sui massimi sistemi, mentre da parte dei commissari alla concorrenza, da Bruxelles arrivano rimproveri sempre più aspri per i ritardi; si perde tempo, ma le privatizzazione vanno fatte e, quindi, vengono gestite male, perché viziate dalla fretta.

Intanto, giova riaffermare che l'unica vera privatizzazione, quella della telefonia, ha permesso di rompere il monopolio; in quella fissa si è passati da un solo operatore a quasi ottanta, in quella mobile da due a quattro, gli occupati nel settore sono aumentati del 10% e le tariffe telefoniche scendono di circa il 5% all'anno. La liberalizzazione dell'ultimo miglio, decisa a Bruxelles nell'ottobre del 2000, offrirà ad ogni utente la possibilità di scegliere la compagnia telefonica preferita senza dover cambiare apparecchio o digitare altri prefissi al numero chiamato.

Un effetto positivo delle privatizzazioni e mezze privatizzazioni si è riscontrato alla borsa di Milano; le azioni delle aziende ex-pubbliche messe sul mercato costituiscono il 40% della capitalizzazione di borsa. Gli investitori, che una volta investivano in titoli di credito dello stato, sono andati a investire all'estero oppure si sono convertiti alla borsa italiana. Qui hanno trovato azioni di grandi banche, dell'Enel, dell'Eni, di Finmeccanica, di aziende, ancora controllate dallo stato e che quindi dànno fiducia, poche soddisfazioni ma anche pochi rischi.
La transizione dai bot alle azioni delle imprese semi-pubbliche non è stata traumatica per l'investitore e ha portato la borsa a livelli di capitalizzazione mai visti prima. D'altra parte gran parte degli investimenti vengono fatti agli sportelli bancari di quelle cinque o sei banche che detengono il potere finanziario, ma che non si sono modernizzate nell'offerta di servizi finanziari alla clientela. Lo sportellista che fino a qualche anno fa suggeriva l'acquisto dei bot, oggi suggerisce l'investimento sicuro verso qualche soggetto ancora garantito dallo stato, pertanto gli orfani dei bot, lentamente, stanno uscendo dalla logica del credito per approdare a quello del capitale di rischio.

2. La situazione ai primi del 2008

Gli anni 2000 non hanno portato sostanziali novità al processo delle privatizzazioni se si esclude il comparto bancario per il quale occorrerebbe affrontare un discorso molto complesso che mostri l'importanza avuta dall'intrecciarsi di politica ed economia.

Se analizziamo la seguente tabella vediamo che, sostanzialmente, la situazione è quella che era andata cristallizzandosi agli inizi del 2000.

Il portafoglio del tesoro.

Partecipazioni

Percentuali

Enel

21,14

Eni

20,31

Finmeccanica

33,78

Poste

65,00

FS

100,00

Alitalia

49,90

Cassa depositi e prestiti

70,00

Fincantieri

98,79

Tirrenia

100,00

Sace

100,00

E’ anche vero che in tutta Europa l’affermazione “più privato e meno stato” non è più tanto di moda.
La Francia, con la sua inossidabile politica dei campioni nazionali, non si è mai fatta condizionare e meno che mai ora che deve difendere la prediletta Banque Société Générale.  L’Edf, pubblica, è una potenza mondiale: essa possiede il maggiore parco di produzione di energia elettrica del mondo con 128 GW di potenza installata, di cui 58 GW di potenza nucleare grazie alle 58 Centrali nucleari in territorio francese.  Nel febbraio 2006 il governo francese ha annunciato la fusione di Suez con Gaz de France, ufficialmente, per bloccare la minaccia di un'Opa ostile di Enel su Suez. In Europa, tale fusione è stata percepita come una "finta privatizzazione" di Gaz de France perché, con la fusione, la partecipazione dello stato si abbassa sotto la soglia del 50%. La Veolia Environment, ex Compagnie Générale des Eaux, è leader mondiale nella distribuzione dell’acqua potabile e, grazie alla sua posizione dominante, sta acquistando acquedotti in tutto il mondo.
Da parte sua, il Regno Unito non vede altra via d’uscita che la “nazionalizzazione temporanea” per salvare la Northern Rock dal fallimento.
L’Italia ha ceduto quasi tutto quello che aveva potenziali compratori e di cui non era strategico mantenere il controllo. Delle partecipazioni elencate in tabella se il controllo di Enel, Eni, e Finmeccanica sono ritenute strategiche, dai governi sia di centro sinistra che di centro destra, delle altre si potrebbe parlare di privatizzazione.
Quattro anni fa, al momento della nomina di Vittorio Mincato alla presidenza, sembrava che la privatizzazione di Poste Spa fosse imminente; non si è potuto procedere perchè non sono stati fatti passi avanti per quanto riguarda le strategie industriali. Oggi Poste SpA rappresenta: il servizio di recapito universale, il Bancoposta, una rete di 14 mila sportelli e un’infrastruttura tecnologica avanzata, probabilmente il più importante network che ci sia oggi nel paese. Prima di parlare di privatizzazione è necessario sapere in capo a chi debba essere destinato il servizio di recapito universale e come e chi possa utilizzare il network tecnologico.
Prima di poter pensare che capitale privato possa essere interessato alle Ferrovie deve essere compiuto, ancora, un lungo cammino sulla strada dell’efficienza e della modernizzazione.
Il processo di privatizzazione di Alitalia, con l’acquisto da parte di Air France è in corso e di questa iniziativa abbiamo dato la nostra opinione in un precedente  articolo.
Per la Cassa Depositi e Prestiti i discorsi di privatizzazione sono all’ordine del giorno da anni, ma essi sono ben lontani da una seria concretizzazione. Non è stato ancora scelto l’advisor per avviare il processo.
Fincantieri è un gioiello dell’industria italiana, leader mondiale nella costruzione di navi da crociera; la sua privatizzazione consentirebbe di trovare sul mercato i capitali necessari per accelerarne la crescita; purtroppo la privatizzazione trova forti ostacoli da parte sindacale e della sponda di sinistra del governo Prodi. Non è stato ancora scelto l’advisor per avviare il processo di privatizzazione,
Lo stesso vale per Tirrenia alla quale una gestione privatistica potrebbe far fare quel salto di qualità che consentirebbe di migliorare efficienza e redditività, salto di qualità che da pubblica non è stata in grado di fare.
Lehman Brothers è stata selezionata come advisor per la privatizzazione della Sace e tra breve dovrebbe consegnare la sua relazione. Per la Sace sono stati definiti gli obiettivi a medio termine; essa potrebbe diventare un player di livello internazionale nella scia dei tre grandi, la tedesca Euler Hermes, la francese Coface e l’olandese Atradius e per poterlo fare ha bisogno di una sola ricetta, la privatizzazione.

E' bene non dimenticarsi della Rai (SpA con azionista unico il Ministerto del Tesoro) e dell'Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato (dall'ottobre 2002 è una SpA con azionista unico il Ministero dell'Economia) delle cui privatizzazioni si è parlato negli anni novanta o poi non più.

3. Conclusioni

Attualmente il Paese si trova nella necessità di portare il debito dello stato sotto il 100 per cento del PIL, in tempi brevi, per ridare margini significativi alla politica economica del Paese. Siamo consapevoli, peraltro, che a livello di stato centrale, oramai, gli spazi di manovra che consentano di fare cassa con le privatizzazioni sono ridotti al lumicino. Uno spazio molto maggiore esiste negli enti locali, che hanno rilevanti patrimoni, e che potrebbero essere partecipi dei vincoli sul debito dello stato. La strada da percorrere è irta di difficoltà, ma riteniamo che sia opportuno iniziare a parlarne. Recentemente, il governatore di Bankitalia, Mario Draghi, ha ricordato che solo la stagione delle privatizzazioni degli anni novanta ha consentito di ridurre il debito pubblico da oltre il 120% del PIL all’attuale 105%. Siamo in fase di campagna elettorale e con nostro dispiacere notiamo che gli schieramenti di sinistra e di destra hanno poco interesse ad affrontare i temi delle liberalizzazioni e delle privatizzazioni degli enti locali.
Eugenio Caruso
5 marzo 2008


NOTE

(1) Secondo la definizione einaudiana.

(2) La relazione annuale della Banca d'Italia, nel marzo del '94, osserva che in Italia le istituzioni finanziarie detengono l'11% delle proprietà industriali, metà del valore detenuto in Germania, un quarto rispetto a Usa e Giappone, un quinto rispetto alla GB.

(3) Anche il governo liberista di Berlusconi prosegue nella politica della difesa degli "interessi strategici". Nell'agosto del 2002 la Finmeccanica acquista due società private la Marconi Mobile dalla britannica Marconi Plc e la Telespazio da Telecom Italia per complessivi 854 milioni di Euro.

(4) Beni e attività

(5) Raggruppate nelle seguenti società: Enel Produzione, Erga, Enelpower, Enel Factor, Terna, Enel Distribuzione, Enel Trade, So.Le, Enel.FTL, Conphoebus, e Cesi.

(6) In Italia l'energia elettrica costa enormemente più che all'estero.

(7) Tre raggruppamenti (Eurogen, Elettrogen e Interpower) in cui sono stati suddivisi, dall'Enel, gli impianti da mettere sul mercato.

(8) La "cura da cavallo" imposta dalla gestione Cimoli porta, nel 2001, ad un leggero attivo di bilancio.

(9) Il Financial Times, notoriamente poco prodigo di elogi, parla di un miracolo che «grazie a Passera mette fine a un imbarazzo nazionale».

(10) Nel luglio 2003, con un'offerta di 2,32 miliardi di euro, la cordata formata da British American Tobacco, Axiter (Confcommercio), ed FB Group di Bernabè si assicura l'asta per l'Ente, dando un po' di ossigeno al governo Berlusconi bersagliato dalla grave crisi, che ha colpito l'economia mondiale. Nel gennaio 2008 lo stato concede all'impresa Yesmoke di Settimo Torinese la prima licenza privata, post monopolio, per la produzione di sigarette.


4. Aggiornamento del 27 agosto 2008

La borsa più piccola tra i grandi paesi europei è quella nella quale lo stato è più presente; vedi tabella.

Borsa

Indice

Miliardi di euro

Peso dello stato %

Londra

Frse100

1.750.000

Nullo

Parigi

Cac40

1.100.000

17,5

Francoforte

Dax30

745.400

8,1

Madrid

Ibex35

491.600

1,2

Milano

SandP40

468.400

35,1

Nonostante le privatizzazioni che hanno trasformato alcuni importanti gruppi di servizi, come Telecom e le autostrade di Atlantia in imprese a capitale privato, ancora un terzo delle società quotate a Milano ha nello stato il primo azionista. Vale per Enel ed Eni, ma anche per Finmeccanica, Saipem, Terna e Snam Rete Gas, mentre ST ME è da poco diventata una public company. Ma vale anche per A2A che è partecipata dai comuni di Milano e Brescia al 55%. Sono state citate sette delle 40 imprese che compongono l’indice SandP/Mib e da sole valgono 165 miliardi di euro.
Nel resto d’Europa le cose vanno diversamente; nemmeno la Francia, che ha la nomea di paese statalista, il governo ha un peso così elevato sull’indice della borsa.

27 agosto 2008

Tratto da Eugenio Caruso "L'estinzione dei dinosauri di stato" Mind Ed


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