Virgilio, Eneide, Libro 2. Enea racconta la distruzione di Troia.

Quello che tu chiami schiavo pensa che è nato come te, gode dello stesso cielo, respira la stessa aria, vive e muore, come viviamo e moriamo noi. Puoi vederlo libero cittadino ed egli può vederti schiavo.
Seneca

INTRODUZIONE

L'Eneide (in latino: Aeneis) è un poema epico della cultura latina scritto da Publio Virgilio Marone tra il 29 a.C. e il 19 a.C. Narra la leggendaria storia dell'eroe troiano Enea (figlio di Anchise e della dea Venere) che riuscì a fuggire dopo la caduta della città di Troia, e che viaggiò per il Mediterraneo fino ad approdare nel Lazio, diventando il progenitore del popolo romano. Alla morte di Virgilio il poema, scritto in esametri dattilici e composto da dodici libri per un totale di 9.896 esametri, rimase privo degli ultimi ritocchi e revisioni dell'autore, testimoniate da 58 esametri incompleti; perciò nel suo testamento il poeta fece richiesta di farlo bruciare, nel caso in cui non fosse riuscito a completarlo, ma gli amici Vario Rufo e Plozio Tucca, non rispettando le volontà del defunto, salvaguardarono il manoscritto dell'opera e, successivamente, l'imperatore Ottaviano Augusto ordinò di pubblicarlo così com'era stato lasciato. I primi sei libri raccontano la storia del viaggio di Enea da Troia all'Italia, mentre la seconda parte del poema narra la guerra, dall'esito vittorioso, dei troiani - alleati con i Liguri, con alcuni gruppi locali di Etruschi e con i Greci provenienti dall'Arcadia - contro i Rutuli, i Latini e le popolazioni italiche in loro appoggio, tra cui i Volsci e altri Etruschi; sotto il nome di Latini finiranno per essere conosciuti in seguito Enea e i suoi seguaci. Enea è una figura già presente nelle leggende e nella mitologia greca e romana, e compare spesso anche nell'Iliade; Virgilio mise insieme i singoli e sparsi racconti dei viaggi di Enea, la sua vaga associazione con la fondazione di Roma e soprattutto un personaggio dalle caratteristiche non ben definite tranne una grande devozione (pietas in latino), e ne trasse un avvincente e convincente "mito della fondazione", oltre a un'epica nazionale che allo stesso tempo legava Roma ai miti omerici, glorificava i valori romani tradizionali e legittimava la dinastia giulio-claudia come discendente dei fondatori comuni, eroi e dei, di Roma e di Troia.

Questo secondo libro è una sorta di prosecuzione dell'Iliade di Omero. E' quello più studiato e approfondito ai licei. Nel mio caso dovetti, anche, imparare a memoria i primi 50 versi in latino..

Attraverso quest'opera, Virglio ha reso celebri e trasmesso ai posteri numerosissime storie e racconti mitologici della classicità greca e romana. Molti racconti sono tipici della tragedia greca; "fortunatamente" per gli antichi greci e romani l'uccisione di mogli, amanti, figli, mariti, come stupri, incesti e altre violenze sessuali erano dovute all'intervento di qualche dio, che, spesso, funge da artefice e da giudice. Giova anche notare che, dall'antichità classsica, ai giorni nostri i massimi artisti si sono cimentati, con dipinti e sculture, nel raccontare e farci godere con grande intensità i racconti della mitologia tramandatici da Virgilio. Anche Dante, nelle sue metafore, ha attinto molto da lui la cui opera conosceva molto bene, a ulteriore dimostrazione dell'immensa cultura del poeta fiorentino. Giova anche notare che, allora, non era facile trovare un manoscritto dell'Eneide: se ne potevano trovare solo nelle grandi abbazie e presso i palazzi di famiglie blasonate.

LIBRO II


INCENDIO DI TROIA - IL CAVALLO DI LEGNO
Tacquero tutti ed attenti tenevano i visi;
quindi il padre Enea così cominciò:
Indicibile dolore, regina, inviti a rinnovare,
come i Danai distrussero i beni troiani e il regno
degno di pianto, e le cose tristissime che io vidi
e di cui fui gran parte. Quale soldato dei Mirmidoni o dei Dolopi o del crudele Ulisse raccontando tali cose
si tratterrebbe dalle lacrime? E già la notte umida dal cielo
precipita e le stelle cadendo consigliano i sonni.
Ma se sì grande (è) l'amore di conoscere i nostri casi
e ascoltare brevemente la massima angoscia di Troia,
anche se il cuore inorridisce e rifugge dal lutto,
inizierò. Stroncati dalla guerra e respinti dai fati
i capi dei Danai, scorrendo ormai tanti anni,
innalzano un cavallo, come un monte con l'arte divina
di Pallade, e tagliato l'abete ne intrecciano i fianchi;
simulano il voto per il ritorno; quella fama si sparge.

Il cavallo di Troia
cavallo

Qui furtivamente, estratti a sorte, chiudono scelti corpi scelti
di eroi nel cieco fianco e riempiono interamente le enormi
caverne e il ventre di presidio armato.
C'è di fronte Tenedo, isola notissima per fama, ricca di beni,
finchè duravan i regni di Priamo,
ora solo insenatura e posto mal sicuro per le carene:
qui giunti si nascondono nel lido deserto;
pensando noi esser partiti e diretti col vento a Micene.
Perciò tutta la Teucria si scioglie dal lungo lutto;
si apron le porte, piace andare e vedere il campo dorico
e i luoghi deserti e il lido abbandonato:
qui la schiera dei Dolopi, qui s'accampava il crudele Achille;
qui il posto per le flotte, qui solevan combattere in schiera.
Parte stupisce ed ammira il micidiale dono della vergine
Minerva e la mole del cavallo; e Timete per primo consiglia
che sia guidato entro le mura e collocato sulla rocca,
o per frode o già così dicevano i fati di Troia.
Ma i capi, e quelli cui (era) migliore il parere nella mente,
consiglian o di precipitare in mare le insidie dei Danai e i doni
sospetti e bruciare con fiamme accostate,
o trapassare ed esplorare i cavi nascondigli del ventre.
Il volgo si spacca incerto in decisioni contrarie.
Qui per primo, accompagnandolo gran folla,
Laocoonte ardente corse giù dalla sommità della rocca,
e da lontano "O miseri cittadini, quale sì grande pazzia?
Credete partiti i nemici? O pensate che nessun dono dei Danai
manchi di inganni? Così v'è noto Ulisse?
O chiusi da questo legno si nascondono gli Achivi,
o questa macchina fu fabbricata contro le nostre mura,
per controllare le case e per venire sopra la città,
o qualche inganno si cela; non credete al cavallo, Troiani.
Qualunque ciò sia, temo i Danai anche portando doni"

Famosa la frase" "Timeo Danaos et dona ferentis"

Così detto scagliò un'enorme lancia con potenti energie
nel fianco della bestia e nel ventre ricurvo per le strutture.
Ella ristette tremando, e percosso il ventre,
risuonaron le cave caverne e diedero un gemito.
E se i fati degli dei, se la mente non fosse stata funesta,
aveva spinto col ferro a violare i segreti argolici,
e ora Troia esisterebbe, e tu, alta rocca di Priamo resteresti.


IL GRECO SINONE
Ecco frattanto i pastori dardanidi trascinavano, le mani legate
alla schiena, un giovane davanti al re con gran chiasso,
che s'era offerto sconosciuto volontariamente a loro che passavano, per ordir proprio questo: aprir Troia agli Achei,
sicuro di spirito e preparato a entrambi i casi,
sia a tentare gli imbrogli sia ad affrontare morte sicura.
Da ogni parte, per la voglia di vedere, la gioventù troiana
sparsa attorno corre e gareggiano a schernire il catturato.
Senti ora le insideie dei Danai e da un misfatto solo
conoscili tutti.
Infatti come si fermò in mezzo alle occhiate, turbato, inerme
e con gli occhi vide attorno le schiere frige,
"Ahi, disse, che terra ora, quali mari possono
accettarmi? o cosa mai resta più a me misero,
cui mai neppur un posto presso i Danai, ed in più gli stessi
Dardanidi ostili chiedono castighi col sangue?"
A quel gemito gli animi mutarono e ogni attacco
si bloccò. Esortiamo a dire da quale sangue nato,
o che porti; ricordi che fiducia abbia il catturato.
"Tutto davvero, o re, qualunque sia stato, confesserò
il vero, disse, nè dirò che non sono di razza argolica.
Questo anzitutto; nè se la Fortuna ha reso misero Sinone,
la malvagità non lo renderà falso e bugiardo.
Se per caso parlando giunse alle tue orecchie qualche notizia
del belide Palamede e l'illustre gloria per fama,
che i Pelasgi sotto falsa accusa con processo sacrilego
mandarono a morte innocente, perchè ostacolava le guerre,
ora lo piangono, privato della luce:
per lui il padre povero mandò me, come compagno ed affine
per parentela in armi qui dai primi anni.
Finchè stava al potere incolume e aveva prestigio nelle sedute
dei re, anche noi godemmo sia qualche fama che
onore. Dopo che per l'invidia dell'astuto Ulisse,
non dico cose sconosciute, sparì dalle spiagge terrene,
afflitto trascinavo la vita nelle ombre e nel pianto
e tra me sdegnavo la morte dell'amico innocente.
Nè tacqui, pazzo, e mi garantii, se una sorte avesse permesso,
se mai vincitore fossi tornato alla patria Argo,
vendicatore e con le parole smossi duri rancori.
Di qui per me il primo passo del male, di qui sempre Ulisse
ad atterrirmi con nuove accuse, di qui a spargere frasi
ambigue tra il volgo e cercare, consapevole, le armi.
E difatti non riposò, finchè, intermediario Calcante...
Ma perchè io mai rimugino invano cose spiacevoli,
o perchè indugio? se considerate gli Achivi tutti allo stesso modo,
anche sentir ciò basta, suvvia fate vendetta:
questo vorrebbe l'Itaco e caro lo pagherebbero gli Atridi"
Allora proprio vogliamo sapere e chiedere i motivi,
ignari di sì grandi misfatti e dell'arte pelasga.
Prosegue tremando e dice con cuore falso:
"Spesso i Danai desiderarono tentare la fuga, lasciare Troia,
e stanchi ritirarsi dalla lunga guerra;
magari l'avessero fatto. Spesso li ostacolò l'aspra burrasca
del mare ed Austro atterrì i partenti.
Soprattutto quando questo cavallo composto di travi d'acero
s'ergeva, per tutto l'etere i nembi risuonarono.
Perplessi inviamo Euripilo a interrogare gli oracoli
di Febo, ed egli riporta dai luoghi segreti queste tristi parole:
"Col sangue placaste i venti e con una ragazza sacrificata,
quando all'inizio, o Danai, giungeste alle spiagge iliache;
occorre cercare i ritorni col sangue e sacrificare con una vita
argolica." Come quella frase venne alle orecchie del volgo,
i cuori stupirono e un gelido tremore corse nel fondo
delle ossa, a chi accennino i fati, chi richieda Apollo.
Allora l'Itaco trascina in mezzo il vate Calcante
con grande tumulto; richiede quali siano quelle volontà
degli dei. E molti ormai mi predicevan il crudele misfatto
del furfante, e taciti prevedevan i fatti venturi.
Egli tace per ben dieci giorni e nascosto rifiuta
di tradire qualcuno con la sua voce o esporlo alla morte.
Finalmente a stento, spinto dalle grandi grida dell'Itaco,
secondo l'accordo, tronca gli indugi e mi destina all'altare.
Concordarono tutti e quel che ciascuno temeva,
ridotto alla morte di uno solo, lo sopportarono.
E ormai si presentava il giorno esecrando; mi si preparavano
i riti sacri e i frutti salati e le bende attorno alle tempia.
Mi sottrassi, confesso, alla morte e ruppi le catene,
e nascosto nel limaggioso stagno tra l'erba
m'appiattai, finchè partissero, se mai fossero partiti.
Nè per me più alcuna speranza di veder l'antica patria
nè i dolci figli e il bramato padre,
a essi forse essi chiederanno vendette per le nostre fughe
ed espieranno questa colpa colla morte dei miseri.
Perciò ti prego per i celesti e le divinità conoscitori del vero,
per se mai esiste, che resista ancora per i mortali,
la intemerata fede, abbi pietà di sì grandi affanni,
abbi pietà d'un cuore che sopporta cose non degne.
Per queste lacrime concediamo la vita e inoltre commiseriamo.
Lo stesso Priamo per primo ordina che si levino le manette
e le strette catene e così parla con parole amiche:
"Chiunque sia, dimentica ormai da ora i Grai perduti,
sarai nostro e a me che chiedo questo, racconta il vero:
perchè costruirono questa mole di immenso cavallo? chi l'autore?
o cosa chiedono? quale voto? o quale macchina di guerra?
Aveva detto. Lui, istruito dalle frodi e dall'arte pelasgia
alzò al cielo le palme liberate dalle catene:
"Voi, fuochi eterni, e la vostra non violabile maestà chiamo
a testimonio,disse, voi altari e spade nefande,
che rifuggii, e bende degli dei, che portai come vittima:
mi è lecito sciogliere i sacri giuramenti dei Grai,
lecito odiare gli uomini e portare tutto alla luce,
se copron qualcosa, non son tenuto da alcuna legge di patria.
Tu però mantienti alle promesse e tu, Troia salvata, salvami
la lealtà, se riferisco il vero, se ricompenso alla grande.
Ogni speranza dei Danai e la fiducia della guerra intrapresa
stette sempre negli aiuti di Pallade. Ma da quando l'empio
Tidide infatti e l'inventore di delitti Ulisse, avvicinatisi,
osarono strappare dal tempio consacrato il fatale Palladio,
uccise le guardie dell'altissima rocca,
rubarono la sacra effigie e con mani cruente (osaron)
toccare le bende virginee della dea,
da allora svaniva e scaduta si ritirava indietro
la speranza dei Danai, spezzate le forze, distolta la mente della dea.
Nè la Tritonia diede quei segnali con dubbiosi prodigi.
Appena posato il simulacro nel campo: arsero lampeggianti
fiamme, sbarrati gli occhi, e corse per le membra salato
sudore, e tre volte essa balzò dal suolo, straordinario a dirsi,
e reggendo lo scudo e la lancia tremante.
Subito Calcante profetizza che occorre prender il mar con la fuga,
nè può Pergamo esser distrutta dalle armi argoliche
se non riprendano da Argo gli auspici e riconducano la divinità
che per mare e con le curve carene han portato con sè.
Ed ora poichè col vento si diressero alla patria Micene, e preparano armi e gli dei come compagni e si presenteranno improvvisi,
ripassato il mare; così Calcante interpreta i prodigi.
Ammoniti, costruirono questa effige al posto del Palladio,
al posto della maestà lesa, che espiasse il triste sacrilegio.
Calcante tuttavia ordinò di innalzare questa immensa mole,
e di alzarla fino al cielo, collegate le travi,
che non potesse esser accolta dalle porte e condotta dentro le mura,
nè proteggere il popolo sotto l'antica protezione.
Infatti se la vostra mano avesse violato i doni a Minerva,
allora una grande rovina, ( che gli dei prima rivolgano contro
lo stesso presagio) sarebbe accaduta per il potere di Priamo e i Frigi
se invece con le vostre mani fosse salita nella vostra città,
l'Asia inoltre sarebbe giunta alle mura pelopee con gran guerra
e quei destini proteggerebbero i nostri nipoti".

sinone
L'inganno di Sinone

IL SACERDOTE LAOCOONTE
Con tali insidie e con l'arte dello spergiuro Sinone,
la cosa fu creduta e catturati con inganni e lacrime costrette
quelli che non domarono nè il Tidide nè Achille larisseo,
non dieci anni, non mille carene.
Qui un'altra cosa maggiore si presenta ai miseri e più
tremenda e turba gli animi inesperti.
Laocoonte, sacerdote estratto a sorte per Nettuno,
presso i solenni altari uccideva un enorme toro.
Ma ecco da Tenedo serpenti gemelli per l'alto mare tranquillo
(inorridisco raccontandolo) con immensi giri
incombono sul mare e insieme si dirigono ai lidi;
ma i loro petti alzati tra i flutti e le creste
sanguinee superano le onde l'altra parte raccoglie
dietro e incurva i dorsi immensi con una spira.
C'è un fragore, spumeggiando il mare; e ormai tenevano i campi
iniettati gli ardenti occhi di sangue e di fuoco
lambivano le sibilanti bocche con le lingue vibranti.
Scappiamo pallidi in volto. Quelli in schiera sicura
vano su Laocoonte; e anzitutto entrambi i serpenti,
abbracciati i piccoli corpi dei due figli
li avvolgono e divorano col morso le misere membra;
poi afferran lui stesso che accorre e porta le armi
e lo legano con enormi spire; e ormai
abbracciatolo due volte nel mezzo, due volte circondatogli
il collo con gli squamosi dorsi lo superan con testa ed alti colli.
Egli tenta con le mani divellere i nodi
macchiate le bende di bava e nero veleno,
insieme alza alle stelle terribili grida:
quali i muggiti, quando un toro ferito sfugge l'altare
e scuote dal capo la scure incerta.
Ma i draghi gemelli di corsa fuggono ai sommi templi
e cercano la rocca della crudele tritonide,
si nascondono sotto i piedi della dea e sotto il cerchio dello scudo.

laocoonte
Laocoonte dipinto da El GRECO


IL CAVALLO TRA LE MURA
Allora davvero nei cuori atterriti a tutti si insinua
un nuovo terrore e dicono che Laocoonte meritandolo
ha pagato il delitto, lui che violò con la punta il rovere
sacro e scagliò la lancia sciagurata nel fianco.
Gridano che si deve condurre nelle case la statua e pregare
la maestà della dea.
Dividiamo le mura e i baluardi apriamo della città.
Tutti s'accingono all'opera e ai piedi del cavallo mettono scorrimenti
di ruote e tendono al collo corde di stoppa;
la macchina fatale sale le mura
piena di armi. Attorno ragazzi e vergini fanciulle
cantano inni e gioiscono nel toccare la fune con mano;
ella avanza e minacciando scorre in mezzo alla città.
O patria, o Ilio, casa degli dei e mura dei Dardanidi
famose in guerra. Quattro volte sulla soglia stessa della porta
tentennò e quattro volte nel ventre le armi diedero un suono.
Insistiamo tuttavia smemorati e ciechi di pazzia
e sistemiamo il mostro funesto nella rocca consacrata.
Allora anche Cassandra apre la bocca ai fati futuri
mai creduta dai Teucri per ordine del dio.
Noi miseri, per i quali sarebbe stato l'ultimo quel giorno,
orniamo i templi di fronde festosa per la città.
Intanto il cielo gira e dall'Oceano corre la notte
avvolgendo con la grande ombra e terra e polo
e inganni dei Mirmidoni; sparsi per le mura i Teucri
tacquero; il sopore abbraccia le stanche membra.
E ormai la falange argiva, allestite le navi, andava
da Tenedo nei complici silenzi della tacita luna
cercando i noti lidi, quando la poppa regia aveva alzato
fiamme, e difeso dagli iniqui fati degli dei,
Sinone apre furtivamente i Danai richiusi nel ventre
e le prigioni di pino. Il cavallo spalancato li restituisce
all'aria e lieti si traggono dal cavo rovere
i capi Tessandro e Stenelo e il crudele Ulisse,
scivolati dalla fune calata, Acamante e Toante
e il pelide Neottolemo e Macaone per primo
e Menelao e lo stesso costruttore dell'inganno Epeo.
Invadono la città sepolta nel sonno e nel vino;
son sgozzate le guardie, e spalancandosi le porte accolgono
tutti i compagni e uniscon le schiere alleate.


L'OMBRA DI ETTORE
Era il tempo in cui per gli stanchi mortali il primo sonno
comincia e serpeggia graditissimo per dono degli dei.
Nei sogni, ecco, davanti agli occhi mi sembrò presentarsi
Ettore mestissimo e versare larghi pianti,
come quando strappato dalle bighe e nero di cruenta polvere
e trafitto nei piedi gonfi per le cinghie.
Ahimè, qual era, quanto mutato da quell'Ettore
che ritorna rivestito delle spoglie d'Achille
o dopo aver gettato fuochi frigi sulle poppe dei Danai.
Portando una barba incolta e capelli inzuppati di sangue
e quelle ferite, che numerosissime ricevette attorno
alle mura patrie. Inoltre mi sembrava che io piangendo
chiamassi l'eroe ed esprimessi angosciose frasi:
"O luce dei Dardania, o sicurissima speranza dei Teucri,
quali sì lunghi indugi ti trattennero? Da quali spiagge vieni,
o aspettato Ettore? come ti vediamo dopo molte morti
dei tuoi, dopo vari affanni di uomini e della città,
noi stanchi. Quale indegna causa macchiò
le fattezze serene? o perchè scorgo queste ferite?
Egli nulla, nè aspetta me che chiedo cose vane,
ma traendo dolorosamente dal profondo del cuore i gemiti:
"Ah... fuggi, figlio di dea, dice, e togliti da queste fiamme.
Il nemico tiene le mura; Troia crolla dall'alta cima.
Abbastanza fu dato alla patria e a Priamo: se Pergamo si fosse potuta
difendere con la destra, sarebbe stata difesa anche da questa.
Troia ti consegna le cose sacre e i Penati;
prendi questi come compagni dei fati, con questi cerca le grandi
mura che infine costruirai, percorso il mare".
Così dice e con le mani trae fuori dai profondi penetrali le bende, Vesta potente e l'eterno fuoco.


Troia in fiamme


L'INCENDIO DI TROIA
Intanto le mura son sconvolte dovunque dal pianto
e più e più, benchè la casa del padre Anchise appartata
e protetta da piante sia lontana,
i suoni si precisano e l'orror delle armi sovrasta.
Mi scuoto dal sonno e supero la cima dell'alto tetto
in salita e sto con le orecchie tese:
come quando, infuriando gli Austri una fiamma cade
sul raccolto, o un rapido torrente dal corso montano
travolge i campi, travolge i fertili prati e le fatiche dei buoi
e trascina le selve a precipizio; stupisce ignaro il pastore
sentendo il frastuono dalla cima di una rupe.
Allora davvero è manifesta la realtà, e si svelano le insidie
dei Danai. Ormai la vasta casa di Deifobo crolla,
vincendo Vulcano, ormai brucia il vicino
Ucalegonte; col fuoco spendono i vasti flutti sigei.
Sorge un clamore d'eroi e un fragore di trombe.
Pazzo prendo le armi; nè sufficiente conto nelle armi,
gli animi ardono di raccogliere un gruppo per la guerra
e accorrere sulla rocca coi compagni; ira e pazzia sconvolge
la mente, si presenta bello morire in armi.


IL TERRIBILE ANNUNCIO DI PANTO
Ma ecco Panto sfuggito alle armi degli Achivi,
Panto otriade, sacerdote della rocca e di Apollo,
egli trascina per mano le cose sacre e gli dei vinti e il piccolo
nipote e pazzo di corsa tende alle porte.
"Dove la situazione estrema, Panto? che baluardo prendiamo?"
appena così avevo parlato che con gemito grida:
"E' giunto il giorno estremo e il momento ineluttabile
della Dardania. Fummo Troiani, fu Ilio e l'immensa
gloria dei Teucri; il crudele Giove tutto trasferì
ad Argo; i Danai dominano nella città incendiata.
L'alto cavallo stando in mezzo alle mura versa
armati e Sinone vincitore esultante sparge
incendi. Altri si presentano alle porte spalancate,
quante migliaia mai vennero dalla grande Micene;
altri occuparono con le armi spianate le vie strette;
la schiera serrata sta con la punta lampeggiante
della spada, pronta alla strage; a stento le prime guardie
delle porte tentano scontri e resistono con Marte cieco".
Da tali parole dell'otriade e dalla volontà degli dei
son portato tra le fiamme e tra le armi, dove la triste Erinni,
dove il fragore chiama ed il grido alzato al cielo.
Si aggiungono compagni Rifeo ed Epito grandissimo
in armi offertisi dalla luna, ed Ipani e Dimante
e s'uniscono al nostro fianco e il Giovane Corebo
migdonide - per caso era giunto in quei giorni a Troia
acceso di pazzo amore per Cassandra -
e da genero portava aiuto a Priamo e ai Frigi,
infelice, da non ascoltare i consigli della promessa
invasata...
Come li vedo riuniti bruciare per gli scontri,
sopra essi comincio: "Giovani, cuori invano
fortissimi, se l'estrema volontà è sicura in voi di seguire
chi osa, vedete quale sia la fortuna della situazione:
se ne sono andati, abbandonati i penetrali e gli altari,
tutti gli dei, per i quali questo regno era durato; voi soccorrete
una città incendiata. Moriamo e gettiamoci in mezzo alle armi.
Una sola speranza per i vinti: sperare nessuna salvezza".
Così si aggiunse furore nei cuori dei giovani. Poi, come lupi
rapaci in nera nebbia, che ciechi la malvagia
fame ha spinto e i cuccioli lasciati aspettano
con le fauci secche, tra armi, tra nemici
andiamo a una morte non dubbia e teniamo la via
del centro della città; una notte nera avvolge di cava ombra.


BATTAGLIA CON ANDROGEO
Chi spiegherebbe parlando la strage di quella notte,
chi le morti o potrebbe eguagliare le angosce con lacrime?
La città antica che ha dominato per molti anni crolla;
e moltissimi corpi inerti qua e là son stesi per le vie
e per le case e le soglie consacrate degli dei.
Ma non da soli i Teucri pagano il fio con il sangue;
a volte anche ai vinti il valore ritorna nei cuori
e i vittoriosi Danai cadono. Crudele ovunque
il lutto, ovunque terrore e frequentissima l'immagine della morte.
Primo dei Danai ci si offre, accompagnandolo una grande schiera,
Androgeo, credendoci schiera alleata
ignaro, ed inoltre chiama con parole amiche:
"Affrettatevi, uomini. Quale sì lenta indolenza
attarda? altri rapinano e portan via Pergamo
incendiata: voi venite appena adesso dalle alte navi?"
Disse e subito, non si davan risposte davvero abbastanza fidate,
si accorse caduto in mezzo ai nemici.
Si stupì e trasse indietro il piede con la frase.
Come chi calpestò in terra un serpente improvviso
negli aspri sentieri e tentando trepidante subito schiva
quello che alza le ire e che gonfia i livido colli,
non diversamente Androgeo se n'andava atterrito alla vista.
Attacchiamo e siamo immischiati con le fitte armi,
qua e là ignari del posto e presi da terrore li
stendiamo; la Fortuna favorisce la prima fatica.
Ed allora Corebo esultando per il successo e il coraggio
"O compagni, disse, dove la prima Fortuna mostra
la via della salvezza, e dove si offre favorevole, seguiamola:
cambiamo gli scudi dei Danai e adattiamoci
le insegne. Frode o coraggio, chi indagherebbe nel nemico?
Loro daranno le armi". Così detto, poi indossa l'elmo
chiomato di Androgeo e l'insegna decorata
e adatta al fianco la spada argiva.
Rifeo, lo stesso Dimante e tutta la gioventù contenta
fa questo: ciascuno si arma delle spoglie recenti.
Andiamo mischiati ai Danai non sotto una nostra divinità
e avanzando accendiamo molti scontri nella cieca notte,
spediamo all'Orco molti dei Danai.
Alcuni fuggono alle navi e di corsa cercano
i lidi fidati; una parte con vergognosa paura salgono
l'enorme cavallo di nuovo e si nascondono nel ventre noto.


LA VERGINE CASSANDRA

Ahimè, a nessuno è lecito sperare nulla con gli dei contrari.
Ecco la vergine priamea, sciolti i capelli, Cassandra,
trascinata dal tempio e dai penetrali di Minerva,
alzando al cielo gli occhi ardenti,
gli occhi, poichè catene bloccavano le tenere palme.
Non sopportò questa vista con la mente impazzita Corebo
e si gettò in mezzo alla schiera per morire;
inseguiamo tutti e corriamo in fitte armi.
Qui dapprima dall'alta cima del tempio siam colpiti
dai dardi dei nostri e nasce una miserrima strage
per la foggia delle armi e per l'inganno dei pennacchi grai.
Allora i Danai per il dolore e l'ira della vergine strappata
radunati da ogni parte attaccano, il fortissimo Aiace
e i fretelli Atridi e tutto l'esercito dei Dolopi:
come a volte venti contrari, scoppiata una burrasca,
si scontrano, e Zefiro e Noto ed Euro, felice
per i vcavalli eoi; stridon le selve ed infuria spumoso
Nereo col tridente e provoca le acque dall'estremo fondo.
Anch'essi, che nell'oscura notte nell'ombra
vincemmo con gli inganni e cacciammo per tutta la città,
appaiono; per primi riconoscono gli scudi e le false armi
e notano i volti discordanti dall'accento.
Subito siam travolti dal numero. E per primo Corebo
per mano di Peneleo stramazza all'altare della dea
armipotente; cade pure Rifeo, unico il più giusto
che ci fu tra i Teucri e scupolosissimo del giusto,
agli dei parve altrimenti; periscono Ipani e Dimante
trafitti dagli amici; nè ti protesse morente, Panto,
la tua massima virtù nè la benda di Apollo.
O ceneri iliache e fiamma estrema dei miei,
chiamo a testimonio di non aver evitato nella vostra caduta
nè frecce nè alcuna situazione, e se ci fossero stati i fati
perchè cadessi, l'avrei meritato per mano dei Danai. Di lì ci
raggruppiamo, Ifito e Pelia con me, Ifito ormai più vecchio
d'età, anche Pelia lento per una ferita di Ulisse,
subito chiamati da grida al palazzo di Priamo.


ASSALTO ALLA REGGIA DI PRIAMO
Qui davvero vediamo un'aspra battaglia, come se altri
scontri non ci fossero altrove, nessuno morisse in tutta la città,
così Marte indomito e i Danai scagliantisi contro le mura
e la porta assediata, creatasi una testuggine.
Le scale s'appoggiano alle pareti e sotto gli stessi portoni
si muovono per i gradini e protetti con le sinistre (mani)
oppongono gli scudi ai dardi, con le destre afferrano i tetti.
I dardanidi di fronte divellono le torri e tutte le coperture
delle case; con queste armi, poichè vedono la fine,
cercano di difendersi ormai in punto di morte,
e scagliano le travi dorate, alte decorazioni degli antichi
antenati; altri sguainate le spade hanno occupato la parte bassa
delle porte, le difendono in schiera serrata.
Gli animi rinfrancati accorrono alle case del re
e rianimano con l'aiuto gli eroi e danno vigoria ai vinti.
C'era un'entrata e porte segrete e passaggi
nei palazzi di Priamo, e ingressi abbandonati
dietro, dove abbastanza spesso l'infelice Andromaca, finchè
duravano i regni di Priamo, soleva recarsi, non accompagnata,
e conduceva Astianatte bambino dai suoceri e dal nonno.
Esco sulle cime del tetto più alto, da dove i miseri
Troiani scagliavano con forza gli inutili dardi.
Una torre che s'ergeva a picco, alzata dai tetti
fino alle stelle, si vedeva tutta Troia
e le solite navi dei Teucri e i campi achei,
attaccatala attorno col ferro, dove i piani superiori
offrivano giunture vacillanti, sradichiamo dalle alte
basi e spingiamo; essa scivolata subito produce un crollo
con fragore e cade largamente sopra le schiere
dei Danai. Ma altri subentrano, nè frattanto cessano pietre
nè alcun genere di proiettili.
Davanti allo stesso vestibolo e sulla prima soglia Pirro
esulta splendente di armi e di luce bronzea:
quale un serpente alla luce, nutrito di erbe maligne,
che il freddo inverno proteggeva furioso sotto terra,
ora, cambiate le pelli, nuovo e fresco di giovinezza,
alzato il petto avvolge i dorsi levigati
dritto al sole e vibra in bocca con le lingue trifide.
Insieme l'enorme Perifante e l'auriga dei cavalli d'Achille,
lo scudiero Automedonte, insieme tutta la gioventù sciria
accorrono alla casa e gettano fiamme ai tetti.
Lui tra i primi, afferrata una bipenne, spezza
le dure soglie e svelle dal cardine gli stipiti
di bronzo; e ormai tagliata la trave scavò i saldi
roveri ed aprì con largo squarcio un'enorme finestra.
La casa appare all'interno e si aprono i lunghi atri;
appaiono i penetrali di Priamo e degli antichi re,
e vedono armati stanti sul limitar della soglia.
Ma la casa interna è sconvolta da gemito e misero allarme
e di dentro i cavi palazzi ululano di lamenti
femminili; il grido ferisce le stelle dorate.
Allora le madri atterrite errano tra le immense stanze
e abbraciatele stringono gli stipiti e stampano baci.
Pirro incombe con la violenza del padre; nè sbarre nè le stesse
guardie valgono a resistere; crolla la porta per l'ariete
continuo, e gli stipiti cadono strappati dal cardine.
La strada vi fa a forza; i Danai spaccano gli ingressi ed entrati trucidano i primi e largamente empiono i luoghi di soldataglia.
Non così, quando, rotti gli argini, un torrente spumeggiante
è uscito superato col gorgo le opposte barriere,
si getta furente nei campi e per tutte le piane
trascina con le stalle gli armenti. Io stesso vidi furente
di strage Neottolemo e i fratelli Atridi sulla soglia,
vidi Ecuba e le cento nuore e Priamo tra gli altari
macchiando di sangue i fuochi che aveva consacrato.
Quei cinquanta talami, sì grande speranza di nipoti,
gli stipiti superbi d'oro barbarico e di spoglie
crollarono; i Danai occupano dove il fuoco arretra.


LA MORTE DEL RE PRIAMO
Forse chiederesti quali furono i destini di Priamo.
Come vide la situazione della città occupata e travolte
le soglie delle case e il nemico in mezzo ai penetrali,
l'anziano mette attorno alle spalle trmanti per l'età invano
le armi a lungo disusate e si cinge l'inutile spada
e si getta a morire tra i compatti nemici.
In mezzo al palazzo ci fu un enorme altare sotto il nudo asse
del cielo e vicino un antichissimo alloro
sovrastante l'altare e che abbracciava con lombra i penati.
Qui Ecuba e le figlie invano attorno agli altari,
rapide come colomne per nera tempesta,
sedevano strette e abbracciando le statue degli dei.
Ma come vide lo stesso Priamo, vestite le giovanili armi,
"Quale idea così pazza, miserrimo marito,
ti spinse a cingerti di queste armi? o dove accorri ?" disse.
"Non di tale aiuto nè di simili difensori il momento
ha bisogno; neppure, se ci fosse adesso lo stesso mio Ettore.
Ritirati qui finalmente; questo altare difenderà tutti,
o morirai insieme". Così espressasi a voce lo accolse
a sè e collocò l'anziano sul sacro seggio.
Ma ecco sfuggito dalla strage di Pirro Polite,
uno dei figli di Priamo, tra proiettili, tra nemici
fugge per i lunghi porticati e gira i vuoti atri,
ferito. Ardente, con spada ostile, Pirro lo
insegue, ormai già lo tiene, lo stringe con l'asta.
Quando infine giunse davanti agli occhi e ai volti dei genitori,
cadde e versò la vita con molto sangue.
Qui Priamo, sebbene ormai sia tenuto in mezzo alla morte,
tuttavia non si trattenne dalla parola nè risparmiò l'ira:
" Tu però, esclama, per il delitto e per tali imprese
gli dei, se c'è per il cielo pietà che curi tali cose
paghino degne ricompense e restituiscano premi
debiti, che facesti vedere alla mia presenza la rovina
del figlio e macchiasti con la morte i volti di padre.
Ma quell'Achille, da cui menti d'esser nato, non
fu tale verso il nemico Priamo; ma rispettò i diritti
e la lealtà del supplice e concesse per il sepolcro il corpo
esangue di Ettore e mi rimandò nei mei regni."
Così parlò l'anziano e senza spinta lanciò l'asta
inerte, che subito fu respinta dal bronzo roco
e invano penzolò dalla sommità dell'umbone dello scudo.
E a lui Pirro: "Riferirai dunque 'ste cose e andrai messaggero
al padre pelide. A lui ricordati di raccontare le tristi
mie imprese e del degenere Neottolemo.
Adesso muori.". Dicendo ciò trascinò lui tremante
agli stessi altari e mentre scivolava nel molto sangue del figlio
afferrò la chioma con la sinistra e con la destra alzò la spada
scintilante e la conficcò nel fianco fino all'elsa.
Questa la fine dei destini di Priamo, questa conclusione trasse
per sorte lui, che vedeva Troia incendiata e crollata
Pergamo, un tempo re superbo dell'Asia per tanti
popoli e regni. Il grande tronco giace sul lido,
un capo staccato dalle spalle e un corpo senza nome.

priamo
La morte di Priamo di Pietro Benvenuti


ELENA, LA DONNA FATALE
Ma un crudele orrore allora anzitutto mi circondò.
Stupii; subentrò l'immagine del caro genitore,
come vidi il coetaneo re esalante la vita
con crudele colpo, subentrò l'abbandonata Creusa
e la casa saccheggiata e la sorte del piccolo Iulo.
Osservo e controllo quale sia la forza attorno ame.
Tutti sfiniti se ne sono andati e con un salto han gettato
i corpi a terra o li han dati feriti alle fiamme.
Ormai dunque ero solo, quando intravedo la tindaride
occupante le soglie di Vesta e si nascondeva tacita
in posto segreto; gli incendi danno chiara luce
al viandante e porta gli occhi qua e là per tutto.
Ella temendo nemici i Teucri per Pergamo distrutta
e la vendetta dei Danai e le ire del coniuge tradito,
comune Erinni di Troia e della patria,
s'era nascosta e odiata sedeva agli altari.
Arsero fuochi nell'animo; subentra l'ira di vendicare
la patria morente e prendermi scellerate vendette.
"Naturalmente costei incolume vedrà Sparta e la paterna
Micene, e ottenuto il trionfo vi andrà regina?
E il matrimonio e la casa, i padri ed i figli vedrà,
accompagnata dalla folla degli Iliadi e dai Frigi servi?
Priamo sarà morto di spada? Troia arsa dal fuoco?
Il lido dardanio avra grondato tante volte di sangue?
No così. Infatti anche se mai c'è fama memorabile
in vendetta di donna, (nè) questa vittoria ottiene lode;
sarò lodato d'aver tuttavia ucciso un mostro e aver preso
vendette meritevoli, e gioverà aver riempito il cuore della vendicatrice?
aver saziato la fama e le ceneri dei miei."
Tali cose meditavo ed ero trascinato dalla mente infuriata,
quando mi si offrese, non sì chiara davanti agli occhi,
visibile e splendette nella notte di pura luce
la grande madre, manifestandosi dea quale e quanto bella
suole apparire ai celesti, e mi trattenne preso dalla destra
ed inoltre aggiunse queste parole con la rosea bocca:
"Figlio, quale sì grande dolore eccita ire indomite?
Perchè t'infurii? o dove sen'è andata per te la premura di noi?
Non guarderai prima dove abbia abbandonato il padre Anchise,
stanco per l'età, se la moglie Creusa sopravviva
e il piccolo Ascanio?Ma tutte le schiere graie dovunque li
attorniano e, se la mia cura non assistesse,
già le fiamme li avrebbero avvolti e la spada nemica uccisi.
Non ti sia odiosa la vista della tindaride
o incolpato Paride, l'inclemenza degli dei, proprio degli dei,
distrugge questi beni e abbatte Troia dalla cima.
Infatti guarda tutta la nube, che ora calata ti offusca
mentre scruti gli sguardi mortali e attorno umida
s'addensa, la toglierò; tu non temere gli ordini della madre
e non rifiutare di obbedire ai comandi:
qui, dove vedi gli edifici divelti e le pietre strappate
dalle pietre el il fumo ondeggiante con mista polvere,
Nettuno scuote le mura e le fondamenta smosse
dal grande tridente e sradica tutta la città dalle sedi.
Qui Giunone crudelissima occupa per prima le porte
scee e furente, cinta di spada, chiama la truppa alleata.
Già Pallade tritonia, osserva, ha occupato la sommità
delle rocche sfolgorante col nembo e la crudele Gorgone.
Lo stesso padre offre ai Danai coraggio e forze propizie,
lui stesso sprona gli dei contro le armi dardane.
Togliti, figlio, imponiti la fuga e la fine all'affanno;
mai m'allontanerò e ti assisterò sicuro sulla soglia paterma."
Aveva parlato e si nascose nelle opache ombre della notte.
Appaiono scene crudeli e le grandi potenze degli dei
avverse a Troia.
Allora davvero mi parve che Ilio sprofondasse
nel fuoco e che Troia fosse scossa alla base,
e come gli agricoltori insistono a gara sulla cima dei monti
a sradicare un antico orno stroncato col ferro
e con fitte bipenni, ella sempre minaccia
e fatta tremare, sconvolta la cima, ondeggia la chioma,
finchè a poco a poco vinta dalle ferite alla fine
gemette e divelta portò rovina tra i gioghi.
Discendo e guidandomi un dio mi libero tra fiamme
e nemici: i dardi fan posto e le fiamme si ritirano.


ALLA CASA DI ANCHISE
E quando si giunse alle soglie e agli antichi palazzi
della casa paterna, il padre, che anzitutto volevo portare
sugli alti monti e ricercavo anzitutto,
rifiuta, abbattuta Troia, di contunuare la vita
e patire l'esilio. "Oh voi, per i quali il sangue dell'età è
integro, dice, e le solide forze stanno nella loro vitalità,
voi organizzate la fuga.
Se i celesti avessero voluto che continuassi la vita,
mi avrebbero conservato queste sedi. Abbastanza e insieme troppo
abbiam visto eccidi e sopravvivemmo alla città occupata.
Così, oh così dopo aver salutato il corpo deposto, partite.
Io troverò la morte di mia mano; il nemico avrà compassione
e chiederà le spoglie. E' facile la rinuncia del sepolcro.
Già da tempo odiato dagli dei trascorro pure
inutili anni, da quando il padre degli dei e re degli uomini
mi sfiorò coi venti del fulmine e mi toccò col fuoco".
S'ostinava ricordando tali cose e restava fermo.
Noi davanti sciolti in lacrime, e mia moglie Creusa
e Ascaniao e tutta la casa, che il padre non volesse
distruggere tutto e darsi a un fato opprimente.
Rifiuta e s'attacca al proposito e alle sedi stesse.
Di nuovo mi butto nell'armi e infelicissimo voglio la morte.
Infatti quale decisione o quale sorte era data?
" O padre, sperasti forse che io potessi muovere un passo,
abbandonato te, e sì grave mostruosità cadde dalla bocca paterna?
Se agli dei piace che nulla sia lasciato da sì grande città,
e ciò dura nel cuore e ti piace aggiungere a Troia che perirà
te ed i tuoi, la porta si spalanca a tale rovina,
ormai si presenterà Pirro dal molto sangue di Priamo, che sgozza
il figlio davanti agli occhi del padre, il padre presso gli altari.
Era per questo, grande madre, che mi strappi tra armi e
tra fiamme, perchè veda il nemico in mezzo ai penetrali e
perchè (veda) Ascanio e mio padre e Creusa vicino
sacrificati uno nel sangue dell'altro?
Le armi, uomini, portate armi; l'ultima luce per i vinti chiama.
datemi ai Danai; lasciate che riveda i combattimenti
iniziati. Certamente non tutti moriremo oggi invendicati."
Allora di nuovo mi cingo della spada e adattandola inserivo
la sinistra allo scudo e mi portavo fuori di casa.
Ma ecco la sposa sulla soglia abbracciandomi i piedi
s'attaccava e tendeva al padre il piccolo Iulo:
" Se parti per morire, prendi anche noi con te per ogni caso;
se invece sperimentatolo, poni qualche speranza nelle armi indossate,
assicura prima questa casa. A chi il piccolo Iulo,
a chi il padre ed io un tempo detta tua sposa sono lasciata?"
Così gridando riempiva di pianto tutta la casa,
quando improvviso si mostra un prodigio, mirabile a dirsi.
infatti tra le mani e i volti dei tristissimi genitori
ecco il leggero ciuffo di Iulo dalla cima della testa sembrò
spandere una luce e una innocua fiamma, morbida al tatto
lambire i capelli ed appagarsi intorno alle tempia.
Noi spaventati dalla paura trepidiamo e scuotiamo la chioma
bruciante e spegnere con acque i santi fuochi.
Ma il padre Anchise lieto alzò gli occhi alle stelle
e tese le palme al cielo con una preghiera:
"Giove onnopotente, se ti pieghi a qualche supplica,
guardaci, solo questo, e se meritiamo per la virtù,
da' poi aiuto, padre, e conferma questi presagi".
Aveva appena parlato il vecchio e il lato destro
tuonò 'dimprovviso fragore, e una stella caduta dal cielo
recando una fiamma tra le ombre corse con intensa luce.
La vediamo luminosa sopra la sommità del tetto
nascondersi cadendo nella selva idea segnalando le vie;
poi per lungo tratto il solco
dà luce e vastamente attorno i luoghi fumano di zolfo.
Allora davvero il padre vinto si alza verso il cielo
e parla agli dei e adora la santa stella.
"Nessun indugio mai più; vi seguo e dove guidate ci sono,
o dei patrii; salvate la casa, salvate il nipote.
questo presagio è vostro e Troia sotto la vostra protezione.
Vengo senz'altro, figlio, nè rifiuto di venirti compagno."
Egli aveva parlato e già per le mura si sente più chiaro
il fuoco, e più vicino gli incendi lanciano vampe.
"Su via, caro padre, mettiti al nostro collo;
io mi sottoporrò con le spalle nè questa fatica mi peserà;
Comunque accadranno le cose, uno e comune il pericolo,
unica salvezza ci sarà per entrambi. Mi sia compagno il piccolo
Iulo, e dietro la sposa segua le orme:
Voi, servi, osservate coi vostri cuori quello che io dica.
C'è, usciti dalla città un'altura e un tempio antico
di Cerere abbandonata, e vicino un vecchio cipresso
serbato per molti anni dalla religiosità dei padri;
arriveremo da punti diversi a quest'unico luogo.
Tu, padre, prendi in mano le cose sacre ed i patrii penati;
è sacrilegio che io uscito da sì grande guerra e strage
recente li tocchi, finchè con fiume vivo mi
sarò lavato."
Detto questo, mi ricopro sopra le larghe spalle ed
i colli curvati d'una pelle di biondo leone,
e mi sottopongo al carico; il piccolo Iulo si attaccò
alla destra e segue il padre con passi non uguali;
dietro viene la sposa. Ci portiamo per luoghi oscuri,
e me, che nessuna arma scagliata poco prima impauriva,
nè i Grai riuniti co schiera avversa,
ora tutti i soffi mi atterriscono; ogni suono mi agita
perplesso ed ugualmente titubante per il compagno ed il carico.


CREUSA SCOMPARE
E ormai m'avvicinavo alle porte e mi sembrava d'aver superato
ogni via, quando d'improvviso sembrò presentarsi aglle orecchie
un fitto rumore di piedi ed il padre scrutando per il buio
esclama: "Figlio, fuggi, figlio; s'avvicinano.
Scorgo fiammeggianti scudi e bronzi brillanti."
Allora non so che divinità malvagiamente amica strappò
la mente confusa a me trepidante. E mentre di corsa
seguo luoghi impervi ed esco dalla posizione nota delle vie,
ahimè la sposa Creusa forse strappata da misera sorte
si fermò, forse deviò dalla via o caduta si fermò,
è (cosa) incerta; nè poi fu restituita ai nostri occhi.
Nè perdutala la osservai o feci attenzione prima
che giungessimo all'altura e alla sede santa dell'antica
Cerere: qui finalmentte, raccolti tutti, lei sola
mancò e deluse i compagni e il figlio e il marito.
Chi non accusai, pazzo, degli dei e degli uomini,
o cosa vidi di più crudele in una città distrutta?
Ascanio e il padre Anchise e i penati teucri
li affido ai compagni e li nascondo nella valle profonda;
io ritorno in città e son cinto di splendenti armi.
E' deciso di rinnovare ogni vicenda e ritornare per tutta
Troia ed offrire di nuovo la vita ai pericoli.
Al principio ripercorro le mura e le oscure soglie della porta
donde avevo preso il cammino e seguo a ritroso le orme
percorse nella notte e scruto con la luce (della notte):
ovunque spavento pel cuore, insieme gli stessi silenzi atterriscono.
Poi mi riporto a casa, se mai vi avesse rivolto, se mai,
il passo: v'eran penetrati i Danai e tenevan tutta la casa.
D'improvviso il fuoco vorace col vento si avvolge
ai tetti, le fiamme stravincono, la vampa infuria per l'aria.
Avanzo e rivedo il palazzo e la rocca di Priamo:
ed ormai nei vasti porticati nell'asilo di Giunone
guardie scelte Fenice ed il crudele Ulisse
curavano il bottino. Qui da ogni parte si ammucchiano
i tesori troiani saccheggiati, bruciati i penetrali,
mense degli dei, vasi massicci d'oro e vestiario
catturato. Bambini e madri impaurite stanno attorno
in lunga fila.
Anzi osando anche lanciare grida per l'ombra
riempii le vie di richiami, e triste invano gemendo
più e più volte chiamai Creusa.
Cercando e correndo senza fine nelle case della città
mi apparve davanti agli occhi il fantasma e l'ombra
della stessa Creusa e la figura maggiore di quella nota.
Stupii, i capelli si drizzarono e la voce s'attaccò alla gola.
Allora così parlava e alleviava le pene con qieste parole:
" Che serve abbandonarsi sì tanto a un pazzesco dolore,
o dolce marito? Queste cose non accadono senza il volere
degli dei; nè ti è lecito portare di qui Creusa come compagna,
o lo permette lui, i re del celeste Olimpo.
Lunghi gli esili per te e la vasta distesa del mare da solcare,
e giungerai alla terra Esperia, dove il Tevere
tra campi fecondi di semi scorre con lieve corso.
Lì sorti propizie e regno e sposa regina,
fatti per te; scaccia le lacrime per l'amata Creusa.
Io non vedrò le superbe regge dei Mirmidoni o dei Dolopio andrò a servire i Grai,
io nuora di Dardano e della divina Venere;
ma la grande genitrice degli dei mi tiene su questi lidi.
Ormai addio serba l'amore del figlio comune".
Come disse queste frasi, lasciò me che piangevo e volevo
dire molte cose, e e scomparve tra l'arie leggere.
Tre volte tentai allora stringerle le braccia al collo;
tre volte l'immagine invano afferrata sfuggì dalle mani,
uguale ai venti leggeri e molto simile al sonno fugace.
Cosi finalmente, consumata la notte, rivedo i compagni.
E qui trovo meravigliandomi che un enorme numero
di nuovi compagni è affluito,sia madri che mariti,
gioventù raccolta per l'esilio, miserevole volgo.
Da ogni parte convennero pronti nei cuori e nei mezzi
in qualunque terra volessi condurli per mare.
Ormai Lucifero sorgeva dai gioghi del sommo Ida
e guidava il giorno, e i Danai tenevano assediate
le soglie delle porte, nè alcuna speranza d'aiuto era data.
Mi rassegnai e sollevato il padre mi diressi sui monti.

creusa
Enea e l'ombra di Creusa

AUDIO 1-437

AUDIO 438-802

Eugenio Caruso -09 -03 - 2021



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