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Virgilio, Eneide, Libro VIII. Alleanza con Re Evandro.

Quello che tu chiami schiavo pensa che è nato come te, gode dello stesso cielo, respira la stessa aria, vive e muore, come viviamo e moriamo noi. Puoi vederlo libero cittadino ed egli può vederti schiavo.
Seneca

INTRODUZIONE

L'Eneide (in latino: Aeneis) è un poema epico della cultura latina scritto da Publio Virgilio Marone tra il 29 a.C. e il 19 a.C. Narra la leggendaria storia dell'eroe troiano Enea (figlio di Anchise e della dea Venere) che riuscì a fuggire dopo la caduta della città di Troia, e che viaggiò per il Mediterraneo fino ad approdare nel Lazio, diventando il progenitore del popolo romano. Alla morte di Virgilio il poema, scritto in esametri dattilici e composto da dodici libri per un totale di 9.896 esametri, rimase privo degli ultimi ritocchi e revisioni dell'autore, testimoniate da 58 esametri incompleti; perciò nel suo testamento il poeta fece richiesta di farlo bruciare, nel caso in cui non fosse riuscito a completarlo, ma gli amici Vario Rufo e Plozio Tucca, non rispettando le volontà del defunto, salvaguardarono il manoscritto dell'opera e, successivamente, l'imperatore Ottaviano Augusto ordinò di pubblicarlo così com'era stato lasciato. I primi sei libri raccontano la storia del viaggio di Enea da Troia all'Italia, mentre la seconda parte del poema narra la guerra, dall'esito vittorioso, dei troiani - alleati con i Liguri, con alcuni gruppi locali di Etruschi e con i Greci provenienti dall'Arcadia - contro i Rutuli, i Latini e le popolazioni italiche in loro appoggio, tra cui i Volsci e altri Etruschi; sotto il nome di Latini finiranno per essere conosciuti in seguito Enea e i suoi seguaci. Enea è una figura già presente nelle leggende e nella mitologia greca e romana, e compare spesso anche nell'Iliade; Virgilio mise insieme i singoli e sparsi racconti dei viaggi di Enea, la sua vaga associazione con la fondazione di Roma e soprattutto un personaggio dalle caratteristiche non ben definite tranne una grande devozione (pietas in latino), e ne trasse un avvincente e convincente "mito della fondazione", oltre a un'epica nazionale che allo stesso tempo legava Roma ai miti omerici, glorificava i valori romani tradizionali e legittimava la dinastia giulio-claudia come discendente dei fondatori comuni, eroi e dei, di Roma e di Troia.

Attraverso quest'opera, Virglio ha reso celebri e trasmesso ai posteri numerosissime storie e racconti mitologici della classicità greca e romana. Molti racconti sono tipici della tragedia greca; "fortunatamente" per gli antichi greci e romani l'uccisione di mogli, amanti, figli, mariti, come stupri, incesti e altre violenze sessuali erano dovute all'intervento di qualche dio, che, spesso, funge da artefice e da giudice. Giova anche notare che, dall'antichità classsica, ai giorni nostri i massimi artisti si sono cimentati, con dipinti e sculture, nel raccontare e farci godere con grande intensità i racconti della mitologia tramandatici da Virgilio. Anche Dante, nelle sue metafore, ha attinto molto da lui la cui opera conosceva molto bene, a ulteriore dimostrazione dell'immensa cultura del poeta fiorentino. Giova anche notare che, allora, non era facile trovare un manoscritto dell'Eneide: se ne potevano trovare solo nelle grandi abbazie e presso i palazzi di famiglie blasonate.

LIBRO VIII

RIASSUNTO

Mentre guarda le truppe nemiche che si radunano sulla sponda opposta del Tevere, Enea cade addormentato e in sogno gli appare il dio del fiume Tiberino che, dopo avergli annunciato che lì suo figlio Ascanio fonderà una città di nome Alba, gli suggerisce di allearsi con Evandro, principe di una cittadina del Palatino. Il giorno successivo Enea risale il fiume ed entra nella città. Qui il figlio di Evandro, Pallante, lo riceve benevolmente. Enea, parlando al re, gli ricorda il comune antenato dei loro due popoli Atlante, e gli chiede aiuto. Evandro risponde che Tarconte, capo di tutti gli Etruschi, ha riunito i reggitori delle varie città, coi loro eserciti, per condurre una guerra proprio contro Turno e Mezenzio, ma affiderebbe volentieri il comando delle operazioni a Enea. Il capo troiano accetta e si dirige immediatamente verso "le spiagge del re etrusco"; Tarconte lo riceve nel proprio "campo" federale che si trova presso il bosco del dio Silvano. In quei pressi Venere consegna a Enea armi divine e soprattutto uno scudo opera di Vulcano, su cui sono rappresentate scene della futura storia di Roma, dalla nascita di Romolo e Remo al trionfo di Augusto dopo la vittoria di Azio.

TESTO

GLI INIZI DELLA GUERRA (1-30)
Come Turno innalzò dalla rocca il segnale
di guerra e i corni con rauco canto rimbombarono,
e come frustò i forti cavalli e come agitò le armi,
subito gli animi si scossero, insieme tutto il Lazio
con trepido tumulto giura e la fiera gioventù 5
infuria. Per primi i capi Messapo e Ufente
e il disprezzatore degli dei Mezemzio da ogni parte
radunano le truppe e svuotano di coltivatori i vasti campi.
Si manda Venulo alla città del grande Diomede,
che chieda aiuto, informi che i Teucri s'nsediano nel Lazio, 10
Enea è sbarcato con la flotta e porta i vinti
Penati e si dice chiesto dai fati come re,
che molri popoli s'uniscono all'eroe dardanio
e il nome si sparge a vasto raggio nel Lazio:
che cosa combini con tali inizi, quale evento di scontro 15
voglia, se la fortuna lo segue, appare più chiaramente
a lui stesso (Diomede) che al re Turno ed al re Latino.
Così per il Lazio. Ma l'eroe laomedonzio vedendo
tutto questo è agitato dalla grande tempesta di affanni
e divide la veloce mente ora qua ora là, 20
lo strappa in diverse parti e dappertutto si volge,
così la luce tremula nei bronzei catini d'acqua
quando rifranto dal sole o dall'immagine della raggiante luna
volteggia intorno per tutti i luoghi, e già si erge
all'aria e ferisce i soffitti della sommità del tetto. 25
Era notte e un profondo sopore per tutte le terre possedeva
i viventi stanchi, la specie degli uccelli e degli armenti,
quando il padre Enea sulla riva e sotto la volta del gelido
etere, turbato in cuore per la triste guerra,
si sdraiò e concesse un tardo riposo alle membra. 30

IL DIO TEVERE (31-85)
A lui lo stesso dio del luogo, il Tevere dal bel corso,
sembrò alzarsi in mezzo ai rami di pioppo
e lo velava di azzurro mantello il sottile lino
e la canna ombrosa (ne) copriva i capelli,
così parlava e con queste parole toglieva gli affanni: 35
"O nato da stirpe di dei, che ci riporti dai nemici la città
troiana e conservi eterna Pergamo,
atteso dal suolo di Laurento e dai campi latini,
tu qui hai sicura la casa, sicuri, non scoraggiarti, i penati.
Non atterrirti alle minacce di guerra; tutto il rancore e le ire 40
degli dei cessarono.
Ormai per te, non credere che il sonno crei questi fantasmi,
trovata sotto le elci litoranee un'enorme scrofa
giacerà, dopo aver partorito trenta piccoli,
bianca, sdraiata al suolo, i piccoli attorno ai capezzoli, bianchi. 45
[questo sarà il posto della città, quella la sicura quiete delle fatiche,]
Da questo, ritornando tre volte dieci anni, Ascanio
fonderà la città dal nome famoso: Alba.
Non canto incertezze. Ora con che piano tu riesca vincitore
su quanto incombe, ascolta, spiegherò in breve. 50
In questi lidi gli Arcadi, stirpe originata da Pallante,
che come compagni il re Evandro, che neguirono le insegne,
scelsero il luogo e posero sui monti la città
Pallanteo dal nome del proavo Pallante.
Questi continuamente muovon guerra col popolo latino; 55
costoro aggiungili come soci agli accampamenti e stringi alleanze.
Io stesso ti guiderò tra le rive e il giusto corso,
perché sospinto tu superi coi remi la corrrente contraria.
Su alzati, figlio di dea e mentre cadono i primi astri,
offri a Giunone preghiere ritualmente, vinci con voti 60
supplici ira e minacce. Da vincitore mi renderai
onore. Io sono quello che vedi stringer le rive
con piena corrente e tagliare le ricche coltivazioni,
l'azzurro Tevere, fiume graditissimo al cielo.
Qui ho la mia grande dimora, tra eccelse città esce la fonte." 65
Disse, poi il fiume si nascose nel profondo letto
volgendosi ai fondali; la notte e il sonno lasciò Enea.
Si alza guardando le luci nascenti del sole etereo
ritualmente alza dal fiume l'onda con le cave palme
ed effonde al cielo tali parole: 70
"Ninfe, ninfe di Laurento, donde i fiumi hanno origine,
e tu, o Tevere padre col tuo sacro corso,
accogliete Enea e allontanatelo finalmente dai pericoli.
Con qualunque fonte i laghi trattengano te che commiseri
i nostri mali, da qualunque suolo tu esca bellissimo, 75
sempre sarai onorato col mio onore, sempre con doni
come fiume cornigero sovrano delle acque esperidi.
Oh assistimi solo e più da vicino conferma la tua protezione."
Così parla e sceglie dalla flotta due biremi
e le fornisce di remeggio, insieme equipaggia i compagni di armi. 80
Ecco dunque un prodigio impovviso e meraviglioso per gli occhi,
una candida scrofa
si sdraiò nella selva e si vede sul verde lido;
orbene il pio Enea a te, Giunone massima, a te offrendo un sacrificio
la immola e con la prole la dispone presso l'altare. 85


IL VIAGGIO SUL TEVERE (86-101)
Quella notte, per quanto è lunga, calmò la gonfia corrente
e rifluendo l'onda tacita così si arrestò,
che stese la superficie alle acque a guisa di mite stagno
e di placida palude, che mancasse al remo il contrasto.
Quindi accelerano la rotta iniziata con lieto rumore: 90
l'unto abete scorre sui guadi; si meraviglian le onde,
si meraviglia il bosco non abituato che nella corrente
navighino scudi brillanti da lontano, e carene dipinte.
Quelli faticano di remeggio giorno e notte
superano i lunghi meandri, sono protetti da vari 95
alberi, e solcano sulla placida superficie verdi selve.
Il sole infuocato aveva scalato metà giro del cielo
quando vedono da lontano le mura e la rocca e sparsi
i tetti delle case, che ora la potenza romana ha eguagliato
al cielo, allora Evandro aveva povere cose. 100
Più rapidamente voltan le prore e s'avvicinano alla città.


PALLANTE, IL PRIMO DEI GIOVANI (102-183)
Per caso in quel giorno il re arcade rendeva solenne
onore al grande anfitrioniade e agli dei
nel bosco davanti alla città. Insieme con lui il figlio,
insieme tutti i primi dei giovani e il povero senato 105
offrivano incenso, tirpido sangue fumava presso gli altari.
Come videro scorrere alte navi tra l'ombroso
bosco e (uomini) taciti sforzarsi sui remi,
si apaventano alla vista e tutti subito, lasciate
le mense si alzano. Pallante audace vieta che essi 110
interrompano i sacri riti e presa la lancia, lui solo
vola incontro e lontano dall'altura:"Giovani, quale motivo
costrinse a tentare ignote vie? Dove andate?" disse.
"quale stirpe? da quale patria? Portate pace o armi?"
Allora il padre Enea dall'alta poppa così parla 115
e tende con la mano un ramo del pacifero olivo:
"Tu vedi Troiani ed armi nemiche ai Latini,
ma essi ci fecero profughi con guerra superba.
Cerchiamo Evandro. Riferite questo e dite che capi
scelti della Dardania son giunti a chiedere armi alleate" 120
Stupì colpito da tanto nome Pallante:
"Avanza, chiunque tu sia" disse " parla al cospetto
del padre ed entra ospite tra i nostri penati."
L'accolse con la mano e abbracciatolo stringe la destra;
avanzati entrano nel bosco e lasciano il fiume. 125
Allora Enea parla al re con parole amiche:
"Ottimo dei Graiugeni, cui la Fortuna volle che io
supplice mi rivolgessi e tendessi rami coronate di benda,
certamente non temetti perché guida di Danai ed Arcade
e perché tu fossi unito per stirpe ai fratelli Atridi; 130
ma il mio coraggio, i santi oracoli degli dei
e i padri parenti, la tua fama diffusa nelle terre,
unirono me a te e mi resero disponibile ai fati.
Dardano, primo padre e fondatore della città iliaca,
nato da Elettra Atlantide, come raccontano i Grai, 135
e portata fra i Teucri; Elettra la generò il massimo
Atlante, che sostiene sulle spalle i mondi eterei.
A voi e padre Mercurio, che la candida Maia,
concepitolo, partorì sulla gelida cima di Cillene;
Ma Maia, sentite se crediamo in qualcosa, la genera 140
Atlante, lo stesso Atlante che regge le stelle del cielo.
Così la stirpe di entrambi si scinde da un unico sangue.
Confidando su questo, non decisi messaggeri né con artificio
primi tentativi con te; io stesso esposi me, me
e la mia persona, supplice venni alle tue soglie. 145
E' la stessa gente Daunia che insegue te con guerra
crudele; se cacciassero noi, credono che nulla mancherebbe
a metter sotto i loro gioghi tutta l'Esperia completamente,
e il mare che hanno sopra e che scorre sotto.
Accogli e dà alleanza. Noi abbiamo forti petti 150
per la guerra, abbiamo coraggio e gioventù provata dai fatti."
Enea aveva parlato. Egli osservava con lo sguardo il volto
e gli occhi del parlatore e tutta la persona.
Poi così brevemente risponde: " Fortissimo fra i Teucri, come
volentieri accolgo e riconosco te. Come ricordo le parole 155
del padre, la voce e il volto del grande Anchise.
Ricordo proprio Priamo Laomedonziade che visitava
regni della sorella Esione e dirigendosi a Salamina
subito dopo visitava i gelidi territori d'Arcadia.
Allora la prima giovinezza mi rivestiva le guance di floridezza, 160
e ammiravo i capi teucri, ammirravo anche lo stesso
Laomenziade; ma su tutti più alto avanzava
Anchise. In me il cuore ardeva di giovanile amore
nel conversare con l'eroe e congiungere destra a destra;
l'avvicinai e bramoso lo condussi sotto le mura di Feneo. 165
Egli partendo mi diede una stupenda faretra e freccie licie
e una clamide intessuta d'oro,
due briglie d'oro che adesso ha il mio Pallante.
Dunque la destra che chiedete per me è unita da patto,
e appena la luce di domani ritornerà sulle terre, 170
vi congederò felici per l'aiuto e vi doterò di mezzi.
Intanto questi riti annuali, poiché veniste come amici,
che sarebbe sacrilego rimandare, celebrateli con noi
partecipando e già ora abituatevi alle mense di alleati."
Come questo fu detto, comanda di portare vivande e 175
le coppe tolte e pone lui stesso gli eroi su erboso sedile,
accoglie Enea, il primo, su cuscino e pelle di
villoso leone e lo invita su trono di acero.
Poi giovani scelti ed il sacerdote dell'altare portano a gara
le viscere di tori arrostite, accumulano in canestri 180
i doni della laboriosa Cerere, e servono Bacco.
Enea e insieme la gioventù troiana si ciba
della intera schiena di un bue e delle sacre viscere.


ERCOLE E CACO (184-279)
Dopo che fu tolta la fame e saziata la voglia di mangiare,
il re Evandro disse: "Questi solenni riti per noi, 185
queste mense di tradizione, questo altare di sì gran divinità
non l'impose una vuota superstizione e ignara degli dei
antichi: ospite troiano, salvati da crudeli pericoli
facciamo e rinnoviamo onori meritati.
Prima osserva questa rupe sospesa su rocce, 190
come lontano le masse spaccate e la casa del monte
sta deserta e i massi provocarono enorme rovina.
Qui ci fu la spelonca, separata da vasta cavità,
che il crudele semiuomo Caco teneva
inaccessibile ai raggi del sole; e sempre la terra era tiepida
di nuova strage, ai superbi battenti pendevano
pallidi volti di uomini con triste marciume.
A questo mostro Vulcano era padre. Vomitando neri
fuochi dalla sua bocca si muoveva con grande mole.
E finalmente il tempo portò a noi che lo desideravamo 200
l'aiuto e l'arrivo del dio. Infatti il massimo vendicatore
Alcide (Ercole), superbo per l'uccisione e le spoglie del triplice
Gerione, arrivava e spingeva di qui, vincitore, enormi
tori, e i buoi occupavano la valle ed il fiume.
Ma l'istinto bestiale di Caco ladro, perché qualcosa 205
non fosse stato inosato o intentato o di delitto o di inganno,
rubò dalle stalle quattro tori dal corpo superbo,
e altrettante giovenche d'aspetto straordinario.
E questi, perché non vi fossero delle impronte per gli zoccoli dritti,
tirati dalla spelonca per la coda e girate le tracce dei percorsi 210
il ladrone li nascondeva sotto buia rupe;
per chi cercava nessun segno portava alla spelonca.
Intanto, quando ormai l'Anfitrionisde muoveva
dalle stalle gli armenti sazi e preparava la partenza,
i buoi muggivano nel partire e tutto il bosco si riempiva 215
di lamenti e i colli si abbandonavano con rimbombo.
Una delle vacche rispose al richiamo e sotto il vasto antro
muggì e tradì la speranza di Caco.
Allora però il dolore era arso di nera bile per la rabbia
a Alcide: strappa con la mano le armi e una quercia 220
pesante di nodi e di corsa si dirige ai pendii dell'aereo monte,
allora per la prima volta i nostri videro Caco che temeva
e turbato negli occhi; subito fugge più forte di Euro
e cerca la spelonca, ai piedi il timore aggiunse le ali.
Come si chiuse e rotte le catene abbassò un masso 225
enorme, che pendeva grazie al ferro e l'arte paterna,
con una sbarrà fortificò i battenti rafforzati,
ecco il Tirinzio furente nel cuore era là e spiando
ogni accesso portava gli sguardi qua e là,
fremendo coi denti. Tre volte perlustra, acceso d'ira, 230
tutto il monte Aventino, tre volte invano tenta
le soglie rocciose, trevolte, stanco, si sedette nella valle.
Un'acuta roccia si alzava, ovunque su pietre scoscese,
sorgendo sul dorso della spelonca, altissima a vedersi,
dimora adatta ai nidi di uccelli rapaci. 235
Questa, come dal giogo pendeva china a sinistra sul fiume,
da destra spingendosi contro la scosse e la divelse strappata
dalla profondità delle radici, poi subito la spinse;
a quellla spinta rimbomba l'altissimo cielo,
sussultan le rive e rifluisce atterrito il torrente. 240
Ma la spelonca e l'immensa reggia di Caco apparve
scoperta, e le ombrose caverne si aprirono completamente,
non diversamente se per una qualche forza la terra spaccandosi
completamente aprisse le sedi infernali e schiudesse i pallide
regni, odiosi agli dei, e si vedesse dall'alto l'immenso 245
baratro, trepiderebbero i Mani per la luce immessa.
Quindi sorpreso improvvisamente dalla luce inaspettata
e chiuso nella cava roccia e ruggendo insolitamente
dall'alto Alcide lo incalza di colpi, chiama tutte
e armi sovrasta con rami e massi enormi. 250
Quello però, infatti non c'è più alcuna fuga del pericolo,
dalle fauci vomita un enorme, mirabile a dirsi,
fumo ed avvolge la casa di cieca caligine
togliendo la vista agli occhi, accumula sotto l'antro
una fumosa notte, mescolate al fuoco le tenebre. 255
Non sopportò in cuore l'Alcide, lui stesso si lanciò nel fuoco
con un salto a capofitto, dove il maggior fumo
spinge l'onda e l'ingente spelonca bolle di nera nebbia.
Qui nelle tenebre afferra Caco che vomita vani incendi
avvinghiandolo in un nodo e stringendo lo soffoca 260
gli occhi schizzati e la gola secca di sangue.
Subito si apre la nera casa, divelti i battenti,
le vacche strappate e le rapine negate con giuramento
si mostrano al cielo, per i piedi l'orribile cadavere
viene tirato. Non posson saziarsi i cuori vedendo 265
i terribili occhi, il volto e il petto villoso di setole
della semibestia ed i fuochi spenti nelle fauci.
Da allora fu celebrata la festa e lieti i discendenti
conservarono il giorno, e per primo il promotore Potizio,
e la casa Pinaria custode del culto di Ercole 270
fondò questo altare nel bosco, che da noi sempre sarà
detta massima e che sempre sarà massima.
Perciò orsù, giovani, cingete le chiome di fronda
nel dovere di tanti ringraziamenti e porgete coppe nelle destre,
invocate il comune dio e volentieri date vini." 275
Aveva detto, il pioppo bicolore con l'ombra erculea
velò le chiome e pendette intrecciato di foglie,
e la coppa sacra riempì. Più velocemente tutti
lieti libano sulla mensa e pregano gli dei.

ercole
ERCOLE E CACO di B. Bandinelli

CANTI IN ONORE DI ERCOLE (280-306)
Partito intanto l'Olimpo, Vespero si fa più vicino. 280
Ormai i sacerdoti e per primo Potizio procedevano
cinti di pelli secondo tradizione, e portavano fiaccole.
Preparano banchetti e portano i graditi doni
della seconda mensa e ricoprono gli altari di piatti ricolmi.
Allora si presentano i Salii cinte le tempia di rami 285
di pioppo per i canti attorno agli altari accesi,
questo il coro dei giovani, quello degli anziani, che col canto
ricordano le lodi di Ercole e le azioni: come stringendo
due serpi li strozzò con la mano, primi mostri della matrigna,
come in guerra lui stesso distrusse famose città, 290
Troia ed Ecalia, come patì milla dure fatiche
sotto il re Euristeo per i fati della ingiusta Giunone.
" Tu, invincibile, i nubigeni bimembri
Ileo e Folo immoli con la mano, tu (ancora) i mostri
cretesi e sotto la rupe il gigantesco leone di Nemea. 295
Per te tremarono i laghi stigi, per te (pure) il portinaio dell'Orco
sdraiato nell'antro cruento sopra le ossa rosicchiate;
te nessun mostro, lo stesso gigantesco Tifeo,
tenendo le armi , non ti atterrì; non circondò te privo
di piani il serpente lerneo con la folla di teste. 300
Salve, vera prole di Giove, aggiunto onore agli dei,
propizio con piede benigno visita noi ed i tui riti."
Così celebrano coi canti; oltre a tutto aggiungono
la spelonca di Caco, lui che esalava (di) fuochi.
Risuona di strepito tutto il bosco ed i colli sussultano. 305


L'ANTICO LAZIO (306-369)
Celebrati dunque i riti sacri, tutti si recano
in città. Avanzava il re, coperto di anni,
e procedendo teneva vicino Enea, come compagno,
e il figlio e alleviava la via con vario parlare.
Enea ammira e porta i facili occhi attorno 310
a tutto, è colpito dai luoghi e lieto chiede
cosa per cosa e ascolta i ricordi degli eroi precedenti.
Allora il re Evandro, fondatore della rocca romana:
"Questi boschi li occupavano Fauni e Ninfe indigene
popolo di eroi nato dai tronchi e dal duro rovere, 315
essi non avevano né tradizione né culto, né sapevano
aggiogare tori o raccogliere beni o conservare il prodotto,
ma rami ed aspra caccia li forniva di vitto.
Per primo venne Saturno dall'etereo Olimpo
fuggendo le armi di Giove, esule, perduti i poteri. 320
Egli raccolse la razza indocile e dispersa sugli
alti monti e diede leggi, preferì che si chiamasse
Lazio, poiché sicuro fu latitante in queste terre.
D'oro furon le epoche, che tramandano, sotto quel re:
così in placida pace governava i popoli, 325
fino a quando succedette poco a poco una età deteriore
e offuscata e la rabbia della guerra e l'amor di possedere.
Allora giunsero un manipolo ausonio e le genti sicane,
da cui la terra saturnia prese nome;
allora (vennero) re e l'aspro Tevere dal corpo gigantesco 330
da cui poi (noi) Itali chiamammo il fiume col nome
di Tevere; perse l'antico vero nome di Albula.
Me, cacciato dalla patria e che seguivo i confini del mare,
la Fortuna onnipotente ed il fato ineluttabile
mi posero in questi luoghi, e (mi) spinsero i tremendi 335
moniti della madre, la ninfa Carmente e Apollo, dio promotore."
Appena detto questo, avanzantosi da lì mostra sia l'altare
sia la porta che i Romani chiamano col nome
di Carmentale, antico onore della ninfa Carmenta
indovina profetica, che per prima profetò i futuri 340
grandi Eneadi e il nobile Pallanteo.
Da qui mostra l'immenso bosco, che il forte Romolo rese
asilo ed il Lupercale sotto la gelida rupe secondo
il costume parrasio detto di Pan liceo.
Mostra pure la selva del sacro Argileto, 345
attesta il luogo e racconta la morte dell'ospite Argo.
Da qui lo conduce alla sede tarpeia e al Cmpidoglio,
ora d'oro, un tempo irto di rovi selvaggi.
Già allora la terribile venerazione del luogo atterriva
i paurosi contadini, già allora tremavano per la selva e la roccia. 350
"Questo bosco, disse, colle dalla cima frondosa,
(quale dio è incerto) l'abita un dio; gli Arcadi credono
aver visto lo stesso Giove, mentre spesso scuoteva
con la destra egida nereggiante e radunava i nembi.
Inoltre queste due città dalla mura abbattute, 355
tu vedi i resti e i ricordi degli antichi eroi.
Questa la fondò il padre Giano, questa rocca Saturno;
questa ebbe nome Gianicolo, quella Saturnia."
Con tali discorsi tra loro s'avvicinavano ai tetti
del povero Evandro, qua e là vedevano armenti 360
muggire nel foro romani e nelle ricche Carine.
Come si giunse al palazzo, " Queste soglie, disse, le passò
Alcide (primo nome di Ercole) vincitore, questa reggia l'accolse.
Osa, ospite, disprezzare le ricchezze e renditi tu pure
degno del dio, vieni non superbo con le cose povere." 365
Disse e condusse il grande Enea sotto i frontoni
del piccolo tetto e lo accomodò sdraiato
sulle foglie stese e sulla pelle di un'orsa libica:
la notte precipita e con le fosche ali abbraccia la terra.


VENERE E VULCANO (370-406)
Ma Venere, madre non invano sgomenta nel cuore 370
sconvolta dalle minacce di Laurento e dal duro tumulto
parla a Vulcano, e così inizia nell'aureo letto
del coniuge e con le parole ispira un amore divino:
"Mentre i re argolici con la guerra devastavano
Pergamo e le rocche destinate a cadere per i fuochi nemici, 375
non chiesi nessun aiuto per i miseri, non le armi
della tua arte e potenza, né volli, carissimo coniuge,
che tu facessi le tue opere invano,
benchè moltissimo dovessi ai figli di Priamo,
e spesso avessi pianto la dura fatica di Enea. 380
Ora per gli ordini di Giove si fermò nelle terre dei Rutuli:
dunque io stessa vengo supplice e chiedo alla (tua) potenza,
per me sacra, le armi, una madre per il figlio. Te la figlia di Nereo,
te la sposa titonia potè piegare con lacrime.
Guarda quali popoli si radunano, quali mura, chiuse le porte, 385
affilano il ferro contro di me e la morte dei miei."
Aveva detto e qua e là la divina con le nivee braccia
lo scalda, lui esitante, con un morbido amplesso. Egli subito
accoglie la solita fiamma, e il noto calore penetrò
nelle midolla e corse per le ossa, 390
non diversamente da quando a volte rotta da risplendente
tuono una ignea fenditura brillante percorre di luce le nubi;
S'accorse la moglie lieta dei tranelli e conscia della bellezza.
Allora il padre stravinto dall'eterno amore dice:
"Perché cerchi motivi da lontano? La fiducia di me per te 395
dove andò, divina? Se ci fosse stato simile affanno,
anche allora sarebbe stato lecito per noi armare i Teucri;
né il padre onnipotente né i fati vietavano che Troia
durasse per altri dieci anni e Priamo soprvvivesse.
E adesso se ti prepari a combattere e questo è per te il disegno, 400
checchè di premura posso promettere nella mia arte,
ciò che si può fare col ferro,
quanto valgono fuochi e mantici, smetti, pregando,
di dubitare delle tue forze.". Dette quelle parole
diede gli amplessi desiderati e cercò, riversatosi nel grambo 405
della moglie il placido sopore nelle membra.

venere
VENERE E VULCANO


LE OFFICINE DI VULCANO (407-453)
Quindi quando ormai nel mezzo del corso della notte
trascorsa, la prima quiete aveva cacciato il sonno, appena che
la donna cui fu imposto di sopportare con la conocchia e la sottile
Minerva, suscita le ceneri e i guochi sopiti 410
aggiungendo la notte alla fatica e con lungo compito alle lucerne
affatica le ancelle, perché possa conservare casto il letto
del coniuge e allevare i figli piccoli:
non diversamente il potente del fuoco né più tardo di quel tempo
sorge dai molli giacigli per i lavori di fabbro. 415
Un'isola presso il lido sicanio e la Lipari eolia
s'innalza alta con fumanti rocce,
ma sotto di essa una spelonca e gli Antri etnei corrosi
dalle officine dei Ciclopi rimbombano, i forti colpi
uditi sulle incudini danno gemiti, stridono nelle caverne 420
le colate dei Calibi e il fuoco nelle fornaci ansima,
(è) la casa di Vulcano e la terra di nome Vulcania.
Qui allora il potente col fuoco discese dall'alto cielo.
I Ciclopi nel vasto antro lavoravano il ferro,
Bronte, Sterope e nudo nelle memdra Piragmone. 425
Queste mani avevano un fulmine plasmato già con una parte
levigata, quelli che numerosissimi il genitore da tutto il cielo
scaglia sulle terre, parte restava imperfetta.
Avevano aggiunto tre raggi di pioggia arricciata, tre di nube
acquosa, tre di rosso fuoco e di Austro alato. 430
Adesso mescolavano all'opera folgori terrificanti e rimbombo
e le ire con le fiamme incalzanti.
In altra parte attendevano al carro per Marte e alle ruote
volanti, con cui egli eccita gli uomini e le città;
e rifinivano a gara le armi di Pallade adirata, la terrificante 435
egida, in oro con squame di serpenti,
le serpi intrecciate e sul petto della dea la stessa
Gorgone che gira gli occhi sul collo mozzato.
"Togliete tutto, disse, mettete via le opere iniziate,
Ciclopi etnei, e qui fate attenzione: 440
occorre fare armi per un forte eroe. Adesso uso di forze,
(c'è bisogno) adesso di mani rapide, di ogni arte maestra adesso.
Buttate via le incertezze." Disse non di più, ma quelli
tutti si gettarono più alacremente e divisi gli incarichi
ugualmente. A ruscelli scorre il bronzo e il metallo dell'oro 445
il micidiale acciaio fonde nella vasta fornace.
Formano un gigantesco scudo, unico contro tutte
le lance dei Latini, alle piastre saldano sette piastre.
Altri con mantici ventosi prendono e danno
aria, altri bagnano in un lago i bronzi 450
che stridono; l'antro geme per le incudini impegnate;
essi alternativamente alzano le molte braccia
a ritmo, voltano la massa con tenaglia potente.


DISCORSO DI EVANDRO E IL SUO AIUTO
(454-519)
Mentre il padre Lemnio affretta queste cose nelle terre eolie,
la grande luce dall'umile tetto sveglia Evandro 455
e i canti mattutini di uccelli sotto la volta.
L'anziano si alza e si copre le membra con la tunica
e mette attorno alle piante dei piedi i lacci tirreni.
Poi al fianco e alle spalle lega la spada
avvolgendo la pelle di pantera calata da sinistra. 460
Inoltre anche due guardie dall'alta soglia
precedono e dei cani accompagnano il passo del padrone.
Si dirigeva alla sede e agli appartamenti dell'ospite Enea,
memore l'eroe dei discorsi e del dono promesso.
Non di meno Enea si faceva mattiniero; 465
veniva come compagno per questi il figlio, per quello Acate.
Incontratisi uniscono le destre e si siedono su sedili
nel mezzo e finalmente godono di libero discorso.
Il re per primo così:
"Grandissima guida dei Teucri, salvo il quale mai 470
dichiarerò veramente vinte le potenze e i regni di Troia,
per noi all'aiuto di guerra a confronto di nome sì garnde
esigue (sono) le forze; di qui siam chiusi dal fiume tosco,
di là il Rutulo ci incalza e strepitano di armi attorno al muro.
Ma io a te voglio unire ingenti popoli e accampamenti ricchi 475
di poteri, e questa salvezza la offre un caso
impensato: ti rechi qui, chiedendolo i fati.
Non lontano di qui, fondata su antica roccia, si trova
la sede della città agillina, dove un tempo il popolo
di Lidia, famosissima in guerra, s'insediò nei gioghi etruschi. 480
Questa fiorente per molti anni ma poi con comando
superbo e crudeli armi, la tenne il re Mezenzio.
Perchè ricordare le sacrileghe stragi, perché gli efferati delitti
del tiranno? Gli dei li riservino al suo capo ed alla stirpe.
Addirittura congiungeva corpi morti ai vivi 485
collegando le mani alle mani e i volti ai volti,
(sorta di tortura) e così li uccideva grondanti di marciume
e putredine in un miserevole abbraccio con lunga morte.
Ma finalmente i cittadini stanchi armati attorniano lui stesso
che scatenava mostruosità e la casa, 490
(ne) uccidono i compagni, gettan fuoco ai tetti.
Egli sfuggito tra la strage nei territori dei Rutuli
fuggiva ed era difeso dalle armi dell'ospite Turno.
Perciò tutta l'Etruria insorse con giusti furori,
richiedono il re per il supplizio, con Marte presente. 495
A queste migliaia io ti renderò condottiero, Enea.
Su tutto il lido le poppe radunate fremono
e comandano di dare il segnale, li trattiene il vecchio aruspice
profetando i fati: "O scelta gioventù di Meonia,
fiore e valore degli antichi eroi, che un giusto dolore porta 500
contro il nemico e Mezenzio accende con meritata ira,
a nessun Italico è lecito sottomettere un sì gran popolo:
scegliete capi stranieri." Allora la schiera etrusca per questo
si arrestò sul campo atterrita dai moniti degli dei.
Lo stesso Tarconte inviò a me messaggeri e la corona 505
del regno con lo scettro e mi affida le insegne,
(perché) io avanzi con gli accampamenti, prenda i regni tirreni.
Ma una vecchiaia lenta per il freddo ed esausta per gli anni
mi invidia il potere e le forze tarde ad azioni forti.
Esorterei il figlio, se misto di madre sabella non 510
traesse di lì una parte di patria. Tu, il cui fato permette
agli anni ed alla stirpe, che le divinità chiamano,
procedi, o fortissimo condottiero di Teucri ed Itali.
Inoltre a te unirò costui, speranza e delizia di noi,
Pallante; sotto di te maestro si abitui a sopportare 515
la milizia e il pesante lavoro di Marte, ad osservare
i tuoi fati e ammiri te fin dai primi anni.
Darò a questi due volte cento cavalieri Arcadi, forze scelte
di giovinezza, e a suo nome altrettanti Pallante a te."

IL CHIARO SEGNO DI VENERE CITEREA
(520-553)
Aveva appena detto così ed Enea anchisiade 520
e il fedele Acate tenevano fissi i volti,
e pensavano nel loro triste cuore molte avversità,
se dal cielo aperto Citerea non avesse dato un segno.
Una folgore vibrata dall'etere improvviso
giunse con fragore e tutto sembrò cadere subito, 525
e lo squillo tirreno di tromba muggire nell'aria.
Guardano in alto, di nuovo e ancora un immenso fragore
rimbomba. Vedono in una nube nella regione limpida del cielo
delle armi brillare nel sereno e colpite tuonare.
Gli altri stupirono in cuore, ma l'eroe troiano 530
riconobbe il suono e le promesse della divina madre.
Allora ricorda: " Davvero, ospite, non chiedere subito
quale caso annuncino i prodigi: io son chiamato dall'Olimpo.
La madre divina profetò che avrebbe mandato questo segno,
se piombasse la guerra, e avrebbe portato armi vulcanie 535
in aiuto nel cielo.
Ahimè quante stragi sovrastano i miseri Laurenti.
Quale fio, Turno, mi pagherai. Quanti scudi di eroi,
elmi e corpi potenti volgerai sotto le onde,
padre Tevere. Chiedano schiere, rompano i patti." 540
Come espresse queste parole, si alza dall'alto solio
e prima ravviva coi fuochi erculei gli altari
sopiti, e lieto venera il lare straniero e i piccoli
penati; parimenti Evandro immola ritualmente
due pecore, parimenti la gioventù troiana. 545
Poi di qui passa alle navi e rivede i compagni,
dal cui numero sceglie quelli di superiore valore
che lo seguano alle guerre; la parte restante è portata
dall'acqua in giù e lenta defluisce sul fiume favorevole,
per giungere messaggera ad Ascanio dei fatti e del padre. 550
Si danno cavalli ai Teucri che si dirigono ai campi tirreni;
per Enea ne conducono uno fuori sorteggio, che una rossa pelle
di leone copre splendente con le unghie dorate.

IL SALUTO DI EVANDRO AL FIGLIO (554-584)
La fama vola subito divulgata nella piccola città che i cavalieri
vanno piuttosto velocemente alle soglie del re Tirreno. 555
Le madri raddoppiano le preghiere per la paura, il timore va troppo
vicino al pericolo e maggiore ormai appare il volto di Marte.
Allora il padre Evandro stretta la destra del partente
s'attacca insaziabile piangendo e così parla:
"O se Giove riportasse gli anni passati, 560
quale ero quando atterrai la prima fila sotto la stessa
Preneste e vincitore incendiai cumuli di scudi
e con questa destra mandai sotto il Tartaro il re Erulo,
a cui la madre Feronia nascendo aveva dato tre vite,
orrendo a dirsi, le armi tre volte bisognava muovere, 565
bisognava tre volte abbatterlo con la morte; a lui però allora
questa destra tolse le vite e parimenti lo svestì delle armi:
io ora non sarei strappato dal tuo dolce abbraccio, figlio,
mai, né mai Mezenzio insultando questo capo vicino
avrebbe dato tante morti col ferro, 570
avrebbe privato la città di tanti cittadini.
Ma voi, o celesti, e tu grandissimo sovrano degli dei
Giove, prego, abbiate pietà del re arcade
e ascoltate le preghiere d'un padre. Se le vostre potenze,
se i fati mi conservano Pallante incolume, 575
se vivo per vederlo e ritovarvi insieme,
chiedo la vita, e patisco sopportare qualsiasi fatica.
Se, Fortuna, minacci qualche situazione indicibile,
adesso, oh adesso si possa rompere la crudele vita,
mentre gli affanni (sono) ambigui, mentre la speranza del futuro
(è) incerta, mentre, caro ragazzo, mia sola e tarda gioia,
ti tengo con l'abbraccio, né una troppo grave notizia ferisca
le orecchie." Queste espressioni riversava il genitore nella partenza
suprema; i servi lo portavano in casa svenuto.

LA PARTENZA DA PALLANTEO (585-607)
Già dunque era uscita, aperte le porte, la cavalleria, 585
Enea tra i primi e il fido Acate,
poi gli altri capi troiani; lo stesso Pallante va in mezzo
alla schiera, notato dalla clamide e nelle armi dipinte,
come quando Lucifero bagnato dall'onda di Oceano,
che Venere preferisce tra gli altri fuochi degli astri, 590
ha alzato il sacro volto e sciolte le tenebre.
Sulle mura stanno le pavide madri e con gli occhi seguono
la nube di polvere e le truppe brillanti di bronzo.
Essi per dove la meta delle vie è più vicina,
si dirigono armati; corre il clamore, serrata la schiera, 595
lo zoccolo scuote il soffice campo con quadruplice suono.
C'è un enorme bosco vicino al gelido fiume di Cere,
sacro per il culto dei padri per largo tratto, ovunque concavi
colli lo chiudono e lo cingono un bosco di nero abete.
E' fama che gli antichi Pelasgi han consacrato a Silvano, 600
dio dei campi e del bestiame, sia il bosco che una data,
quelli che per primi ebbero un tempo i terreni latini.
Non lontano di qui Tarconte e i Tirreni tenevano sicuri
gli accampamenti in posizioni, e già da un alto colle si poteva
vedere la legione e s'accampava in vasti campi. 605
Qui si recano il padre Enea e la gioventù scelta
per la guerra, e stanchi riposano sia i cavalli che i corpi

LE ARMI DI VULCANO (608-625)
Ma la dea venere tra i candidi nembi
si presentava portando doni; come vide da lontano il figlio
in una valle appartata solitaria presso il gelido fiume, 610
parlò con tali parole e si offrì apertamente:
" Ecco i doni promessi fatti dall'arte del mio
coniuge, perché non esiti, figlio, ad assalire subito
in battaglia i superbi Laurenti ed il potente Turno."
Disse, e la Citerea cercò gli abbracci del figlio, 615
pose le raggianti armi sotto una quercia di fronte.
Egli lieto non potè saziarsi dei doni e di sì grande
onore della dea e volse gli occhi su ogni particolare,
ammira e gira fra le mani e le braccia
il terribile elmo con le creste e vomitante fiamme, 620
la spada fatale, la corazza di bronzo, rigida,
color sangue, gigantesca, come quando una azzurra nube
arde ai raggi del sole e rifulge lontano;
poi i gambali lucenti di elettro e d'oro fuso,
l'asta e l'inenarrabile fattura dello scudo. 625

LO SCUDO DI ENEA (626-731)
Lì itale gesta ed i trionfi dei romani
non ignaro dei vati e conoscitore del tempo futuro
il potente col fuoco le aveva plasmate, lì tutta la razza
della stirpe futura in ordine da Ascanio e le guerre combattute.
Aveva plasmato anche la lupa di Marte che ha partorito 630
giacere nel verde antro, attorno alle mammelle a lei pendenti,
i due bambini giocare e impavidi succhiare
la madre, ella con la testa tornita girata
accarezzava l'uno e l'altro e leccava i corpi con la lingua.
Né lontano da qui Roma e le Sabine nella folla del circo, 635
rapite senza legge, compiuti i grandi giochi Circensi,
le aveva aggiunto ed improvvisamente scatenarsi nuova guerra
tra Romulidi, il vecchio Tazio ed i Curi severi.
Dopo gli stessi re armati, fermato lo scontro,
davanti all'altare di Giove erano in piedi tenendo 640
le coppe e stringevano patti, sacrificata una porca.
Non lontano di lì le veloci quadrighe in direzioni contrarie
avevan spaccato Metto ( ma tu, Albano, dovevi restare alle parole)
e Tullo trascinava le viscere dell'uomo falso
per la selva, ed i rovi sparsi grondavan di sangue. 645
Pure Porsenna ordinava di accogliere Tarquinio cacciato
e pressava la città di gigantesco assedio;
Gli Eneadi si precipitavano alle armi per la libertà.
Lo avresti potuto vedere simile a chi s'indigna e simile
a chi minaccia, poiché Coclite osava rompere il ponte 650
e Clelia, rotte le catene, passava a nuoto il fiume.
In cima alla rocca Tarpea, Manlio, il custode,
si ergeva davanti al tempio e occupava l'alto Campidoglio,
la reggia nuova era irta della paglia romulea.
Ancora qui svolazzante tra i portici d'oro un'oca 655
d'argento gridava che c'erano i Galli;
i Galli attraverso roveti si avvicinavano e occupavan la rocca
difesi dalle tenebre e dal dono d'una notte buia.
Essi avevan capigliatura d'oro e veste d'oro,
brillano nei mantelli striati, poi i colli lattei 660
son intrecciati d'oro, due lance alpine ciascuno
rosseggiano in mano, protetti i corpi da lunghi scudi.
Qui aveva scolpito i Salii danzanti ed i nudi Luperci
i berretti di lana e gli ancili caduti dal cielo,
le caste madri conducevano per la città sacri oggetti 665
su comodi carri. Pontano da qui aggiunse
anche le sedi tartaree, le alte porte di Dite,
pure le pene dei delitti, e te, Catilina, pendente
da minaccioso scoglio e temente i volti delle Furie,
i pii appartati, Catone che dava ad essi le leggi. 670
Tra queste una dorata immagine di un mare gonfio correva
vastamente, ma le acque azzurre spumeggiavano di bianco flutto,
e attorno splendenti delfini d'argento in cerchio
le spazzavano con le code e tagliavano la marea.
In mezzo era (possibile) vedere le flotte bronzee, 675
le guerre di Azio, e, schierato Marte, potevi vedere
tutto il Laucate ribollire e risplendere nell'oro i flutti.
Di qui Cesare Augusto guidando gli Itali in battaglie
coi senatori e il popolo, i penati ed i grandi dei,
ritto su alta poppa, a cui le tempie liete lampeggiano 680
fiamme gemelle e si mostra sul capo la stella paterna.
Da un'altra parte con venti e dei propizi, Agrippa
arduo, guidando una schiera, cui, (insegna superba di guerra),
rifulgono le tempie rostrate di corona navale.
Di qui Antonio con la potenza barbarica e varie armi, 685
vincitore dai popoli dell'aurora e dal rosso lido,
trae con sè l'Egitto, le forze d'Oriente e la lontanissima
Battriana, segue (orrore!) la coniuge Egiziana.
Insieme tutti corrono e l'acqua tutta spumeggia
sconvolta dai remi ripresi e dai rostri a tre denti. 690
Si dirigono al largo; crederesti le Cicladi divelte nuotare
per mare o alti monti corrano contro monti,
con sì gran mole su poppe turrite gli uomini incalzano.
Fiamma di stoppa e ferro volante si scaglia a mano
e con armi, i campi di Nettuno rosseggiano di nuova strage. 695
La regina in mezzo col patrio sistro chiama le schiere,
non ancora vede le serpi gemelle alle spalle.
Mostri di dei d'ogni parte e Anubi che latra
tengono armi contro Nettuno e Venere e contro
Minerva. Infuria Marte in mezzo allo scontro 700
lavorato su ferro, e le tristi Dire dall'etere,
Discordia, strappato il mantello, avanza gioendo,
e Bellona la segue con la frusta di sangue.
Apollo d'Azio osservando questo tendeva l'arco
da sopra; per quel terrore tutto l'Egitto e gli Indi, 705
ogni Arabo, tutti i Sabei voltavan le spalle.
Si vedeva la stessa regina, chiamati i venti,
dare le vele e via via mollava le funi allentate.
Il potente col fuoco l'aveva fatta che fra le stragi pallida
per la morte futura era portata dalle onde e da Iapige, 710
di fronte il Nilo dal gran corpo dolorante
che apriva gli orli e con tutta la veste chiamava
nell'azzurro grembo e nei fiumi tenebrosi i vinti.
Ma Cesare, salito sulle mura romane con triplice
trionfo, consacrava un voto immortale agli dei Itali, 715
trecento massimi templi per tutta la città.
Le vie per la gioia fremevano di giochi e d'applauso;
in tutti i templi cori di madri, in tutti (c'erano) altari;
davanti agli altari giovenchi uccisi coprivan la terra.
Lui stesso sedendo sul niveo seggio di Febo biancheggiante 720
esamina i doni dei popoli e li attacca ai superbi
battenti; avanzano in lunga fila le genti vinte,
varie quanto di lingue, tanto del tipo di veste e di armi.
Qui la stirpe dei Nomadi e gli Africani discinti
li aveva rappresentati il Mulcibero, i Lelegi, i Cari, i Geloni 725
che portan frecce; l'Eufrate già più mite correva con le onde,
i Morini ultimi degli uomini, il Reno bicorne
gli indomiti Dai e l'Arasse adirato per il ponte.
Tali cose ammirava sullo scudo di Vulcano, doni della
madre ed ignaro dei fatti gioisce per l'immagine 730
alzando sulla spalla sia la fama che i fati dei nipoti.

scudo
LO SCUDO PREPARATO DA VULCANO PER ENEA.

Eugenio Caruso -30 -04 - 2021

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Tratto da

1

www.impresaoggi.com