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Virgilio, Eneide Libro X. Audentes Fortuna Iuvat.

Quello che tu chiami schiavo pensa che è nato come te, gode dello stesso cielo, respira la stessa aria, vive e muore, come viviamo e moriamo noi. Puoi vederlo libero cittadino ed egli può vederti schiavo.
Seneca

INTRODUZIONE

L'Eneide (in latino: Aeneis) è un poema epico della cultura latina scritto da Publio Virgilio Marone tra il 29 a.C. e il 19 a.C. Narra la leggendaria storia dell'eroe troiano Enea (figlio di Anchise e della dea Venere) che riuscì a fuggire dopo la caduta della città di Troia, e che viaggiò per il Mediterraneo fino ad approdare nel Lazio, diventando il progenitore del popolo romano. Alla morte di Virgilio il poema, scritto in esametri dattilici e composto da dodici libri per un totale di 9.896 esametri, rimase privo degli ultimi ritocchi e revisioni dell'autore, testimoniate da 58 esametri incompleti; perciò nel suo testamento il poeta fece richiesta di farlo bruciare, nel caso in cui non fosse riuscito a completarlo, ma gli amici Vario Rufo e Plozio Tucca, non rispettando le volontà del defunto, salvaguardarono il manoscritto dell'opera e, successivamente, l'imperatore Ottaviano Augusto ordinò di pubblicarlo così com'era stato lasciato. I primi sei libri raccontano la storia del viaggio di Enea da Troia all'Italia, mentre la seconda parte del poema narra la guerra, dall'esito vittorioso, dei troiani - alleati con i Liguri, con alcuni gruppi locali di Etruschi e con i Greci provenienti dall'Arcadia - contro i Rutuli, i Latini e le popolazioni italiche in loro appoggio, tra cui i Volsci e altri Etruschi; sotto il nome di Latini finiranno per essere conosciuti in seguito Enea e i suoi seguaci. Enea è una figura già presente nelle leggende e nella mitologia greca e romana, e compare spesso anche nell'Iliade; Virgilio mise insieme i singoli e sparsi racconti dei viaggi di Enea, la sua vaga associazione con la fondazione di Roma e soprattutto un personaggio dalle caratteristiche non ben definite tranne una grande devozione (pietas in latino), e ne trasse un avvincente e convincente "mito della fondazione", oltre a un'epica nazionale che allo stesso tempo legava Roma ai miti omerici, glorificava i valori romani tradizionali e legittimava la dinastia giulio-claudia come discendente dei fondatori comuni, eroi e dei, di Roma e di Troia.

Attraverso quest'opera, Virglio ha reso celebri e trasmesso ai posteri numerosissime storie e racconti mitologici della classicità greca e romana. Molti racconti sono tipici della tragedia greca; "fortunatamente" per gli antichi greci e romani l'uccisione di mogli, amanti, figli, mariti, come stupri, incesti e altre violenze sessuali erano dovute all'intervento di qualche dio, che, spesso, funge da artefice e da giudice. Giova anche notare che, dall'antichità classsica, ai giorni nostri i massimi artisti si sono cimentati, con dipinti e sculture, nel raccontare e farci godere con grande intensità i racconti della mitologia tramandatici da Virgilio. Anche Dante, nelle sue metafore, ha attinto molto da lui la cui opera conosceva molto bene, a ulteriore dimostrazione dell'immensa cultura del poeta fiorentino. Giova anche notare che, allora, non era facile trovare un manoscritto dell'Eneide: se ne potevano trovare solo nelle grandi abbazie e presso i palazzi di famiglie blasonate.

LIBRO X

RIASSUNTO

Nel frattempo sull'Olimpo è in atto un duro scontro tra gli dei: Giove è irritato per lo scoppio della guerra, Giunone addossa la colpa ai Troiani e Venere implora Giove di non abbandonarli proprio mentre sono circondati da forze molto più numerose delle loro. Enea, intanto, ha assunto il comando della Lega Etrusca, e alla testa dell'esercito imbarcato sulla flotta federale, assieme a Tarconte, torna dal territorio etrusco alla foce del Tevere: egli è accompagnato anche dagli Arcadi di Pallante e da Cupavone e Cunaro coi loro Liguri. Quando lo vedono riapparire i Troiani, ancora assediati nel loro campo, riacquistano fiducia. Turno muove l'esercito italico contro il nemico ma Enea, forte dello scudo di Vulcano e della protezione di Venere, è di fatto inarrestabile. Egli si slancia contro i nemici dapprima con la spada, e con essa uccide il gigantesco e coraggioso Terone, per poi ferire mortalmente il giovane Lica. Subito dopo abbatte due fratelli armati di clava, Cisseo e Gia, il cui padre era originario della Grecia, e Faro, al quale scaglia la lancia che trapassa di netto la bocca. Si fa allora eroicamente avanti una coppia di guerrieri latini, Cidone e Clizio, legati da un rapporto omoerotico: Enea stende morto Clizio, il più giovane dei due, mentre Cidone viene salvato dall'intervento dei sette figli di Forco che si frappongono improvvisamente tra lui ed Enea, il quale è costretto a chiedere al fedele Acate le lance, che scaglia sui suoi assalitori uccidendone un paio, Meone e Alcanore; un terzo fratello, Numitore, ferisce Acate in maniera non grave. Enea e Acate si allontanano mentre i combattimenti riprendono più cruenti di prima: in campo italico si mettono in evidenza Clauso e Messapo. Pallante fa strage di alcuni giovani guerrieri, tra cui i due valorosi gemelli latini Laride e Timbro, figli di Dauco: con la spada decapita Timbro e recide la mano destra a Laride, abbandonandolo moribondo sul terreno. Poi uccide Aleso, l'antico auriga di Agamennone, stabilitosi in Italia dopo la guerra di Troia. Viene quindi affrontato da Turno in duello: sull'Olimpo Ercole, invocato dal giovane prima dello scontro, chiede a Giove se la sua vita possa essere risparmiata, ma il padre ricorda l'inevitabilità del fato: "Stat sua cuique dies, breve et inreparabile tempus/ Omnibus est vitae" (" A ciascuno è dato il suo giorno, il tempo della vita/ è breve e irreparabile per tutti "). Turno uccide Pallante, spogliandolo poi del balteo. Enea, infuriato per la morte del suo amico e alleato, lo vendica scagliandosi sui nemici e facendone scempio: innanzitutto cattura vivi otto giovani per immolarli sulla pira che arderà Pallante; poi abbatte Mago ed altri guerrieri tra cui Ceculo (il semidio figlio di Vulcano), Umbrone, Anxure al quale tronca una mano, e pure un sacerdote di Apollo e di Diana, figlio di tale Emone. Quindi affronta il giovane etrusco Tarquito, schierato con Mezenzio e anch'egli semidio, e con la spada gli spicca via la testa dal busto, facendo infine rotolare i resti del nemico, grondanti di sangue, nella foce del Tevere. Le schiere italiche fuggono terrorizzate, ma Enea prosegue con la carneficina: cadono due fedelissimi di Turno, Anteo e Luca, poi Numa e anche Camerte, il biondo signore di Amyclae, nonché figlio di Volcente. Enea uccide inoltre una coppia di fratelli che avevano osato sfidarlo dal carro insultandolo, Lucago e Ligeri, colpendo il primo all'inguine con la lancia scagliata e buttandolo giù dal carro, mentre all'altro apre il petto con la spada. I Rutuli sono così costretti ad allentare l'assedio al campo dei Troiani, che finalmente possono intervenire al fianco di Enea; belle prove vengono offerte da Salio, il giovane sicano di origini greche unitosi a Enea e ai suoi uomini, destinato però anche lui a soccombere (per mano dell'italico Nealce). Intanto Giunone, temendo per la sorte di Turno, è riuscita ad allontanare il re rutulo dal campo di battaglia. Enea può così affrontare il tiranno etrusco Mezenzio, che sta facendo a sua volta strage di Troiani, ferendolo con la lancia all'inguine; quindi si getta su Lauso, il figlio di Mezenzio accorso in sua difesa, e gli pianta la spada nel petto: toccato dal gesto eroico del giovane, non infierisce sul suo corpo ma lo fa adagiare sul suo stesso scudo restituendolo al padre. Mezenzio inveisce per la morte del figlio e affronta, benché gravemente impedito, il troiano a duello. Enea uccide con un colpo di lancia il cavallo di Mezenzio e quindi il tiranno stesso, spogliandolo poi delle sue armi che appende nel campo di battaglia, come trofeo per Marte.

TESTO

IL CONCILIO DI GIOVE (1-117)
Si apre intanto la casa dell´onnipotente Olimpo
e il padre e re degli dei e degli uomini convoca il concilio
nella sede siderea, da cui alto contempla tutte le terre
gli accampamenti dei Dardanidi e i popoli latini.
Siedono nelle sale a due porte, egli stesso inizia: 5
"Grandi abitatori del cielo, perché mai s´è volta indietro
per voi la sentenza e combattete tanto con animi ingiusti?
Avevo vietato che l´Italia si scontrasse in guerra coi Teucri.
Quale discordia contro il divieto? Quale paura persuase
questi e questi altri a seguire le armi e provocare la spada? 10
Verrà, non provocatelo, il giusto tempo dello scontro,
quando un tempo la fiera Cartagine darà alle rocche
romane una grande strage e le Alpi aperte:
allora si potrà scontrarsi con gli odi, aver rovinato tutto allora.
Ora smettete e lieti fate un patto piacevole." 15
Così Giove in brece; ma l´aurea Venere in risposta
riprende non poche cose:
" O padre, o eterno potere di uomini e cose
(e che cos´altro ci sarebbe che ormai possiamo implorare?),
e di come esultino i Rutuli, e Turno superbo si rechi 20
in mezzo a cavallo e corra gonfio per Marte propizio?
Le mura chiuse non proteggono più i Teucri;
Anzi mischiano scontri dentro le porte e sulle stesse
costruzioni delle mura e i fossati traboccano di sangue.
Enea ignaro è assente. Forse mai permetterai che si levi 25
dall´assedio? Ormai incombe sulle mura il nemico
della nascente Troia e un secondo esercito,
e di nuovo contro i Teucri sorge da Arpi etolica
un Tidide.Lo credo proprio, restano le mie ferite
e (io) tua progenie, aspetto armi mortali. 30
se senza la tua pace e con la (tua) potenza contraria i Troiani
han cercato l´Italia, paghino gli errori e non favorirli
con un aiuto; se invece seguendo tanti responsi
che i celesti davano, perché adesso qualcuno può
stravolgere i tuoi ordini e perché creare nuovi fati? 35
Perché ricordare le flotte bruciate sul lido ericino,
perché il re delle tempeste, i venti furenti
provocati dall´Eolia o Iride inviata dalle nubi?
Adesso anche i mani ( restava intentata questa
sorte di cose) li muove e Alletto subito mandata 40
dai cieli ha delirato in mezzo alle città degli Itali.
Per nulla mi preoccupo dell´impero. Questo lo sperammo,
mentre ci fu fortuna. Vincano quelli che preferisci che vincano.
Se non c´è nessuna regione che la tua dura consorte dia
ai Teucri, padre, ti prego per i fumanti eccidi di Troia 45
distrutta: sia lecito mandare incolume
dalle armi Ascanio, sia lecito che sopravviva il nipote.
Enea certo sia getatto su onde ignote
e segua qualunque via abbia dato Fortuna:
che io sia capace di proteggerlo e sottrarlo allo scontro crudele. 50
Io ho Amatunte, ho l´eccelsa Pafo e Citera,
il palazzo di Idalia: inglorioso, deposte le armi,
qui trascorra la vita. Con grande potere comanderai
che Cartagine opprima l´Ausonia; poi nulla ostacolerà
le città tirie. A che valse scampare la rovina della guerra 55
ed esser fuggiti in mezzo ai fuochi argolici,
tanti provati pericoli del mare e della vasta terra,
mentre i Teucri cercavano il Lazio e Pergamo recidiva?
Non più bello esser seduti sulle ultime ceneri della patria
e sul suolo dove Troia fu? Restituisci, ti prego, Xanto 60
e Simoenta ai miseri e di nuovo concedi ai Teucri
di rivivere i casi iliaci." Allora la regale Giunone
spinta da grave furore: " Perché mi costringi a rompere
i solenni silenzi e manifestare a parole il dolore nascosto?
Chi degli uomini e degli dei costrinse Enea 65
a seguire le guerre o recarsi contro il re Latino come nemico?
Cercò l´Italia su proposta dei fati, sia,
spinto dalle furie di Cassandra: forse che abbiamo esortato
a lasciar gli accampamenti o affidare la vita ai venti?
Forse ad affidare a un ragazzo il comando della guerra, le mura, 70
o sconvolgere la lealtà tirrena e popoli quieti?
Quale dio agì per inganno, quale nostra dura potenza?
Quando qui Giunone o Iride inviata dalle nubi?
E´ indegno che gli Itali circondino di fiamme Troia
nascente e che Turno stia sulla terra patria, 75
che ha Pilunno come antenato, che ha la divina madre Venilia:
e chè, i Troiani col fuoco far violenzaa ai Latini,
metter al giogo terre altrui e rapinare i bottini?
E chè, scegliere suoceri e dai seni rubano le fidanzate,
pregano la pace con la forza, fissano armi sulle poppe? 80
Tu puoi sottrarre Enea dalle mani dei Grai
e presentare al posto dell´uomo una nuvola o vuoti venti,
e trasformare la flotta in altrettante ninfe:
per noi aver aiutato in qualcosa i Rutuli è sacrilegio?
"Enea iganro è lontano": stia pure lontano ignaro. 85
Tu hai Pafo e Idalio, tu hai l´alta Citera:
perché provochi una città gravida di guerre e cuori forti?
Forse noi tentiamo di stravolgerti alla base le cose
vacillanti di Frigia? Noi? Forse qualcuno gettò i miseri
Troiani contro gli Achivi? Quale fu la causa che 90
l´Europa e l´Asia sorgesse in armi e sciogliesse i patti
con un inganno? Sotto la mia guida l´adultero Dardanio
espugnò Sparta, o io diedi le armi e fomentai le guerre
con Cupido? Allora avresti dovuto temere per i tuoi: ora ti alzi
in ritardo con lamentele non giuste e lanci vuoti insulti." 95
Così contestava Giunone, tutti i celesti
fremevano con un assenso vario, come i primi soffi
quando impigliati dalle selve fremono e mandano ciechi
mormorii manifestando ai naviganti i venti che verranno.
Allora il padre onnipotente, che ha il potere supremo 100
delle cose, comincia, al suo parlare l´alta casa degli dei tace
e la terra (fu) agitata nel suolo, e alto l´etere zittisce,
allora gli Zefiri si calmarono, il mare frena le placide acque:
"Accoglieteli dunque in cuore e fissate queste mie parole.
Poiché fu impossibile che si unissero in alleanza gli Ausoni 105
coi troiani, né la vostra prende fine,
qualunque sia la sorte oggi, chiunque trochi questa speranza
sia Troiano o Rutulo, non terrò in nessuna differenza,
sia che il campo sia tenuto dai fati in assedio degli Itali
sia da malvagio inganno e sinistri miniti per Troia. 110
Né assolvo i Rutuli. Le proprie imprese porteranno
a ciascuno fatica e sorte. Per tutti Giove identico re.
I fati troveranno la via." Per i fiumi del fratello Stige
per le rive che scorrono di pece nella nera voragine
approvò e col cenno fece tremare tutto l´Olimpo. 115
Qiesta la fine del parlare. Allora Giove sorge dall´aureo
trono, ed i celesti al centro lo accompagnano alle soglie.

giove

Annibale Carracci - Giove e Giunone

LA LEGIONE DEGLI ENEADI ASSEDIATA DI NUOVO
(118-145)
Intanto i Rutuli incalzano su tutte le porte
a uccidere uomini e cingere le mura di fiamme.
Ma la legione degli Eneadi assediata è protetta dai valli 120
e nessuna speranza di fuga. Miseri stanno sulle alte torri
invano e cingono le mura di rada cerchia:
Asio, Imbraside, Timete l´icetaonio,
i due Assarici e l´anziano Timbri con Castore
(son) prima schiera; li accompagnano entrambi i fratelli 125
di Sarpedone, e Claro e Temone dall´alta Licia.
Limesio Acmone sforzandosi con tutto il corpo
porta un masso gigantesco, non piccola parte di monte,
né inferiore al padre Clizio né al fratello Menesteo.
Questi con lanci, quelli con pietr tentatno di difendere 130
e maneggiare il fuoco e adattare frecce sul nervo.
Lo stesso ragazzo dardanio, giustissima cura di Venere,
ecco, in mezzo, scoperto la bella testa,
quale gemma che divide un rosso oro,
gioiello o per il collo o per il capo, o quale avorio 135
incastonato nel bosso o nel terebinto di Orico
risplende; e il latteo collo raccoglie i capelli sciolti
e un cerchio d´oro flessibile che li trattiene.
Te pure, Ismaro, le magnanime genti videro
dirigere colpi e armare le frecce di veleno, 140
nobile dalla casata meonia, dove gli uomini lavorano
ricche coltivazioni e il Pattolo li irriga d´oro.
Ci fu anche Menesteo, che l´antica gloria di Turno
scacciato dal bastione delle mura rende famoso,
e Capi: di qui vien tratto il nome alla città campana. 145

GLI ALLEATI ETRUSCHI (146-214)
Essi avevan intrecciato tra loro gli scontri della dura
guerra: Enea nel mezzo della notte tagliava le onde.
Infatti come da Evandro entrato nei campi etruschi
incontra il re e al re ricorda nome e stirpe
o cosa chieda o cosa lui stesso porti, quali armi Mezenzio 150
si procuri, e spiega i violenti propositi di Turno,
rammenta quale sia la fiducia sulle cose umane
e unisce preghiere, non c´è indugio, Tarconte
unisce le forze e stringe il patto; la gente lidia libera
dal fato fa salpare la flotta per i comandi degli dei 155
affidatasi al capo straniero. La poppa di Enea
sta per prima, posti sotto il rostro leoni frigi,
sopra incombe l´Ida, graditissima ai profughi Teucri.
Qui siede il grande Enea e tra sé ripensa
i vari eventi di guerra, e Pallante attaccato al fianco 160
sinistro ora fa domande sulle stelle, sentiero della opaca
notte, cosa sofferse per mare e per terra.
Aprite l´Elicona adesso, dee, muovete i canti,
quale schiera intanto accompagni Enea dalle terre
etrusche e armi le navi e si rechi per il mare. 165
Massico per primo con la bronzea Tigri solca le acque,
sotto di lui mille schiere di giovani, che lasciarono
le mura di Chiusi e la cità di Cosa, essi (hanno) come armi
le frecce, leggere faretre sulle spalle e l´arco letale.
Insieme il torvo Abante: per lui tutta l´armata brillava 170
di splendide armi e la poppa di un Apollo dorato.
La madre Populonia gli aveva dato seicento giovani
esperti di guerra, ma l´Elba trecento,
isola generosa di inesauste miniere dei Calibi.
Terzo quell´Asila interprete degli uomini e degli dei, 175
a cui obbediscono le viscere delle bestie, le stelle del cielo,
le lingue degli uccelli ed i fuochi premonitori del fulmine,
(ne) reca mille, serrati in battaglia e dalle aste appuntite.
ordina che gli obbediscano Pisa, città alfea per origine,
etrusca per posizione. Segue il bellissimo Asture, 180
Asture che si fida del cavallo e dalle armi variopinte.
Trecento ne aggiungono ( in tutti un unico cuore di seguirlo)
quelli che sono di casa a Cere, quelli nei campi del Mignone,
l´antica Pirgo e la malsana Gravisca.
Non tralascierò te, fortissimoa guida dei Liguri in guerra, 185
Cupavone, da Cinira, accompagnato da pochi,
dal cui capo s´alzano penne di cigno,
vostra colpa, Amore, e insegna dell´aspetto paterno.
Raccontano che Cicno per il lutto dell´amato Fetonte,
mentre cantava tra le fronde di pioppo e l´ombra 190
delle sorelle e con la Musa consola il mesto amore,
assunse una vecchiezza biancheggiante di morbida piuma
lasciando le terre e seguendo con la voce le stelle.
Il figlio seguendo le truppe coetanee con la flotta
spinge avanti coi remi la gigantesca Centauro: quello 195
sta sull´acqua e alto minaccia con un gran sasso
le onde, e con la lunga carena solca i mari profondi.
Anche lui, Ocno, chiama una truppa dalle patrie terre,
figlio della fatidica Manto e del fiume Tosco,
che diede a te, Mantova, le mura ed il nome della madre, 200
Mantova ricca di avi, ma non per tutti un´unica stirpe:
lei ( ha ) una triplice gente, quattro popoli per gente,
lei stessa capitale per i popoli.
Di qui pure Mezenzio ne arma cinquecento contro di sé,
che il Mincio velato di canna verdazzurra guidava 205
su pino nemico, dal padre Benaco verso il mare.
Auleste avanza solenne e con certo remi batte il flusso
alzandosi, le rotte spumeggiano sul mare solcato.
Lo trasporta un immane Tritone terrorizzando
con la conchiglia le acque azzurre, l´ispida prua offre a lui 210
che nuota, fino ai fianchi figura umana, la pancia finisce
in balena, spumosa sotto il petto mezzo bestiale mormora l´onda.
Tanti capi scelti avanzavano su tre volte dieci navi
in aiuto a Troia e col bronzo tagliavano le pianure del mare.

MESSAGGIO DELLE NINFE AD ENEA
(215-259)
Omai il giorno era uscito dal cielo e la divina Febe 215
sul carro vagante di notte batteva nel mezzo dellOlimpo:
Enea ( la preoccupazione non dà riposso alle membra)
lui stesso sedendo regge il timone e con le vele guida.
Eo in mezzo al corso, ecco, gli corre incontro il coro delle sue
compagne: le ninfe, che la divina Cibele aveva ordinato 220
avessero la divinità e da navi fossero ninfe,
nuotavano insieme e solcavano i flutti,
quante prima erano state prore dorate sui lidi.
Riconoscon da lontano il re e l´onorano con danze;
Cimodocea quella tra loro più dotata a parlare 225
seguendolo da dietro con la destra tiene la poppa e lei
emerge col dorso e con la sinistra rema sotto le tacite onde.
Così si rivolge all´ignaro: " Vegli forse, stirpe di dei,
Enea? Veglia e allenta le funi alle vele.
Siamo noi, i pini dell´Ida dalla sacra cima,
ora ninfe del mare, tua flotta. Come il perfido Rutulo
ci incalzava alla rovina con ferro e fiamma,
a malincuore rompemmo le tue catene e cerchiamo te
per il mare. Compassionevole la madre ci rifece questo aspetto
e diede di essere dee e passare la vita sotto le onde. 235
Ma il ragazzo Ascanio è tenuto da muro e fossati
in mezzo alle frecce e i Latini spaventosi per Marte.
Ormai la cavalleria Arcade unita al forte Etrusco occupano
i luoghi assegnati; opporre loro schiere in mezzo,
che non s´uniscano al campo, è il sicuro progetto di Turno. 240
Orsù alzati e per primo ordina al venir dell´Aurora che si chiamino
i compagni alle armi e prendi lo scudo invincibile che offrì
il potente col fuoco e ne circondò d´oro gli orli.
La luce di domani, se non crederai vane le mie parole,
vedrà giganteschi cumuli di strage rutula." 245
Aveva detto e partendo con la destra spinse l´alta
poppa, non ignara del modo: ella fugge tra le onde
più veloce e d´un dardo e d´una freccia che pareggia i venti.
Le altre dopo affrettan la corsa. Lo stesso Troiano
Anchisiade ignaro stupisce, tuttavia con l´augurio alza i cuori. 250
Poi brevemente guardando alle profondità superiori prega:
"Divina Idea madre degli dei, cui (stanno) a cuore Dindimo,
le città turrite ed i leoni appaiati alle briglie,
tu ora per me guida della battaglia, tu affretta
l´augurio ed assisti i Frigi, divina, con piede propizio." 255
Soltanto si espresse, ed intanto il giorno ritornato irrompeva
già con luce piena ed aveva allontanato la notte;
ordina anzitutto ai compagni che seguano i segnali
adeguino gli animi alle armi e si preparino allo scontro.

ninfe

TRE NINFE

RITORNO DI ENEA (260-307)
Ormai ha in vista i Teucri e i suoi accampamenti 260
stando sull´alta poppa, quando con la sinistra alzò
lo scudo brillante. I Dardanidi alzano un grido alle stelle
dalle mura, la speranza infusa eccita le ire,
con la mano lanciano dardi, quali le gru strimonie
sotto le nere nubi danno segnali e attraversano l´etere 265
con rimbombo, fuggono i Noti con grido propizio.
Ma ciò sembrava starno al re rutulo ed agli Ausonii,
finchè vedono le poppe volte ai lidi
e tutto il mare coperto di navi.
Arde l´elmo sul capo e dalla cima con le creste la fiamma 270
si riversa e l´umbone d´oro vomita vasti fuochi:
non diversamente se a volte di notte le comete
rosseggiano sanguinee o l´ardore di Sirio.
Egli nasce portando sete e malattie ai mortali
malati e rattrista il cielo con luce sinostra. 275
Tuttavia non cessò la fiducia a Turno
di comandare sui lidi e cacciare i giungenti dalla terra.
[ancor più con le parole rialza i cuori e ancor più grida:]
"Quel che desideraste, c´è, sbaragliare con la destra.
Marte stesso in mano agli eroi. Ora ognuno sia memore 280
della sua consorte e del tetto, ora richiami le grandi
Azioni, le glorie dei padri. Su corriamo all´onda
mentre (sono) trepidi e i primi passi tremano per gli sbarcati.
Fortuna aiuta quelli che osano.
Audentes fortuna iuvat."
Questo disse, e tra sé escogita come possa guidare 285
all´attacco o a chi affidare le mura assediate.
Intanto dalle alte poppe Enea sbarca i compagni
con ponti. Molti osservavano i riflussi
del mare decrescente e con un salto si affidano alle secche,
altri attraverso i remi. Osservati i lidi, Tarconte, 290
dove le risacche non spirano le l´onda infranta rimormora,
ma il mare inoffensivo scivola con flusso crescente,
volge subito le prore e prega i compagni:
"Adesso, o scelta schiera, piegatevi sui validi remi;
alzate, portate le navi, spaccate coi rostri questa terra 295
nemica, la stessa carena si imprima il solco.
Non rifiuto di infrangere la poppa con tale approdo
una volta presa la terra." Dopo che Tarconte disse
tali cose, i compagni sorgevano insieme sulle onde
e portavano le barche sui campi latini, 300
fin che i rostri occupano l´asciutto e tutte le carene
si fermarono incolumi. Ma non la tua poppa, Tarconte:
conficcata nelle secche, mentre pende col dorso sbilanciato
incerta a lungo sostenutasi affatica i flutti,
si sfascia e getta gli uomini in mezzo alle onde, 305
ma gli spezzoni di remi ed i banchi fluttuanti
li bloccano ed insieme l´onda rifluente travolge i piedi.

BATTAGLIA CONTRO I RUTULI (308-361)
Né un pigro indugio trattiene Turno, ardente trascina
tutto l´esercito contro i Teucri e si ferma sul lido.
Risuonano i segnali. Per primo Enea assaltò le truppe 310
agresti, augurio di scontro, travolse i Latini,
ucciso Terone, un uomo certamente grandissimo
assale Enea. A costui con la spada attraverso le maglie di bronzo,
attraverso la tunica intessuta d´oro tocca il fianco aperto.
Poi ferisce Lica, staccato dalla madre già morta, 315
ed a te, Febe, sacro: perché a lui piccolo fu possibile
evitare i rischi del ferro? E non lontano il duro Cissea
e il gigantesco Gia che atterravano schiere con la clava,
li spinse a morte; a nulla loro giovarono le armi di Ercole
ne le potenti mani e il padre Melampo, 320
compagno di Alcide, fin che la terra gli offrì le gravi
fatiche. Ecco a Faro, mentre vanta inutili frasi,
tirando una lancia gliela conficca in bocca mentre grida.
Tu pure infelice Cidone mentre segui Clizio, nuovi amori,
che biondeggia le guance della prima lanugine, 325
atterrato dalla destra dardania, sicuro degli amori di giovani
che sempre avevi, miserando giaceresti,
se la serrata coorte dei fratelli non si presentasse davanti, i figli
di Forco, dette di numero, lanciano sette lance per volta;
in parte rimbalzano inutili per l´elmo e lo scudo 330
in parte la divina Venere li deviò sfiorano
il corpo. Enea si rivolge al fido Acate:
"Passami le armi, la destra non ne scagli nessuno invano
contro i Rutuli, di quelli che stettero nel corpo dei Grai
sui campi iliaci." Poi prende una grande asta 335
e la lancia: quella volando trapassa i bronzi dell´elmo
Meone e rompe la corazza insieme col petto.
Soccorre costui il fratello Alcanore e con la destra sostiene
il fratello che cade: trapassato il braccio, un´asta lanciata
subito fugge e insanguinata conserva la corsa, 340
e la destra dalla spalla coi nervi moribonda pendette.
Allora Numitore tratta la lancia dal corpo del fratello
si diresse su Enea: ma non fu possibile conficcarla
contro, e sfiorò una coscia del grande Acate.
Qui Clauso di Curi confidando nel corpo giovanile 345
giunge e da lontano con la rigida asta piantata pesantemente
sotto il mento ferisce Driope e insieme, trapassata la gola,
rapisce la voce e la vita di lui che parlava; ma quello
con la fronte sbatte in terra e dalla bocca vomita sangue denso.
Pure tre Traci dal lontano popolo di Borea 350
e tre che il padre Ida e la patria Ismara invia,
li abbatte per varie vicende. Accorre Aleso
e la schiera aurunca, giunge anche prole nettunia,
Messapo famoso per cavalli. Ora questi, ora quelli tentano
di respingere: si combatte sulla soglia stessa 335
dell´Ausonia. Come venti discordi nel grande etere
alzano scontri con ire e forze eguali;
non essi tra loro, non le nubi, non il mare cede;
a lungo incerta la lotta, tutti stanno ben saldi contro:
non diversamente le truppe troiane e le truppe latine
si scontrano, piede s´attacca a piede, uomo a uomo.

EROISMO DI PALLANTE (362-438)
Ma dall´altra parte, dove il torrente aveva portato per gran
tratto sassi rotolanti e arbusti crollati dalle rive,
come Pallante vide gli Arcadi non abituati ad attaccare
schiere di fanti a dar le spalle al Lazio che insegue, 365
(poiché l´aspra natura del luogo li aveva persuasi
a lasciare i cavalli), unica cosa che resta in situazioni precarie,
or con preghiera, or con parole amare accende il coraggio;
"Dove fuggite, compagni? Per voi e le forti imprese,
per il nome del condottiero Evandro e le guerre vinte, 370
per la mia speranza, che ora subentra emula alla gloria paterna,
non confidate nei piedi. Bisogna rompere la via tra i nemici
col ferro. Dove preme quel drappello densissimo di uomini
là la nobile patria richiama voi e Pallante vi guida.
Nessuna divinità incalza, noi mortali siamo pressati da un nemico 375
mortale; noi abbiamo altrettante vite e mani.
Ecco l´acqua ci chiude con la grande barriera del mare,
già manca la terra per la fuga: cerchiamo forse il mare come Troia?"
Così disse, e in mezzo ai nemici serrati si slancia.
Gli si fa davanti anzitutto Lago , spinto da fati 380
malvagi. Costui, mentre solleva un masso di gran peso,
scagliata l´arma, lo trafigge dove la spina dorsale segnava
le divisioni alle costole, e strappa l´asta
che s´attacca alle ossa. Isbone non lo sorprende,
sperandolo proprio, lui; infatti Pallante lo coglie prima 385
quando si lancia incauto, mentre è furioso per la crudele morte
del compagno e nasconde la spada nel polmone.
Poi assale Stenio e Anchemolo dell´antica stirpe di Reto
che osò violare d´incesto il letto della matrigna.
Anche voi, gemelli, cadeste nei campi rutuli, 390
Larde e Timbro, somigliantissima prole di Dauco,
indistinti e piacevole sbaglio per i loro genitori;
ma ora Pallante vi ha dato terribili differenze.
A te, Timbro, l´Evandria spada staccò la testa;
la destra recisa cerca te come suo, Larde, 395
le dita semivive s´agitano e stringono il ferro.
Gli Arcadi accesi dall´esortazione e osservanti le straordinarie
imprese dell´eroe, li arma contro i nemici il dolore e il pudore.
Allora Pallante trapassa Reteo che fugge via
con le bighe. Ilo ebbe solo questo spazio e quel tanto di indugio; 400
Ilo da lontano aveva drizzato un´asta robusta,
che Reteo in mezzo l´intercetta, fuggendo te, ottimo Teutra,
e il fratello Tire, caduto dal cocchio
semivivo colpisce a calci i campi de Rutuli.
E come d´estate, sorti i venti, secondo i desideri, 405
il pastore invia alle selve disseminati incendi,
attaccati subito in mezzo, la schiera di Vulcano si estende
insieme orrenda per i vasti campi,
egli sedendo vincitore contempla le fiamme esultanti:
non diversamente tutto il valore dei compagni s´unisce 410
e ti favorisce, Pallante. Ma Aleso spietato in guerra
si lancia sui nemici e si raccoglie nelle sue armi.
Costui ammazza Ladone, Ferete e Demodoco,
a Strimonio strappa la destra col la spada fulgente
alzata contro la gola, con un sasso ferisce il volto di Toante 415
disperse le ossa mischiate a cervello sanguinante.
Il padre predicendo i fati aveva nascosto nei boschi Aleso;
quando anziano sciolse con la morte le luci biancheggianti,
le Parche gettaron la mano e lo consacrarono alle armi
d´Evandro. Pallante lo assale avendo prima pregato così: 420
"Padre Tevere, da´ ora al ferro, che vibro come proiettile,
la fortuna e la via nel petto del crudele Aleso.
La tua quercia avrà queste armi e le spoglie dell´uomo."
Le ascoltò il dio; mentre Aleso protesse Imaone,
il misero dà il petto inerme al dardo arcadio. 425
Ma Lauso, parte ingente della guerra, non lascia le schiere
sgomente per la morte così grave dell´eroe: per primo uccide
Abante oppostogli, e ostacolo della battaglia.
Vien stesa la prole d´Arcadia, vengon stesi gli Etruschi
e voi, Teucri, o corpi risparmiati dai Grai. 430
Le scchiere si scontrano con capi e forze uguali;
gli ultimi serran le file né la ressa non lascia che
armi e mani si muovano. Da una parte Pallante incalza e preme,
dall´altra Lauso contro, né l´età differisce di molto,
stupendi d´aspetto, ma a loro Fortuna aveva negato 435
il ritorno in patria. Tuttavia il governatore del grande
Olimpo non permise che essi si scontrassero tra loro;
presto i loro fati li attendono sotto un nemico maggiore.

LA MORTE DI PALLANTE (439-509)
Intando la divina sorella avvisa di subentrare a Lauso
Turno, che taglia in mezzo la schiera col cocchio alato. 440
Come vide i compagni: "E´ tempo di smettere lo scontro;
io da solo mi porto contro Pallante, a me solo Pallante
è dovuto; vorrei che lo stesso padre fosse presente come spettatore."
Così disse, e i compagni si ritirarono dal campo ordinato.
Ma alla ritirata dei Rutuli il giovane meravigliatosi 445
dei superbi ordini stupisce davanti a Turno e volge gli occhi
sul corpo gigantesco e da lontano con volto truce squadra tutto,
e con tali parole va contro le parole del re:
"O io ormai sarò lodato per le ricche spoglie strappate oppure
per una morte gloriosa: il padre è uguale per la doppia sorte. 450
Smetti le minacce." Espressosi avanza in mezzo al campo;
un sangue freddo agli Arcadi si stringe nei cuori.
Turno saltò giù dalla biga, si prepara ad andare a piedi
al duello; come un leone, quando ha visto
lontano nelle piane un toro star fermo meditando gli scontri 455
vola, non diverso è l´aspetto di Turno che arriva.
Quando credette che costui fosse vicino all´asta lanciata,
avanza per primo Pallante, se un caso aiutasse chi osa
con forze impari, e così parla al grande etere:
"Per l´ospitalità e le mense del padre,che forestiero trovasti, 460
ti prego, Alcide, assisti le gigantesche imprese.
Veda me che strappo a lui semimorto le armi cruente
e gli occhi morenti di Turno mi sopportino vincitore."
Alcide ascoltò il giovane e represse in fondo al cuore
un grande gemito e versò lacrime inutili. 465
Allora il padre parla al figlio con parole amiche:
"Per ognuno è fisso il suo giorno, per tutti il tempo della vita
è breve ed irreparabile; ma estendere la fama coi fatti,
questo il compito del valore. Sotto le alte mura di Troia
tanti figli di dei caddero, anzi cadde insieme
Sarpedonte, mia progenie; anche i suoi fati chiamano
Turno ed è giunto alle mete dell´età concessa."
Così disse, e distolse gli occhi dai campi dei Rutuli.
Ma Pallante con sforzi enormi lancia l´asta
e strappa dal cavo fodero la splendente spada. 475
Quella volando cadde dove s´alzano i più alti ripari
della spalla, e trovata una via sugli orli dello scudo
apena sfiorò anche il grande corpo di Turno.
Allora Turno a lungo librandola lancia l´asta munita
di ferro acuto contro Pallante e così parla: 480
"Guarda se il nosto dardo sia più penetrabile."
Aveva detto; ma lo scudo, tante lamine di ferro, tante di bronzo
altrettante di pelle di toro, messe attorno, che (la punta) incontri,
in mezzo con un colpo vibrante la punta lo trapassa
e perfora i ripari della corazza ed il grande petto. 485
Egli afferra il caldo dardo invano dalla ferita:
per una stessa via sangue e anima escono.
Crollò sulla ferita e sopra le armi diedero in suono
e morendo colpisce la terra ostile col volto cruento.
Ma Turno piantandosi sopra [ così grida con la bocca] 490
"Arcadi, disse, queste mie parole riferite memori
a Evandro: come ha meritato, rimando Pallante.
Qualsiasi onore della tomba, qualunque consolazione ci sia
di seppellirlo, concedo. Per lui non costeranno poco le ospitalità
di Enea." E, dicendo così, col piede sinistro calpestò 495
l´esanime afferrandoi gli enormi pesi del balteo: in un´unica notte nuziale
una schiera di giovani uccisa sconciamente e i letti cruenti,
che Clono Euritide aveva cesellato con molto oro;
di questa spoglia oraTurno trionfa e gode, impadronitosene. 500
Mente degli uomini ignara del fato e della sorte futura
e privata nei momenti favorevoli di mantenere un controllo.
Vi sarà un tempo per Turno quando desidererà che Pallante intatto
fosse stato riscattato a grande prezzo, e odierà queste spoglie
e il giorno. Ma i compagni con molto gemito e lacrime 505
in folla riportano Pallante posto sullo scudo.
Oh destinato a ritornare al padre quale dolore e grande onore,
questo ti diede il primo giorno con la guerra, proprio questo ti toglie,
mentre tuttavia lasci enormi mucchi di Rutuli.

pallante

La morte di Pallante

L´IRA DI ENEA CONTRO TURNO (510-605)
Né ormai la fama di così grave male, ma un sicuro 510
testimone vola da Enea che i suoi sono in estremo rischio
di morte, che è tempo di soccorrere i Teucri sbaragliati.
Miete ogni cosa vicina con la spada e tra la schiera fa una larga
strada col ferro, cercando, ardente, per la recente strage te,
Turno, superbo. Pallante, Evandro, tutto è negli occhi 515
stessi, le mense, che da forestiero allora per prime
avvicinò, le destres cambiate. Qui quattro giovani
nati da Sulmone, altrettanti che l´Ufente nutre,
li afferra viventi, da immolare come offerte.
e cospargere di sangue prigioniero le fiamme del rogo. 520
Poi da lontano aveva lanciato a Mago l´asta nemica:
egli con astuzia s´abbassa, ma l´asta lo sorvola,
e abbracciandogli le ginocchia supplice prega così:
"Per gli dei paterni e le speranze di Iulo che cresce,
ti prego, salva questa vita per il figlio e il padre. 525
La casa è grande, son nascosti bene telenti
di argento cesellato, ho quantità d´oro lavorato
e non lavorato. La vittoria dei Teucri non si decide qui
e una sola vita non farà così tante differenze."
Aveva detto. Ma Enea così gli risponde: 530
" I molti talenti d´oro e d´argento che ricordi,
risparmiali per i tuoi figli. Questi commerci di guerra Turno
per primo li ha tolti uccidendo Pallante.
Questo gli dei del padre Anchise, questo pensa Iulo."
Così parlando con la sinistra tiene l´elmo e rovesciato
il collo del supplice, affonda la spada fino all´elsa. 535
Non lontano, era Emonide, sacerdote di Febo e di Trivia,
e l´infula gli cingeva le tempie con sacra benda,
brillando tutto con la veste e le bianche insegne.
Scontratosi lo coglie sulcampo, e stando sopra al caduto 540
lo immola e lo coprì con l´enorme ombra, Seresto riporta
le armi scelte per te, ore Gradivo, come trofeo.
Riorganizzano le schiere Ceculo, nato dalla stirpe
di Vulcano e Umbrone che viene dai monti dei Marsi.
Il Dardanide furoreggia contro: con la spada aveva staccato 545
la sinistra di Anxure e col ferro tutto il cerchio dello scudo;
Quello aveva pronunciato qualche cosa di garnde e aveva creduto
che ci fosse potenza nella formula, e forse innalzava il coraggio
al cielo e si era ripromesso vecchiaia e lunghi anni;
Tarquito che saltava contro con armi splendenti, 550
e l´aveva generato la ninfa Driope a Fauno abitatore delle selve,
si offrì davanti a lui ardente. Egli vibrata l´asta
blocca la corazza e il gran peso dello scudo,
poi abbatte a terra la testa di chi invano pregava e si preparava
a dire molto, e rovesciando il troco tirpido 555
sopra ciò esclama con anino ostile:
"Qui adesso, o terribile, giaci. L´ottima madre non ti seppellirà
in terra e onorerà le membre con sepolcro patrio:
sarai lasciato agli uccelli rapaci, o un´onda ti trascinerà
e i pesci affamati leccheranno le ferite." 560
Subito insegue Anteo e Luca, prime schiere di Turno,
il forte Numa ed il rosso Camerte,
figlio del magnanimo Volcente, che fu il più ricco di terreno
degli Ausonidi e regnò sulla tacita Amicla.
Quale Egeone, che dicono avesse cento braccia 565
e cento mani, e ardesse fuoco per cinquanta
bocche e petti, quando tuonò contro i fulmini di Giove
con altrettanti scudi, brandendo altrettante spade:
così Enea infierì su tutto il campo da vincitore,
appena intiepidì la punta. Anzi, ecco attacca contro 570
i cavalli da quadriga di Nifeo.
E quelli quando lo videro avanzare da lontano e fremere
paurosamente, giratisi dietro per paura e correndo
rovesciano il conducente e trascinano i cocchi sui lidi.
Intanto Lucago e il fratello Ligeri con le bianche bighe 575
si lancia in mezzo; ma il fratello con le briglie
piega i cavalli, l´aspro Licago rotea la spada sguainata.
Enea non sopportò chi furoreggiava con tanto fervore;
si buttò e gigantesco apparve con l´asta puntata.
A lui Ligeri: 580
"Non vedi i cavalli di Diomede né il cocchio di Achille
o le piane di Frigia: oraverrà data la fine della guerra e della vita
su queste terre." Per il pazzo Ligeri tali parole volano
lontano. Ma l´eroe troiano non prepara parole
di risposta, ma lancia un giavellotto contro i nemici. 585
Come Lucago pendendo per le frustate ai cavalli piegato
li spronò con la lancia, mentre puntato il piede sinistro
si preparava allo scontro, l´asta giunse attraverso gli ultimi
orli del brillante scudo, poi perfora l´inguine a sinistra;
sbalzato dal cocchio moribondo si rotola sui campi. 590
Ed il pio Enea gli si rivolge con parole amare:
"Lucago, nessuna fuga vile dei cavalli tradì i tuoi cocchi
o vuote ombre li volsero via dai nemici:
tu stesso saltando dalle ruote abbandoni il cocchio." Così parlando
afferrò la pariglia; il fratello misero tendeva le palme 595
caduto dallo stesso carro:
"Per te, per te che i genitori hanno generato così,
eroe troiano, lasciami questa vita e abbi pietà di chi prega."
Enea a lui che di più diceva: "Poco fa non offrivi
tali parole. Muori e da fratello non lasciare il fratello." 600
Poi aprì con la punta il petto, protezione della vita.
Il condottiero dardanio per la pianura produceva
tali stragi infuriando alla stregua d´acqua torrenziale
o di nera uragano. Finalmente escono e lasciano il campo
il giovane Ascanio e la gioventù inutilmente assediata. 605

GIOVE E GIUNONE (606-635)
Intanto Giove così si rivolge a Giunone:
"O per me sorella e insieme carissima sposa,
come pensavi, Venere (e l´idea non ti inganna)
sostiene le forze troiane, gli uomini in guerra non hanno
una destra vivace, né animo fiero che sopporta il rischio." 610
A lui Giunone sottomessa: "Perché, o bellissimo marito,
provochi una triste che teme le tue parole?
Se io, e un tempo l´avevo ed era giusto che l´avessi,
avessi la forza nell´amore, non mi negheresti questo,
onnipotente, che potessi sottrarre Turno allo scontro 615
e salvarlo incolume per il padre Dauno.
Ora perisca e paghi il fio ai Teucri con il sangue pio.
Egli però prende il nome dalla nostra origine
e Pilumno gli è quarto padre e spesso con larga
mano e molti doni colmò le tue soglie." 620
E a lei brevemente così risponde il re dell´etereo Olimpo:
"Se si chiede un ritardo della morte presente e un momento
per il giovane destinato a cadere e pensi che io decida così questo,
prendi Turno con la fuga e toglilo dai fati imminenti.
Fin qui è possibile permetterlo. Se sotto queste preghiere 625
si nasconde un permesso maggiore e credi che tutta la guerra
si sconvolga o muti, nutri vane speranze."
E Giunone piangendo: " E che? Se, quello che a parole ti rincresce,
tu dessi col cuore e questa vita restasse valida per Turno?
Ma una morte pesante attende l´innocente, o io lontana 630
dal vero mi porto. Oh se piuttosto fossi ingannata da falsa
paura, e tu che puoi cambiassi in meglio le tue parole."
Come espresse queste frasi, subito si lanciò dall´alro
cielo, vestita di nube, trascinando nell´aria tempesta,
e si diresse alla schiera iliaca e al campo laurente. 635

TURNO INGANNATO DA GIUNONE (636-688)
Allora la dea con una nube cava crea un´ombra sottile
senza forze dall´aspetto di Enea, mirabile prodigio a vedersi,
con armi dardanie, simula lo scudo ed i pennacchi
del capo divino, dà parole vuote,
dà una voce senza cuore e finge passi che vanno, 640
quale è fama che, giunta la morte, le forme volteggino
o i sogni che ingannano i sensi assopiti.
Ma il fantasma lieto esulta davanti alle prime file
incita l´eroe con le armi e lo provoca con la voce.
Turno lo incalza e lancia da lontano l´asta 645
stridente; quello, date le spalle, cambia percorso.
Allora Turno credette che Enea voltatosi si ritirasse
e spavaldo in cuore bevve una vana speranza:
"Dove fuggi, Enea? Non lasciare i talami pattuiti;
con questa destra sarà data la terra cercata per mare." 650
Così gridando insegue e vibra la punta sguainata,
non vede che i venti portano le sue gioie.
Per caso una nave stava unita alla base di un´alta roccia,
le scale pronte e il ponte preparato,
il re Osinio da Chiusi era stato portato da quella. 655
Qui il trepido fantasma di Enea che fuggiva
si getta in nascondigli, né Turno più lento incalza
oltrepassa gli ostacoli e salta sugli alti ponti.
Aveva quasi toccato la prua, la Sturnia rompe la fune
e afferra la nave salpata nelle acque già percorse. 660
Allora leggero il fantasma non cerca più nascondigli,
ma volando in alto si nascose in nera nube,
Enea però cerca lui assente per il duello;
spedisce molti corpi incontrati di eroi alla morte,
mentre intanto una tempesta porta Turno in mezzo al mare. 665
Guarda ignaro della realtà e ingrato della salvezza
tende ambedue le mani alle stelle con la frase:
"Onnipotente genitore, mi ritenesti degno di così grave
delitto e volesti che pagassi simili pene?
Dove son portato? Donde scappai? Quale fuga o in che stato mi 670
riporta? Vedrò di nuovo le mura e i campi di Laurento?
E che?quella schiera d´eroi, han seguito me e le mie armi?
Tutti quelli che (orribile!) lasciai in vergognoasa morte
e ora vedo allo sbando, e sento il gemito
dei morenti? Che faccio?o quale profondità della terra mi 675
inghiottirebbe? Voi, oh, venti piuttosto abbiate di me;
contro rupi, contro rocce ( io Turno volente vi adoro)
portate la nave e gettatela nelle crudeli secche della sirte,
dove né i Rutuli né la fama cosciente mi segua."
Dicendo questo con la mente vacilla ora qua ora là, 680
fuor di sè se colpirsi per così gran disonore
con la punta e spinger tra le costole la spada crudele,
o buttarsi in mezzo ai flutti e nuotando dirigersi ai curvi
lidi e di nuovo darsi alle armi dei Teucri.
Tre volte tentò entrambe le vie, tre volte la massima Giunone 685
lo trattenne e impietorita, bloccò il giovane .
Corre solcando l´alto mare con flutto e marea favorevole
e si riporta all´antica città del padre Dauno.

L´INTERVENTO DI MEZENZIO (689-754)
Ma intanto per gli ordini di Giove Mezenzio ardente
succede nello scontro e assale i Teucri esultanti. 690
Le schiere tirrene accorrono e con tutti gli odi per un unico,
incombono su un unico uomo con incessanti lanci.
Lui come rupe che emerge in vasto mare,
davanti alle furie dei venti e opposta al flutto,
sopporta tutta la forza e le minacce di cielo e mare 695
lei stesso restando immobile stende a terra Ebro, prole
di Dolicaone, e con lui Latago e Palmo fuggitivo,
ma Latago, con un sasso e un enorme pezzo di monte,
lo colpisce davanti in faccia, sul volto, e tagliato un polpaccio
lascia che Palmo si rotoli lento, concede a Lauso 700
di avere le armi e fissare alla testa le creste.
E inoltre il frigio Evante e Mimante coetaneo
e compagno di Paride, che Teano diede alla luce
dal padre Amico nella stessa notte che la regina Cisseide
gravida di fiamma (partorì) Paride; Paride giace nella città 705
paterna, la terra di Laurento tiene Mimante sconosciuto.
E come il cinghiale spinto dagli alti monti dal morso
dei cani, che il Vesulo ricco di pini per molti anni
protesse e per molti la palude di Laurento nutre nella selva
di canne, dopo che si arrirò tra le reti, 710
s´è fermato e feroce ha grugnito e drizzato i peli,
e nessuno ha il coraggio di eccitarlo o avvicinarsi di più,
ma da lontano incalzano con lanci e sicure grida;
non diversamente, quelli che hanno un giusto odio per Mezenzio,
nessuno ha il coraggio di affrontarlo col ferro sguainato, 715
da lontano e con vasto urlare lo provocano con proiettili.
Lui però impavido tentenna in tutte le parti
digrignando i denti e scuote le aste dalla schiena.
Era giunto dagli antichi territori di Corito Acrone,
uomo graio, lasciando profugo le nozze incompiute. 720
Come vide costui sconvolgere il centro delle schiere,
rosso per le piume e la porpora della sposa promessa,
come leone affamato aggirandosi tra grandi stalle
poichè una pazza fame lo spinge, se mai ha visto una capra
paurosa o un cervo che si erge con le corna 725
gioisce bramando, ha drizzato le criniere e s´attacca
alle viscere buttandosi sopra; nero sangue bagna
le fauci malvage:
così Mezenzio corre veloce contro i fitti nemici .
Il misero Acrone è atterrato e coi calci colpisce il nero 730
suolo spirando e insanguina le armi spezzate.
E lo stesso non si degnò di stendere Orode
che fuggiva né di dare una cieca ferita, lanciato il dardo;
davanti in faccia gli corse e si presentò da uomo
a uomo, non migliore per inganno, ma per le forti armi. 735
Poi sopra di lui atterrato spingendo col piede calcato e con l´asta:
"(Come) Parte di guerra non disprezzabile, o eroi, l´alto Orode giace."
Acclamano i compagni accompagnando un lieto canto di guerra;
ma quello spirando: " Chiunque tu sia, non io invendicato,
né tu vittorioso ti allieterai a lungo; i fati uguali aspettano 740
anche te e occuperai presto gli stessi campi."
Ma sghignazzandoli con aggiunta l´ira Mezenzio:
"Ora muori. Ma per me il padre degli dei e re degli uomini
provvederà." Così dicendo estrae dal corpo la spada.
A quello una crudele quiete e un ferreo sonno blocca 745
gli occhi, le luci si chiudoni per l´eterna notte.
Cedico stronca Alcatoo, Sacratore Idaspe,
Rapone Partenio ed Orse, durissimo per le forze,
Messapo Clonio ed Erichete licaonio,
quello che giaceva per terra per la caduta del cavallo sfrenato, 750
questo da fante. Anche Licio agide era venuto come fante,
tuttavia Valero non privo del valore ereditato lo
abbatte; ma Salio (uccide) Tronio e Salio (lo uccide) Nealce,
famoso per il lancio e la freccia che da lontano inganna.

SCONTRO TRA ENEA E MEZENZIO (755-790)
Ormai Marte eguagliava i gravi lutti e le reciproche 755
morti; parimenti uccidevano e parimenti cadevano
vincitori e vinti; né agli uni né agli altri era nota la fuga.
Gli dei nel palazzo di Giove commiseravano l´inutile ira
di entrambi e che i mortali avessero così grandi affanni;
Da una parte Venere osserva, dall´altra contro la saturnia Giunone.
Tisifone infuria pallida in mezzo alle migliaia.
Mezenzio però scuotendo l´asta gigantesca
furioso entra in campo. Quanto grande Orione,
quando avanza i piedi aprendo la via attraverso i grandissimi
stagni di Nereo, con la spalla sovrasta le onde, 765
o portandosi un annoso orno dagli altissimi monti
cammina sul suolo e nasconde il capo tra le nubi,
così si presenta Mezenzio con le grandi armi.
Contro costui Enea, scortolo in una lunga schiera,
si prepara ad andargli davanti. Egli resta imperterrito 770
aspettando il magnanimo nemico, e sta sulla sua mole;
misurato lo spazio con gli occhi quanto sufficiente per l´asta:
"La destra, un dio per me, e la lancia, che vibro come proiettile,
ora mi assistino. Faccio voto che tu, Lauso, vestito
delle spoglie strappate dal corpo del predone (sia) proprio 775
trofeo su Enea." Disse,e da lontano lanciò l´asta stridente.
Ma quella volando è sbalzata dallo scudo e lontano
trafigge il nobile Antore tra il fianco ed il ventre,
Antore compagno di Ercole, che inviato da Argo
s´era unito a Evandro e s´era insediato nella città itala. 780
il misero è steso da un colpo altrui, guarda il cielo
e morendo si ricorda della dolce Argo.
Allora Enea lancia l´asta; ella attraverso il cavo cerchio
di triplo bronzo, attraverso gli strati di lino, opera intessuta
di tre (pelli di) tori trapassò e si fermò in fondo 785
all´inguine, ma non entrò con violenza. Più rapidamente
Enea lieto, visto il sangue del tirreno sguaina
la spada dal fodero e furioso sta sul vacillante.
Gemette profondamente per amore del caro genitore,
come vide, Lauso, lacrime scesero sul volto. 790

LA MORTE DI LAUSO (791-832)
Qui non tacerò il caso della crudele morte e le ottime
imprese, se una posterità potrà portare fede a sì grande azione
né certamente te, giovane degno di ricordo.
Egli ritraendo il piede, incapace e quasi legato,
si ritirava e strappava dallo scudo la lancia nemica. 795
Il giovane si slanciò e si unì alle armi,
e andò sotto la punta di Enea che s´alzava con la destra
e sferrava il colpo e contrastandolo lo trattenne;
i compagni accompagnano con grande grido,
mentre il genitore protetto dallo scudo del figlio se n´andava, 800
lanciano armi e da lontano disturbano il nemico
coi proiettili. Furoreggia Enea e si tiene coperto.
Come quando i nembi precipitano, rovesciatasi
la grandine, ogni aratore scappa dalle piane
e ogni agricoltore, e il viandante si nasconde in rocca 805
sicura o sotto le rive di un fiume o la volta di alta roccia,
mentre sulle terre piove, per potere, ritornato il sole,
continuar la giornata: così Enea, coperto ovunque di lance,
sostiene la nube di guerra, fin che tutto si plachi,
e sgrida Lauso e minaccia Lauso: 810
"Dove corri a morire e osi cose maggiori delle forze?
Inganna te incauto il tuo amore." Non di meno quello
pazzo s´agita, e maggiormente crescono le ire al capo
dardanio, ma le Parche raccolgono gli ultimi
fili per Lauso. Enea estrae la forte spada 815
e tutta la nasconde in pieno sul giovane ;
la punta trapassò anche lo scudo, armi leggere del temerario,
e la tunica che la madre aveva intessuto con tenero oro
(ne) riempì l´orlo il sangue; poi la vita mesta scappò
nell´aria verso i Mani e abbandonò il corpo. 820
Ma come vide l´aspetto e il volto del morente,
il volto pallido in forme straordinarie, l´Anchisiade
gemette commiserando profondamente e tese la destra,
e il pensiero dell´amore paterno gli toccò il cuore.
"Che cosa adesso, misero ragazzo, per questi eroismi, 825
che cosa darà il pio Enea ( a te) degno di così garnde carattere?
Abbi le tue armi, di cui eri fiero; e ti affido ai mani
dei genitori e alla cenere, se vale tale cura.
Tuttavia tu infelice consolerai la misera morte:
cadi per la destra del grande Enea." Rimprovera poi
i compagni esitanti e lo solleva proprio da terra
mentre deturpava col sanguei capelli bene pettinati.

mezenzio

Enea uccide Mezenzio

MEZENZIO UCCISO DA ENEA (833-908)
Intanto il padre presso l´onda del fiume Tevere
asciugava con le acque le ferite e riposava il corpo
appoggiato al troco d´un albero. Lontano l´elmo pende 835
e le pesanti armi riposano sul prato.
Giovani scelti stanno attorno; egli debole ansimante
massaggia il collo sciolto la barba pendente sul petto;
molto domanda su Lauso, molte volte manda gente che lo
richiami riferiscano i messaggi del padre afflitto. 840
Ma i compagni portavano Lauso esanime sulle armi
piangendo il grande vinto da grande ferita.
Il cuore presago della disgrazia da lontano riconobbe il gemito.
Imbratta la canizie di molta polvere e tende
al cielo ambo le palme e s´attacca al corpo. 845
"Forse così grande brama di vivere, figlio, mi prese,
da sopportare che quello che generai si avvicinasse alla destra
nemica per me? Io padre da queste ferite sono conservato
vivo grazie alla tua morte? Ahi, adesso per me misero alla fine
la morte infelice, adesso il colpo profondamente sferrato. 850
Proprio io, figlio, ho macchiato di delitto il tuo nome,
cacciato per odio dal trono e dagli scettri paterni.
Dovevo la pena alla patria e agli odi dei miei:
avessi dato io stesso la vita colpevole con tutte le morti.
Ora vivo e non lascio ancora la luce egli uomini. 855
Ma la lascerò." Dicendo insieme così si alza sul debole
femore e benchè la forza ritardi per la ferita profonda,
non abbattuto comanda di portare il cavallo. Lui aveva questo
orgoglio, questa consolazione, con questi usciva vincitore da tutte
le guerre. Parla all´afflitto e così comincia: 860
"Rebo, a lungo, se mai i mortali hanno a lungo qualcosa,
abbiam vissuto. O vincitore oggi riporterai quelle spoglie
E la testa del cruento Enea e con me sarai vendicatore
dei dolori di Lauso, o, se nessuna forza apre la via,
giacerai insieme; non credo, fortissimo, che ti degnerai 865
di sopportare altri ordini e padroni troiani."
Disse, e o in groppa posò le membra abituate
e caricò ambo le mani di acute lance,
nel capo splendendo di bronzo e ispido di cresta equina.
Così rapido si buttò in mezzo al galoppo. Gigantesca 870
brucia in un sol cuore vergogna e pazzia con lutto insieme.
[anche l´amore sconvolto da furori ed il valore cosciente]
ed allora chiamò tre volte a gran voce Enea.
Enea lo riconobbe e lieto prega:
"Così il padre degli dei lo conceda, così il nobile Apollo. 875
Comincia a venire alle mani."
Appena parlato e avanti va con l´asta puntata.
Ma quello: "In cosa, strappatomi il figlio, crudelissimo, mi
mi spaventi? Questa sola fu la via per cui tu potessi rovinarmi:
né abbiam paura della morte ne rispettiamo qualcuno degli dei. 880
Smetti, vengo infatti a morire e prima ti porto
questi doni." Disse, e lanciò contro il nemico l´arma;
poi un´altra ne conficca e altra ancora e vola
in enorme giro, ma l´umbone d´oro resiste.
Tre volte cavalcò attorno a (Enea) che stava davanti in cerchi
a sinistra scagliando con la mano le armi, l´eroe troiano porta
attorno con sé sulla copertura dorata una selva gigantesca.
Quando poi si stanca di aver protratto tanti indugi, di strappare
tante frecce, e scontratosi è incalzato da lotta sfavorevole,
riflettendo molto in cuore finalmente attacca e scaglia 890
un´asta tra le cave tempie del cavallo combattente.
Il quadrupede sialza dritto e a calci colpisce
l´aria, e lui stesso caduto sopra il cavaliere disarcionato
lo travolge e giace a testa in giù con la spalla lussata
Troiani e Latini incendiano il cielo di urla. 895
Enea vola e strappa la spada dal fodero
ed aggiunge: "Dove adesso il crudele Mezenzio ha quella
feroce violenza del cuore?" Il tirreno in risposta, come
alzando lo sguardo tirò il fiato e raccolse cielo e coscienza:
"Nemico amaro, perché sbraiti e minacci morte? 900
nessuna empietà nella morte, né così venni agli scontri,
né con te il mio Lauso pattuì per me questi patti.
Questo solo, se i nemici vinti hanno un favore, supplico:
permetti che il corpo sia coperto da terra. So che gli odi
acerbi dei miei stanno attorno: allontana, supplico, questo 905
furore e rendimi partecipe del sepolcro del figlio."
Questo dice, e non inconscio accoglie in gola la spada
e riversa la vita sulle armi col sangue traboccante 10.908

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Eugenio Caruso - 01- 06 - 2021

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www.impresaoggi.com