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Dante Alighieri e il libero arbitrio.

Quello che tu chiami schiavo pensa che è nato come te, gode dello stesso cielo, respira la stessa aria, vive e muore, come viviamo e moriamo noi. Puoi vederlo libero cittadino ed egli può vederti schiavo.
Seneca

“Che cos’è la libertà?” In ogni uomo vi è un inspiegabile desiderio di libertà che si palesa nel momento in cui si avverte l’inadeguatezza rispetto al mondo esterno, poiché si percepisce un vuoto e una noia che rendono l’uomo schiavo delle circostanze quotidiane, ed è proprio questa inadeguatezza che induce l’uomo stesso a cercare una dimensione in cui essere libero, ossia in cui essere pienamente se stesso.
Il tema della libertà viene affrontato da Dante Alighieri nel XVI canto del Purgatorio, nel quale il protagonista (Dante stesso) attraversando la terza cornice del monte del Purgatorio, ovvero quella degli iracondi, incontra Marco Lombardo, suo concittadino, attivo politicamente, la cui identità resta ignota. L’autore per mezzo delle parole dell’anima con cui interloquisce, afferma: “Lo cielo i vostri movimenti inizia;/non dico tutti, ma, posto ch’i’ l dica,/lume v’è dato a bene e a malizia,/ e libero voler; che, se fatica/ ne le prime battaglie col ciel dura,/poi vince tutto, se ben si notrica.” (“Divina Commedia- XVI canto Purgatorio” vv. 73-76).
Dunque l’uomo è vincolato al contesto storico e alla condizione sociale in cui nasce (che vengono identificati come “lo cielo i vostri movimenti inizia”, ossia la volontà del Cielo pone le basi della vostra vita), ma questi ultimi non determinano l’intera vita dell’uomo stesso, perché questo è dotato di ragione per distinguere il bene dal male e il libero arbitrio per aderire a ciò che corrisponde al bene.
Secondo il poeta il libero arbitrio non può esistere senza la ragione: ragione e libero arbitrio affondano le proprie radici nell’essenza della natura umana, poiché questi due requisiti definiscono l’uomo a immagine e somiglianza di Dio e allo stesso tempo lo contraddistinguono da ogni altro essere vivente. Tuttavia l’uomo è nato anche con un inspiegabile desiderio di felicità e di pienezza che non può essere colmato da beni terreni e materiali, infatti il poeta afferma: “Di picciol bene in pria sente sapore;/quivi s’inganna, e di dietro ad esso corre,/ se guida o fren non torce suo amore.” (“Divina Commedia- XVI canto Purgatorio” vv. 91-93).
In questi versi viene descritta la dinamica del desiderio: ossia nel momento in cui l'uomo ottiene un bene materiale ne avverte il piacevole sapore, ma questo non è sufficiente a renderlo felice se non per un breve istante e perciò si inizia a desiderare di più (potere, denaro) al fine di colmare un desiderio di Infinito con oggetti materiali, finiti e soggetti al logoramento del tempo, a meno che una guida indirizzi sulla retta via questo desiderio.
Quindi è necessario educare la propria ragione al bene e ciò è reso possibile dall’adesione volontaria a questo bene per mezzo del libero arbitrio. Dunque la libertà emerge come la condizione che permette all’uomo di muoversi attratto dal bene, infatti Dante asserisce: “A maggior forza e a miglior natura/liberi soggiacete; ” (“Divina Commedia- XVI canto Purgatorio” vv. 79-80), l’espressione antitetica “liberi soggiacete” espone un concetto di libertà inteso come sottomissione al vero, dopo aver riconosciuto la verità per mezzo della ragione, la libertà permette all’anima umana di aderirvi.
Dante identifica questa Verità con Dio, la libertà dunque non è altro che una sottomissione a Dio, il concetto di verità non è relativo per ognuno di noi, ma vi è una Verità assoluta che ci permette di distinguere il bene dal male, ma soprattutto che risponde a pieno a quel desiderio di Infinito insito nella natura umana. Infatti il desiderio di Felicità di cui tratta Dante ha generato l’inquietudine in Leopardi, il quale afferma: “sentire che l’animo e il desiderio nostro sarebbe ancor più grande che si fatto universo; e sempre accusare le cose di insufficienza e di nullità, e patire mancamento e voto, e però, noia, pare a me il maggior segno di grandezza e di nobiltà che si vegga della natura umana”. Secondo Leopardi nella “noia” risiede la grandezza dell’animo umano, poiché quest’ultimo avverte la vanità delle cose terrene e nulla di finito, neanche l’universo intero, potrà soddisfare il proprio desiderio. Infatti, il vuoto, avvertito dall’animo umano, è indice della sproporzione tra l’io e le cose che lo circondano. Le pareti domestiche appaiono soffocanti e la propria libertà sembra negata poiché emerge quel vuoto. L’affiorare del vuoto in noi è dovuto al fatto che non si ha un terreno solido su cui poggiare la nostra esistenza e perciò diventiamo schiavi delle circostanze quotidiane (studio, lavoro), cioè non ci sentiamo liberi, ed è così che si rivela la fragilità della nostra vita (assimilabile all’edificazione di un castello di carte) se non segnata da un cammino al Vero. In conclusione si può affermare che la ragione umana permette all’uomo di riconoscere il Vero, ma la libertà è l’unica condizione fondamentale per aderirvi e dunque per vivere all’altezza del proprio Desiderio.
A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto (Lc 12,39-48). Questa affermazione dal Vangelo di Luca è emblematica per capire la visione di Dante, circa il libero arbitrio. Dante, uomo di intelletto, ma anche d’azione, nutriva un profondo disprezzo per una categoria di uomini in particolare: gli ignavi, ovvero coloro i quali pur avendo la libertà e la facoltà di scegliere come agire, rinunciano ad essa per paura o pigrizia o debolezza, e lasciano che altri scelgano al posto loro. Egli li disprezza al punto da dedicare loro parole molto aspre nel Canto III dell’Inferno, dove li incontra nel cosiddetto Antinferno. Si tratta di uomini e donne che durante la vita non hanno mai agito né nel Bene e né nel Male, ma si sono limitati a seguire la massa, senza prendere posizione, rimanendo neutrali. La condanna che il poeta stabilisce per loro è esemplare: poiché non sono stati abbastanza cattivi da meritare le pene dell’Inferno, ma neppure abbastanza buoni da poter ascendere in Paradiso, devono correre per l’eternità inseguendo un’insegna bianca (la loro incapacità a decidersi), mentre vespe e mosconi li pungono e i vermi mangiano il loro sangue e le loro lacrime. Virgilio, accompagnando Dante lontano da quelle tristi figure, lo esorta:

Questi non hanno speranza di morte,
e la lor cieca vita è tanto bassa,
che ‘nvidïosi son d’ogne altra sorte.

Fama di loro il mondo esser non lassa;
misericordia e giustizia li sdegna:
non ragioniam di lor, ma guarda e passa.

La condanna di Dante è chiara e severa: guai a chi, avendo ricevuto in dono la libertà di scegliere, il libero arbitrio, vi rinuncia per seguire la via più facile, la via del non scegliere. Rinunciare alla libertà, e alle responsabilità che ne derivano, equivale a rinunciare alla propria dignità umana.

Tratto in parte da

Pierluigi Dei Rocini - 18 - 07 - 2021

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