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Evoluzione dell'impresa - Modelli di impresa - Capitolo 2

E’ molto difficile non fare commenti quando si sa fare una cosa  e la si vede fare nel modo sbagliato.

Henry White


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1. Introduzione

Seguito di "Evoluzione dell'impresa - Capitolo 1". Per andare al Capitolo 3 clicca qui.

Negli ultimissimi anni il sistema produttivo mondiale sta affrontando i marosi di un vero e proprio rivolgimento che va sotto il nome di new-economy. Chi, come l'autore, ha l'occasione di venire a contatto con centinaia d'aziende può affermare che la nascita e lo sviluppo recente di un gran numero d'imprese nei settori dell'e-commerce, dello sfruttamento delle potenzialità di Internet e delle telecomunicazioni, non è altro che la punta di un iceberg.

Questo iceberg è una vera seconda rivoluzione industriale che sta conducendo a modifiche culturali, organizzative e strategiche la massa delle aziende dei paesi più industrializzati.

Assistiamo, come afferma Luttwak, a un'accelerazione degli avvenimenti, mai vista prima, tutto è fluido, i cambiamenti avvengono in modo così repentino da imporre l'assioma che le imprese, per sopravvivere, oltreché essere veloci e flessibili, devono interpretare il cambiamento (Drucker, 2000) come un fatto fisiologico, incorporato nel proprio dna (1).

Il mercato non risponde più ai principi cartesiani di causa-effetto, ma pone in essere comportamenti, spesso imprevedibili, sempre più creativi e slegati da modelli; l'esercizio della previsione sembra opera di stregoneria, poiché cerca ordine e continuità in sistemi che diventano sempre più caotici e non lineari.

Eppure, ancora oggi, si legge su giornali, che hanno un notevole impatto sull'opinione pubblica, che la new-economy è una bolla speculativa, che è un'economia da far-west, che non reggerà all'esame del tempo, che rappresenta un ritorno all'impresa fordista, con poveri giovani costretti a lavorare quindici ore al giorno in sottoscala e garage. Tutto questo ispirato dal vecchio establishment imprenditoriale e manageriale che non ha la capacità di adeguarsi alle regole della nuova economia e che tuttora detiene la proprietà dei grandi mezzi di comunicazione. La lettura degli articoli di questi "esperti" fa pensare a quel botanico che ritenga di poter descrivere la tipologia degli alberi di una foresta con la semplice osservazione da un oblò di un aereo di linea.
Un fatto è certo: tutto il sistema produttivo sta subendo trasformazioni che impongono all'economia nuovi paradigmi. Chi insiste nel decantare la old-economy, intendendo quelle imprese gestite sulla base dei paradigmi degli anni novanta non ha compreso che quell'economia, quel modo di gestire, valido fino a ieri, non esiste più e che, ancora una volta, le leggi del mercato hanno avuto il sopravvento.

Per capire cosa realmente sia questo iceberg della nuova economia, forse, più che porre l'attenzione sui grandi gruppi, giova osservare come le Pmi più avanzate siano protagoniste di una rivoluzione che vede, sia l'introduzione dell'information technology nella progettazione, nei processi produttivi, nella gestione, sia una marcata attenzione all'innovazione tecnologica.

Si possono, tra l'altro, illustrare un gran numero di esempi pratici; i produttori italiani di macchine utensili, dopo un periodo di stallo, sotto i colpi della concorrenza a basso costo del lavoro, stanno ritrovando lo slancio e la leadership del passato grazie all'information technology e all'utilizzo massiccio di una grappolo di tecnologie (laser, fibre ottiche, microelettronica, miniaturizzazione dei motori elettrici).
L'innovazione tecnologica e gestionale, l'information and communication technology e la creatività hanno dato ai nostri imprenditori quel plus che consente ad una miriade di piccole, medie e grandi (poche) imprese di battere la concorrenza.
Le Pmi italiane che operano nel campo della strumentazione, stavano andando incontro a seri problemi nel reperimento della componentistica elettronica, poiché i canali di distribuzione privilegiavano le grandi commesse provenienti dal settore delle telecomunicazioni, trascurando le piccole forniture, ebbene l'e-commerce sul mercato americano e accordi con corrieri internazionali ha consentito a queste imprese di sopravvivere.
Un altro elemento che sta a significare quanto questa nuova economia sia lontana da quella di qualche anno fa è l'analisi del mondo del lavoro nel quale è cresciuta enormemente la dimensione individuale. In Italia vi sono cinque milioni di piccole imprese, circa cinque milioni e mezzo di lavoratori indipendenti, quasi quattro milioni di professionisti, contro meno di dieci milioni di lavoratori dipendenti dalle grandi organizzazioni (De Rita, 2000).
Il rapporto individuale con il lavoro ha portato alla valorizzazione delle doti personali, dello spirito d'impresa e della sfida, dell'orgoglio della propria utilità sociale, della responsabilizzazione, elementi che hanno, coerentemente, creato anche una maggiore soggettività nella vita extra-lavorativa degli individui; non è stato rivoluzionato solo il mondo del lavoro, ma anche il contesto sociale con il quale il lavoratore interagisce.

La rivoluzione succitata è caratterizzata da una serie di elementi distintivi, che non possono non rientrare in un concetto di nuova economia. Ieri l'impresa era focalizzata su aspetti tangibili o misurabili (strutture, impianti, materie prime, lavoro, capitale, bilanci), oggi sono gli aspetti intangibili che dettano le regole della competitività (leadership, immagine, informazione, conoscenza, vision, sfida). I manager devono fronteggiare situazioni contraddittorie e dilemmi (semplice-complesso, stabile-instabile, centralizzato-decentrato, competizione-cooperazione, ordine-disordine, velocità decisionale-condivisione, comando-leadership), ma, spesso, sono impreparati a fondere gli opposti, ad affrontare il paradosso, a misurare l'immisurabile e per loro si preannunciano difficoltà e crisi da demansionamento.
Ciò non significa che le imprese non vogliano cambiare, esse, infatti, hanno sperimentato vari modelli organizzativi, come l'activity based management (2),il total quality management con le sue varie modalità operative, il business process reengineering (3), l'outsourcing (4), il downsizing (5), la lean organization (6), il pdca (7).
Si potrebbe affermare che le aziende, specie la grandi, sono state investite da ondate di proposte d'innovazione delle loro strutture organizzative; spesso i risultati sono stati modesti e si sono tradotti, sostanzialmente, in drastici tagli nel costo del personale, nell'applicazione del buon senso (8) e nel superamento delle logiche burocratiche e gerarchico-funzionali.
 
Ma ora, la nuova economia richiede alle imprese, sia un salto rispetto alla tradizione deterministica, sia l'abbandono di regole e paradigmi che sono ancora alla base della vecchia cultura.

Paradossalmente, alla complessità, alla fluidità e alla non linearità della nuova economia non è possibile rispondere con modelli complessi, con ristrutturazioni onerose e con una continua perdita di risorse, ma, viceversa, con una semplificazione dei modelli di gestione e con la focalizzazione su alcuni principi guida.
E' essenziale rammentare che la piccola e media impresa, nerbo e cerniera del sistema produttivo non ha, quasi mai, seguito le mode delle riorganizzazioni, eppure i risultati parlano di un loro discreto, ma continuo successo. Allora, forse, anche la grande impresa deve entrare nell'ottica della Pmi e adottare i semplici principi guida illustrati in questo testo.
Contestualmente si cercherà di dare risposte semplici alle seguenti domande: qual è il segreto del successo e della longevità di alcune imprese, come si diventa impresa eccellente?
Le cause che sottendono l'eccellenza delle imprese sono state di volta in volta individuate nella business excellence, nell'efficacia delle esecuzioni, nel competence and knowledge management, nel management process excellence; esiste una vastissima letteratura che offre le ricette più disparate per raggiungere l'eccellenza. Si tratta, per lo più, di modelli di notevole complessità, che, forse, solo qualche grande impresa è in grado di prendere in considerazione e che, in generale, si adattano ai sistemi organizzativi dell'impresa statunitense.
   
Giova sottolineare che alla complessità non si può rispondere con i grandi piani strategici, con le continue ristrutturazioni, ma seguendo i principi di gestione della Pmi:

  • scegliere le priorità,
  • concentrarsi su esse delegando il resto,
  • decidere le modalità operative,
  • mobilitare le persone che servono,
  • cercare i risultati nel breve.

 
Questa nuova economia, caratterizzata dalla transizione da modelli fondati su dati e informazioni a modelli basati sulla conoscenza ha imposto, conseguentemente, una revisione di alcuni processi organizzativi, primo tra tutti, la comunicazione, condizione irrinunciabile per tradurre in pratica le strategie di business.
Il processo di comunicazione deve articolarsi in due fasi: il concepimento del dettato strategico (vision (9), mission, sistema dei valori, definizione del business) e la condivisione di tale dettato tra tutti gli stakeholders, in modo che, in un circolo virtuoso, si ottenga la convergenza tra il progetto d'impresa e il progetto di vita dei singoli individui.

Un altro carattere distintivo della nuova economia è il cambiamento, non le piccole modifiche incrementali alle quali eravamo abituati, ma veri e propri salti di qualità; per gestire questi salti occorre la leadership, che, come già accennato, alcuni ancora confondono con il management (10). Più marcato è il cambiamento, più forte è la domanda di leadership della quale questa nuova economia è in forte debito per uno sviluppo più organico ed efficiente.
Purtroppo, in generale, le imprese invece di aiutare i dipendenti a sviluppare il loro talento, a prendere iniziative, a responsabilizzarsi, a imparare da errori e successi, spesso, ignorano il potenziale dei collaboratori cosicché il deficit di leadership resta una carenza grave del nuovo sistema economico e l'ostacolo maggiore per l'evoluzione delle aziende. Le aziende che hanno metabolizzato, più delle altre, la dote della pro-attività hanno compreso che per acquisire la capacità di valorizzare il potenziale delle risorse umane, per ridurre il deficit di leadership, per gestire il cambiamento come opportunità e non come accidente, è necessario imboccare la strada dell'eccellenza.

Peraltro si può affermare che il modello di impresa eccellente lo si incontra, quotidianamente, quando si analizzano imprese, specie piccole e medie, che hanno acquisito una posizione di leadership nel loro segmento di mercato.
Ciò significa che l'eccellenza è la condizione per acquisire una leadership di mercato, ma acquisire una leadership sta diventando una condizione di sopravvivenza, cosicché, in un circolo virtuoso l'eccellenza produce la leadership, che, a sua volta, è alla base della "vitalità" dell'impresa.

Qual è la ragione che sottende questi comportamenti? E' la legge del mercato, è il darwinismo economico che porta aziende, poco propense ad identificarsi sotto qualsiasi modello, ad individuare il percorso ottimale per conquistare o difendere una leadership e raggiungere l'eccellenza che, come già detto, può essere lo strumento di sopravvivenza in un mercato che chiede alle imprese una continua attività di reinvenzione o di revisione del proprio business.

Tra le varie tappe del processo evolutivo dell'impresa, non vanno trascurati, infine,  l'ampliarsi dei confini e l'abbattimento di barriere.

  • Negli anni '50 l'impresa operava fondamentalmente con produzioni nazionali sul mercato nazionale.
  • Gli anni '60 sono stati caratterizzati da produzioni nazionali e mercati internazionali.
  • Gli anni '70 hanno visto l'imporsi delle multinazionali che operavano, prevalentemente, con produzioni nazionali per i mercati nazionali.
  • Gli anni '80 e '90 sono stati caratterizzati da produzioni internazionali per mercati internazionali.
  • Il 2000, con l'abbattimento delle barriere temporali e spaziali realizzato nella società dell'information technology, impone al mercato l'instaurarsi di nuovi paradigmi e cioè diventare più globali e nello stesso tempo più locali, applicando cioè la "glocalizzazione".

Va sottolineato, inoltre, che nei tempi passati i cambiamenti erano lenti; il futuro si collegava al passato e gli spostamenti dei paradigmi economici erano impercettibili. Con il passare del tempo i "cicli economici" si sono contratti e il passaggio da un ciclo all'altro è avvenuto sempre più rapidamente. L'agricoltura (1) ha avuto la durata di millenni, l'industria di secoli (2) l'economia dei servizi del mezzo secolo (3), l'economia dell'informazione dei venti anni (4), l'economia della conoscenza (5) è l'oggi. L'allocazione del capitale a uso produttivo e il lavoro, che sono stati gli assi portanti delle teorie economiche dei secoli XIX e XX, siano esse la teoria classica, quella marxista, quella keynesiana o quella neo-classica, non sono più le principali attività creatrici di ricchezza. La ricchezza viene prodotta con gli asset immateriali (11).

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