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Il Nobel per la Medicina 2022 è stato assegnato allo svedese Svante Paabo, per le sue scoperte sul genoma degli ominidi.

Svante Paabo

svante

Il Nobel per la Medicina 2022 è stato assegnato allo svedese Svante Paabo, 67 anni, per le sue scoperte sul genoma degli ominidi. Nato il 20 aprile 1955 a Stoccolma, Paabo può essere considerato una sorta di archeologo del Dna. Ha, infatti, aperto un nuovo campo di ricerca, la paleogenomica. A Pääbo viene riconosciuto il merito di avere affrontato con nuove armi una delle più grandi sfide scientifiche contempoeanee. E’ stato infatti il primo a portare la genetica in un campo come la paleontologia, che fino ad allora si era basata sullo studio di fossili o antichissimi manufatti. Grazie alle nuove tecnologie genetiche, Pääbo è stato fra i pionieri dell’estrazione del Dna dai fossili e della sua analisi. Le ricerche che ha coordinato hanno gettato una nuova luce sull’evoluzione umana, fino a rivoluzionarne completamente lo studio. A lui si deve per esempio l’analisi del Dna dei Neanderthal, che ha rivelato che l’Homo sapiens si è incrociato con i Neanderthal e che alcuni geni di quei cugini dell’uomo sono ancora presenti nel genoma di quasi tutte le popolazioni contemporanee. Sempre a sue ricerche si deve la scoperta di un’antica popolazione umana, i Denisovani, anch’essi incrociati con l’Homo sapiens circa 70.000 anni fa: il punto dipartenza per ricostruirne la storia è stato un frammento di un osso trovato in una grotta dei Monti Altai.

Dopo aver studiato all’Università di Uppsala, Pääbo, si è trasferito prima nell'università di Zurigo, poi in quella americana di Berkeley e in seguito nell'Università tedesca di Monaco. Nel 1999 ha fondato l'Istituto Max Planck per l'Antropologia evoluzionistica a Lipsia, dove lavora attualmente. E' inoltre docente in Giappone, nell'Istituto di Scienza e Tecnologia di Okinawa, è membro dell’Organizzazione Europea di Biologia Molecolare (Embo) e fa parte di accademie prestigiose, come la Royal Society, l'Accademia Nazionale della Scienze degli Stati Uniti, l'Accademie delle Scienze francese, quella Leopoldina e l'Accademia Nazionale dei Lincei. Numerosi i riconoscimenti internazionali, fra i quali la medaglia Max Delbrück, la medaglia Theodor Bücher (Febs), il premio Louis-Jeantet (Ginevra), e il Japan Prize (Tokyo).
Il neo vincitore del premio Nobel per la medicina, Svante Pääbo, è a sua volta figlio di un altro Nobel per la medicina: suo padre, il biochimico Sune Karl Bergstrom, è stato infatti insignito dello stesso riconoscimento esattamente 40 anni fa, nel 1982, per i suoi studi sulle prostaglandine (insieme a Bengt I. Samuelsson e John R. Vane). Svante Paabo non porta il cognome del padre, bensì quello della madre (la chimica estone Karin Paabo), perché frutto di una relazione extraconiugale.
E' un premio "meritatissimo" Il Nobel per la Medicina al fondatore della paleogenetica, lo svedese Svante Pääbo: è il commento del presidente dell'Accademia dei Lincei, Roberto Antonelli, e del vicepresidente Giorgio Parisi al riconoscimento, che per due anni consecutivi viene assegnato a un socio dell'Accademia. Lo scorso anno, infatti, Parisi era stato premiato per la Fisica.

"Un premio Nobel meritatissimo a un grande scienziato che abbiamo l'onore di averlo come socio straniero dell'Accademia dei Lincei", dicono Antonelli e Parisi. "La ricostruzione dei genomi antichi - aggiungono - è stata un'avventura affascinante, che ci ha permesso di ricostruire la storia dell'umanità e dei rapporti con in nostri fratelli estinti, i Neandertaliani e i Denisovani".

Gli studi di Pääbo hanno portato alla luce specie estinte e contemporaneamente stanno permettendo di capire come l'uomo moderno è suscettibile o meno a contrarre malattie, come Covid-19: sono questi i due grandi meriti delle ricerche di Svante Pääbo premiate oggi con il Nobel per la Medicina, secondo il paleoantropologo Giorgio Manzi, dell'Università Sapienza di Roma e accademico dei Lincei.

"Il Nobel è stata una bella sorpresa per chi si occupa di biologia dell'evoluzione umana: è una comunità scientifica relativamente piccola, ma che interessa davvero tutti perché ha a che fare con la nostra natura biologica", ha detto Manzi al'ANSA. La paleogenetica è un campo relativamente recente: "la prima scoperta risale a 25 anni fa, da allora ci ha fatto fare progressi straordinari e ce ne farà ancora".

"Nel 1997 le ricerche di Pääbo ci hanno fatto conoscere il Dna dei Neanderthal e nemmeno 10 anni più tardi quasi l'intero genoma di questa specie estinta; in seguito, ci hanno portato a scoprire ibridazioni e incroci che hanno fatto sì che nel nostro genoma si conservino ancora brandelli di Dna neanderhaliani".

Un altro passo in avanti, ha aggiunto Manzi, nel 2010, con la scoperta dell'uomo di Denisova a partire da un piccolo frammento di osso scoperto nei Monti Altai: "si è aperto un nuovo mondo quando si è scoperto che da quelle parti non c'erano solo Neanderthal e Sapiens, ma c'era una terza popolazione mai identificata nei fossili", i Denisovani. La scoperta è così recente che "questa specie estinta non ha ancora un nome in latino".

Per Manzi "la più formidabile di queste scoperte è anche una delle più recenti, quando nel laboratorio di Pääbo si è scoperto un ibrido fra Neanderthal e Denisovani". Secondo l'esperto, "al di là del settore di nicchia della biologia evoluzionistica ed evoluzione umana, le scoperte si estendono al campo della biologia e della medicina: conosciamo meglio chi siamo e attraverso tecniche avanzate riusciamo a guardare meglio nel nostro genoma e a capire le possibili conseguenze sulla salute, come è accaduto in piena pandemia di Covid-19. Si è scoperto che il Dna dei Neanderthal presente nel nostro genoma può avere effetti positivi e negativi sulla possibilità o meno di contrarre la malattia". Per questo, secondo Manzi, quello a Pääbo "è un premio alla biomedicina". E' una storia appena iniziata, ha concluso, e in futuro potrebbe portare sia "a saperne sempre di più sull'evoluzione umana, e magari a scoprire altre specie estinte", sia a nuove conseguenze su biologia e medicina.

UNA SFIDA IMPOSSIBILE (O QUASI). Nel 1990 Pääbo, appena divenuto Professore all'Università di Monaco, decise di analizzare il DNA dei mitocondri dei Neanderthal. Il DNA mitocondriale contiene soltanto una frazione delle informazioni genetiche della cellula, ma è presente in migliaia di copie e questo aumenta le probabilità di successo "di lettura". Grazie ai metodi appena sviluppati, Pääbo riuscì a sequenziare una regione del DNA mitocondriale a partire da un frammento di osso di Neanderthal vecchio 40.000 anni. Fu la prima sequenza genetica di un nostro parente estinto. Confrontandolo con il DNA di sapiens e di scimpanzé si vide chiaramente che i Neanderthal erano geneticamente diversi da noi (cioè che non sono nostri "avi").
Ma le informazioni fornite dal DNA mitocondriale sono limitate. Bisognava riuscire a sequenziare il DNA nucleare, quello che si trova, cioè, non negli organelli cellulari chiamati mitocondri bensì nel nucleo delle cellule. Pääbo, nel frattempo approdato al Max Planck Institute di Lipsia (Germania) e circondato da esperti collaboratori, continuò a migliorare i metodi per isolarlo dai resti di ossa rinvenuti da archeologi e paleontologi. Fino al 2010, quando riuscì a pubblicare la prima sequenza genetica di Neanderthal: confrontandola con la nostra si vide che il più recente antenato comune tra sapiens e Neanderthal era vissuto circa 800.000 anni fa. C'erano ormai gli strumenti per capire quale relazione avesse legato la nostra specie con quella di questi ominini estinti. Pääbo scoprì che il DNA Neanderthal che aveva sequenziato è più simile a quello dei sapiens moderni di origine europea e asiatica che a quello dei sapiens moderni di origine africana. Significa che Homo sapiens e Neanderthal si incrociarono durante la loro convinvenza fuori dall'Africa. E anche che l'uomo moderno ospita, nel suo DNA, una porzione pari all'1-4% di genoma Neanderthal.

Nel 2008 nella grotta di Denisova, nel sud della Siberia, fu ritrovato il frammento di un osso di un dito contente DNA in un eccellente stato di conservazione. Pääbo non perse tempo e si mise a sequenziarlo, arrivando a una scoperta epocale: quel DNA non somigliava né a quello dell'uomo moderno né a quello Neanderthal. Si trattava del codice genetico di una nuova specie di ominine, che venne chiamata Uomo di Denisova. Anch'esso ci ha lasciato in eredità una parte di geni. Le popolazioni della Melanesia e di altre parti del sudest Asiatico ospitano fino al 6% di DNA denisoviano.
La nostra comprensione della storia evolutiva e delle migrazioni dei sapiens si basa sulle scoperte di Pääbo. Uscito dall'Africa l'Homo sapiens si incrociò con almeno due popolazioni di ominini estinte, i Neanderthal in Eurasia e i Denosiviani in Asia orientale. Omini arcaici potrebbero essersi incrociati con i sapiens anche in Africa, ma non ne abbiamo le prove a causa della degradazione del DNA arcaico nei climi tropicali. Ma le scoperte di Pääbo sono rilevanti anche per la comprensione della fisiologia dell'uomo moderno. Un esempio? La versione denisoviana del gene EPAS1, comune nelle odierne popolazioni tibetane, conferisce un vantaggio di sopravvivenza alle altitudini elevate.

Dal 1901 sono stati assegnati 112 Nobel per la Medicina o la Fisiologia a un totale di 224 scienziati. Il più giovane a riceverlo è stato Frederick G. Banting, che aveva 32 anni quando, nel 1923, fu premiato insieme a John James Rickard Macleod per la scoperta dell'insulina come cura contro il diabete. Il più anziano laureato invece è stato Peyton Rous, premiato nel 1966, a 87 anni, per la scoperta dei virus che inducono tumori. Soltanto 12 tra gli scienziati a cui è stato riconosciuto questo premio sono donne. Tra queste c'è l'italiana Rita Levi-Montalcini, insignita del Nobel nel 1986 per le sue scoperte sui fattori di crescita. A condividere il Nobel per la Medicina sono state in un paio di casi due coppie: Carl Cori e Gerty Cori (1947), premiati per aver scoperto come il glicogeno (la riserva glucidica del corpo umano) viene risintetizzato dall'organismo; e più di recente May-Britt Moser e Edward Moser, per aver contribuito a chiarire come il cervello si orienta nello spazio.

denisova

Sapiens, neanderthal e denisova, migrazioni e incroci

L'uomo di Denisova

Denisova, Neanderthal, Sapiens: in cosa si differenziano?
I Denisova e i Neanderthal avevano un antenato in comune, dal quale si sono “separati” circa 390.000 anni fa. Si presume che l’origine dei Denisova risalga a circa 750.000 anni fa, in Africa; secondo alcune ipotesi, avrebbero lasciato il continente prima dell’Homo Sapiens. Vyacheslav Ivanov (1929-2017), uno dei maggiori antropologi e indoeuropologi russi, sosteneva che i Denisova avessero lasciato l'Africa prima degli uomini e fossero emigrati sugli Altaj. Secondo Ivanov, migliaia di anni dopo, quando la specie Homo Sapiens raggiunse l'Altaj, avrebbe incontrato i Denisova e si sarebbe “alleata” a loro. Questi ominidi probabilmente hanno vissuto nella grotta di Denisova fra i 170.000 e i 110.000 anni fa. Gli studiosi sono portati a credere che siano esistiti almeno due gruppi di questa specie, con 65.000 anni di differenza tra loro. I denisovani e i neandertaliani avrebbero coesistito per vario tempo e si sarebbero quindi incrociati. Nel 2018, alcuni studi hanno dimostrato che un frammento osseo rinvenuto nel 2012 e appartenuto a una ragazza di Denisova portava il 36,6% di DNA di Neanderthal e il 42,3% di DNA di Denisova, il che significa che la ragazza era un ibrido di prima generazione, nata da una madre di Neanderthal e un padre di Denisova. Nel 2014 si è scoperto che il popolo tibetano riesce ad adattarsi piuttosto bene agli ambienti con poco ossigeno (ipossici), tipici degli altipiani d'alta quota; ciò si spiegherebbe con il fatto che, probabilmente, avrebbero ereditato un gene dai Denisova. Gli studi sul DNA di questi ominidi suggeriscono infatti che i Denisova avrebbero vissuto in Tibet e si sarebbero adattati all’ambiente; una linea genetica simile a quella dei Denisova è stata trovata anche nei popoli indigeni della Nuova Guinea. Alcuni dati archeologici e studi sul DNA portano a credere che le tre specie (l’uomo moderno, l’Uomo di Neanderthal e quello di Denisova) abbiano convissuto nella grotta di Denisova in diversi momenti, e che siano addirittura incrociate.

deniso

Anche il denisova sembra derivare dall'hildebergensis;


IMPRESA OGGI - Eugenio Caruso - 15-10-2022

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