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Evoluzione dell'impresa - La leadership - Capitolo 4


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5.6 L'organizzazione

L'organizzazione dell'impresa è il complesso delle strutture, delle risorse umane e materiali, dei processi, delle regole che consentono lo svolgimento ottimale dei ruoli a tutti gli stakeholder.
La leadership è responsabile dell'organizzazione aziendale, organizzazione che essa deve saper mettere continuamente in discussione, specie per evitare le burocratizzazioni, gli autocompiacimenti, l'allentamento delle responsabilità.
Il principio che deve sottendere l'organizzazione dell'impresa è quello della gestione per processi; spesso i vari reparti di un'impresa (3) operano come piccole repubbliche indipendenti alle quali non è chiesto di informarsi su cosa accade nelle altre repubbliche, ma solo di raggiungere gli obiettivi posti dal "capo". Questo tipo di organizzazione, duro a morire, è figlio, sia del principio della gestione per obiettivi, sia delle strutture rigidamente funzionali che per anni hanno dominato la scena dell'organizzazione aziendale.
Compito della leadership è abbattere le barriere tra le varie "repubbliche" e introdurre il principio che tutti i dipendenti lavorano per processi che attraversano orizzontalmente reparti e funzioni aziendali e che oltrepassano i confini della stessa impresa. Seguendo i principi base della Qualità, è opportuno iniziare con l'instaurare un rapporto, tra le varie "repubbliche" del tipo fornitore-cliente.
Questo cambiamento radicale dei comportamenti, difficile da conseguire in tempi stretti, è facilitato dall'adozione, in azienda, di due metodologie che poggiano proprio sull'ottimizzazione dei processi, quella dell'articolazione di tutte le attività aziendali secondo il modello delle catene del valore e quella del total quality management.

5.7 Gli stakeholders

Un altro dei compiti della leadership è l'individuazione degli stakeholder, cioè di tutti coloro, che, come già visto, in modo più o meno rilevante possono influenzare o contribuire alla crescita del valore dell'impresa.

Compito della leadership non è solo l'individuazione degli stakeholder, ma anche il loro monitoraggio al fine di individuare eventuali ostacoli o problemi che i singoli soggetti potrebbero incontrare; il leader dovrebbe sondare, quindi, gli stakeholder con una serie di domande.

  • Quali sono i principali ostacoli e problemi operativi dell'area da voi presidiata.
  • Quali di quegli ostacoli/problemi sussistono tuttora.
  • Quali possono essere le cause di questi ostacoli/problemi.
  • Quali sono le principali urgenze da affrontare e risolvere in questo momento.
  • Quali interventi culturali, organizzativi e tecnici possono risolvere tali situazioni.

5.8 La comunicazione all'interno dell'impresa

La comunicazione all'interno dell'impresa è uno degli strumenti fondamentali per il successo, specie nel caso in cui la leadership voglia riorganizzare l'impresa.
Come s'è già detto, la fluidità della comunicazione intra-aziendale trova, spesso, ostacoli nelle differenti esperienze del personale, nei diversi gradi di cultura, preparazione, addestramento e mentalità, nelle diverse abitudini, nella sottostima dell'importanza della funzione, nella volontà di non diffondere le informazioni, nella gelosia.
Per ottimizzare il processo della comunicazione la leadership dovrà impegnare molte energie al fine di sensibilizzare le persone a leggere e ad ascoltare, di creare un clima per la libera circolazione delle informazioni e delle idee, di creare gli strumenti per la circolazione delle informazioni, di far sì che la politica aziendale sia recepita da tutti in modo chiaro.
Quando si è parlato d'impresa eccellente è stato più volte sottolineato il valore della responsabilizzazione dei dipendenti in modo che essi, superato il ruolo della semplice dipendenza, si sentano portati a giocare quello della partnership (Moglia, 1998); per arrivare a questa conquista l'impresa deve comportarsi in modo trasparente e la comunicazione deve essere chiara e tempestiva.

Ogni dipendente deve essere messo nelle condizioni di valutare come sta andando lui stesso, il suo reparto, l'impresa; se non ha una chiara visione di che cosa ci si attende da lui, di come può contribuire al raggiungimento dei traguardi aziendali e se quanto fa non gli viene riconosciuto e non gli porta vantaggi concreti non potrà mai diventare un partner dell'impresa (Ivancic, 1998).

Nel progettare il proprio processo di comunicazione l'impresa non può ignorare gli aspetti psicologici ed emotivi delle relazioni che caratterizzano l'organizzazione aziendale nel suo insieme.
L'impresa è costituita da relazioni e da persone e pertanto è pervasa di ambiguità, vulnerabilità, conflittualità, ma gli studi più avanzati hanno evidenziato che è possibile far scaturire energia positiva da valenze negative.
È necessaria una leadership in grado di favorire approcci comunicativi "caldi" orientati a sollecitare dialogo, ascolto e fiducia. Solo attraverso il coinvolgimento del "cuore" (Whyte, 1997), oltre che della mente delle persone, è possibile ottenere la condivisione del dettato strategico dell'impresa e quindi "produrre" l'energia necessaria all'impresa per superare ogni tipo di difficoltà.

5.9 Il vantaggio competitivo

Elemento centrale della strategia di un'impresa è il conseguimento di una posizione di preminenza all'interno di un settore di produzione o di servizi; tale posizionamento si realizza attraverso il vantaggio competitivo.
Come già accennato, secondo Porter un'impresa può godere di due tipi di vantaggio competitivo: costi bassi o differenziazione.
Questi due tipi di vantaggio competitivo, combinati con l'ambito delle attività per le quali un'impresa cerca di ottenerli, porta a tre strategie di base: leadership di costo, differenziazione e focalizzazione.
La focalizzazione ha due varianti: focalizzazione sui costi e sulla differenziazione. Le leadership di costo e di differenziazione tendono a conquistare il vantaggio competitivo in una vasta gamma di segmenti del settore industriale, mentre le strategie della focalizzazione mirano al vantaggio in un segmento ristretto. Giova notare che spesso le leadership di costo e di differenziazione sono insidiate proprio dalle aziende (in generale Pmi) che attuano la strategia di focalizzazione; operando, infatti, su segmenti stretti è più facile ridurre i costi e differenziarsi.
Compito della leadership è la ricerca e la conquista del vantaggio competitivo. Questo può essere ottenuto ottimizzando una serie di elementi.

  • L'innovazione tecnologica e la creatività.
  • Le competenze distintive.
  • Il pensare più in termini di bisogni che di prodotti/servizi.
  • La continuità con il cliente (fino a farlo sfumare in un prosumer).
  • La gestione nel suo complesso.
  • Il benchmarking   (6) e le best practice (imparare dai migliori).
  • Il coinvolgimento dei collaboratori.
  • La comunicazione e l'immagine esterna.

I fattori del vantaggio competitivo possono essere di breve durata e il mercato può subire cambiamenti che devono essere individuati tempestivamente. Il monitoraggio costante dei fenomeni ambientali e la loro evoluzione, nonché la velocità con la quale si individuano e si comprendono sono, pertanto, prerequisiti indispensabili per il successo dell'impresa.
Se la leadership è stata capace di costruire un adeguato sistema di relazioni l'impresa disporrà di quella che Derek Abell (Fiocca, 1994) chiama la «finestra strategica» e cioè lo strumento per presidiare i cambiamenti che possono avvenire nell'ambiente circostante ed essere preparati alla difesa del vantaggio competitivo rispetto alla concorrenza.
La continuità con il cliente è lo strumento più adeguato per raccogliere informazioni sul proprio vantaggio competitivo; la leadership dovrà costantemente essere in grado di dare risposta alle seguenti domande.

  • Che cosa lega il cliente al mio prodotto.
  • Quali elementi di utilità trova il cliente nel mio prodotto.
  • In che modo il mio prodotto favorisce il successo del cliente.
  • Che tipo di prodotto/servizio il cliente gradirebbe con entusiasmo.

Il vantaggio competitivo può essere quantificato anche attraverso l'analisi swot (strength, weakness, opportunity, threat), che mette in evidenza punti di forza, punti di debolezza, opportunità e minacce che caratterizzeranno la posizione competitiva dell'impresa su un orizzonte di due o tre anni. Si tratta di un'analisi molto imprenditoriale, poco basata sui dati e più su valutazioni dei trend e sulla conoscenza del mercato e di ciò che stanno facendo i concorrenti. Il risultato dell'analisi è l'individuazione, sia delle performance di breve-medio periodo delle quali si vuole ottenere un significativo miglioramento, considerando i punti di criticità e di vantaggio, sia dei processi aziendali necessari per ottenere i citati miglioramenti.

5.10 La strategia

La strategia è l'insieme dei piani, delle azioni e dei provvedimenti che consentono all'impresa di ottenere il soddisfacimento degli stakeholder; essa è l'evoluzione di un'idea guida originaria, che, a sua volta, nasce dalle competenze distintive che l'impresa ha saputo sfruttare e che vuole ulteriormente sviluppare.
La strategia deve avere connotati di flessibilità, poiché potrebbe essere conveniente, in funzione dei "condizionamenti" del mercato, modificarla; importante è restare fedeli all'idea guida.
La leadership dovrà avere il senso di ciò che è raggiungibile e la capacità di assegnare la giusta probabilità agli eventi, di individuare, tempestivamente, gli errori e porvi riparo, di avere fiducia nella propria vision, nelle proprie competenze distintive, nei propri valori, nel senso di responsabilità dei collaboratori.
L'approccio alla formulazione delle strategie deve avere un taglio prevalentemente creativo. Il pensiero e la visione strategica dipendono dalla capacità di percepire e cogliere indicazioni utili all'impresa anche da segnali deboli, che agli occhi dei più possono passare inosservati. L'approccio alla formulazione delle strategie basato solo su numeri e dati è sempre stato di ostacolo alla formulazione di una visione strategica orientata al cambiamento e un grave limite della maggior parte dei manager.

In sintesi il segreto del successo di una strategia sta nel:

  • valutare la situazione attuale dell'impresa,
  • analizzare segnali, anche deboli, che possono in qualche modo influenzare l'impresa,
  • determinare obiettivi chiave,
  • prevedere sviluppi che si avvicinino il più possibile al corso degli avvenimenti,
  • prevedere lo sviluppo delle competenze distintive,
  • allestire un sistema di controllo,
  • lasciare aperte più opzioni,
  • essere pronti a reagire con decisione,
  • mettersi nei panni dei propri collaboratori,
  • essere creativi,
  • essere collaborativi.

Per competere sul mercato e imporre la propria idea guida originaria esistono tre tipi di strategia (Valdani, 1997):

  • la guerra di movimento;
  • la guerra di imitazione;
  • la guerra di posizione.

I princìpi della guerra di movimento fondano il successo di un'impresa sulla capacità di anticipazione dei cambiamenti che si verificano nel mercato e sulla velocità di risposta ai bisogni della clientela, piuttosto che sulla semplice sottrazione di quote di mercato ai concorrenti.
La guerra di movimento richiede quindi una predisposizione alla generazione di valore attraverso la creazione di nuove opportunità, di nuove idee, di nuove iniziative di business.
La specificità di questo tipo di guerra richiede armi specifiche, quali:

  • la generazione di conoscenza;
  • l'informazione;
  • la creatività;
  • la capacità di:        
  • integrare competenze di imprese diverse e quindi sfruttare al meglio i vantaggi dell'impresa  a rete,
  • educare il mercato,                                                                                                               
  • generare nuovi standard,
  • entrare e uscire da settori diversi di mercato.

Le imprese che applicano la strategia della guerra di movimento sono quelle che godono sul mercato del vantaggio del first mover o pioniere.

L'innovazione costituisce l'arma di quelle aziende che conducono la loro strategia con la guerra di movimento, strategia che le porta alla creazione di nuovi mercati. Ma la posizione di pioniere non può essere considerata la scelta più vantaggiosa per tutte le imprese o in tutti i momenti.

In moltissimi casi è la strategia delle imprese sfidanti-imitatrici che può risultare vincente.
La guerra di imitazione viene condotta disponendo di un'efficace finestra strategica che consenta di individuare, al suo nascere, l'esistenza di una novità sul mercato. Si tratta poi di acquisirne la tecnologia e di realizzare un prodotto che sia possibilmente migliore di quello del first mover, magari, solo in termini di marketing. Spesso l'imitatore non dispone della creatività del pioniere, ma potrebbe essere più flessibile e saper sfruttare meglio, in termini di marketing, l'innovazione.

La predisposizione alla guerra di posizione riflette la natura di un mercato caratterizzato da conflitti ben definiti, da beni con cicli di vita consolidati, da clienti che esprimono bisogni chiari, da concorrenti ben identificati. La guerra di posizione rappresenta, spesso, l'evoluzione naturale delle guerre di movimento e di imitazione. La riduzione di redditività, che spesso caratterizza le guerre di posizione, obbliga le imprese al continuo miglioramento dei processi di produzione e a frequenti ristrutturazioni. Prevalgono le strategie orientate al market sharing, al tentativo, cioè, di aumentare la propria quota di mercato facendo investimenti nel marketing.
Un aspetto negativo della politica del market sharing, che coinvolge quasi tutto il settore dei beni di largo consumo e dei beni di consumo durevoli è spesso una pubblicità ingannevole e volgare. Dice Oliviero Toscani, «una pubblicità che propone un modello sofisticato e ipnotico di felicità» in cui, con il prodotto, al consumatore viene promessa l'eterna giovinezza, la potenza, l'energia, la salute, «….trovo spaventoso che un immenso spazio di espressione rappresentato da quelle migliaia di chilometri quadrati di cartelloni affissi nel mondo intero, da quei pannelli giganteschi, da quelle centinaia di migliaia di pagine stampate, da quelle migliaia di ore di televisione e di radio rimangano riservate ad una iconografia imbecille, irreale e ingannevole» (AA.VV., 1999).

La storia delle imprese industriali insegna che nella fase di maturità l'impresa corre il pericolo che tutti si accontentino di raccogliere i frutti della fase pionieristica; l'impresa eccellente è, invece, quella che, avendo raggiunto la fase della maturità, ha la capacità di reinventarsi e introdurre nuove fasi pionieristiche prima che sia troppo tardi e l'impresa sia costretta ad adottare strategie di posizionamento, alle quali non è abituata.

Interessante rifarsi anche ai quattro punti chiave di Henry Mintzberg, circa il processo di formulazione della strategia (Mintzberg, 1996).

  • Le strategie nascono e si sviluppano come frutti selvatici, non occorre l'artificiosa coltivazione in serra. E' necessario, cioè, lasciare emergere spontaneamente le diverse intuizioni, per ricondurle, successivamente, ad un orientamento comune.
  • Le idee utili per la formazione di un progetto strategico possono nascere ovunque. E' necessario creare il clima ideale per favorirne la fioritura. La leadership dovrà curare la continuità con le persone più creative tra gli stakeholder, anche al fine di coglierne le idee che possano confluire nella definizione della strategia.
  • Le strategie divengono patrimonio collettivo quando riescono a influenzare il comportamento dell'impresa. Le idee strategiche che hanno origine tra gli stakeholder possono avere il sopravvento su quelle convenzionali (nel senso della continuità con il passato), proprio perché nate spontaneamente, e vengono generalmente abbracciate più facilmente da tutti i soggetti dell'impresa.

E' necessario trovare un punto di equilibrio tra le idee strategiche emergenti e quelle convenzionali. Sarà compito della leadership fare in modo che le idee strategiche emergenti non creino punti di rottura tra gli stakeholder e stabilire quando è il momento adatto per procedere ai cambiamenti di strategia.

5.11 La pianificazione

La caratteristica peculiare della pianificazione è l'individuazione di tutti i possibili obiettivi aziendali e la scelta delle priorità; il principio utilizzato dall'impresa eccellente non può che essere stakeholder based e i riferimenti per il piano non possono che essere la mission e la vision aziendali.

La pianificazione aziendale deve partire da una bozza di piano poliennale, per il quale potrebbero essere utili i seguenti criteri.

  • Realizzare una griglia di obiettivi e di azioni attraverso "istruttorie" condotte con gli stakeholder o tenendo conto delle loro esigenze.
  • Analizzare la griglia degli obiettivi, al fine di riportare nel piano solo quelli che la leadership ritiene realmente importanti.
  • Raggruppare obiettivi e azioni per affinità (in precedenza aggregati per fonte).
  • Strutturare gli obiettivi; quelli di livello gerarchico superiore devono includere quelli di livello inferiore e quelli relativi agli effetti devono essere correlati a quelli relativi alle cause.
  • Posizionare razionalmente gli obiettivi sulla scala temporale, attraverso adeguate correlazioni causali.
  • Arricchire e affinare i contenuti raccolti.
  • Posizionare in modo razionale obiettivi e azioni nell'articolazione formale del piano.
  • Cercare di concretizzare gli obiettivi in termini di indicatori numerici.

Il piano poliennale va considerato un riferimento per la pianificazione delle attività, un insieme di ipotesi che diventeranno realtà solo nel momento in cui obiettivi e relative azioni saranno introdotti nel piano annuale. Fino a quel momento esso deve costituire solo la fonte a cui attingere e ispirarsi per definire dove potrebbe andare l'impresa nei successivi tre-quattro anni.
Nell'elaborazione del piano si dovrà evitare che esso sia il prolungamento analitico del passato; esso non si baserà sui trend, ma dovrà avere un impatto sull'impresa tale da determinare un miglioramento sensibile rispetto ai risultati tendenziali prevedibili. Esso non è un budget, non è un forecast plan, non è un business plan.
 Il piano potrebbe essere articolato in quattro sezioni: obiettivi di business, obiettivi di capacità, obiettivi di breakthrough, principali attività previste (Merli, 1999).

Obiettivi di business. Questa sezione potrebbe comprendere: gli obiettivi economico-finanziari, gli obiettivi strategici che sono quelli di rilevanza con un orizzonte di almeno tre-quattro anni, gli obiettivi di customer satisfaction, gli obiettivi specifici del primo anno che sono più articolati di quelli poliennali e più dettagliati dal punto di vista quantitativo.

Obiettivi di capacità. Cioè tutti gli obiettivi di carattere organizzativo, culturale e tecnico emersi durante le istruttorie; si tratta di obiettivi riguardanti le future capacità dell'impresa.

Obiettivi di breakthrough. Sono obiettivi molto sfidanti ed estremamente importanti per il mantenimento della competitività aziendale; si tratta di una semplice trasposizione di obiettivi riportati in altre sezioni ed evidenziati per avere una visione d'assieme delle priorità gestionali per ciascun anno.

Principali attività previste. La sezione contiene ipotesi delle iniziative e delle azioni che dovranno essere attivate per perseguire gli obiettivi di piano. Esse sono già state individuate nei processi di istruttoria e vengono portate all'operatività (i cosiddetti piani operativi) nel piano annuale.

A valle del piano poliennale va elaborato il piano annuale; si procede pertanto ad una valutazione critica di quanto previsto nel piano poliennale per decidere se gli obiettivi previsti siano ancora prioritari o se l'impresa debba rivolgersi verso altri aspetti.
La definizione delle priorità è l'aspetto più delicato che compete alla leadership nel processo di pianificazione; è il momento della massima assunzione di rischio da parte dell'imprenditore. Una procedura da preferirsi è quella di individuare prima le priorità e poi elaborare i piani annuali, in modo da non correre il rischio di inserire troppi obiettivi e di volerli realizzare tutti.

La mia esperienza personale prova che spesso l'imprenditore, per non aver affrontato con sufficiente realismo il problema delle priorità, si trova impegnato ad affrontare troppi obiettivi, ritenuti tutti strategici, perdendo in efficacia ed efficienza. Un altro rischio connesso con un piano ridondante è che, all'atto pratico, gli obiettivi vengano tutti ridotti indiscriminatamente di una certa percentuale, perdendo ancora in efficacia e in efficienza.


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